Opera Omnia Luigi Einaudi

Lega dei contribuenti

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1900

Lega dei contribuenti

Tip. e litogr. Maurer Torta e C., Torino 1900

 

 

 

La Lega dei contribuenti, in conformità al suo Statuto, ha iniziato una agitazione legale per tutelare i diritti dei contribuenti dinnanzi al fisco, e promuovere così la rigenerazione economica del paese.

 

 

In una adunanza tenuta a Torino, nel Salone della Borsa, gli aderenti alla Lega approvarono il seguente ordine dei giorno, il quale sintetizza gli intendimenti e l’opera della Lega nell’attuale momento:

 

 

«I soci e aderenti alla Lega dei contribuenti, riuniti a Torino nella Sala della Borsa, preoccupati del continuo aumento delle pubbliche gravezze, nonostante tutti gli affidamenti in contrario, affermano essere volontà fermissima del paese che si cominci finalmente a diminuire le imposte, e come mezzi per arrivare allo scopo chiedono intanto al Governo ed al Parlamento:

 

 

1)    abbandono di qualsiasi avventura coloniale, coll’immediato ritiro delle navi dalle acque della Cina e colla diminuzione delle spese per l’Africa, come avviamento allo sgombro completo da quella colonia;

 

2)    spesa complessiva dei bilanci militari non eccedente per nessuna ragione i limiti attuali, ed attuazione di tutte le economie compatibili colla difesa nazionale;

 

3)    abolizione dei premi alla marina mercantile e delle grandi forniture di favore;

 

4)    riforma delle convenzioni postali e commerciali marittime, in modo da lasciare libera la concorrenza e da escludere qualsiasi monopolio a danno dei contribuenti;

 

5)    riforma dell’attuale regime tributario sugli zuccheri, in modo da aumentare il consumo di questa derrata colla riduzione del dazio di confine e colla diminuzione della protezione alla produzione interna;

 

6)    decentramento amministrativo, semplificazione ed economie nei servizi dello pubbliche amministrazioni».

 

Crediamo opportuno aggiungere poche parole a spiegazione di questo ordine del giorno, ed a dimostrazione che la Lega si propone scopi pratici e di interesse generale pel Paese.

 

 

La causa principale che ha condotto all’accrescimento continuo delle imposte, ed ha fatto sì che le entrate dello Stato raggiungessero oramai la enorme cifra di 1700 milioni, (nei quali non sono comprese le entrate dei comuni e delle provincie), è la seguente: che cioè lo Stato italiano si è voluto ingerire in una quantità di faccende che non sono le sue.

 

 

Ciò che noi contribuenti chiediamo allo Stato, e ciò che con noi chiede la grande maggioranza degli italiani, si è che venga garantita la sicurezza e la libertà personale, che ci sia resa giustizia rapida ed imparziale, che si mantenga un esercito ed una flotta strettamente necessaria alla difesa nazionale, che si adottino provvedimenti igienici contro la diffusione delle malattie contagiose, che siano mantenute in buono stato le strade, i ponti, le arginature dei fiumi, ecc. ecc.

 

 

Per raggiungere questi scopi, i quali formano la base della vita civile moderna, noi saremmo lieti di sopportare sacrifizi anche gravi, e di pagare, ove facesse d’uopo, imposte nella misura necessaria.

 

 

Ma lo Stato italiano, se si fosse ristretto a procurare ai cittadini quei beni che essi direttamente non possono procacciarsi, non avrebbe potuto dare ad una moltitudine di parassiti inutili il modo di vivere a spese del suo bilancio. Perciò esso ben presto ha esorbitato dalle sue funzioni, accrescendo disordinatamente le sue spese e cagionando a nostro danno un aumento delle imposte che altrimenti non si sarebbe mai verificato. Lo Stato ha intrapreso inutili conquiste coloniali, le quali ci costarono enormi sacrifizi di sangue e di denaro; ha costruito delle ferrovie elettorali con uno spreco di miliardi di lire; ha inaridito le fonti della ricchezza nazionale, sotto il pretesto di proteggere le industrie che altrimenti non avrebbero potuto reggere alla concorrenza estera; colla sua politica protezionista ha indotto le altre nazioni a chiudere gli sbocchi alla nostra produzione agraria; ha promesso e dato dei premi così alti alla marina mercantile, che il bilancio suo si trova messo in pericolo a causa degli impegni assunti verso pochi costruttori ed armatori; ha tassato ogni derrata necessaria alla vita: il pane, il petrolio, il caffè, lo zucchero, ecc.; con questo di bello che una notevolissima parte del dazio pagato dai contribuenti, non va nelle casse dello Stato, ma nelle tasche di alcuni grandi industriali e proprietari protetti. Lo Stato, allegando di dover difendere il territorio nazionale dalle aggressioni esterne ha aumentato i corpi d’armata per modo che essi, pure costando forti sacrifici al Paese, sono disadatti a compiere un’opera efficace.

 

 

Per tutte queste cagioni e per altre ancora, il bilancio dello Stato è da lunghi anni in una situazione di disavanzo cronico: e malgrado l’aumento progressivo delle imposte, il Debito Pubblico aumenta ancora più rapidamente. Oramai noi siamo vicini ai 15 miliardi di Debito Pubblico, i quali ci costano ogni anno più di 600 milioni netti di interessi. Il nostro debito capitale è quasi eguale, ed il gravame annuo degli interessi è più alto di quello dell’Inghilterra, pure tanto più ricca di noi.

 

 

Contro questo deleterio sistema, la Lega dei contribuenti protesta; sicura, che se si continuasse ancora per qualche tempo, le entrate private sarebbero appena sufficienti a far fronte alle spese inutili e dannose dello Stato. Siccome però il combattere subito e contemporaneamente tutte le forme di spese inutili compiute dallo Stato, sarebbe stato impresa ardua ed impossibile, ed avrebbe suscitato opposizioni vivissime da parte di tutti coloro che si giovano delle spese soverchie governative, così la Lega ha creduto opportuno di adottare un programma più modesto ma più pratico, limitando le sue rivendicazioni a quelle le quali rivestono maggiormente il carattere di urgenza e sono di più facile e pronta attuazione.

 

 

La lega dei contribuenti chiede dunque per ora:

 

 

1)    L’abbandono della politica di avventure e di conquiste coloniali

 

 

Tutti siamo persuasi dei danni apportati all’Italia dall’infausta mania di scimmiottare nazioni di noi più ricche e potenti, le quali posseggono o stanno conquistando un grande impero coloniale. È dubbio se a quelle nazioni le conquiste coloniali abbiano mai fruttato un compenso corrispondente alle spese fatte, eccetto che per quelle colonie anglosassoni che furono dovute non alla conquista militare, ma alla espansione pacifica degli emigranti e dei capitalisti della madrepatria. Comunque ciò sia, all’Italia la mania delle conquiste coloniali ha fruttato finora soltanto lo spreco di più di mezzo miliardo di lire e di migliaia di vite umane. Nell’anno scorso si sarebbe voluto ripetere l’errore, colla pretesa di una concessione di terreni nella Cina. Oramai pare che l’intenzione sia svanita dinnanzi alla ferma resistenza della Cina; ma si conserva però in quei mari una squadra di navi per potersene giovare in caso di perturbamenti nel governo imperiale; cosa non infrequente in quei paesi, e fonte di tentazioni per i nostri governanti, e di pericolo gravissimo pel paese.

 

 

Perciò noi chiediamo che vengano ritirate dai mari cinesi le navi della nostra squadra. Domandiamo altresì che le spese di occupazione della Colonia Eritrea, vengano ridotte al fine di rendere possibile nel futuro lo sgombro o la vendita di quei territori infruttuosi.

 

 

Ben’altra dev’essere la politica coloniale dell’Italia. Noi non dobbiamo aspirare ad alcuna conquista militare, capace soltanto di popolare di soldati e di impiegati dei terreni deserti. Noi dobbiamo unicamente mirare a rendere ognora più saldi i vincoli fra le madre patrie e le colonie spontanee, sorte in ogni parte del mondo, e sovratutto nell’America latina. Il programma della lega indica al Paese come si debba procedere in questa via: nessuna conquista militare, nessuna pretesa assurda di ingerenza politica, la quale ad altro servirebbe che a fomentare le ire dei nativi contro i nostri coloni: invece mantenimento di buone relazioni diplomatiche e conclusione di trattati di commercio, a base di libero scambio. Concedendo all’America latina di importare in Italia, con dazio diminuito o nullo il grano, la lana, la carne conservata il caffè, lo zucchero, la gomma, ecc. ecc., noi potremmo ottenere di importare colà, vini, olii, agrumi, stoffe, macchine, sete, ecc. Scambi fiorenti sono già stati iniziati fra i due Paesi, uniti insieme da vincoli così potenti di sangue; ma gli alti dazi impediscono ogni grandiosa espansione.

 

 

Se si tarda in questa via, si corre il pericolo di vederci sopraffatti dai nostri concorrenti, e di vedere distrutto il promettente traffico già iniziato. Il Brasile minaccia infatti di aumentare i dazi sulle provenienze dall’Italia, se noi non ribassiamo il dazio sul caffè.

 

 

È nostro dovere di accondiscendere alle domande del Brasile ed a quelle altre che potessero essere manifestate dai Paesi dove vivono i nostri coloni; facendo il vantaggio dei consumatori, con lieve sacrifizio dello Stato, compensato ad usura in seguito, noi compiremmo quella sola politica coloniale, la quale possa apportare all’Italia benefici materiali e morali invece delle imposte, dei debiti e degli eccidi di cui fu feconda l’Eritrea, o ci sarebbe feconda la Cina.

 

 

2) Limitazione delle spese militari

 

 

Sacro è il dovere di ogni cittadino di contribuire alle spese per la difesa della patria, ma questo dovere si arresta quando per un malinteso spirito di emulazione, per il mantenimento di inutili conquiste coloniali, per favorire gli avanzamenti degli ufficiali, le spese militari diventino soverchie ai bisogni e tanto gravose da inaridire le sorgenti della ricchezza nazionale. Allora diventa dovere dei cittadini di resistere, come fa la Lega dei contribuenti, ad ogni aumento delle spese militari al disopra del limite attuale. La Lega crede con ciò di essere modesta nei suoi desideri, e di offrire anzi all’esercito ed alla marina uno stimolo a migliorare la propria organizzazione ed a divenire uno strumento ognora più perfetto di difesa. Ora si mantengono ordinamenti imperfetti, come i dodici attuali deboli corpi d’armata, perché si spera nel futuro di ottenere un aumento del bilancio militare, in guisa da rinsanguare le forze effettive divenute oramai smilze; se invece si sapesse con certezza che il bilancio della guerra non verrà aumentato, sarebbe interesse di tutti e dei militari medesimi, di utilizzare nel miglior modo possibile i milioni assegnati all’esercito, diminuendo ad es. i corpi d’armata da 12 a 10.

 

 

La Lega dei contribuenti protesta eziandio contro la campagna che da qualche tempo si conduce sui giornali, per incitare il Governo all’aumento della marina militare. La Lega reputa, che il contrarre nelle attuali condizioni un prestito di parecchie centinaia di milioni per costruire una flotta da guerra sia grandemente pericoloso; perché allontana ancora di più il giorno, purtroppo remoto, della conversione del Debito Pubblico, e perché ci metterebbe in grado di possedere una flotta pagata a caro prezzo, e fra pochi anni divenuta nuovamente inservibile. Facendo economie rigide sul bilancio della marina, sopprimendo le spese inutili di mantenimento di arsenali governativi troppo costosi, ed affidando la costruzione delle navi all’industria privata, dimostratasi atta in Italia ed all’estero a fornire le navi ad un costo molto minore, è possibile di provvedere al rinnovamento della flotta, nella misura richiesta dalla necessità della difesa delle coste italiane e della bandiera nostra sui mari anche più lontani.

 

 

3) Limitazione dei premi e dei favori alla marina mercantile, ed esclusione dei monopoli nei trasporti postali e commerciali marittimi

 

 

L’esistenza di una prospera e forte marina mercantile, è senza dubbio pegno di vigoria e di ricchezza; così accade ora nell’Inghilterra; così accadeva un giorno a Genova ed a Venezia. Ma in questi casi la marina prospera è una conseguenza naturale ed inevitabile della prosperità dei traffici, dell’attitudine degli abitanti alla navigazione e dell’abbondanza dei capitali, pronti a impiegarsi liberamente in questo genere rischioso di industrie. La Lega dei contribuenti sarebbe lietissima, che la bandiera della nostra marina mercantile soverchiasse in Patria ed all’estero le altre bandiere; ed è lieta infatti che la bandiera italiana conservi il predominio nelle linee del Sud America, e tanto più ne è lieta in quanto tale fatto consolante serve di riprova a quanto sopra si è detto dell’efficacia della colonizzazione libera, a creare prosperità e ricchezza e vivaci rapporti commerciali.

 

 

Ma in Italia, lo Stato ha voluto fare di più vedendo che la marina mercantile languiva, incerta ancora se dovesse abbandonare la navigazione a vela od appigliarsi risolutamente alla navigazione a vapore, ha accordato alla marina dei premi di costruzione e di navigazione prima in misura più esigua e poi colla legge del 1895 in misura così alta che, se non vi si pone riparo, lo Stato dovrà sborsare la somma ingente di 330 milioni di lire. Gli effetti di questo provvedimento pernicioso furono i seguenti: che noi contribuenti siamo obbligati a limitare i nostri consumi per ragranellare faticosamente i 330 milioni da regalarsi a pochi armatori e costruttori; che il bilancio dello Stato si trova in gravi distrette, appunto per la difficoltà di estorcere ai contribuenti, già smunti dalle imposte, questi 330 milioni che i costruttori navali, a cui si promise così cospicuo regalo, si misero a fabbricare con materiale scadente, proveniente dalla demolizione di vecchie navi, delle nuove navi a vela od a vapore poco perfezionate e di basso costo, utili solo per trasporti di grano e di petrolio, che potrebbero essere trasportati egualmente bene da navi straniere.

 

 

Questo si disse proteggere la marina nazionale ed assicurarne il trionfo prossimo. Questo è, diciamo noi, regalare 330 milioni a pochi costruttori, per il bel costrutto di avere qualche nave da carico di più, registrata colla bandiera italiana. La lega dei contribuenti reclama perciò l’abolizione integrale dei premi alla marina mercantile. Essa è lieta che il Ministero abbia visto la necessità di procedere su questa via; solo si rammarica che esso si sia fermato ai primi e timidissimi passi, e si augura almeno, che se non si vogliano abolire subito del tutto i premi, essi siano dati frattanto solo alle navi che soddisfacciano a certe condizioni di velocità, di capacità e di costruzione, e siano in grado di servire come trasporti ed avvisatori in caso di guerra.

 

 

Sarebbe questo l’unico modo di far nascere un po’ di bene eventuale da un provvedimento, la cui maligna influenza è da tutti riconosciuta.

 

 

La Lega protesta altresì contro il modo con cui a norma delle convenzioni postali e commerciali marittime, sono spesi i 10 milioni annui che l’Italia consacra per assicurare il servizio postale fra il nostro paese e l’estero. La Lega non disconosce la necessità di mantenere un rapido servizio postale marittimo fra i nostri porti ed i porti esteri; ma chiede che l’Amministrazione delle poste sia libera di servirsi di quei mezzi di trasporto che tornino più convenienti, più rapidi e meno costosi. Perciò esclude che si dia la preferenza ad una Compagnia sulle altre, e non vede nessun danno nell’affidare eventualmente i trasporti postali a Compagnie estere, che in gare d’appalto, accettino condizioni meno onerose per l’erario. Fare diversamente significa attribuire un monopolio alla Società generale di navigazione, dandole diritto di percepire vistose somme a danno dei contribuenti, e di valersi di questi regali governativi per muovere concorrenza sleale alle altre Compagnie, mandandole in rovina e rimanendo essa sola padrona del mercato ed arbitra di accrescere i noli a suo piacimento, al disopra del limite normale del mercato.

 

 

4) La Lega dei contribuenti ha creduto altresì opportuno di indicare quale sia la condotta da tenere nella questione tanto dibattuta degli zuccheri

 

 

Secondo la legge attualmente vigente, ogni quintale di zucchero greggio, paga nell’entrare in Italia un dazio in oro di 88 lire; mentre il quintale di zucchero prodotto in Italia, paga soltanto 67,20 lire in carta. Supposto un aggio medio del 7 per cento, il produttore interno gode una protezione uguale alla differenza tra 88+6=94 dazio in carta sullo zucchero estero, e 67,20 tassa di fabbricazione dello zucchero interno, ossia circa 27 lire. Fino ad ora anzi la protezione era più alta, perché la produzione dello zucchero interno veniva tassata soltanto per i tre quarti, in grazia della supposizione di legge che ogni ettolitro di sugo rendesse soltanto 1500 grammi di zucchero, mentre in realtà ne rende in media almeno 2000. In questo modo la tassa di fabbricazione interna era soltanto dei di lire 67,20, ossia era di lire 50,40, ed i produttori interni godevano di una protezione esorbitante di circa 44 lire per quintale di zucchero greggio. Finora i danni di questa protezione erano stati lievi, perché il numero delle fabbriche esistenti era scarso; ma appena i capitali divennero un po’ più abbondanti, subito nuove fabbriche sorsero; alle 13 in attività in quest’anno, già se ne aggiunsero altre 14, e ben 18 sono in progetto. Se si fosse continuato di questo passo, non andava molto che tutti gli 860 mila quintali di zucchero necessarii al consumo nostro si sarebbero prodotti in Italia, con un minor reddito per lo Stato di 860.000×44 lire ossia di 38 milioni di lire circa, senza alcun vantaggio per i consumatori. Gli unici a guadagnarvi sarebbero stati i fabbricanti di zucchero, perché in verità non si può parlare di vantaggio dell’agricoltura, che non potrebbe risorgere solo perché circa 30 mila ettari di terreno possono dedicarsi alla coltura della barbabietola.

 

 

La Lega dei contribuenti è lieta perciò che il Governo abbia ottenuto l’approvazione della legge recente, che fissa il coefficiente di rendimento a 2000 grammi di zucchero per ogni ettolitro di sugo, ed in tal modo riduce la protezione ai fabbricanti interni a lire 27.

 

 

Ma si tratta però solo di un primo, per quanto encomiabile passo. Se non si vuole aumentare ancora la tassa di fabbricazione sugli zuccheri interni al disopra di lire 67,20, è necessario diminuire gradualmente il dazio sugli zuccheri esteri al disotto di lire 88 (in oro=94 in carta). Tale dazio è esorbitante, ed impedisce il consumo dello zucchero in quelle proporzioni che si verificherebbero ove il dazio fosse più mite. Noi italiani siamo uno dei popoli che consumiamo meno zucchero: appena 2,85 chilogrammi per abitante; meno della Turchia che ne consuma 3,21 e di gran lunga meno dell’Austria con 8,09, del Belgio con 10,47, della Germania con 13,71, della Francia con 14,07, della Svizzera con 23,64, degli Stati Uniti con 26,90 e dell’Inghilterra con 41,42 chilogrammi per abitante. In quei Paesi le imposte sono più lievi che in Italia, e perciò il consumo dello zucchero è tanto più rilevante. Noi non pretendiamo che si raggiungano quelle cifre; sarebbe per ora già soddisfacente se si potesse ritornare al consumo di chilogrammi 50,4 per abitante dell’anno 1888-89, in cui il dazio non era stato ancora aumentato al limite attuale.

 

 

L’aumento del consumo, che sarebbe la inevitabile e benefica conseguenza della diminuzione del dazio, renderebbe quasi nulla la perdita dell’erario e permetterebbe di ridurre a poco a poco la protezione ai fabbricanti indigeni di zucchero, la quale si risolve in un regalo forzato che i consumatori debbono fare ai produttori.

 

La Lega dei contribuenti coglie perciò l’occasione di spingere piùinnanzi il Governo sulla via nella quale si è messo. Essa è una via che tutela i bisogni dell’erario, diminuisce gli aggravi dei consumatori, e impedisce le disillusioni che sono inevitabili quando si dà vita ad una industria artificiosa e dipendente dall’appoggio dei dazi protettori.

 

 

5) Finalmente la Lega dei contribuenti ha creduto necessario richiamare fin d’ora l’attenzione della pubblica opinione sulla necessità di procedere al decentramento amministrativo, a semplificazioni ed economie nei servizi delle pubbliche amministrazioni

 

 

È troppo tempo che tutti sono persuasi e tutti predicano la necessità di procedere a siffatte riforme; malgrado ciò non si oserebbe asserire che si sia fatto qualcosa di serio al riguardo; ed anzi, ogni giorno si presentano nuove proposte per accrescere la già numerosa burocrazia italiana. La Lega dei contribuenti crede di far cosa buona opponendosi ad ogni lamento inutile nella burocrazia e chiedendo una energica semplificazione nei servizi pubblici. A dimostrare che non si tratta di lagnanze esagerate, la Lega dei contribuenti ricorda questo solo fatto, tratto dall’esame del bilancio della marina, che molti, come già si disse sopra, vorrebbero aumentare per costrurre nuove navi da guerra.

 

 

Attualmente, con un bilancio di 98 milioni, la forza combattente ascende a circa 23 mila uomini. Orbene, per quelle poche migliaia di combattenti, c’è tutto un piccolo esercito parassitario di 1930 funzionari ed ufficiali non combattenti! Al Ministero della marina vi sono 80 alti impiegati per soli 92 subalterni e 35 fra commessi ed inservienti.

 

 

Le costruzioni navali sono ridotte, colle riparazioni, a 20 milioni annui all’incirca, cioè, al lavoro di un modesto cantiere privato, di quelli per cui bastano quattro o cinque ingegneri ed una ventina di subalterni, tanto più che la nostra marina non costruisce che scafi; le macchine sono costruite e montate in posto dall’industria privata, e le artiglierie dalla Direzione competente. Ebbene, a così scarso lavoro, oltre gli ufficiali dei genio navale e di vascello immobilizzati a terra, troviamo adibiti: 257 commessi, 191 capi tecnici e 160 disegnatori. Se non si costruiscono navi, è naturale che non si possono collocare artiglierie e tubi per lancio di siluri sulle navi che non esistono: eppure la Direzione di artiglieria e torpedini, oltre agli ufficiali, dispone di 373 commessi, 125 capi tecnici, 84 disegnatori, coadiuvati da 65 scritturali, 93 contabili e loro aiuto con 86 guardiani di magazzino.

 

 

A completare il personale burocratico, ecco 264 commissari di bordo con 28 allievi!

 

 

La nostra marina conta due sole squadre, l’una attiva, l’altra di riserva; ebbene, l’amministrazione della marina si compiace di avere dodici vice ammiragli e tredici contrammiragli con sessantuno capitani di vascello! Nei cantieri dello Stato abbiamo in costruzione tre navi soltanto, ed ormai nei cantieri stessi non si costruiscono che gli scafi delle navi, ed abbiamo per tanta opera 80 ufficiali del genio navale.

 

 

Le poche cifre ora addotte ed alle quali altre si potrebbero aggiungere, bastano a provare come la lega dei contribuenti abbia buoni motivi per credere necessaria una vigorosa semplificazione nei pubblici servizi. L’attuazione del programma esposto è resa tanto più facile, in quanto l’Italia attraversa ora un periodo di relativa prosperità economica, la quale ha per effetto di rendere inavvertiti quegli inconvenienti momentanei, che sono l’effetto di qualsiasi riforma.

 

 

D’altra parte le riforme medesime avranno per effetto di aumentare ancora più la nostra prosperità, e di rendere per tal guisa agevoli le ulteriori riforme contenute nel programma della nostra Lega.

 

 

È questo come una scala la cui discesa diviene a mano a mano più facile, a misura che si procede innanzi, mentre invece la via del protezionismo, dell’affarismo e della invadenza burocratica diventa ognora più faticosa e seminata di rovina per le nazioni che vi si avventurano.

Torna su