Opera Omnia Luigi Einaudi

Prefazione – L.V. Berliri, La giusta imposta

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1945

Prefazione – L.V. Berliri, La giusta imposta

Luigi Vittorio Berliri, La giusta imposta. Appunti per un sistema giuridico della pubblica contribuzione. Lineamenti di una riforma organica della finanza ordinaria, Edizioni dell’Istituto italiano di studi legislativi, 1945, pp. V-VII

 

 

 

Poiché scrissi anch’io, anni or sono, un libro alla ricerca dell’«ottima imposta», non pensai, quando l’autore di questo libro mi concesse il privilegio di leggerne le bozze, che egli avesse tentato nuovamente una di quelle imprese che gli amanti del cosidetto «pratico» usano considerare dottrinarie. È un bisogno dello spirito rendersi ragione delle istituzioni politiche giuridiche sociali economiche in mezzo alle quali viviamo; e se fa d’uopo riconoscere che non esiste di molte istituzioni un fondamento razionale e che di esse si può dir tutt’al più che sono rette da un mito antico, da una formula accettata, da un incantesimo che, una volta rotto, tutto crolla, riesce difficile persuadersi che in fondo all’imposta si debba cercare solo l’incanto delle cose che esistono.

 

 

Gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché pagano; e se quella ragione non è spiegata chiaramente, gridano all’ingiustizia. La credenza nella monarchia o nella repubblica , in una o due camere, in un presidente eletto dal popolo o da un’assemblea o, come in qualche tempo o paese accade, estratto a sorte, è un atto di fede. Ma la credenza nell’imposta sul reddito sul patrimonio o sulle eredità o sui consumi non è un atto di fede. Può essere un atto di forza o di prepotenza; ma il ceto politico che se ne rende colpevole, si sforza sempre di trovare una ragione al suo atto, anche se deriva soltanto dalla volontà di far pagare ai ceti dominati i mezzi del proprio sostentamento. Spesso, non più oggi che in passato, vuole deliberatamente essere un atto razionale.

 

 

La grande disputa che si legge nei libri di teoria tributaria è tutta qui: quale è il fondamento razionale dell’imposta? Poiché il principio della «capacità contributiva» è una petizione di principio («si deve pagare quel che si può pagare»: ma come si definisce il «poter» pagare?); poiché il principio della «controprestazione» o del «beneficio» è assurdo (il problema dell’imposta nasce appunto dall’ignoranza in cui gli uomini si trovano del vantaggio individuale di servizi «indivisibili», per i quali soltanto si chiede l’imposta ai cittadini), l’autore fa appello al «principio dell’interesse», ispiratore dell’antica legge Rhodia de jactu, per cui come Paolo ricordava: «cavetur ut si levandae navis gratia jactus mercium factus est omnium contributione sarciatur quod pro omnibus datum est, (L. 1, Dig. XIV, 2) posto che placuit omnes, quorum interfuisset jacturam fieri conferre oportere »(L. 2, 2 ibid).

 

 

Nitidamente il Berliri distingue tra il principio della «controprestazione» o «beneficio» e quello dell’«interesse»:

 

 

  • Il principio del beneficio suppone che si conosca quale vantaggio effettivo il contribuente ricavi dai servizi pubblici, ossia suppone che sia noto quel che appunto non si conosce. Se si conoscesse il vantaggio che Tizio e Caio ricevono dalla difesa nazionale se ne potrebbe agevolmente ripartire il costo su di essi. L’imposta nasce appunto perché quel dato è inconoscibile a causa della indivisibilità del servizio. Invece l’«interesse alla effettuazione del servizio della difesa nazionale» è qualcosa che Tizio e Caio sentono prima che il servizio nasca. Non è irrazionale porsi la domanda: che cosa pagherei io per ottenere il servizio della difesa del territorio nazionale? Quale è il valore del mio interesse alla consecuzione di quel servizio? La valutazione può essere ardua, può essere sovente fallace; non è assurda. Impossibile è stabilire se l’esercito ha reso di fatto a Tizio un vantaggio di 1.000 lire ed a Caio di 10.000, perché non esiste nessun mezzo di valutazione di quel vantaggio reso. Non è irrazionale domandare a Tizio ed a Caio: quanto pagheresti per essere difeso dal nemico?

 

  • Secondo la prima teoria (del beneficio) si dovrebbe valutare un fatto dopo che esso è avvenuto, laddove la seconda (dell’interesse) postula soltanto che l’individuo preveda e desideri o debba desiderare l’effettuazione futura di un servizio e ne immagini i vantaggi. La distinzione risponde alla realtà. Si paga prima di entrare il biglietto del teatro, perché si valuta equivalente al godimento del futuro spettacolo; non si aspetta a pagarlo dopo, quando i giudizi degli spettatori, nonché dei critici, sono discordanti. I prezzi, tutti i prezzi e quindi anche l’imposta, sono valutazione di beni non ancora goduti.

 

  • Il principio del «beneficio» fa appello ad un giudizio del singolo sul vantaggio da lui sentito per un servizio pubblico; ma il principio dell’«interesse» si fonda sulla valutazione che determinati organi, all’uopo preordinati (consigli, parlamenti, congressi) fanno del bisogno che certi gruppi di individui si presume abbiano di determinate qualità e quantità di servizi pubblici.

 

 

La distinzione fra i due principi del beneficio e dell’interesse è assai finemente elaborata nelle pagine che seguono. Essa è perseguita nella sue applicazioni ai diversi tipi di imposte, nell’esame attento dei rapporti fra categorie di pubblici servizi e categorie di imposte. Parecchi e vorrei dire quasi tutti i problemi intorno a cui i cultori della scienza finanziaria si sono affaticati, si rivedono illuminati sotto una nuova luce. Il territorio all’entrata del quale sta scritto hic sunt leones rimane ancora vasto ed inesplorato; ma la fatica del pioniere non è stata vana. è probabile che il seme non sarà stato gettato al vento; ma invece fruttificherà in feconde discussioni. Che cosa di più si può augurare allo scrittore? Provocare dispute è la suprema ambizione di chi scrive, non quella di veder trionfare la propria tesi.

 

 

Non voglio anticipare i giudizi dei critici. Dico per ora che le difficoltà di applicazione del principio dell’interesse non sono decisive. Se lo fossero, si dovrebbe dire che non è possibile trovare una soluzione ai problemi di ripartizione dei costi generali di un’impresa, dei costi congiunti di un bene o, come il Berliri osserva, ai problemi di ripartizione dei servizi di vigilanza forestale o campestre, organizzati da un consorzio di proprietari, o di fabbricanti di un prodotto industriale, del riparto delle spese e danni incontrati per il servizio di una nave in corso di navigazione.

 

 

Se, rimanendo fermo il principio, le soluzioni empiriche possono variare all’infinito, un dubbio mi travaglia. in una economia di mercato, la formazione del prezzo è automatica. Giusto o non giusto, quel prezzo è un prezzo di equilibrio. Il legislatore dirà poi: «quel prezzo, che pure è di equilibrio, a me non piace, perché i fattori determinanti del prezzo di mercato sono da me considerati iniqui e antisociali; ed io perciò modifico quei fattori (ad es. monopolistici) allo scopo si far sì che si determini un altro prezzo». Quest’altro prezzo sarà anch’esso un prezzo di mercato, un prezzo di equilibrio.

 

 

Quale connessione vi è nel campo delle imposte, fra l’imposta «giusta» ubbidiente al principio dell’interesse e l’imposta «ottima», l’equivalente più approssimato, nel campo tributario, del prezzo di mercato? Qualunque definizione si dia dell’imposta «ottima» essa pare debba soddisfare alcuni connotati, tra i quali principalissimo direi quella di essere adatta ad un sistema politico sociale economico duraturo, stabile, non soggetto a frequenti mutazioni violente, a sopraffazioni di classi, non votato a decadenza o ad irrigidimento senile. Soddisfa il principio dell’interesse alle esigenze dell’imposta ottima? Il sistema dell’imposta «giusta» coincide il sistema dell’imposta «ottima»? Se no, quali sono i legami fra l’uno e l’altro? Ecco una ansiosa domanda, che il libro del Berliri ha provocato in me. Non sarà la sola domanda che le pagine del Berliri susciteranno. Suscitar dubbi, far nascere problemi, provocare discussioni: ecco lo scopo ed ecco il pregio di ogni libro vivo.

Torna su