Prefazione – Studi su Sismondi
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1945
Prefazione – Studi su Sismondi
Studi su G.C.L. Sismondi raccolti per il primo centenario della sua morte, Ist. Edit. ticinese, 1945, pp. IX-XIV
Or è un anno, rivedevo, insieme con un centinaio di studenti e con alcuni colleghi del «campo universitario italiano» di Ginevra, il castello di Coppet. Un dotto ginevrino, appartenente ad una delle famiglie toscane che nel ‘500 avevano dall’Italia cercato rifugio dalle persecuzioni religiose nella roccaforte del calvinismo, narrava ai visitatori, anch’essi giunti sulle rive del Lemano in cerca di ospitalità, la vita aneddotica del castello.
Madame de Stael, dai vividi occhi che cercavano di stornare l’attenzione dei visitatori dalla bocca troppo larga e dal viso a grossi tratti alle bellissime mani, che ancor si ammirano nel grande ritratto rimasto in luogo, era la regina del celebre salotto, dove convenivano gli uomini più illustri d’Europa, dal suo più costante amico Benjamin Constant al Dr. Rocca, ultimo oscuro suo legame, da Chateaubriand a Bonstetten, da Schlegel a Madame de Recamier.
Mentre l’erudita guida ci intratteneva sulla figlia Albertina De Broglie e sugli illustri suoi discendenti, duchi De Broglie e conti d’Haussonville, pensavo che da quel castello e da quel salotto erano partite le parole le quali avevano ferito a morte le aspirazioni di dominio universale di Napoleone. La spada fu materialmente vinta da altre spade, le quali, attraverso ognora rinnovate sconfitte, avevano finito per imparare il segreto tecnico della vittoria. Ma la spada era stata spezzata ben prima del pensiero, dalla parola di libertà pronunciata da alcuni pochi uomini, i quali avevano tenacemente resistito allo spirito di conformismo, imposto colla forza dal vittorioso imperatore. In quel castello erano state pensate e dette e discusse le parole destinate ad infiammare i popoli contro i tiranni.
Uno degli uomini che diedero e ricevettero luce dal salotto di Madame de Stael fu Sismondo de Sismondi. Egli non ha lasciato nessuna eredità politica paragonabile alle pagine imperiture dell’Esprit de conquete et de domination di Benjamin Constant; e, pur non dimentico del giudizio severo sul dominatore, si lasciò tuttavia attirare per un istante, durante i cento giorni, dall’uomo il quale, contro i Borboni ritornati in Francia sulla punta delle baionette straniere, prometteva costituzione e libertà ai francesi. Si può immaginare il contegno di Sismondi durante le discussioni ognora rinnovate nei lunghi anni dell’attesa; dinanzi alle negazioni rigide appassionate della Stael e di Constant, Sismondi metteva innanzi il dubbio: e poi? Che cosa accadrà quando il tiranno sarà scomparso?
In una lettera riprodotta da W. E. Rappard in questo stesso volume (p. 33), Sismondi scriveva alla contessa d’Albany: «Il y a un homme pour lequel j’ai une forte aversion, qui n’a point changè; mais il n’y a pas un de ses adversaires pour lequel j’aie de l’affection ou de l’estime; et vraiment, ni dans les revers, ni dans le succès, ils n’ont rien fait pour la mériter. Cet homme a professé des principes qui me font bouillir le sang lorsque je les rencontre dans quelques écrits; mais ce n’est nullement à ces principes qu’en veulent ses adversaires; au contraire, c’est peut-être par là même qu’il a le plus de rapport avec eux. Son arrogance m’a été insupportable pendant de longues années; mais l’arrogance de ceux qui ont été si humbles pendant ces mêmes années me révolte peut-être encore plus».
Forse questa pagina, insieme con le molte altre simiglianti nell’epistolario di Sismondi e quelle che sono contenute nella presente silloge con tanto amore raccolta e presentata dal professore Ferretti e dai suoi collaboratori, spiega l’indole dell’influenza esercitata dal nostro autore sull’opinione pubblica del suo tempo; più ancora del celebre ritratto dettato da Amiel nel Journal intime: «Avec des facultés moyennes, peu d’imagination, peu de gout, peu de talent… il a pourtant fourni une carrière presque illustre, et laisse une soixantaine de volumes avec un beau nom. Comment cela? Son amour des hommes d’une part et son énergie au travail d’autre part sont les deux facteurs de sa gloire… Sismondi n’est ni le génie, ni le talent, mais la solidité, la loyauté, le bon sens, l’intégrité. Le sens poétique, artistique et philosophique lui manque un peu; mais il intéresse et attache par son sens moral. C’est l’auteur sincère, le cour excellent, le bon citoyen, l’ami chaud, le brave et digne homme dans toute l’étendue du terme, sans éclat ni brillant, mais inspirant la sécurité par son mérite, ses principes et ses vertus» (in questo volume, p. 442).
Se Sismondi fosse stato soltanto un uomo solido, di buon senso, moralmente integro, amico fedele durante i lunghi anni della persecuzione napoleonica quando tanti disertavano il salotto della Stael, cittadino degno e bravo, la fama del Sismondi non sarebbe sopravvissuta ed i suoi libri più non sarebbero oggi letti. Non oso dare giudizio sulle grandi opere storiche sue e sul valore che esse serbano oggidì; ma l’epistolario è un documento di prim’ordine per l’intelligenza degli avvenimenti nel primo terzo del secolo scorso; ma i suoi libri di economia politica sono ancor oggi letti e discussi da chi si occupa di problemi attuali; la fortuna letteraria di lui nel campo delle scienze economiche, fa ancora ricercare dagli amatori le menome briciole uscite dalla sua penna; e Pasquale Jannaccone ha potuto su materiale inedito dettare per il presente volume un saggio che i cultori di storia delle dottrine economiche leggeranno certamente con curiosità e gusto grandissimi.
Se dovessi esprimere con una frase quella che a me pare la caratteristica della mente di Sismondi, direi che egli amava e vedeva i contrari. Nella stessa maniera come egli prima condannava Napoleone in funzione della conculcata libertà elvetica o della pratica britannica di governo e poi lo spiegava storicamente contrapponendolo alla piccolezza gretta dei nobili reduci dall’esilio che stavano attorno ai Borboni, così ai suoi occhi una ipotesi od una legge scientifica non aveva valore se non poteva contrapporle una ipotesi o una legge o, meglio, un fatto che non rientrava nell’ipotesi e non era spiegato dalla legge. Egli visse, purtroppo per lui, in un’epoca di giganti della scienza economica: Malthus e Bentham, Ricardo e Gian Battista Say; se i libri e saggi di lui sopravvivono, dobbiamo ricercarne la cagione nel suo atteggiamento scettico di fronte alle scoperte teoriche di uomini scientificamente a lui tanto superiori.
Forse egli dubitava per una certa qual sua incapacità mentale; ché le leggi astratte economiche non gli piacevano anche perché non riusciva ad intenderle pienamente. Simpatizzava perciò con Malthus, negato anch’egli alle verità astratte. Contro il grande avversario, contro Ricardo, il quale, impugnando la logica come fosse una lama dritta affilata, la puntava al cuore del ragionamento avversario, non si imbarazzava di se e di ma, non curava le circostanze accessorie secondarie, ma sceglieva tra le tante premesse possibili del ragionamento quella che a lui sembrava fondamentale essenziale e, formulato lo «strong case», il caso tipico nudo semplice spoglio di ogni aggeggio, inesorabilmente passava dalla premessa alla necessaria illazione, Sismondi si ribellava; no, nel mondo non vi sono premesse univoche, casi semplici, ipotesi nude astratte. Il mondo è complicato. Sovratutto sono complicati gli uomini; spesso imprevedibili le loro azioni. Sismondi amava contemplare la realtà compiuta, la quale non è mai una astrazione.
Egli che aveva cominciato la sua vita di studioso descrivendo l’agricoltura toscana, con le sue montagne, le sue colline e le sue piane, con i suoi poderi, le sue piante, i suoi strumenti (il libro è adorno di disegni degli aratri, delle vanghe e degli altri arnesi usati nelle terre toscane), che aveva scritto l’analisi forse più viva della carta moneta rivoluzionaria francese (in un saggio dimenticato, sebbene saccheggiato da Storch), quando si trovò dinanzi alla teoria degli sbocchi di Gian Battista Say, negò. Egli vide, dopo la fine delle guerre napoleoniche e la momentanea prosperità della pace, le merci invendute, gli operai disoccupati, le popolazioni immiserite ed incapaci a consumare, i fallimenti di industriali e banchieri; e concluse che la teoria, in virtù della quale la produzione crea il mercato, le merci si scambiano con le merci, e l’equilibrio rotto non può non ristabilirsi, era errata.
La teoria diceva che alla lunga i prezzi devono coprire i costi di produzione? Egli non si indugiò, come fecero gli economisti venuti di poi, ad analizzare il significato delle parole «alla lunga» o la validità della premessa della concorrenza dalla quale partivano tacitamente od esplicitamente coloro i quali concludevano all’equilibrio. Osservava i fatti reali, e vedeva – od almeno vide per alcuni anni prima e dopo il 1820; ché le cose poscia cambiarono ed egli non se ne occupò oltre – disoccupazione e crisi, fabbriche rigurgitanti di merci e mercati incapaci ad acquistare; e concluse che la società era male costrutta ed era necessario che qualcuno, che lo Stato, intervenisse a porre rimedio agli squilibrii sociali. Sismondi fu, nel primo terzo dell’Ottocento, il più grande degli storici-economisti sentimentali, il precursore dei critici dell’ordinamento sociale moderno. Confesso di preferirlo ai critici ragionatori, i quali a metà del secolo pretesero di scoprire le cause degli squilibrii sociali.
Le sue analisi, essendo sovratutto descrittive, avendo particolare riguardo all’aspetto umano dell’attività economica, attirando l’attenzione sull’uomo produttore invece che sulla ricchezza prodotta, sui bisogni umani che la merce è destinata a soddisfare invece che sulla merce materiale, sulla disuguale distribuzione dei beni tra gli uomini invece che sul loro valore complessivo, furono indubbiamente stimolatrici e feconde. Se egli non andò troppo oltre nella analisi dei contrasti sociali, se l’analisi non è raffinata e quasi si limita a constatazioni e condanne degli ordinamenti esistenti ed alla affermazione della necessità di agire per riformarli, essa, nella commossa descrizione, è preferibile ai ragionamenti che altri fece delle istituzioni vigenti partendo dalle premesse ricardiane. Carlo Marx non aggiunse gran che alle critiche descrittive e sentimentali sismondiane, perché la analisi di Ricardo, che Marx fece sua, se era atta a spiegare gli «strong cases» imperniati sulla concorrenza, era inetta a spiegare tutta la realtà economica. La critica moderna è critica costruttiva, perché fondata sulla analisi teorica di altri casi semplici: quella del monopolio puro compiuta da Cournot, delle posizioni marginali di Dupuit, di Gossen, di Jevons, degli austriaci, dell’equilibrio di Walras e di Pareto.
Sismondi, storico ed osservatore, non poteva antivedere il magnifico avanzamento della scienza economica dopo il 1850; lo stimolò tuttavia, esprimendo con vigore, con passione, insistentemente, il suo malcontento verso le teorie, le quali avendo giustamente immaginato che non si fa scienza se non semplificando i fatti reali, avevano a torto concluso che la scienza spiegasse non solo il loro mondo semplificato, ma anche il mondo reale, che è cosa varia complicata e mutabile. Sismondi vide il contrasto fra la astrazione e la realtà. Non seppe risolverlo, mancandogli la fantasia e la potenza mentale logica a ciò indispensabili. Ma, visto il contrasto teorico, lo tradusse in termini concreti di contraddizione fra ricchezza e miseria, fra capacità di produzione e capacità di consumo, e pose così il problema intorno al quale economisti e statisti si affaticarono e si affaticano nel secolo corso dopo la sua morte.