Uno sperimento di intervento dello stato. Il consorzio siciliano dello zolfo
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/08/1906
Uno sperimento di intervento dello stato. Il consorzio siciliano dello zolfo
«Corriere della Sera», 8[1] e 9[2] agosto 1906
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 412-422
I
Dal primo d’agosto del 1906 in virtù di una legge affrettatamente votata dal parlamento nelle sue ultime tornate, i proprietari o possessori e gli esercenti delle zolfare presenti e future di Sicilia sono costituiti di diritto in consorzio, per la durata di dodici anni, sotto il titolo di Consorzio obbligatorio per l’industria zolfifera siciliana. Questo il fatto, che deve avere esercitato mediocrissima impressione sui legislatori che lo vollero in una breve seduta antimeridiana, la quale non ebbe eco alcuna nella stampa, ed invece è uno dei fatti più importanti della storia industriale moderna non pur d’Italia, ma del mondo.
Per mettere in luce l’importanza grandissima del «Consorzio zolfifero» si pensi a ciò che sono i trusts, i sindacati, i cartelli nell’organizzazione economica dei tempi nostri; si rifletta ai colossali organismi capitalistici che raggruppano tutti o la maggior parte degli stabilimenti di una industria sotto una sola direzione, assicurando ai produttori il monopolio della produzione e dello smercio; mettendoli in una situazione privilegiata, rispetto ai consumatori, che essi possono taglieggiare a loro posta con aumenti nei prezzi, ed agli operai, che ben difficilmente possono lottare con le loro leghe contro colossi dell’industria; si pensi alla lotta titanica iniziata dal presidente Roosevelt contro gli odiatissimi trusts del petrolio, delle carni conservate, degli acciai e delle ferrovie; si ricordi il brivido di spavento che fece sussultare la vecchia Europa e sovratutto l’Inghilterra quando si annunciò il proposito del Morgan di monopolizzare coll’accordo dell’Oceano la navigazione fra l’Europa e l’America; si rammenti quanto possono i sindacati tedeschi del carbone, i sindacati internazionali degli acciai ed il sindacato italiano capitanato dalle Terni; e si comprenderà la sorpresa che a tutta prima colpisce l’osservatore, il quale vede lo stato italiano farsi paladino e creatore di un altro monopolio, quello dello zolfo; imponendo a proprietari ed esercenti le miniere di unirsi in un consorzio di vendita ed intervenendo a sorreggere e fino a un certo punto a garantire le sorti finanziarie del nuovo ente monopolistico.
L’Italia, o meglio la Sicilia zolfifera, sarebbe giunta a quell’ultimo stadio di sviluppo industriale preconizzato da Carlo Marx, nel quale – essendo ormai unificata la produzione in ogni singola industria nelle mani di una sola impresa – lo stato interviene per regolare la produzione privata, primo passo ad un prossimo collettivismo minerario? L’industria zolfifera siciliana, di cui finora si lamentarono gli scarsi progressi tecnici e l’incredibile sminuzzamento della produzione, avrebbe in breve ora compiuto tali progressi da poter senz’altro passare allo stadio della produzione unificata sotto l’alta direzione dello stato?
I liberisti puri non si spaventino troppo ed i collettivisti non si rallegrino ad occhi chiusi: la profezia di Marx non si è avverata nella sua storica sequenza e lo stato italiano non ha intrapreso nessun cosciente sperimento di collettivismo. I metodi tecnici nella coltivazione delle miniere sono ancor oggi scarsamente progrediti; la proprietà e l’esercizio delle imprese zolfifere è ancora frazionato, troppo frazionato. Ma è certo che lo stato italiano si è messo a capo – per motivi di fatto, spinto da considerazioni d’urgenza e quasi senza saperlo – di uno dei più interessanti sperimenti, se non di collettivismo, di regolazione e monopolizzazione di un’industria importante, a cui si possa oggidì assistere nel mondo intiero. La trasformazione del monopolio industriale in un istituto socialmente benefico: ecco il nuovo fatto voluto dal legislatore italiano. Se si tolgono pochi esempi di monopolio russi e tedeschi creati sotto l’egida dello stato, per motivi assai più strettamente capitalistici, noi non conosciamo altro esempio di tentativo così nuovo. Noi non siamo schiavi di apriorismi e riteniamo che la scienza debba studiare i fatti che la vita industriale moderna ci presenta nel suo continuo, febbrile sviluppo, anche se quei fatti non rientrano negli schemi classici dei vecchi trattatisti. Perciò pur facendone rilevare tutte le incognite, seguiremo con simpatia il nuovo tentativo italiano. Per ora ci limitiamo a dire delle ragioni che condussero alla costituzione del consorzio zolfifero.
Esse si riassumono nello stato di crisi cronica in cui versa da tempo l’industria zolfifera siciliana. Malgrado sia rimasta fino a pochi anni fa quasi l’unica provveditrice del mercato mondiale, le sue vicende non erano state sempre fortunate.
Nel 1800 le zolfare attive erano 300 con 16.000 operai, una produzione di 150.000 tonnellate, di un valore ognuna di 120 lire. La persistenza di alti prezzi fino al 1876 – in qualche anno i prezzi erano giunti a 142 lire la tonnellata – fa aumentare la produzione; la quale giunge a 329000 tonnellate nel 1879. Una prima crisi si produce, con il ribasso dei prezzi a lire 97,41 la tonnellata; ma fu di breve durata. Subito i prezzi si rialzano sino a 115 lire nel 1881 e con essi la produzione. Nel 1885 le miniere sono 347, la produzione è a 377.000 tonnellate, ma i prezzi sono caduti a 83 lire. È peggio negli anni seguenti: nel 1889 si cala a 67,50 lire. Una ripresa nella domanda porta nel 1891 i prezzi a 115 lire; ma porta anche le miniere attive a 581. Nel 1892 le miniere attive sono 657 ed i prezzi sono scesi a 95 lire. Scendono ancora più negli anni seguenti sino a toccare le 55,69 lire nel 1895. La crisi gravissima, le dimostrazioni dei zolfatai, i cui salari erano stati ridotti alla metà, stimolano alla ricerca dei rimedi.
Le cause della crisi erano, allora come adesso, le seguenti: la concorrenza irrefrenata dei coltivatori delle miniere di zolfo, chiamati gabelloti, i quali, nelle epoche di alti prezzi vanno affannosamente alla ricerca di miniere da coltivare, si obbligano a pagare estagli o fitti elevatissimi ai proprietari, e per rifarsi crescono la produzione; e quando i prezzi scemano, la crescono ancora per ripartire le spese su una quantità maggiore di minerale; la mancanza di capitali nei gabelloti, costretti, per pagare usure spietate, a vendere il minerale in anticipo; la disordinata vendita del minerale per far denari ad ogni costo, e le manovre speculative fatte da negozianti e spedizionieri per provocare ribassi di prezzo quando i produttori hanno bisogno di vendere; l’alto costo della estrazione, dovuta allo sminuzzamento delle miniere (nelle regioni minerarie lo zolfo appartiene al proprietario della superficie e questi, contrariamente all’opinione comune, sono moltissimi, per lo più piccoli e medi proprietari, restii ad unirsi insieme) ed alla difficoltà di applicare metodi tecnici perfezionati in intraprese troppo minute.
Nel 1895, quando la crisi imperversava fierissima ed i prezzi erano ridotti a 55 lire la tonnellata il rimedio venne dall’estero. A Londra nel 1896 si costituì l’Anglo-Sicilian Sulphur Company con un capitale di un milione e 35000 sterline, di cui versate 750000, la quale stipulò col governo italiano la convenzione del 27 luglio 1896 approvata colla legge del 22 luglio 1897, con cui lo stato aboliva tutte le tasse dirette e indirette governative e comunali – tranne l’imposta fondiaria e le tasse di registro – sulla produzione e sul commercio dello zolfo di Sicilia, sostituendole con una tassa unica di una lira per tonnellata di zolfo esportato; e la compagnia si obbligava ad acquistare tutto lo zolfo prodotto in Sicilia nel decennio dal 1 agosto 1896 al 31 luglio 1906, al prezzo fisso da lire 76 a 82 secondo le qualità, pagabile entro il mese dalla consegna. Era un tentativo di sindacato di vendita, libero però, in quanto i proprietari e gli esercenti potevano anche non vendere affatto lo zolfo alla Sulphur; e difatti questa non riuscì mai ad accaparrare più del 60% della produzione. Gli altri produttori, alcuni grossi e molti piccoli profittarono della fermezza impartita al mercato dalla costituzione della Sulphur, e si tennero in disparte per profittare al massimo dei prezzi alti. Gli effetti del nuovo stato di cose furono ottimi per i produttori; il prezzo corrente dello zolfo nel 1896 salì a 69,92 lire; nel 1897 balzò a 90,39, e negli anni successivi si è tenuto fra le 95 e le 96 lire. La Sulphur, che comperava dai produttori vincolati a circa 15 lire di meno per tonnellata, ha distribuito alle sue azioni di preferenza (L. st. 750.000 in capitale) il 6% ed alle sue azioni ordinarie (L. st. 35.000) il 50% di dividendo. Ciononostante la Sulphur non ha voluto sapere di rinnovare il contratto e col 31 luglio di quest’anno ha abbandonato l’intrapresa. Egli è che, dopo un decennio di prosperità l’orizzonte tornava a farsi oscuro per l’industria dello zolfo. Da un lato, sotto la spinta dei prezzi remuneratori, la produzione cresceva rapidamente specie nelle miniere non vincolate colla Sulphur. Le miniere attive che nel 1895 erano 432 nel 1904 erano diventate 800; gli operai impiegati da 24.194 passavano a 35.695; e la produzione progrediva da 352 a 496.000 tonnellate. Anzi, nel 1899 e nel 1901 si erano raggiunte persino le 537.000 tonnellate. La esportazione tanto sul continente italiano, quanto all’estero, continuava a progredire e passava da 364 a 506.000 tonnellate dal 1895 al 1904; mantenendosi l’equilibrio fra produzione e consumo. Ma negli ultimissimi anni un fatto nuovo si produceva: gli Stati uniti d’America che nel 1898 compravano 142.000 e nel 1902 ben 176.000 tonnellate di zolfo siciliano, nel 1904 ne comprarono appena 107.000 e nel 1905 circa 70.000.
La loro produzione – che prima si aggirava intorno a 1500 tonnellate, nel 1893 saliva infatti a 35.000 e nel 1904 a 194.000; e nel 1905 e 1906 si mantenne intorno alla stessa cifra solo per accordi intervenuti colla Sulphur e che ora sono spirati. Notizie ottenute per mezzo di indagini di ingegneri italiani recano che nella Louisiana esistono giacimenti di una ricchezza calcolata di 40 milioni di tonnellate; e che, mentre a causa dell’inclinazione e delle spezzature dei nostri giacimenti i lavori di ricerca, di avanzamento e di coltivazione sono spesso incerti e dispendiosi, le condizioni normali dello strato louisiano permettono di constatarne facilmente l’esistenza e la massa e di applicare il sistema di trivellazione, con un’ingegnosa combinazione di tubi e di sifoni, mercé cui lo zolfo può essere attaccato e fuso dall’esterno all’interno e riversato esteriormente allo stato liquido. Il costo sulla miniera dello zolfo louisiano sarebbe di lire 18,43 e potrebbe discendere a lire 13,31, mentre in Sicilia il costo è stato valutato in 35,76 lire la tonnellata. Una concorrenza formidabile si annuncia dunque, concorrenza che ha già ridotte moltissimo le nostre esportazioni verso l’America prima uno fra i principali mercati dello zolfo siciliano; ed ha fatto crescere gli stocks zolfiferi esistenti sugli scali della Sicilia a circa 550.000 tonnellate di cui 400.000 appartenenti alla Sulphur. Altra incognita codesta: allo spirare del contratto che cosa avrebbe fatto la compagnia inglese della rimanenza invenduta e da essa nei propri bilanci già largamente svalutata? L’avrebbe buttata sul mercato, facendo rinvilire i prezzi ed arrestando per un anno la vendita dei produttori?
II
Numero delle miniere attive aumentato da 432 ad 800; Produzione interna cresciuta da 350 a 500.000 tonnellate circa; produzione americana cresciuta dal nulla a quasi il terzo della produzione mondiale e con possibilità di rapida espansione a prezzi bassi; stock interno valutato in 550.000 tonnellate; rifiuto della Anglo-Sicilian Sulphur Company di rinnovare il contratto: e pericolo imminente di ritorno alle condizioni di concorrenza di un dieci anni fa: ecco i fatti ed i timori che diedero origine al nuovissimo consorzio obbligatorio zolfifero. Se si pensa che parecchie migliaia di persone sono interessate come proprietari o gabelloti alla prosperità dell’industria; che circa 200.000 persone, un diciottesimo della popolazione della Sicilia – tra operai, impiegati e le loro famiglie – dipendono per la loro esistenza dalle miniere, si capisce come la minacciante crisi provocasse molti a fare proposte, suggerimenti, ecc. Anni or sono i socialisti siciliani, in un memorandum al commissario civile per la Sicilia, avevano proposto l’espropriazione delle solfare e il loro esercizio da parte dello stato; ma la proposta apparve impraticabile, per il capitale vistoso richiesto per l’espropriazione e per i rischi che si sarebbero accollati allo stato coll’esercizio di un’industria aleatoria sia dal punto di vista tecnico che da quello economico. A poco a poco l’opinione pubblica siciliana, le camere di commercio di Girgenti, Caltanissetta, Catania e Palermo, il sindacato obbligatorio per gl’infortuni del lavoro finirono per fermarsi sul concetto di un ente creato per legge che obbligatoriamente riunisse tutti i produttori e gli esercenti ed effettuasse le vendite per conto comune. Anche una commissione, nominata dal consiglio superiore del lavoro per riferire sulle condizioni dei solfatai, concluse, su relazione dell’avv. Abbiate, favorevolmente alla creazione di un sindacato obbligatorio per la produzione e la vendita dello zolfo. La legge approvata dal parlamento, in parte sotto la pressione di minacciosi disordini dei solfatai di Caltanissetta, accoglie tale principio e gli dà forza obbligatoria.
Il consorzio obbligatorio di tutti i proprietari ed esercenti le miniere non è perpetuo e non si estende in apparenza alla produzione ed alle trasformazioni successive dello zolfo; è limitato a 12 anni ed ha per iscopo di vendere lo zolfo non lavorato per conto e nell’interesse comune di tutti i consorziati. Il legislatore ha quindi tolto ai proprietari ed esercenti miniere di zolfo della Sicilia quello che è un diritto riconosciuto a tutti dal codice civile: vendere a chi, quando ed a che prezzo si vuole i frutti del proprio lavoro e della propria industria. L’industriale siciliano rimane libero nella produzione dello zolfo; ma non può venderlo. La vendita è unicamente affidata al consorzio, il quale dovrà, è vero, venderlo a prezzo uguale per tutti, fissato per periodi, ed a chiunque ne faccia richiesta per l’esportazione nei mercati italiani ed europei; ma naturalmente venderà non secondo gli interessi individuali, ma secondo l’interesse collettivo reputato massimo di tutti i consorziati. Lo zolfo non sarà ammesso all’imbarco nei porti di Sicilia, senza una speciale richiesta del consorzio e non sarà ammesso al trasporto nelle ferrovie o in altri veicoli dell’isola, se non sia diretto ai magazzini consorziali o se la richiesta di spedizione non sia fatta dal consorzio.
Da questa prima limitazione al diritto di proprietà privata discende logicamente un’altra. Invano si sarebbe infatti costituito il consorzio col monopolio della vendita se i proprietari ed esercenti lo avessero potuto costringere a vendere tutta la quantità di zolfo che ad essi fosse piaciuto di produrre. Forse la crisi sarebbe stata attenuata, per la migliore organizzazione commerciale della vendita; ma col crescere della quantità prodotta – e questa sarebbe cresciuta certamente, dati i prezzi remuneratori, la facilità delle vendite, la sicurezza dei pagamenti, ecc. – i prezzi avrebbero dovuto rinvilire. Quindi l’articolo 4 della legge dà diritto al consorzio di limitare la produzione, quando le condizioni del mercato la rendano necessaria. vero che la limitazione deve essere circondata da opportune norme e garanzie statutarie, e deve essere approvata dal ministro d’agricoltura; ma è anche vero che i produttori di zolfo sono di fatto vincolati non solo nell’atto della vendita, ma anche in quello della produzione: possono produrre come vogliono, ma solo quanto piace al consorzio di lasciar loro produrre. Conseguenza necessaria – ripetiamo – dell’obbligatorietà del consorzio; ma conseguenza che involge una profonda trasformazione nella natura dell’impresa industriale privata la quale merita di essere attentamente seguita.
Notisi che le conseguenze sono gravi non solo per i produttori, ma anche per i consumatori. Limitare la produzione vuol dire vendere a prezzi più elevati, con scarso giubilo di quelli che devono comperare lo zolfo. Agli agricoltori italiani il legislatore ha pensato, imponendo al consorzio di vendere loro ad un prezzo non maggiore della media di quello segnato dalle mercuriali nel triennio precedente, diminuito del 5%. I viticultori italiani si rallegrino: essi non pagheranno lo zolfo più caro di quanto l’abbiano pagato in passato. Ma non dormano noncuranti sui cuscini di piuma; poiché senza un energico intervento delle loro cooperative di consumo, potrà ben darsi che i prezzi siano aumentati, se non dal consorzio, dai fabbricanti e dai grossisti a cui il consorzio venderà lo zolfo greggio per l’agricoltura nazionale. Per tutto il resto della produzione, i prezzi non sono vincolati; e in sostanza per gli italiani non v’è danno, perché sono i consumatori stranieri che ne faranno le spese, così piacendo alla concorrenza nord-americana. Questo è il motivo principale per cui i consumatori italiani possono guardare con indifferenza il costituirsi di un monopolio privato sotto l’egida dello stato: che esso cioè è un mezzo di sfruttamento dello straniero, il quale assorbe i sette ottavi dello zolfo prodotto dalla Sicilia. Tanto meglio per l’Italia se la Sicilia riuscirà a far pagare caro lo zolfo all’estero. Anche il governo cileno favorisce i sindacati del nitrato di soda, perché è interessato alla prosperità di quell’industria esportatrice. Il guaio si è che il Cile ha un quasi – monopolio naturale del nitrato di soda; mentre la Sicilia rischia di perdere il suo antico quasi – monopolio a causa delle nuove miniere della Louisiana. Come provvede la legge a scartare il pericolo delle 550.000 tonnellate di zolfo esistenti nei magazzini dell’isola? Tutti i propositi di difesa dei prezzi a poco avrebbero giovato se i detentori dello stock, e principalissimo la Sulphur, avessero potuto premere al ribasso sul mercato. Di nuovo la legge ha creduto necessario vulnerare il diritto di proprietà privata ed insieme un altro principio sacro ai giuristi: quello della irretroattività delle leggi. Le partite inferiori alle 15.000 tonnellate sono lasciate libere, reputandosi scarsa la loro influenza sul mercato; ma i detentori delle partite superiori (fra cui la Sulphur), nei primi dieci giorni d’agosto di quest’anno debbono dichiarare al consorzio se vogliono vendergli il loro zolfo al prezzo fisso di lire 59 per tonnellata, posto alla vela nei porti d’imbarco, ovvero affidarglielo per la vendita alle stesse condizioni dei produttori consorziati. Insomma lo stato dice ai vecchi produttori che detengono stocks di zolfo: voi avete prodotto il minerale in un’epoca in cui produzione e vendita erano libere; con tutto ciò io vi esproprio del vostro zolfo ad un prezzo fisso, quando voi non preferiate apportarlo nel consorzio nuovamente istituito.
Una difficoltà si presentava: quella del capitale necessario alla compra di tanto zolfo. Mezzo milione di tonnellate a 59 lire l’una corrispondono a circa 30 milioni di lire; somma egregia se si pensa che nelle casse del consorzio per ora di denari ce ne sono pochini. Di nuovo lo stato interviene a risolvere le difficoltà, autorizzando il consorzio ad emettere obbligazioni da 500 lire, fruttanti il 3,65% netto, esenti da ogni imposta presente e futura. Il consorzio pagherà i detentori degli stocks di zolfo con le obbligazioni e le rimborserà in dodici anni. Le obbligazioni sono garantite dallo stato, tanto in conto capitale quanto in conto interesse. Lo stato con un nuovo debito pubblico – sia pure coperto da una massa rispettabile di zolfo – interviene ad impedire le vendite precipitose di zolfo e la crisi minacciante la Sicilia zolfifera. Che cosa accadrà se i prezzi discendessero, per la concorrenza della Louisiana, parecchio al disotto delle 59 lire? Che cosa accadrà se il consorzio nei dodici anni non riuscisse, per le pressioni dei produttori interessati a vendere la massima quantità dello zolfo prodotto anno per anno, a disfarsi di tutto lo stock iniziale? I produttori non accuseranno il governo di spingere al ribasso, se volesse far vendere al consorzio gli stocks anche a prezzi ridotti? Aveva ragione il senatore Di Camporeale, nella sua relazione al senato, di dire che il primo periodo transitorio «è pieno di pericoli ed il governo sarà certamente chiamato responsabile di ogni possibile inconveniente». Quale risposta si darà quando altre industrie in crisi faranno appello al credito dello stato?
A premunirsi dai pericoli, il governo si è riservata una larga parte nella amministrazione del consorzio. Il quale sarà amministrato da un comitato di delegati composto di 50 membri, a cui sono conferiti i poteri dell’assemblea generale nelle società anonime, e da un consiglio di amministrazione composto di nove titolari, quattro supplenti e dal direttore generale. Nel comitato dei delegati entrano due membri nominati dal ministro di agricoltura, due dal consiglio generale del Banco di Sicilia, due dal complesso delle camere di commercio di Palermo, Catania, Girgenti e Caltanissetta; gli altri membri sono scelti dai consorziati, metà colla votazione per numero e metà colla votazione per interesse (un voto ogni 100 tonnellate di zolfo). I consorziati conservano anche la maggioranza nel consiglio d’amministrazione, ma è assai diminuita: infatti, il direttore generale è nominato dal governo; su 9 membri titolari, uno è nominato dal ministero d’agricoltura, uno dal Banco di Sicilia, uno dalle camere di commercio siciliane e sei dai consorziati; su quattro supplenti, uno è scelto dal ministro, uno dal Banco di Sicilia e due dai consorziati; in totale, su quattordici membri, sei sono di nomina pubblica ed otto sono scelti dai consorziati; e si noti che il direttore generale, vera anima dell’azienda, è di nomina regia.
Non avevamo ragione di dire che questo è un esperimento interessante di un monopolio rivolto sovratutto allo sfruttamento dei mercati stranieri, avente carattere semi-pubblico, creato dallo stato e posto sotto la sorveglianza e la responsabilità del governo? Che il legislatore italiano abbia trovato la formula intorno alla quale si affaticano da tanto tempo gli americani per fiaccare l’oltrepotenza dei monopoli privati e per renderli socialmente benefici? Giova sperarlo, perché lo stato italiano non ha risparmiato sacrifici per far si che lo sperimento riuscisse a buon fine: alleviamenti di imposte, di tariffe ferroviarie, istituzione di magazzini generali e di una banca di credito minerario con capitale fornito dal tesoro per due milioni a fondo perduto e per due milioni dal Banco di Sicilia. La storia industriale si arricchirà certamente negli anni venturi di un capitolo interessante. Auguriamo alla Sicilia ed all’Italia che il capitolo sia a lieto fine.