Un volume in onore di un economista e storico
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/05/1931
Un volume in onore di un economista e storico
«La Riforma Sociale», maggio-giugno 1931, pp. 304-308
Saggi, La Riforma Sociale, Torino, 1933, pp. 285-291
In onore e ricordo di Giuseppe Prato – Saggi di storia e teoria economica. Editore il «Regio Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Torino». (Un vol. di pag. XLIV-675).
Ad onorare gli uomini, i quali hanno consacrato la vita agli studi si sogliono seguire, oltre quello dei busti e dei monumenti, con o senza discorsi, tre vie ugualmente degne: della silloge di taluni scritti più significativi o divenuti più rari dell’uomo; del simposio di scrittori volti ad illustrare, sotto vario aspetto, il suo pensiero scientifico e della raccolta di scritti, non connessi necessariamente con il retaggio spirituale dell’onorato, che gli autori vogliono dedicati al suo nome. Seguirono, per limitarci a cose italiane, il primo metodo il Bodio ed il De Stefani quando pubblicarono scritti dimenticati od introvabili di Francesco Ferrara (Memorie di statistica, pubblicate a cura di Luigi Bodio, in Annali di Statistica, Serie IV, n. 39, Roma, 1890), e di Angelo Messedaglia (Opere scelte di economia e altri scritti, a cura dell’Accademia d’agricoltura, scienze e lettere di Verona, 1920); il secondo il Giornale degli Economisti, quando convitò allievi ed ammiratori tra il 1893 e il 1896 e di nuovo nel 1924 e nel 1925 ad illustrare l’opera di Francesco Ferrara, di Vilfredo Pareto e di Maffeo Pantaleoni; il terzo un apposito comitato quando si tributarono onoranze a Tullio Martello (In onore di Tullio Martello, scritti vari, Bari, Laterza, 1917), a Giuseppe Toniolo (Raccolta di Scritti in memoria di Giuseppe Toniolo nel decennio della sua morte. Milano, Soc. Ed. «Vita e pensiero», 1929) ed a Camillo Supino (Economia politica contemporanea. Saggi di economia e finanze in onore di Camillo Supino, Padova, Cedam, 1930). Se si sia forzati a scegliere, vorrei fosse preferito il primo metodo, il quale consente agli studiosi di conoscere genuinamente e comodamente il pensiero dello scrittore; e vorrei lo usassero gli scrittori medesimi, i più atti a trascegliere quel che nella loro produzione scientifica è più significativo. Ma gli scrittori rinviano sempre l’ingrata bisogna e, se possono, aggiungono invece nuovi saggi agli antichi, rendendo più ardua la fatica del raccoglitore che verrà; o talvolta, come accadde per Ferrara, spregiano le cose proprie, pei lettori ammirande, perché ad essi, rileggendole, paiono scritte da altri.
Mi auguro che taluno raccolga, in giusto volume, le memorie storiche minori e talun altro saggio di Giuseppe Prato, che oggi fa d’uopo cercare in atti, per lo più, inaccessibili, di accademie od in raccolte di riviste: Censimenti e popolazione in Piemonte nei secoli XVI, XVII e XVIII; L’evoluzione agricola del secolo XVIII e le cause economiche dei moti del 1792/1798 in Piemonte; L’espansione commerciale inglese nel primo settecento nella relazione di un inviato sabaudo; Il problema del combustibile nel periodo prerivoluzionario come fattore della distribuzione topografica delle industrie; Un capitolo della vita di Giovanni Law; La teoria e la pratica della carta moneta prima degli assegnati rivoluzionari; Le ambizioni commerciali e marittime di un ministro piemontese del secolo XVII; Il programma economico politico della Mittel-Europa negli scrittori italiani prima del 1848; Le fonti storiche della legislazione economica di guerra: il calmiere delle pigioni, il controllo statale dei cambi in Piemonte nel 1798; Giacomo Giovanetti e il protezionismo agrario di Carlo Alberto nel Piemonte; Un tentativo di banco pubblico a Mantova nel 1626; La lotta contro il comunismo fondiario nel regno di Carlo Alberto; Pagine disperse di Francesco Ferrara; Le vie del transito commerciale in Piemonte nell’epoca preferroviaria; Francesco Ferrara a Torino; Il regime delle banche d’emissione in una polemica di sessant’anni fa: F. Ferrara contro C. Cavour; Sella e l’officina carte valori; Gli aspetti regionali del problema delle affittanze agrarie: Il Piemonte; Sguardo storico al progresso dell’economia agraria Piemontese; Gli albori delle assicurazioni in Piemonte. I più di questi scritti storici minori aprirono vie nuove alle ricerche di storia economica, vie per lo più neppur dopo seguite o migliorate; e tutti recano contributi di fresca fonte alla conoscenza delle vicende economiche dei tempi andati. Se ad essi si aggiungessero i due saggi Sulle dogane interne nel secolo XX: il mercantilismo municipale e Sulle premesse economiche del contratto collettivo di lavoro, memorabili nella letteratura economica, si avrebbe un volume atto ad integrare le opere maggiori: Il costo della guerra di successione spagnuola e le spese pubbliche in Piemonte dal 1700 al 1713; La vita economica in Piemonte a mezzo il secolo XVIII; Il protezionismo operaio (rifatto in Le protectionnisme ouvrier); Problemi monetari e bancari dei secoli XVII e XVIII; Fatti e dottrine economiche alla vigilia del 1848: l’associazione agraria subalpina e Camillo Cavour; Il Piemonte e gli effetti della guerra sulla vita economica e sociale; Risparmio e credito in Piemonte nell’avvento dell’economia moderna, che lo studioso più agevolmente riesce a procacciarsi. Quel volume avrebbe consentito di vedere che cosa abbia significato Prato nel mondo italiano degli economisti e degli storici del primo trentennio del presente secolo. Chi, nello scorrere le pagine degli storici su cose economiche fu urtato dal linguaggio vago e non appropriato il quale annebbia la materia narrata e tanto più la annebbia quanto più lo storico si affanna ad usare strumenti di interpretazione supposti cavati dalla scienza economica e sono invece meri grimaldelli buoni ad aprire tutte le porte e quindi nessuna; chi rimase scandalizzato alla vista di economisti persuasi di scrivere storia quando invece accozzano fatterelli disparati da tempi e luoghi diversi e li sottilizzano in schemi i quali, per essere belli, devono rimanere astratti; chi tante volte soffrì la tentazione di buttar dalla finestra libri di storici privi di intuito economico o di economisti ignari dei principi elementari della critica storica, quegli sa che cosa valga Prato.
Senza voler nulla scemare al valore storico di quella scuola che il Croce chiamò «economico giuridica» ed alla quale egli dedicò un capitolo (il XVIII) della sua Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, v’è un’altra storiografia che io vorrei chiamare semplicemente «economica» ed è fatta da coloro che sanno veramente che cosa sia la scienza economica e soprattutto hanno il senso economico e nel tempo stesso conoscono i limiti del sapere e del fatto economico. Quindi non inseriscono interpretazioni economiche là dove esse non valgono; apprendono dagli storici il metodo e cioè la critica dei dati, degli avvenimenti e dei documenti che li contengono, accettano dagli statistici rappresentazioni di fatti di masse e medie ed indici ma sanno che la storia si occupa di fatti accaduti che sono sempre individuali e non sublimazioni da moltitudini di fatti ripetuti e simiglianti. Questi storici economisti sono modesti e non offrono una filosofia intera delle vicende umane; ma quel che offrono è una esposizione di vicende economiche sicuramente genuina, ben criticata e bene interpretata; sicché gli storici compiuti, gli storici filosofi se ne possono giovare con animo tranquillo. Non so se questa offerta di storia delle idee e dei fatti economici fatta da chi sa la scienza economica sia cosa da molto o da poco. Mi pare certamente dappiù che l’offerta della stessa storia fatta da chi la scienza economica non sappia, e mi pare anche certamente necessaria, qualunque sia poi l’uso che ne faranno gli storici ed i filosofi. Di questa scuola di «storiografia economica» il Prato fu nel primo trentennio del secolo campione valorosissimo, il solo che per tanti anni rimase sulla breccia e col quotidiano esempio non si stancò di mostrare come si faccia a scrivere storia di economia, a scoprire memorie ignorate importanti per lo studio della letteratura economica (si ricordino quelle di Law e di Vasco), e soprattutto a scoprir problemi e ad illuminarli con la esperienza presente, rischiarando a sua volta questa con i risultamenti della esperienza passata.
Dopo fatta la quale digressione intorno ad un volume di silloge degli scritti minori (minori per mole, non per significato) del Prato, che io mi auguro possa venir pubblicato, dico che l’Istituto di Torino, nel quale il Prato insegnò, tenne altra via, e precisamente la terza, che in Italia aveva avuto precedenti nelle raccolte in onore di Martello e di Supino. Scrittori di varie simpatie intellettuali inviarono saggi non legati tra loro e coll’onorato se non dal vincolo della comune estimazione per lui. Ed è anche bello quest’accordo e vantaggioso agli studi. Accanto alle riviste, le quali pur intendono a raccogliere contributi al progresso scientifico, si hanno così, quasi in quaderni straordinari o supplementi indipendenti, collezioni di scritti rappresentativi di un determinato momento della scienza. Nella presente raccolta direi che gli storici vengono, non solo primi nell’ordine delle pagine, ma nell’importanza del contributo.
Così doveva essere dato l’uomo che si voleva onorare. Armando Sapori, Gino Luzzatto, Roberto Cessi, Salvatore Pugliese, Riccardo Bachi, Anselmo Bernardino, Alfredo Pino Branca, illustrano, punti particolari, non di rado nuovi, della storia economica italiana; ed un punto particolarissimo sulla cronologia degli scritti di Bodino tocca uno straniero, l’Hauser. Sono questi gli scritti che immagino più vicini al cuore del Prato il quale, per quanto fosse scarso estimatore di molti filologi della razza dei cacciatori di inedito, era assai sospettoso delle storie generali scritte senza solida preparazione di particolari. Ed i saggi del Lipson, del See e del Barbagallo gli avrebbero fornito forse lo spunto ad utili approfondimenti.
Tra gli scritti della parte seconda, su dottrine e teorie, sospetto che Prato si sarebbe compiaciuto soprattutto nel leggere la fine stritolatura degli istituzionalisti americani, compiuta da Morgenstern, egli che diffidava della storia e dell’economia scritta da quegli economisti tedeschi della scuola storica, di cui gli istituzionalisti americani per un certo rispetto paiono una lontana derivazione. Ed avrebbe trovato campo a meditare nelle riflessioni di Gobbi connesse con quel problema della tassazione del risparmio, che fin dal primo momento in cui fu posto in Italia tanto lo aveva interessato. Il diligente esame di Carano Donvito sugli economisti pugliesi gli avrebbe fatto riandare analoghi ammaestramenti degli economisti e cameralisti piemontesi, di cui era peritissimo. Nella terza parte (politica economica) il contributo di Porri allo studio dei controlli, ostacoli e favori al movimento internazionale dei capitali e le variazioni ironiche di Ricca Barberis intorno ai vincolismi sui fitti degli alberghi si riconnettono a qualcuno degli argomenti – ostacoli agli spostamenti operai e legislazione vincolatrice – su cui più si era esercitato il suo ingegno critico rievocatore di precedenti storici a proposito di novità moderne. E bene fece Epicarmo Corbino a studiare gli effetti più recenti di quel protezionismo operaio che Prato per il primo aveva indagato. Del Vecchio, De Maria, Chessa, Gruntzel, Benini, De Pietri Tonelli, Insolera, Savorgnan, Loria, Griziotti, Garino Canina, Westerfield, Virgilii, Williams, Niceforo e Michels, ecco i nomi di altri collaboratori egregi al bel volume. Del quale tuttavia la perla, a mio giudizio, è l’introduzione del Marion e del Porri, come di quello in onore di Tullio Martello sono le 179 pagine di Vita anedottica ed opera scientifica di T.M. scritte da Angelo Bertolini. Qui le pagine sono minori di numero, ma egualmente degne. Marcel Marion, insigne rappresentante di quella moderna scuola di storia economica francese che in breve tempo ha conquistato così gran posto nella estimazione dei dotti, mette in luce il valore universale delle opere storiche di Prato. Il quale studiò il Piemonte; ma, poiché studiò a fondo e padroneggiò da maestro la materia, diede un contributo di prim’ordine alla storia economica dell’Europa. La stupenda memoria su Il problema del combustibile nel periodo prerivoluzionario dovrebbe essere meditata e imitata dagli storici della rivoluzione francese. «En faisant de l’histoire italienne, M. Prato s’est trouvé faire de l’histoire plus générale». È vero, ed è vero il paragone che il Marion fa di Prato con quei grandi lavoratori che si chiamarono Fustel de Coulanges, Levasseur e Lavisse. Questi ebbero gran fama, perché la meritavano; ma anche perché scrissero in una lingua universale e trattarono di argomenti a cui la lingua e la fortuna del luogo hanno dato risonanza mondiale. Prato non meritava minor fama; in compenso e nella cerchia più ristretta di coloro che in avvenire coltiveranno il suo medesimo terreno, nessuno potrà dimenticare di prendere le mosse da quel che egli scrisse, e non di rado chi si cimenterà, nell’arringa dovrà riconoscere che nulla di essenziale occorre aggiungere alle sue conclusioni.
Quanto belli e commossi i ricordi di Vincenzo Porri, che fu di Prato allievo collega ed amico! Dalla fanciullezza quei ricordi lo accompagnano via via, attraverso la giovinezza lieta di studente, la infastidita pratica di avvocato, il Laboratorio di Economia politica, gli archivi, la cattedra, le nozze, la famiglia e la morte dolorosa, stoicamente veduta venire avanti a poco a poco, ed allontanata dallo spirito con la tenacia posta nel lavoro. A piè di pagina sfilano i titoli delle pubblicazioni del Prato che molti meraviglieranno siano state tante ed in campi così disparati. Come, giovanissimo, egli abbia polemizzato con Novicow sulla guerra e la pace e ripubblicato versi di dimenticati rimatori; e poi partecipato alle campagne del vescovo Bonomelli e dell’egittologo Schiaparelli a pro’ dei fanciulli italiani emigrati in Francia; e sempre difese le tradizioni conservatrici e liberali contro le condiscendenze giolittiane e la demagogia bolscevica; come, sul letto di morte, forse poche ore prima di scomparire avvertisse nel ristabilimento delle condizioni di sicurezza, giustizia, moneta buona, perenni fondamenti di grandezza degli Stati, le ragioni della risurrezione operata da Emanuele Filiberto nel desolato Piemonte del 1559; questo ed altre molte cose, ben dette, sono la materia delle affettuose pagine, scevre da adulazione, consacrate dal Porri alla memoria dell’amico scomparso. Il quale indubbiamente gioirà nel vedere la cattedra da lui per primo coperta affidata all’amico devoto. Così la face degli studi severi si tramanda di generazione in generazione!