Una profezia sul franco
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 09/01/1924
Una profezia sul franco
«Corriere della Sera», 9 gennaio 1924
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 540-543
Il deprezzamento del franco francese si può, come quello di ogni altra moneta, misurare nel modo relativamente meno erroneo confrontando il franco col dollaro nordamericano. Dico «relativamente meno erroneo», perché a sua volta l’oro, a cui il dollaro è equivalente, è deprezzato in misura variabile in confronto alle merci. Il valore del franco in centesimi – oro è il seguente:
Franco francese Centesimi-oro
| Lire italiane Centesimi-oro | |
1919 agosto
| 66 | 56 |
1920 aprile
| 32 | 23 |
1920 ottobre
| 34 | 20 |
1921 ottobre
| 38 | 20 |
1922 aprile
| 48 | 28 |
1922 ottobre
| 38 | 22 |
1923 aprile
| 35 | 26 |
1923 ottobre
| 31 | 23 |
1924 gennaio
| 25 | 23 |
Ho aggiunto i corsi, pure negli stessi centesimi-oro, della lira italiana. Amendue le monete precipitarono nel 1920; poi amendue tornarono ad apprezzare. Ma la somiglianza di movimento si ferma qui. La lira italiana si può dire sia rimasta stabile da quasi tre anni intorno a corsi da 20 a 28 centesimi; mentre il franco francese, dopo essere risalito fino a 48 centesimi nella primavera del 1922, ebbe, dopo, una tendenza continua al ribasso, che lo ha ormai quasi condotto allo stesso livello della lira.
Il vizio principale della lira, oggi, è la sua variabilità «stagionale». In aprile rialza (23 nel 1920, 24 nel 1921, 28 nel 1922, 26 nel 1923) ed in ottobre ribassa (rispettivamente a 20,20, 22 e 23). Tanto i minimi come i massimi sono più alti nel biennio 1922-23 che nel biennio 1920 – 21; ma il divario tra le due epoche, ben note, di fabbisogno minimo (primavera) e massimo (autunno) per acquisti all’estero sono ancora troppo forti.
Il nostro problema urgente – diminuire gli scarti stagionali – è tuttavia un problema sovratutto tecnico-bancario. Nelle cifre riportate non v’è nulla che faccia temere un deprezzamento ulteriore. Oscilliamo ancora troppo; ma oscilliamo attorno ad un punto fisso, che parrebbe essere quello dei 25 centesimi-oro.
Invece il franco francese da due anni va giù: da 48 a 38, da 38 a 35, da 31 a 25. È una brutta piega. Quando si fermerà nella discesa?
In Francia, gli uomini politici, i giornali ed il pubblico attribuiscono il ribasso a macchinazioni tedesche, a speculazioni internazionali, e cioè alle mille incomprensibili ragioni con cui in tutti i paesi si sogliono giustificare i fatti spiacevoli. Invocano quindi fulmini e saette, ossia decreti e vincoli contro i malfattori dei cambi.
I provvedimenti, se anche saranno attuati per la soddisfazione della platea elettorale, producono in Francia lo stesso effetto che hanno prodotto in tutti i paesi dove furono applicati: zero via zero. Anzi, ulteriore peggioramento. Cause profonde dominano i corsi dei cambi, che non si possono mutare con decreti. Voglio accennare ad una sola, riproducendo una pagina profetica di quel vero gioiello che è il Tract on Monetay Reform pubblicato poco addietro dall’economista inglese forse oggi più noto nel mondo: J. M. Keynes. Il libro porta la data dell’ottobre ed è quindi anteriore all’ultimo tracollo del franco. Probabilmente fu scritto prima; ed il brano che riprodurrò rispecchia convinzioni manifestate nel Keynes da qualche anno e si fonda su dati di fatto della fine del 1922. A quella data all’incirca il Keynes profetizzava che il ribasso del franco francese sarebbe ineluttabilmente continuato fino a quando il contribuente francese fosse messo in grado dal ribasso del franco di pagare le imposte necessarie ad equilibrare il bilancio francese. Se il franco è a 50 centesimi-oro, i contribuenti vendono le derrate, le merci ed i servigi che producono ad un prezzo tale da avere, ad esempio, 100 miliardi di franchi di reddito annuo. Su questa cifra essi non sono disposti a pagare 30 miliardi di imposte, quante occorrono per equilibrare il bilancio. Il franco deve ribassare. Supponiamo che giunga a 25 centesimi-oro. A questo livello, siccome il franco vale la metà di prima, i prezzi delle merci, derrate e servigi crescono al doppio: il reddito nazionale di tutti i francesi sale a 200 miliardi di franchi deprezzati all’anno. Adesso, i contribuenti sono disposti a pagare, su 200 miliardi di reddito, 30 miliardi di imposte allo stato. Forse anche qualcosa di più, per fronteggiare le spese che crescono – non tutte crescono – col deprezzamento del franco. Il bilancio è in equilibrio. Non occorre più che il franco ribassi.
Questo, esposto un po’ grossolanamente, è il succo della pagina, che riproduco anche a dimostrare che qualche volta gli economisti colgono nel segno in materia di profezie:
«Alla fine del 1922 il debito interno della Francia, escluso del tutto il suo debito estero, superava i 250 miliardi di franchi. Ulteriori prestiti previsti per il periodo successivo, insieme con i prestiti di ricostruzione garantiti dal governo, potranno crescere il totale sino a 300 miliardi alla fine del 1923. Il servizio di questo debito assorbirà quasi 18 miliardi all’anno. Le entrate normali sono stimate nel bilancio provvisorio del 1923 a circa 23 miliardi. Il che vuoi dire che il servizio del debito assorbirà presto, al valore del franco corrente al principio del 1923, quasi l’intiero gettito delle imposte. Poiché le altre spese statali nel bilancio ordinario (escluse cioè le pensioni di guerra e le ulteriori spese di ricostruzione) non possono essere calcolate a meno di 12 miliardi all’anno, ne segue, anche nella ipotesi improbabile che le ulteriori spese del bilancio straordinario dopo il 1923 siano pagate dalla Germania, che il gettito delle imposte dovrebbe aumentare permanentemente del 30% per equilibrare il bilancio. Se, tuttavia, il franco deprezzasse, suppongasi, a 100 franchi la lira sterlina (circa 22 centesimi-oro) il bilancio ordinario potrebbe trovarsi in pareggio assorbendo con imposte poco più del reddito reale del paese di quanto ne assorbiva nel 1922».
Il Keynes, pur non nascondendo le sue simpatie per un altro metodo di pareggiare il bilancio, senza ingiusto danno per i creditori dello stato, non si nasconde che la via d’uscita più probabile sarà quella di pagare i debiti in franchi deprezzati:
«In queste circostanze sarà difficile, se non impossibile, evitare di fare ricorso al sottile aiuto di un ulteriore deprezzamento. Che cosa si deve pensare di coloro che ancora discutono seriamente il progetto di restaurare il franco alla sua antica parità? In tale ipotesi, il carico già insopportabile degli interessi dovuti ai creditori dello stato sarebbe quasi triplicato. È impossibile che il contribuente francese vi si adatti. Anche se il franco fosse con un miracolo ricondotto alla parità non vi si potrebbe fermare. Nuove emissioni di biglietti rese necessarie dalla insufficienza delle entrate lo tornerebbero a spingere lungo il piano inclinato del ribasso. Io ho tuttavia supposto la cancellazione di tutto il debito esterno della Francia e la assunzione da Parte della Germania del carico del bilancio straordinario dopo il 1923, cosa la quale non è giustificata dalle circostanze attuali. Questi fatti bastano da soli a rendere certo che il franco non può ritornare al suo antico valore. La Francia deve a suo tempo venire ad un compromesso fra l’aumento delle imposte, la diminuzione delle spese e la riduzione (col deprezzamento del franco) degli interessi ai creditori. Il livello del franco a lungo andare non sarà determinato dalla speculazione o dalla bilancia del commercio e nemmeno dai risultati dell’avventura della Ruhr, ma dalla proporzione del suo reddito che il contribuente francese consentirà a pagare per far fronte agli interessi dovuti sui titoli di debito pubblico. Il livello del franco continuerà a ribassare finché il valore in merci dei franchi dovuti ai creditori dello stato sia caduto ad una proporzione tale con il reddito nazionale che sia compatibile con le abitudini e la mentalità del Paese».
La teoria del Keynes è destinata a suscitare le più violente critiche in Francia; ma – a parte le osservazioni sui particolari – la verità sostanziale del principio che deve esistere un rapporto logico tra redditi dei contribuenti, valore del franco, imposte e spese pubbliche non può essere messa in dubbio.