I campi vergini per le assicurazioni libere in Italia. La necessità della discesa nel popolo
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1911
I campi vergini per le assicurazioni libere in Italia. La necessità della discesa nel popolo
Libro d’oro degli assicuratori benemeriti della Previdenza, Torino, Editrice la direzione del «Bollettino delle assicurazioni», 1911, pp. 13-14
La questione delle assicurazioni di vecchiaia e in caso di morte a favore degli operai è divenuta viva anche in Italia. I rimproveri che si muovono da taluni alla Cassa Nazionale di Previdenza di non aver saputo efficacemente raggiungere il suo scopo e di essere riuscita a raggruppare attorno a sé appena 330 mila soci, di cui forse un terzo dormienti; le richieste della pensione di Stato o dell’obbligatorietà dell’assicurazione, con contributo di Stato, a favore degli operai provano come il problema sia sentito.
Io non credo però che la soluzione sua debba essere cercata ricorrendo ancora una volta allo Stato-Provvidenza ed imitando ciò che all’estero hanno fatto Inghilterra, Germania e Francia. L’assicurazione in caso di vecchiaia e di morte è una delle manifestazioni più squisite della virtù del risparmio e della previdenza; e risparmio e previdenza sono virtù che non si impongono colla obbligatorietà. La previdenza volontaria eleva e nobilita l’individuo; la previdenza obbligatoria lo riduce al livello di un impiegato pubblico, che consuma tutto lo stipendio perché ha la sicurezza della pensione pagata dallo Stato ed intanto lascia alla morte la famiglia senza capitali e tuttodì strepita per aumento di stipendi, per case a buon mercato, senza far opera atta a guadagnarsi lo stipendio maggiore ed a costrurre le intraprese atte a procurargli la casa bella.
Io credo perciò che un campo larghissimo di operosità spetti ancora alle Società private di assicurazione. Esse devono discendere al disotto della borghesia e delle classi ricche, a cui finora limitarono la loro azione; debbono cercare una nuova clientela negli strati più umili del popolo, imitando ciò che in Inghilterra fanno alcune potentissime Società. Si ricordi che la sola «Prudential» di Londra possiede 17 milioni di polizze, con 700 milioni di lire versate dai suoi assicurati; e che le polizze operaie a fine 1908 giungevan nel Regno Unito a 28.541.525 con un capitale assicurato di L. st. 285.807.599, più di 7 miliardi di lire italiane. Questo è l’esempio che deve sospingere le nostre libere istituzioni. E in questa gara feconda debbono concorrere tutte, senza gelosie e ostracismi ingiustificati; dalle vecchie e solide società anonime alle mutue che con una amministrazione severa hanno potuto conquistare il favore del pubblico, alle nuove tontinarie. Queste che hanno commessi errori non pochi di teoria e di propaganda, hanno ancora tempo di redimersi, trasformandosi in società mutue per le assicurazioni popolari. Sarà sacrificato il principio tontinario; ma non monta. L’importante si è che con l’opera concorde di tutti si riesca ad elevare il popolo nostro addestrandolo all’esercizio di questa sublime tra le virtù economiche; la previsione dell’indomani.