Messaggio all’VIII Congresso del PLI (novembre 1958)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 10/11/1958
Messaggio all’VIII Congresso del PLI (novembre 1958)
Partito Liberale Italiano, Roma, Tip. V. Ferri, 1958, pp. 18
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Dogliani, 10 novembre 1958
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Cari amici,
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avete gradita la ristampa del vecchio articolo del 1911[1]. Dopo tanti anni, rileggendomi, farei qualche ritocco di forma, non di sostanza.
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- 1) Al giudizio non benevolo sui parlamentari, aggiungerei che la “sovranità popolare” – fondamento necessario dei governi elettivi – non è un principio scientificamente dimostrabile, ma un “mito”. Il migliore però tra i miti che finora sia stato inventato. Il grande critico del mito e autore del principio della “classe politica”, Gaetano Mosca, riconobbe già essere quel mito superiore ad ogni altro.
- 2) Il successo grandioso del comunismo russo non è prova della verità della tesi storica della necessaria evoluzione da un sistema detto capitalistico ad un altro detto socialistico. Prova invece che, in una società politica disorganizzata, un gruppo di uomini risoluti può conquistare il potere e, usando, come direbbe Mosca, una “formula politica” adatta, conservarlo e crescerlo.
- 3) Il tramonto del socialismo, affermato nel 1911, è giunto ora ad un punto tragico e commovente. Poco mi commuove la situazione italiana, dove le varie fazioni lottano in un gergo incomprensibile ai profani. I socialisti tedeschi hanno buttato a mare il programma tradizionale e sono alla ricerca di qualcosa che possa distinguerli dalle tesi economico-sociali dell’Erhard, che essi accettano e sono tesi liberali.
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Accettando le tesi del vice-cancelliere e ministro dell’economia nel governo cristiano-sociale della Germania Occidentale, dott. Erhard, i socialisti tedeschi non fanno propria una dottrina speciale al partito democristiano capitanato da Adenauer. Essi accedono puramente e semplicemente ai principii del liberalismo, come è universalmente concepito nel mondo moderno. Quando i democristiani italiani si accorgeranno che le tesi dirigistiche, nazionalizzatrici (IRI, ENI ed altri simiglianti enti detti autonomi) interventistiche, filosocialistiche o filosociali, accolte da quelli di loro parte che paiono più numerosi e si dicono progressivi, sono invece tesi fruste, antiquate, le quali non possono non condurre la nazione all’immiserimento ed alla discordia? Quando essi si persuaderanno che il successo clamoroso economico e sovrattutto sociale della politica tedesca è dovuto all’avere rinnegato le superate dottrine interventistiche, pseudo-sociali, regolamentaristiche ed all’avere invece attuato le dottrine del neoliberalismo, ben più nuove e fresche e feconde di benessere sovrattutto per i lavoratori della mente e del braccio?
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Quasi angosciosa è la situazione del laburismo inglese, che vede probabile la vittoria alle prossime elezioni generali nel 1959, ma sa anche che non potrà conseguirla se non riesce a trarre a sé gli incerti, dai quali domani, come sempre in passato, dipende la vittoria. Il capo del partito Gaitskell, uomo di valore, fornito di preparazione singolare, sa che non solo gli operai hanno le tasche piene di nazionalizzazioni, ma che i fluttuanti non vogliono sentir parlare di socialismo e di interventi statali socialistici. Non perciò egli può ripudiare apertamente il mito socialistico. Il mito e la parola medesima “socialismo” sono in Inghilterra, come in Germania e come in Italia, radicati nell’animo di milioni di elettori che di padre in figlio hanno lottato e sul continente hanno sofferto per difenderlo e tentare di attuarlo. In nessun paese si può umanamente chiedere ai socialisti di ammainare la loro bandiera, in nome della quale hanno pure conseguito risultati di elevazione per i ceti dei lavoratori e della piccola gente.
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Il mito è frusto; il programma non giova e non cresce i seguaci; ma la bandiera è un nobile sentimento. In Germania ed in Inghilterra la rinnovazione del mito è avvenuta negli animi; il vecchio ideale socialistico è morto. Ma non si può abbassare la bandiera, che è sentimento, ricordo, orgoglio di un passato fortunoso, del quale giova, anche agli avversari, che i fedeli ricordino solo le opere di bene.
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Riusciranno i capi del socialismo contemporaneo a sciogliere il nodo ed assurgere alla statura gli uomini di stato?
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Con cordiali saluti e auguri
Vostro LUIGI EINAUDI
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[1]Il riferimento è alla ristampa dell’articolo Sono nuove le vie del socialismo?, pubblicato sul Corriere della Sera del 29 marzo 1911 [ndr].