Opera Omnia Luigi Einaudi

Discorso di insediamento alla Banca d’Italia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/01/1945

Discorso di insediamento alla Banca d’Italia

Insediamento del governatore Einaudi e del direttore generale Introna alla Banca d’Italia. In Roma, il 15 gennaio 1945, Roma, Tip. della Banca d’Italia, 1945, pp. 9-13

 

 

 

Il Presidente del Consiglio ha voluto fare alla Banca l’onore grande di assistere alla cerimonia di insediamento di noi, chiamati dal governo a dirigere il nostro glorioso massimo istituto bancario. Siano rivolte a lui le mie vive azioni di grazie.

 

 

Marcello Soleri, amico nelle ore buone e in quelle cattive, soldato nella grande guerra passata e nella silenziosa battaglia odierna per la salvezza del tesoro e della moneta, ha voluto rivolgermi parole troppo cortesi in questa occasione del mio ingresso al governo della Banca d’Italia. I miei ricordi della Banca risalgono ai primi anni del secolo quando, appena entrato nell’insegnamento, ebbi, venendo alla cerca di documenti e di dati monetari, occasione di salire queste scale e taluno mi disse che un signore, sorridente nella non alta persona, il quale le discendeva, era il capo illustre del maggiore tra i nostri istituti di emissione.

 

 

Quando poscia lo frequentai, purtroppo raramente, nelle sere in cui si recavano nelle sue stanze private studiosi convenuti da ogni parte d’Italia, Bonaldo Stringher mi apparve nella sua piena figura di restauratore dell’istituto, che nei lontani giorni del risorgimento, quando ai suoi inizi ancora portava il titolo di Banca di Torino, aveva avuto il vanto di annoverare tra i suoi fondatori Camillo di Cavour; restauratore, perché, uomo di scienza, conobbe anche la virtù della prudenza pratica e del maneggio degli uomini. Tra i suoi collaboratori non veggo, ahimè!, Pasquale D’Aroma, compagno di lavoro ed amico non dimenticato; ma resta Niccolò Introna, fedelissimo tra i fidi al primo governatore della Banca. A lui, che testé meritò l’alto elogio del ministro del tesoro, mando anch’io un saluto cordiale e la testimonianza del fiducioso assegnamento che io faccio sul suo aiuto quotidiano.

 

 

Restano i funzionari e gli impiegati tutti, educati a buona scuola e volti coll’opera assidua all’incremento dell’istituto. I dirigenti ed i rappresentanti degli istituti di credito e di quelli assicurativi dicono, colla loro presenza qui, la volontà di cooperare coll’istituto di emissione affinché tutto il risparmio italiano, da essi variamente, a norma dei diversi scopi delle rispettive istituzioni, amministrato, venga rivolto alla salvezza ed alla ricostruzione economica e sociale del nostro paese.

 

 

Il ministro del tesoro ha insistito sulla profonda mutazione intervenuta nei rapporti fra il Tesoro dello stato e la Banca d’Italia. Autonomo sempre, l’istituto di emissione è divenuto negli anni recenti quasi la longa manus del tesoro. Il risparmio del paese, per quella parte che già non affluisce direttamente nel pubblico erario a mezzo delle casse postali, degli istituti di credito ed assicurativi e delle sottoscrizioni ai buoni del tesoro, viene convogliato, attraverso la Banca, a far fronte alle esigenze del bilancio statale; e le anticipazioni di circolante colmano la differenza. Non è questo un fatto il quale sia particolare al nostro paese; e basterebbe ricordare l’esempio degli Stati Uniti dove le banche federali di riserva, le quali alla fine del 1940 detenevano 2184 milioni di buoni ed altri titoli del tesoro, gradatamente ne crebbero il possesso, sicché alla fine del novembre 1944 toccavano i 18 miliardi e 411 milioni. Accentrata, a causa delle esigenze belliche, la direzione dell’economia nazionale nello stato, che ne è divenuto il principalissimo approvvigionatore e cliente, era inevitabile che gli investimenti bancari mutassero natura e che il luogo del portafoglio privato fosse preso dal portafoglio pubblico.

 

 

La collaborazione fra il tesoro e l’istituto di emissione deve continuare ad avere una mira suprema: contenere nei limiti più rigorosi il ricorso alla più dura e sperequata maniera di imposta, che è l’emissione a gitto continuo dei biglietti.

 

 

Nel tempo che seguì all’altra grande guerra, l’inondazione cartacea, la quale impoverì e talora distrusse il medio ceto e creò improvvisate ingiuste fortune, fu causa precipua del disordine morale e mentale, che poi ebbe effetti politici e sociali profondamente perturbatori. Fenomeni ed effetti simiglianti si delineano nel tempo presente. Tesoro e Banca hanno, in questa parte d’Italia, tenacemente resistito alle forze che conducevano all’inflazione; e se non mancherà l’incoraggiamento generoso delle nazioni unite, del quale ci è arra la presenza in questa sala dei rappresentanti illustri della Commissione alleata, Tesoro e Banca sono convinti di potere superare il punto critico monetario, dal quale siamo per ventura nostra lontani.

 

 

Non esistono mezzi taumaturgici i quali possano operare il miracolo del risanamento monetario. Unico mezzo noto ed efficace, pur nel contrasto necessario delle idee, la vicendevole sopportazione in compromessi chiari precisi ed osservati, i quali consentano l’attuazione di un comune programma di azione. Se lo stato, dopo avere delimitato il campo preciso della sua diretta gestione economica, e l’indole del suo controllo per il restante campo lasciato alla iniziativa privata, se lo stato incoraggerà la rinascita della fiducia, della speranza di godere i frutti del proprio lavoro, del proprio risparmio, della propria intrapresa, il contribuente sopporterà, mormorando, come è suo uso nell’assolvere il dovere tributario, le imposte le quali lo dovranno colpire; dure per tutti e durissime nei gradi più alti delle fortune; ed il contribuente seguiterà ciononostante a risparmiare, a depositare le sue giacenze monetarie nelle banche ed a sottoscrivere ai prestiti pubblici. Sono certo e ritengo di potere dare questa assicurazione a nome di tutti i rappresentanti del sistema bancario italiano accorsi così numerosi in questa sala, sono certo che durante gli anni venturi, i quali saranno per tutti anni di lavoro e di sacrificio, non mancherà mai l’aiuto del credito a chi sappia meritarlo.

 

 

Tutto sarà dato, senza limitazioni aprioristiche, per la ricostruzione feconda dell’economia nazionale; nulla per la elemosina corruttrice. Questa fu in tempi passati la nostra divisa; e tale sarà ancora in avvenire. Nell’opera di ricostruzione la Banca d’Italia avrà sicuramente il privilegio della cooperazione degli istituti di emissione dei paesi cobelligeranti e neutrali, tra i quali essa ha ancora oggi, nonostante il forzato difetto delle sue riserve auree, un non ultimo luogo; ed ai governatori e dirigenti di quelle banche di emissione invio un cordiale saluto beneaugurante per l’opera comune.

 

 

A quest’opera comune la Banca d’Italia ha in passato dato degno contributo partecipando alla fondazione ed alla gestione della Banca dei regolamenti internazionali di Basilea; e ad essa il nostro paese darà nuovamente, non appena gli sia consentito, il suo doveroso contributo nelle forme sancite dagli accordi di Bretton Woods.

 

 

Questi accordi sono davvero una delle maggiori speranze del travagliato mondo d’oggi. Esso non si potrà sollevare dalle rovine presenti e non si potrà garantire contro lo spettro di più spaventose rovine future se tutti gli stati non siano pronti a far gitto di qualcuna delle cosidette apparenti loro prerogative sovrane. Sovratutto per quanto tocca i rapporti economici e monetari, abbiamo sperimentato quanto fallace fosse l’idolo della indipendenza assoluta ed abbiamo, noi italiani, a nostre spese imparato quanto numerosi e sottili e infrangibili fossero i legami che ci stringono agli altri paesi del mondo. Noi non possiamo vivere senza l’aiuto altrui; e, dal canto loro, gli altri paesi non possono dar nulla a noi ove non consentano di ricevere quel che noi possiamo dar loro.

 

 

A questo che, invece di aiuto, meglio deve dirsi lavoro in comune, il sistema bancario, che fu primo tra le branche dell’umana attività a sorpassare i confini dei singoli stati, continuerà a dare il suo contributo. Superando quei confini, l’attività nostra non li nega. Anzi li esalta; ché una nazione non cresce chiudendosi in se stessa e preparandosi ad assalire altrui, bensì progredisce ricevendo e facendo proprio quel che nelle idee, nei metodi, nelle leggi altrui è fecondatore ed assimilabile per noi ed offrendo agli altri quel che possa anche per essi riuscire di stimolo al bene.

 

 

Mentre ci dichiariamo pronti ad accogliere i principii scritti nelle due grandi carte bancarie e monetarie approvate nelle assise internazionali d’oltre Atlantico, non saremo forse tacciati di orgoglio se affermiamo che l’accoglimento di quei principii risponde alle più antiche gloriose tradizioni italiane.

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