Opera Omnia Luigi Einaudi

Parere nella procedura di riscatto dell’acquedotto Garrè in Como

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1916

Parere nella procedura di riscatto dell’acquedotto Garrè in Como

Milano, Ditta tip. ed. libraria L. di G. Pirola, 1916

 

 

 

Il problema intorno al quale è richiesta la mia opinione è il seguente: supponendo che il reddito dell’acquedotto Garrè in Como, riferito all’anno 1909, sia uguale, come risulta chiaramente esposto nelle memorie degli avv. Rolandi-Ricci e Giussani, a L. 171.091,65, quale modo si deve tenere per trasformare tale reddito nella somma capitale di indennità, che il Comune di Como dovrebbe pagare all’impresa Garrè?

 

 

Gli elementi di giudizio, intorno a cui si deve lavorare col sussidio della ordinaria logica economica, sono due:

 

a)    l’art. 36 dell’atto di concessione, il quale dice: «Sarà facoltativo al Comune di acquistare l’intero acquedotto ed annessi dopo 50 (cinquanta) anni, decorribili da oggi (10 dicembre 1883), ad un prezzo desunto dalla rendita netta capitalizzata all’interesse del 7 per cento».

 

 

Se il riscatto avesse luogo al 10 dicembre 1933, senza alcun dubbio l’indennità dovrebbe essere uguale

 

 

a = 171.091,65 x 100 / 7 = L. 2.444.166,42

 

 

b)    ma il riscatto viene anticipato al 31 dicembre 1909, introducendo così una variazione in uno degli elementi essenziali del contratto, che è la sicurezza del godimento del reddito dell’acquedotto per un tempo minimo di 50 anni.

 

 

Per ragioni di interesse generale il legislatore ha ritenuto opportuno di accordare ai comuni la facoltà dell’anticipato riscatto, ed ha provveduto nel tempo stesso a regolare la soluzione dei problemi, sorgenti in conseguenza dell’esercizio della facoltà medesima, con l’art. 215 del regolamento 10 marzo 1904, il quale benchénoto, qui sotto si trascrive nuovamente:

 

 

«Quando da un contratto stipulato sei mesi prima della promulgazione della legge le condizioni del riscatto sieno determinate in relazione a termini stabiliti nello stesso contratto, e questi non possano essere osservati per il divieto stabilito dall’ultimo capoverso dell’art. 25 della legge, l’ammontare dell’indennità di riscatto dev’essere stabilito in base alle condizioni convenute, ma tenendo conto del rapporto esistente fra esse e i termini contrattuali e dell’influenza che sulle prime esercitano i diversi termini da osservarsi giusta la prima parte del citato art. 25».

 

 

Non si può certamente affermare che il riprodotto articolo sia un capolavoro di tecnica legislativa. Per quanto si può comprendere, la variazione all’indennità convenuta dovrebbe eseguirsi tenendo conto di due elementi:

 

 

  • rapporto antico esistente fra indennità convenuta e termine contrattuale. Nel caso nostro l’indennità convenuta è la capitalizzazione al 7% del reddito esistente ed il termine contrattuale è lo scadere del 50.mo anno della concessione. Il rapporto tra questa indennità convenuta e questo termine contrattuale non può altro voler dire che la capitalizzazione al 7% è indissolubilmente legata: 1) al trascorrere di un cinquantennio di concessione, e 2) al reddito esistente alla fine del cinquantennio stesso.

 

 

Le parti, facendo assegnamento su un dato sviluppo del reddito, e sulla possibilità che nel cinquantennio l’impresa avesse potuto compensare gli scarsi redditi e forse le perdite iniziali con i più larghi redditi seguenti, ritennero che l’indennità equa potesse stabilirsi alla fine del cinquantennio ed in base al reddito del 50.mo anno secondo la ragione di 100 lire di capitale per ogni 7 lire di reddito;

 

 

  • influenza che su questa ragione di capitalizzazione al 50.mo anno esercitano i diversi termini da osservarsi: 26 anni, in cifre tonde, invece di 50 anni, in occasione dell’anticipato riscatto.

 

 

Questa influenza è evidentemente duplice. In primo luogo è certo che il riscatto avvenuto alla fine del 26.mo anno toglie al concessionario il diritto di godere dei frutti dell’acquedotto per i residui 24 anni; in secondo luogo toglie ad esso la legittima aspettativa di godere dei frutti diversi, ed a suo parere crescenti, ottenibili per gli anni dal 27.mo al 50.mo anno in confronto a quello di L. 171.091,65, di cui egli godette nel 1909.

 

 

Duplice è dunque l’influenza che l’anticipato riscatto esercita sulle condizioni convenute relativamente all’indennità da pagarsi dal Comune di Como all’impresa Garrè. L’una si riferisce al semplice decorrere del tempo: che essendo di soli 26 anni invece di 50, si concreta nel godimento di una annualità di reddito di L. 171.091,65, supposta fissa nella misura del 1909, per un periodo di tempo di 24 anni minore di quello convenuto. L’altra si riferisce alla annualità di reddito appunto come base per la capitalizzazione: dovendosi partire dalla base anticipata di L. 171.091,65 relativa al 1909 invece che da quella diversa – maggiore, sostengono i Garrè, minore, afferma il Comune – che si avrebbe avuta nel 1933. Vedremo subito come questi due elementi di variazione debbano essere apprezzati; intanto si noti come essi siano nettamente differenti l’uno dall’altro.

 

 

Sul criterio della capitalizzazione al 7% convenuto per un eventuale riscatto al termine cinquantennale della concessione l’elemento puro della riduzione della concessione da 50 a 26 anni esercita una influenza certa ed aritmetica.

 

 

Sul medesimo criterio l’elemento della variazione della somma di diritto da assumersi a base della capitalizzazione in conseguenza del variato termine di riscatto esercita una influenza la quale potrebbe anch’essa aritmeticamente essere apprezzata, qualora fosse conosciuto, ciò che è controverso, l’andamento dal 27.mo al 50.mo anno del reddito netto dell’impresa.

 

 

Ciò equivale a dire che facile e non controvertibile è la valutazione da darsi al primo elemento della variazione del rapporto fra reddito e capitale; mentre la valutazione del secondo elemento dovrà farsi in base a presunzione ed indizi.

 

 

E prima occupiamoci dell’influenza che sul convenuto criterio per la capitalizzazione in caso di riscatto:

 

 

Reddito x 100 / 7

 

 

al termine contrattuale di riscatto (50 anni) esercita il nuovo termine di riscatto (26 anni), considerato in sé stesso e cioè astrazione fatta dall’influenza che l’anticipato termine esercita su uno degli elementi fondamentali del calcolo: il reddito da capitalizzarsi. Di questo secondo elemento si dirà in seguito, come fu osservato sopra, allo scopo di non confondere due aspetti del problema essenzialmente distinti.

 

 

Così posto il problema, la soluzione sembra piana ed agevole. Posto che al termine dei 50 anni, l’indennità sarebbe uguale a

 

 

Reddito x 100 / 7

 

 

posto che il reddito, per ora, si suppone fisso in L. 171.091,65 che fu il reddito del 1909;

 

 

postoche, per conseguenza, al termine dei 50 anni, l’indennità avrebbe indubbiamente dovuto essere, come sovra calcolato, di L. 2.444.166,42;

 

 

l’influenza dell’anticipato riscatto non può essere altro che questa: sostituire, nell’economia dei Garrè, ad un reddito di L. 171.091,65 quale essi, per ipotesi, avrebbero goduto dal 27.mo al 30.mo anno, se avessero conservato la proprietà dell’Acquedotto, il minor reddito che essi possono ricevere dal capitale loro fornito di L. 2.444.166,42.

 

 

Se i Garrè conservassero il godimento dell’Acquedotto sino al termine dei 50 anni essi otterrebbero il seguente reddito:

 

 

a)    per 24 anni, dal 27.mo al 50.mo anno della concessione, L. 171,091,65 all’anno;

 

b)    in seguito ed in perpetuo, il frutto civile del capitale di L. 2.444.166,42 che essi avrebbero contrattualmente ricevuto alla fine del 50.mo anno a norma della convenzione originaria.

 

 

Quale è questo frutto? In mancanza di convenzione espressa, non può essere se non il frutto civile, al quattro per cento. Frutto civile, poichésarebbe assurdo pretendere che i concessionari fossero obbligati a correre per l’indennità di riscatto le alee commerciali. Al quattro per cento, poiché questo era il tasso di interesse civile legale al momento della entrata in vigore della legge sulla municipalizzazione dei servizi pubblici. Fu questa legge che provocò la necessità di calcolare l’influenza che sulle condizioni del riscatto esercita l’anticipazione nel tempo del riscatto; è quindi logico che l’influenza stessa sia calcolata in base ai criterii che il legislatore in quel momento aveva fissato rispetto ad uno dei dati fondamentali del problema: tasso dell’interesse. Ed è perciò certo che i Garrè avrebbero ricevuto, a partire dal 50.mo anno, dal capitale – indennità di L. 2.444.166,42 – il frutto perpetuo di

 

 

L. 2.444.166,42 x 4 / 100

 

 

Verificandosi il riscatto al termine del 26.mo anno, i Garrè invece di queste due annualità di reddito, l’una immediata e temporanea di L. 171.091,65 e l’altra successiva e perpetua di L. 97.766,65 ricevono subito una sola indennità, uguale al frutto civile delle L. 2.444.166,42 ossia uguale a L. 97.766,65.

 

 

Il che si può esporre sotto forma di confronto:

 

 

Nel caso di riscatto avvenuto alla fine del 50.mo anno.

Nel caso di riscatto anticipato alla fine del 26.mo anno.

1)    Reddito dell’Acquedotto dal 27. mo al 50.mo anno:
L. 171.091,65 annue.
Reddito dal 27.mo anno in poi, al 4% dell’indennità di riscatto in L. 2.444.166,42 ricevuta alla fine del 26.mo anno:
L. 97.766,65 all’anno, in perpetuo.
2)    Reddito dal 51.mo anno in poi al 4% dell’indennità di riscatto in L. 2.444.166,42 ricevuta alla fine del 50.mo anno:
L. 97.766,65 all’anno, in perpetuo.
 

 

 

La influenza cercata che la pura anticipazione nel tempo del riscatto esercita sull’ammontare dovuto a titolo di indennità risulta all’evidenza dalla sovra costrutta tabellina di confronto: essa consiste nel fatto che i Garrè non possono per i 24 anni decorrendi dal 27.mo al 50.mo anno godere della differenza fra l’annualità maggiore di reddito in L. 171.091,65 che essi avrebbero riscosso, conservando la proprietà dell’Acquedotto, e la minore annualità di reddito in L. 97.766,65 la quale viene loro invece assegnata, in conseguenza dell’anticipato riscatto. A partire dal 51.mo anno in poi le condizioni di reddito nei due casi si parificano nuovamente. L’influenza dell’anticipato riscatto si limita al periodo dal 27.mo al 50.mo anno ed è uguale alla differenza fra

 

 

L. 171.091,65 reddito che si avrebbe in caso di continuato godimento dell’Acquedotto;
L. 97.166,65 reddito che si avrebbe in caso di anticipato riscatto;

 

 

e cioè è di L. 73.325 all’anno per i 24 anni intercorrenti dal 27mo al 50moanno.

 

 

Ecco dunque in che cosa si risolve, economicamente, quella che il legislatore ha voluto nel suo regolamento chiamare influenza del diverso termine da osservarsi sulle condizioni contrattuali di riscatto.

 

 

Il calcolo dimostra quale sia il valore attuale al 31 dicembre 1909 (fine del 21moanno di concessione) da attribuirsi a queste 24 annualità di minor reddito goduto dei Garrè in caso di anticipato riscatto. Al frutto civile del 4% – che si deve necessariamente presumere per le ragioni sovra esposte – una annualità di L. 73.325 per 24 anni ha il valore attuale di L. 1.117.986,27.

 

 

Le quali L. 1.117.986,27 si devono aggiungere alle L. 2.444.166,42 di indennità dovuta allo scadere del 50.moanno, per neutralizzare la pura influenza dell’anticipazione nel tempo del riscatto.

 

 

L’impresa Garrè, ricevendo allo scadere del 26.mo anno la somma di L. 2.444.166,42 + L. 1.117.986,27 ossia in totale L. 3.562.152,69, verrebbe ad essere situata nella medesima situazione economica nella quale si troverebbe qualora ricevesse L. 2.444.166,42 alla fine del 50moanno.

 

 

Conchiudiamo dunque che l’indennità spettante alla fine del 26.moanno all’impresa riscattata è di L. 3.562.152,69 qualora si tenga conto esclusivamente dell’influenza che sull’indennità a pagarsi esercita l’anticipazione nel tempo del riscatto.

 

 

Si può notare, di passata, che il capitale di riscatto, così trovato sul fondamento di un ragionamento inspirato alla pura logica economica, è quello medesimo che si sarebbe ottenuto se si fosse capitalizzato il reddito di L. 171.091,65 sulla base di un tasso di interesse del 4.80%. A chi scrive sembra che il tasso di interesse da applicarsi nel caso presente non

debba, come fecero i primi arbitri, il Comune ed anche i patroni dell’impresa Garrè, cercarsi in una semplice interpolazione fra due tassi, di cui è noto soltanto uno, quello del 7% alla fine del cinquantennio. L’interpolazione, eseguita in tal modo, non può riuscire mancando uno dei due necessari, almeno, punti di riferimento: un tasso iniziale od intermedio qualunque.

 

 

Epperciò accadde che i tassi proposti dalle parti ed adottati dai primi arbitri presentarono degli scostamenti enormi tra di loro, con risultati tutti ugualmente arbitrarii. Il tasso di interesse da adottarsi deve essere non una premessa del calcolo, sibbene, come sopra si fece, la conseguenza di un ragionamento economico, di cui devono esser chiari il fondamento e lo sviluppo.

 

 

Una riprova che il tasso di interesse del 4.80% non è arbitrario, ma è il risultato di un ragionamento corretto si può trovare nel fatto che esso corrisponde assai bene, con quella approssimazione la quale è consentita, in simili casi, alla valutazione che dei redditi analoghi a quello dell’acquedotto di Como fa il mercato. Chi scrive ha cercato nell’apprezzato annuario pubblicato dal Credito Italiano della Società per azioni (ultima ediz. 1914) le quotazioni della Società di acqua potabile o per condotte d’acqua e le ha paragonate ai dividendi ripartiti agli azionisti. Le sole Società per cui l’annuario riferisce le quotazioni sono le seguenti:

 

 

  • Società Anonima dell’Acqua Pia (antica Marcia) (Roma).

 

  • Acquedotto De Felice-Galliera (Genova).

 

  • Società Anonima per la condotta di Acque Potabili in Torino (Torino).

 

  • Società Italiana per la condotta d’acqua (Roma).

 

 

Soltanto le tre prime imprese possono essere paragonate all’Acquedotto di Como, essendo che la quarta ha carattere assai più vario e aleatorio. Sicché i dati di essa saranno considerati separatamente.

 

 

La tabellina seguente riassume i risultati dei calcoli istituiti per precisare il tasso di interesse a cui erano sul mercato capitalizzate le azioni delle dette quattro società sia nell’anno 1909, sia nella media del triennio 1908-910. Si sono presentate ambe le serie di dati, poiché poteva darsi che la scelta del solo anno 1909 potesse essere reputata insufficiente a fornire un’idea del tasso di capitalizzazione che normalmente il mercato libero applicava ai titoli di questa specie nel periodo a cui il problema discusso in questa memoria si riferisce:

 

 

 

Anno 1909

 

Media triennio 1908-910

Acqua Pia (Roma) 4.81 4.70
Acquedotto De Felice-Galliera (Genova) 4.46 4.41
Acque Potabili Torino 4.99 4.81

Media

4.76

 

4.65
Condotta d’Acqua (Roma) 5.03 4.85
  4.84 4.69

 

 

Oltrecché per la loro approssimazione al tasso di capitalizzazione sovra trovato in modo indipendente e logico, i tassi descritti nella tabella sono caratteristici per una circostanza assai interessante; ed è che essi non risentono quasi affatto le influenze dell’aumento futuro dei redditi delle azioni, ma sono poggiati quasi esclusivamente sul reddito presente.

 

 

In verità noi economisti spesso ci compiacciamo a raffigurarci le borse come un luogo dove convengono uomini specialmente accorti ed intelligenti, i quali speculano sul futuro e cercano di adattare i prezzi dei titoli all’andamento probabile futuro dei redditi. Ed in realtà in parte è così: per i titoli speculativi, ancora da collocare stabilmente nel portafoglio dei capitalisti risparmiatori. Attraverso a molti alti e bassi, i titoli finiscono per trovare il loro livello rispondente insieme alle esperienze del passato ed alle ragionevoli aspettative per l’avvenire.

 

 

Quando però i titoli hanno trovato il loro collocamento stabile nei portafogli dei capitalisti, quando non esiste più un fluttuante di borsa, la capitalizzazione si fa quasi più soltanto sulla base del reddito presente. La maggior parte degli uomini sono fatti così: aspettano ad accorgersi dei fatti, quando sono accaduti. Non comprano quando si ha probabilità di un aumento di reddito, né vendono quando si teme una diminuzione. Corrono tutti invece a comprare quando si annuncia già avvenuto l’aumento di dividendo – e sarebbe l’ora di vendere per profittare del cresciuto prezzo che potrebbe essere effimero -; e si spaventano e vendono quando il dividendo è ridotto, mentre potrebbe essere quello il momento di comperare a prezzi favorevoli. Gli uomini fanno gregge e vanno colà dove tutti vanno. Di queste verità si potrebbero dare mille esempi; ma basti riferirci ai quattro titoli del gruppo Acquedotti e condotta d’acqua sovra elencati.

 

 

Le condotte d’acqua avevano nel 1905 e 1906 distribuito 20 lire, nel 1907 solo 18, nel 1909-911 diedero 16 lire; e nel 1912-913 ridussero il dividendo a 14 lire. Se le quotazioni dei titoli si fossero basate sull’avvenire, nel 1908, 1909 e 1910, le azioni non avrebbero potuto, data la natura industriale ed aleatoria dell’impresa, conservare un corso superiore a 300 lire, con un tasso di capitalizzazione medio del 4,85%.

 

 

Invece i corsi ribassano dopo il ribasso dei dividendi, a cose fatte.

 

 

Anche le acque potabili di Torino, ribassarono il dividendo da 32 lire nel 1906 e 1907 a 30 lire, al qual livello si mantenne poi costante nel 1908. Ebbene anche qui i corsi che avevano toccato il massimo di 705 nel 1905 aspettano a scendere alla media di 620 circa quando i dividendi sono oramai caduti a 30 lire; ed il tasso di capitalizzazione si mantiene in media al 4,81% poco diverso da quello delle condotte d’acqua, che pure doveva essere, in riguardo alle alee future, di tanto più alta.

 

 

Il minimo tasso di capitalizzazione – 4,41 in media – è dato dall’Acquedotto Galliera, il quale dal 1905 mantiene fermo il dividendo di L. 12,50. Sembra che i capitalisti non vogliano grattacapi. È preferito il titolo, che non ha alee di avvenire né in bene né in male; in cui non v’è neppur bisogno, neppure astratto e lontano, di guardare ad altro che al tempo ed al reddito presente.

 

 

Viceversa l’Acqua Pia (Roma), la quale ha dato redditi costantemente crescenti: 75 lire nel 1905, 76 nel 1906, 77 nel 1907, 79 nel 1908, 81 nel 1909, 84 nel 1910, 88 nel 1911, 90 nel 1912 e 92 nel 1913, era capitalizzata nel 1908-910 ad un tasso del 4,70%, superiore a quello dell’Acquedotto Galliera. Il che vuol dire che era meno apprezzata dal mercato, il quale quasi non credeva all’esperienza passata promettitrice di un migliore avvenire.

 

 

Naturalmente sui tassi di capitalizzazione influisce la diversa qualità degli azionisti, la natura del mercato (Torino, Genova, Roma) ed altre svariatissime circostanze. Ma questa osservazione generale si può fondatamente ritenere come vera: che il mercato poco, troppo poco si preoccupa dell’avvenire per quanto riguarda i titoli già classati e collocati. Se ne preoccupa poco perché i titoli già collocati sono posseduti da persone medie, le quali sono ben lungi dal possedere le qualità di intuizione e di antiveggenza che sono proprie di quella piccola minoranza di uomini che specula sull’avvenire.

 

 

Se così è come indubbiamente sembra sia dimostrato dall’esperienza, il saggio empirico fissato dal mercato per i tre od i quattro (comprese le Condotte d’Acqua) titoli di acquedotti quotati nelle borse italiane, può essere ritenuto eguale il tasso a cui in media i capitalisti capitalizzano i redditi presenti forniti dalle imprese di acquedotto. È questa una riprova spontanea, liberamente fornita dal mercato dei valori mobiliari italiani che nel 1908-910 il tasso di circa il 4,80% era reputato quello più adatto per trasformare i redditi presenti degli acquedotti in una somma capitale. Badisi bene che non si vollero addurre questi esempi come una prova. Sarebbero insufficienti e disadatti all’uopo, non potendosi adattare ad un caso singolo, che obbedisce a leggi sue particolari, norme dedotte da casi non perfettamente simili. Valgono anzi gli esempi addotti come una riprova di una conclusione alla quale si era già arrivati indipendentemente col ragionamento economico. Col ragionamento si era dimostrato che, facendo astrazione delle variazioni future in piùod in meno del reddito presente, questo, in L. 171.091,65, doveva capitalizzarsi in L. 3.562.152,69 e cioè, per conseguenza, al tasso del 4.80%. Gli esempi citati, unici esistenti, rincalzano la prova già raggiunta, dimostrando che il mercato, volendo valutare i redditi presenti di parecchie imprese d’acqua e condotte di acqua, senza preoccupazione di variazioni future, giunge precisamente alla stessa conclusione di un tasso di interesse vicino, con la migliore approssimazione possibile, al 4.80%.

 

 

E la cosa si capisce: un’impresa di acquedotto, forse la più tranquilla, costante forma di intrapresa economica, deve rassomigliare di più ad un reddito certo e fisso che ad un reddito industriale variabile ed aleatorio. Anzi il reddito dell’acquedotto deve tendere più verso il primo che verso il secondo tipo di reddito. Se il mercato fosse composto, come non è, di uomini antiveggenti, con tutta probabilità il tasso di capitalizzazione avrebbe avuto una tendenza verso un livello più basso, verso quel 4% o 3,50% che nel 1908-910 era il frutto dei titoli di Stato. Poiché se i titoli di acqua potabile non hanno la fissità di reddito dei titoli di Stato, hanno invece al proprio attivo le alee favorevoli dell’avvenire. Come e più delle tramvie e della luce, le imprese di acquedotto danno in ogni dove redditi crescenti lungo una linea ascensionale costante; ed è questa una delle ragioni che a molti ed anche a me (vedi il mio Corso di Scienza della finanza 3.a ediz., pagina 58 e seg.) hanno fatto giudicare consigliabile la municipalizzazione delle imprese d’acquedotto.

 

 

E così giungiamo al secondo elemento di variazione che alla somma terminale (al 50.mo anno) di indennità in L. 2.444.166,42 bisogna apportare per tenere calcolo altresì della variazione in più od in meno del reddito, il quale deve essere capitalizzato.

 

 

A reddito costante, in L. 171.091,65 già sappiamo che alle L. 2.444.166,42 terminali bisogna aggiungere L. 1.117.986,27 per tener conto esclusivamente dell’influenza esercitata dall’anticipazione nel tempo del riscatto. Occorre adesso variare il reddito per tener conto dell’influenza ulteriore che sull’ammontare del reddito stesso esercita l’anticipato riscatto? E di quanto occorre variarlo? Ed in che senso?

 

 

È evidente che, a seconda della risposta data al quesito, la quantità da aggiungere in secondo luogo sarà una quantità positiva o una negativa. Positiva quando si accetti la tesi dell’impresa Garrè, che il reddito dell’acquedotto abbia un andamento crescente nell’avvenire; perché allora bisognerà aggiungere alle L. 3.562.152,69 a cui si è giunti fin qui, il valore di tutti gli incrementi di reddito probabili dal 27.mo al 50.mo anno, scontati al 4% e riportati al loro valore attuale alla fine del 26.mo anno. Negativa quando si accetti la tesi del Comune, secondo cui il reddito dell’Acquedotto andrebbe decrescendo dal 27.mo al 50.mo anno; poiché in tal caso bisognerebbe aggiungere col segno meno, ossia sottrarre dalle predette L. 3.562.152,69 il valore di tutti i decrementi di reddito probabili dal 27.mo al 50.mo anno, scontati al 4% e riportati, come sopra, al loro valore attuale alla fine del 26.mo anno.

 

 

Trattandosi di previsioni intorno a fatti futuri, nessuno può con sicurezza assoluta affermare che l’andamento della curva dei redditi abbia ad essere ascendente o discendente. Siamo in un campo di valutazioni più o meno probabili; che è ufficio appunto di arbitri equi compositori apprezzare e contrapporre le une alle altre. Le osservazioni che seguono hanno appunto per iscopo di presentare alcuni elementi per questa valutazione di probabilità.

 

 

Intanto può affermarsi, senza timore di commettere un errore apprezzabile, che le previsioni del Comune intorno ad una diminuzione del reddito netto dell’Acquedotto Garrè hanno un grado di probabilità siffattamente piccolo, che meglio sarebbe chiamarle addirittura «profezie». Su che cosa si fonda il Comune nell’emettere una profezia la quale interromperebbe bruscamente un andamento della curva dei redditi che fu finora ascendente, per sostituirlo con un andamento discendente?

 

 

Oltreché su asseverazioni tecniche controbattute dall’impresa intorno alla possibile diminuzione di portata delle sorgenti, la siccità, terremoti e simili cagioni telluriche od atmosferiche, che io non avrei modo e competenza per apprezzare, la profezia poggia sul fatto principe della cessazione, già avvenuta dopo il primo ventennio di concessione, del monopolio della fornitura dell’acqua potabile inizialmente goduto dall’Acquedotto Garrè. Altri impianti, ad iniziativa di piccoli concessionari o del Comune stesso, potranno sorgere. Anzi sorgerebbero sicuramente, appena la procedura del riscatto dell’attuale Acquedotto Garrè fosse definitivamente sospesa dal Comune. Questi nuovi impianti non potrebbero farsi strada se non ribassando le tariffe; sicché l’Acquedotto Garrè dovrebbe ribassare pure esso le tariffe per non perdere la clientela, con inevitabile diminuzione dei suoi redditi netti e quindi della base su cui nel 50.mo anno il Comune potrebbe esercitare il diritto di riscatto al tasso di capitalizzazione del 7 per cento.

 

 

Il ragionamento del Comune pecca, come già fu osservato nella memoria degli avvocati Rolandi – Ricci e Giussani, perché ingiustamente deprime o menoma il prezzo dovuto per la considerazione di eventuali accidenti futuri che la parte riscattante potrebbe, in ipotesi, provocare ove non effettuasse il riscatto.

 

 

Ma v’ha di più. Il ragionamento del Comune trascura un dato essenziale, ove si tenga conto del quale è facile vedere che il Comune sia come Ente industriale, sia come rappresentante della collettività, non ha interesse ad attuare la minaccia di costruire un nuovo impianto di concorrenza, salvo il caso estremo della fissazione della indennità di riscatto dell’Acquedotto Garrè in una cifra esorbitante che non fu chiesta.

 

 

Facciasi un esempio schematico. Suppongasi che l’indennità di riscatto dell’attuale Acquedotto Garrè, tenendo conto, oltre alle L. 3.562.152,69 dimostrata sopra, del secondo elemento integratore del valore attuale degli incrementi futuri di reddito venga fissato in 4.000.000 di lire. Suppongasi che, grazie al nuovo impianto comunale, l’indennità spettante al deprezzato Acquedotto Garrè, od, in caso di non riscatto, il valore capitale corrispondente al diminuito reddito Garrè sia ridotto a 2.000.000 di lire.

 

 

Il Comune avrà convenienza ad effettuare il nuovo impianto solo quando per ipotesi, l’indennità attuale di riscatto fosse fissata ad una cifra superiore a L. 4.000.000; per esempio a 4.200.000 lire. Poiché:

 

 

1)    in caso di riscatto, il Comune spenderebbe l’indennità di 4.000.000 lire, ma avrebbe l’intiero reddito dell’Acquedotto;

 

2)    in caso di non riscatto, il Comune spenderebbe 2.000.000 di lire, ma non potrebbe sperare al massimo nulla più di metà dei redditi attualmente goduti dall’Acquedotto Garrè;

 

3)    in caso di riscatto eseguito al 50.mo anno a prezzo ridotto, il Comune avrebbe speso subito 2.000.000 lire per il nuovo impianto ed altri 2.000.000 lire alla fine del 50.mo anno, ossia in tutto sempre 4.000.000 lire.

 

 

Economicamente, il Comune, come Ente industriale, ha interesse ad attuare la minaccia di concorrenza solo quando le pretese Garrè divenissero esorbitanti.

 

 

La collettività ha l’uguale interesse. Anzi maggiore. Per la collettività dei cittadini l’impiego di un capitale di 2.000.000 lire per costruire un nuovo Acquedotto è una spesa falsa, è una distruzione vera e propria di capitali, ogni volta che l’acqua già convogliata dall’esistente impresa sia sufficiente a provvedere ai bisogni dei cittadini. Fino a che non si sia giunti a questo punto – ed a Como pare si sia da esso lontanissimi, – i milioni spesi in nuovi Acquedotti sarebbero denari buttati al vento. La collettività può avere interesse ad ottenere l’acqua a più buon mercato. Questo, in date circostanze di costo può essere un legittimo desiderio ed un vantaggio comune. Ma posti di fronte alla scelta:

 

 

a)    pagare 4 milioni per il riscatto dell’Acquedotto esistente;

 

b)    costruire, con la spesa di 2 milioni, un Acquedotto nuovo, riservandosi di riscattare in seguito l’Acquedotto antico al prezzo deprezzato di 2 milioni;

 

 

La scelta non è dubbia. Val meglio pagare i 4 milioni. La collettività degli utenti ha ugualmente la quantità occorrente di acqua, al prezzo minore che si desidera. Si rimanda la costruzione del nuovo impianto al momento futuro, certo non vicino, in cui l’acqua dell’Acquedotto attuale, per le cresciute esigenze della popolazione, più non sarà bastevole. Ed anche in quel momento le spese di impianto e di esercizio saranno tenute in più moderati limiti, potendosi costruire ed esercitare i nuovi impianti congiuntamente al vecchio. E la collettività, come produttrice e consumatrice insieme, trae vantaggio dal fatto che i 2 milioni non furono trasformati in opere di presa, canali, condutture, ecc., ma dati ai concessionari dell’attuale Acquedotto, come parte del prezzo di riscatto. Sono capitali che, invece di essere sprecati in impianti inutili, troveranno impieghi produttivi, con vantaggio della ricchezza nazionale e dei consumatori.

 

 

Insomma il massimo vantaggio del comune, della collettività e dell’impresa si raggiunge coll’osservare la regola del giusto prezzo e non col cercare di ribassare, mercé una sterile concorrenza, il prezzo del riscatto.

 

 

Il che, se si guarda bene, significa ancora un’altra verità di grande importanza per noi: ed è che a gran torto il Comune attribuisce soltanto al monopolio legalmente dell’impresa Garrè goduto per il primo ventennio e di fatto ancora goduto, a parere del Comune, grazie ad una liberalità spontanea del Comune stesso, lo andamento ascendente della curva dei suoi redditi.

 

 

Questa è una concezione prettamente socialistica, ossia infantile, dei fenomeni economici.

 

 

I socialisti, che appartengono alla numerosa categoria degli analfabeti dell’economia politica, si divertono ad immaginare che i guadagni di coloro i quali riescono siano dovuti al furto, allo sfruttamento, al monopolio. La realtà è alquanto diversa. Senza escludere, il che sarebbe per un altro verso semplicista, l’influenza dell’elemento «monopolio», fa duopo riconoscere che i redditi delle imprese economiche sono influenzati da molti altri elementi, spesso, ed io direi nella grandissima maggioranza dei casi, più importanti dell’eventuale carattere monopolistico.

 

 

Nel caso di un acquedotto, impresa semplice, consuetudinaria, non atta a profonde trasformazioni tecniche, io direi che i coefficienti massimi di successo sono i seguenti:

 

 

1)    la priorità nel tempo dell’impianto. Questa ha permesso all’impresa di far sue le acque più abbondanti e pure; di estendere a grado a grado la sua clientela e di legarsela a sé con vincoli di fatto ben superiori agli oramai cessati vincoli monopolistici. Forseché il sorgere di un’impresa concorrente distoglierebbe i vecchi clienti dalla prima impresa?

 

 

Poiché è indubbio che la prima impresa imiterebbe le riduzioni di prezzo della nuova, l’unico effetto della concorrenza sarebbe di ridurre i redditi della vecchia senza però dare alcun reddito alla nuova impresa. La quale finirebbe di stancarsi e di venire a patti, con reciproco vantaggio, fissando i prezzi in modo remuneratore per amendue, in guisa che ambe debbano cercare il proprio vantaggio nell’acquisto di nuova clientela.

 

 

L’esperienza degli accordi intervenuti in tante città italiane, per non dire delle estere, fra aziende municipalizzate e imprese private, prova quanto ciò sia vero.

 

 

Nemmeno dunque la minaccia della concorrenza giova a far ribassare permanentemente i redditi delle imprese private antiche, bene amministrate e produttrici di servizi realmente utili alla collettività;

 

 

2)    la abilità nel fare rendere all’impresa il frutto maggiore possibile, specialmente col moltiplicare quei servizi accessori e connessi i quali valgono a fare apprezzare meglio il servizio principale.

 

 

Senza entrare nei particolari tecnici degli impianti accessori dell’acquedotto Garrè, che i primi periti elegantemente e giustamente definirono quasi ramature dell’albero; si può ben dire che desta meraviglia lo sforzo sottile e pertinace con cui il Comune intende a svalutare tutti questi servizi accessori che l’impresa Garrè ha cercato di istituire attorno al servizio principale. Un acquedotto, secondo la concezione delle memorie di parte comunale, sarebbe un qualche cosa che si limita a convogliare l’acqua in città fino suppergiù alle porte delle case. E qui dovrebbe terminare l’opera dell’impresa d’acquedotto. Chieda e compri l’acqua chi vuole. Faccia chi creda i suoi impianti interni rivolgendosi agli specialisti di suo gradimento.

 

 

Anche questa è una concezione semplicista delle imprese economiche. Concezione burocratica dell’impiegato che attende il cittadino, il suddito allo sportello; né si muove per andare a lui, anzi lo accoglie con degnazione.

 

 

Un’impresa economica congegnata in questa maniera non potrebbe vivere. Sarebbe mandata in rovina dai concorrenti più abili; e sarebbe allora utile sorgessero i concorrenti.

 

 

Per qual ragione mai si vorrebbe, solo per fissare il riscatto in una somma indebitamente troppo piccola, ipotizzare una impresa governata secondo criteri burocratici ed antieconomici? La impresa deve essere considerata quale essa è in realtà, dotata di tutti quei mezzi principali ed accessori che valgono a rendere la merce da essa fornita accetta ai consumatori, facile ad ottenersi, comodamente recata là dove si verifica il consumo reale ed immediato.

 

 

È giusto, è corretto che il Comune non paghi all’impresa un capitale corrispondente ad un monopolio creato dal Comune stesso e legalmente già terminato. Ma a ciò si è provveduto fissando il momento del riscatto al 50.mo anno quando, per un trentennio oramai scorso, più non si manifestano gli effetti del monopolio.

 

 

Ma non è corretto che all’impresa non si voglia pagare il valore di quei frutti che non al monopolio sono dovuti, ma alla sua priorità nel tempo, alla clientela liberamente conservata, alla abilità nel fornire l’acqua in modo gradito ai consumatori. Non è facile tirare la linea divisoria fra valore dovuto ad un monopolio legale cessato e valore dovuto agli altri elementi più importanti sovra accennati; ma certo è che la tesi comunale porterebbe dirittamente alla confisca di una ricchezza creata dalla privata impresa e ad essa spettante.

 

 

Se dunque:

 

 

la diminuzione futura del reddito può concepirsi solo in seguito ad un atto di concorrenza il quale, salvo il caso di pretese enormi dell’impresa riscattanda, sarebbe economicamente dannoso allo stesso Comune e più ancora alla collettività;

 

 

se, anche nell’ipotesi del verificarsi di tale atto di concorrenza, l’esperienza dimostra la convenienza del Comune a venire ad accordi coll’impresa concorrente, in guisa da incoraggiare amendue la formazione di una nuova clientela;

 

 

se quindi, in tale ipotesi, dopo una flessione momentanea, le probabilità maggiori sono per una ripresa nell’andamento ascendente della curva dei redditi;

 

 

se non al monopolio legale, ma ad altre cause è prevalentemente dovuto l’incremento nei redditi dell’impresa;

 

 

se non vi è alcuna ragione per suggerire che le medesime cause, le quali hanno agito in passato, non abbiano a seguitare ad agire in avvenire;

 

 

ben può conchiudersi, senza tema di errore, che la «profezia» del Comune intorno ad un andamento futuro discendente dei redditi dell’acquedotto non poggia su alcuna dimostrazione plausibile.

 

 

Che invece l’andamento della curva dei redditi in avvenire abbia a continuare ad essere ascendente, si deduce dalle cose esposte e dalla esperienza passata. Già la memoria degli avvocati Rolandi – Ricci e Giussani ha dimostrato come gli introiti dell’acquedotto Garrè per canoni d’acqua e noli abbiano avuto, dal 1898 al 1914, un incremento annuale di lire 6000 ed uno di L. 8000 negli anni dal 1909 al 1915; e come la popolazione stabile del Comune di Como sia cresciuta da 37.451 nel 1900 a 46.875 nel 1914, con 11.718 famiglie, di cui appena 1670 abbonate all’acqua potabile.

 

 

Queste cifre dimostrano come il Comune non abbia d’uopo di ricorrere allo spediente di una indennità inferiore a quella giusta e corretta per sperare un incremento di redditi economici e di vantaggi indiretti dalla municipalizzazione dell’acqua potabile.

 

 

La municipalizzazione non ha per iscopo di fornire al Comune un cospicuo reddito sul capitale speso per il riscatto. Vi è qualche ragione per cui il Comune debba poter, in qualità di capitalista, fare i suoi impieghi di capitali all’8 od al 10% invece che al 4 od al 5%, come la comune dei mortali? No. Fatta la premessa che il Comune abbia pagato per il riscatto il prezzo equo portato dagli atti di concessione o dalla legge, il Comune il quale è sicuro, in tal modo, mantenendo intatto le tariffe, ottenere dal suo capitale, ad ipotesi, dal 4 al 5% di frutto, potrà:

 

 

a)    rinunciare subito ad una parte di quel frutto, per attuare una notevole riduzione di tariffe, sperando di ricuperare col tempo, grazie all’aumentato consumo, i redditi perduti nel frattempo, con i loro interessi composti;

 

b)    ovvero conservare le tariffe attuali o magari aumentarle, per sfruttare al massimo il suo monopolio legale e di fatto, vero monopolio, in tal caso, dovuto alla volontà del Comune che lo potrebbe far cessare.

 

 

Senza alcun dubbio, la prima via meglio si confà all’interesse della collettività ed a quello permanente del Comune. Alla lunga, anche i redditi netti finiranno di essere maggiori con questo sistema, data la grandissima proporzione esistente in Como di famiglie che non godono ancora, pur avendone i mezzi, del beneficio dell’acqua potabile.

 

 

Sarebbe anzi questo il metodo seguito pure dalle imprese private, se avessero dinanzi a sé il tempo necessario per esercitare una tale politica di prezzi. Ribassare i prezzi non conviene a chi attende di essere riscattato da un momento all’altro e non ha alcun interesse a spargere i semi di una messe che sarà raccolta da altri. Ma chi avesse tempo dinnanzi a sé e tempo sicuro, non insidiato da facoltà di riscatto, avrebbe convenienza a ribassare oggi i prezzi per godere poi dei redditi cresciuti. E sono grandemente lodevoli quei capitolati di concessione che condizionano il tempo lungo della concessione a benefici per i consumatori.

 

 

Se dunque:

 

 

un incremento di prodotto è probabile in avvenire;

 

 

se questo incremento sarebbe maggiore per il Comune, il quale può sobbarcarsi a perdite presenti, pur di preparare il terreno ad incrementi futuri;

 

 

vedesi che nella determinazione dell’indennità non può prescindersi dal tener calcolo di una seconda aggiunta uguale al valore attuale degli incrementi futuri di reddito netto, oltre quello di L. 171.091,65 che l’impresa Garrè otterrebbe se rimanesse proprietaria dell’acquedotto sino alla fine del 50.mo anno.

 

 

La linea teorica di distinzione fra l’incremento correttamente spettante all’impresa Garrè e quello spettante al Comune, pare a me dovrebbe essere cercata, se soccorressero all’uopo dati abbastanza sicuri, lungo questa via: attribuire ai Garrè quell’incremento che si verificherebbe in relazione alla priorità della loro impresa, alla loro capacità a procacciarsi clientela con la prestazione di servizi accessori, e tenendo conto della naturale tendenza loro a non ribassare le tariffe a cagione della incertezza in cui essi sempre si trovano di essere riscattati, incertezza che impedisce i piani a lunga scadenza;

 

 

attribuire al Comune quell’ulteriore incremento di reddito che potrebbe verificarsi a cagione della sua capacità ad attuare quei piani di riduzioni notevoli di tariffe che ad una impresa privata sono preclusi dalla precarietà della sua concessione.

 

 

Ma se il concetto è possibile ad esprimersi, difficile è concretarlo in cifre precise. Trattasi più che di valutazione, di intuizione di fenomeni avvenire, la quale è appunto un privilegio degli arbitri giudicanti ex bono et aequo.

 

 

Questo si può dire: che l’incremento spettante ai Garrè, essendo una continuazione di incrementi precedenti, e l’effetto di cause già ora operanti, non può non avere un andamento analogo a quello degli incrementi passati. Mentre gli incrementi spettanti al Comune, dopo il riscatto, probabilmente sarebbero dapprincipio negativi; per diventare, dopo parecchi anni, importanti, rapidamente progressivi e maggiori di quelli indennizzati all’impresa riscattata.

 

 

Anche qui il vantaggio del Comune non è in contraddizione con l’osservanza della giustizia verso i riscattati. Pagare ai Garrè il valore attuale di un incremento annuo di X per gli anni dal 27.mo al 50.mo non toglie che il Comune possa ricuperare tutto il pagato ed al di là, ottenendo per qualche anno un incremento di – X ossia subendo un decremento; ma riguadagnando poi il terreno perduto con incrementi uguali a 2 X, 3 X, ecc., ecc.

 

 

Senza volere affermare intorno all’ammontare dell’incremento annuo nulla di assolutamente certo, si può fare però l’ipotesi che l’incremento stia notevolmente al disotto dell’incremento medio verificatosi in passato. È una ipotesi la quale si fa allo scopo di fare inclinare la bilancia, in una materia incerta, piuttosto a favore dell’interesse pubblico che dell’interesse privato. Poiché l’incremento medio annuo negli ultimi 6 anni dal 1909 al 1914 fu di L. 8000, e fu di L. 6000 nell’intero periodo 1900-1914; si può ritenere di fare una ipotesi favorevole certamente più all’interesse del pubblico che al privato, supponendo un incremento annuo di L. 3000.

 

 

Partendo da questa premessa, si può costruire la seguente tabella, nella quale per gli anni dal 27.mo al 50.mo si elencano gli incrementi di reddito netto al disopra del punto fisso di L. 171.091,65 relativo al 1909.

 

 

Nella prima colonna sono indicati gli anni dal 27.mo al 50.mo;

 

 

nella seconda, il numero degli anni dopo di cui a partire dal 31 dicembre 1909 si verificherà l’incremento di reddito, supposto sempre posticipato; nella terza, l’ammontare dell’incremento di anno in anno. L’incremento è naturalmente cumulativo, aggiungendosi ogni anno 3000 lire all’incremento verificatosi nell’anno precedente;

 

 

nella quarta, il valore attuale, al 31 dicembre 1909, allo sconto del 4 per cento di 1 lira esigibile in ognuno degli anni dal 27.mo al 50.mo; nella quinta, il valore attuale alla stessa data dei successivi incrementi indicati nella colonna terza;

 

 

Anno

Anni di posticipazione

Incrementi di reddito negli anni controindicati

VALORE ATTUALE

di 1 lira

di reddito degli incrementi

esigibili in ognuno degli anni controindicati

1

2

3

4

5

27

1

3000

0.961

2.883

28

2

6000

0.924

5.554

29

3

9000

0.889

8.001

30

4

12.000

0.855

10.260

31

5

15.000

0.821

12.315

32

6

18.000

0.790

14.220

33

7

21.000

0.760

15.960

34

8

24.000

0.731

17.544

35

9

27.000

0.702

18.954

36

10

30.000

0.675

20.250

37

11

33.000

0.650

21.450

38

12

36.000

0.624

22.464

39

13

39.000

0.600

23.400

40

14

42.000

0.577

24.234

41

15

45.000

0.555

24.975

42

16

48.000

0.534

25.632

43

17

51.000

0.513

26.163

44

18

54.000

0.494

26.676

45

19

57.000

0.475

27.075

46

20

60.000

0.456

27.360

47

21

63.000

0.439

27.657

48

22

66.000

0.422

27.852

49

23

69.000

0.406

28.014

50

24

72.000

0.390

28.080

Valore totale attuale di tutti i successivi incrementi

L. 486.963

 

 

Partendo dalla ipotesi assunta, questa di L. 486.963 sarebbe la aggiunta che in secondo luogo dovrebbe farsi alla indennità dovuta dal Comune all’impresa riscattata, per tener luogo degli incrementi di reddito dal 21.mo al 50.mo di cui l’impresa verrebbe ad essere priva in conseguenza del riscatto.

 

 

Ricapitolando, l’indennità spettante all’impresa Garrè dovrebbe essere composta delle seguenti quantità:

 

 

1) Quantità certa contrattuale uguale alla capitalizzazione al 7% ed al 50.mo anno del reddito netto, supposto fisso, in lire 171.091,65 ……………………………………….

L. 2.444.166,42

2) Quantità certa, regolamentare, uguale al valore attuale delle differenze in meno, nel reddito goduto dall’impresa in caso di riscatto in confronto a quello supposto fisso di L. 171.091,65 che avrebbe goduto in caso di continuazione dell’esercizio ……………………………………..

L. 1.117.986,27

3) Quantità incerta, uguale alla perdita ulteriore degli incrementi di reddito, supposti uguali a L. 3000 all’anno, al disopra delle L. 171.091,65 di cui l’impresa avrebbe goduto in caso di continuazione dell’esercizio …………………  

486.963,-

Totale indennità dovuta

L. 4.049.115,69

 

 

La quale indennità equivale ad una capitalizzazione al 4.22% del reddito attuale di L. 171.091,65. Anche questa volta non ho voluto a priori indicare un tasso di interesse che poteva essere arbitrario; ma l’ho dedotto alla fine come conseguenza di un risultato già ottenuto indipendentemente con altri ragionamenti ed osservazioni.

 

 

Siffatto tasso di interesse sembra, in base alle cose prima esposte, ragionevole. Già vedemmo come ragionamento e pratica delle borse fossero concordi nello stimare al 4.80% circa il reddito che si poteva ottenere nel 1909 da un’impresa di acquedotto, supposto costante il reddito. Ma subito si era avvertito che l’ipotesi della costanza del reddito era da scartarsi, come quella che era disforme dalla realtà. Scartata del pari, come ancora più irreale, l’ipotesi di una diminuzione di reddito, ed accolta invece l’ipotesi di un moderatissimo incremento, assai inferiore a quello verificatosi in passato, il tasso di interesse da usarsi nella capitalizzazione del reddito, risultò del 4.22%.

 

 

Il che, riportandoci all’epoca – 1909 – a cui tutti i presenti calcoli si riferiscono, è risultato il quale reca l’impronta della massima verosimiglianza possibile.

 

 

Erano quelli anni in cui il reddito dei titoli di debito pubblico dello Stato (consolidati 3.50%) era del 3.37% sul prezzo d’acquisto. Un’impresa di reddito sicuro, non soggetta ad altra alea industriale, fuorché a quella di un riscatto a prezzo equo, distante 24 anni dalla scadenza contrattuale, con reddito ascendente, ben poteva essere capitalizzata sulla base del 4.22%. Al di sopra ed al disotto di questo tasso di capitalizzazione il prudente consiglio degli arbitri può spaziare alquanto, sicuro che quello è il tasso verso cui tendono nel tempo stesso gli insegnamenti della logica economica e dell’esperienza pratica. Che se per avventura gli arbitri ritenessero di fissarsi su una cifra di reddito base superiore od inferiore a quella di L. 171.091,65 che formò la premessa della presente memoria, l’applicazione di un tasso di capitalizzazione del 4.22% o del moltiplicatore 23.70 sembra sia tale da condurre a risultati diversi bensì in cifra assoluta, ma logicamente proporzionali a quelli a cui si giunse qui partendo da quella premessa.

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