Opera Omnia Luigi Einaudi

Un banchiere ministro delle Finanze

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1920

Un banchiere ministro delle Finanze

«Bollettino economico finanziario dell’Associazione bancaria italiana», 1920, pp. 345-348

 

 

 

Del signor François Marsal, ministro delle finanze nel gabinetto Millerand, non so altro se non che egli, prima di essere deputato e ministro, era banchiere, direttore di un grande istituto parigino; e, come tale, godeva di stima amplissima nel mondo industriale e commerciale francese. In Germania, nei primi anni di guerra, avevano posto al ministero delle finanze il signor Hellferich, economista universitario prima e banchiere poi; ed aveva, a quel posto, fatto ottima prova. In Francia, stanchi dei generici della politica, hanno ora seguito la stessa via.

 

 

Per quanto se ne può giudicare, i nostri vicini non hanno che da felicitarsene. Pochi giorni dopo la formazione del suo gabinetto, il signor Millerand esponeva con queste parole sobrie il programma finanziario del governo: «non credo che lo Stato possa essere amministrato con regole diverse da quelle di un’impresa industriale ben condotta». In che modo il nuovo ministro delle finanze ha cercato di attuare il proposito del suo capo?

 

 

Una cifra basta a dare un’idea prima, ma suggestiva delle condizioni in cui dopo otto mesi di governo del banchiere ministro si trova il Tesoro francese. Nel secondo semestre del 1919 lo Stato aveva ancora dovuto ricorrere ad anticipi presso il suo fornitore di fondi, la Banca di Francia, per 2 miliardi. Al 2 gennaio 1920, la cifra delle anticipazioni consentite dalla Banca di Francia al Tesoro ammontava alla formidabile somma di 25 miliardi ed 850 milioni di franchi. Al 26 agosto la stessa cifra si era ridotta a 25 miliardi ed 800 milioni di franchi. Sono pochi 50 milioni di meno; ma sono il principio di un periodo nuovo, in cui il Tesoro comincerà a rimborsare le anticipazioni e la Banca di Francia potrà cominciare a ridurre la circolazione. Finora, tra le stesse date del 2 gennaio e 26 agosto, l’ha ancora aumentata: da 37.660 a 37.904 milioni; ma l’aumento è minore assai che in Italia e non è dovuto ad alcuna responsabilità diretta od indiretta del governo. Il fatto d’aver ridotto di 50 milioni le anticipazioni della Banca al Tesoro, significa che il Tesoro ha potuto far fronte alle sue enormi spese, da 3 a 4 miliardi al mese fra spese ordinarie e straordinarie, correnti o di liquidazione, con i proprii mezzi, imposte e prestiti, senza farsi imprestare un centesimo dal proprio banchiere. Il signor François Marsal spera di potere rimborsare alla Banca prima che finisca l’anno una buona somma, così da ridurre le anticipazioni a 24 o 25 miliardi. Vedremo i fatti. Intanto, il passo più importante e difficile è compiuto: si è girata la svolta critica e la cifra più inquietante di tutte nel bilancio dello Stato comincia a diminuire.

 

 

I bilanci dei paesi belligeranti non possono mettersi sulla buona via, se non agendo sui due piatti della bilancia: sulle spese e sulle entrate, diminuendo le une e crescendo le altre; anzi prima e sovrattutto comprimendo le spese e poi aumentando il gettito delle imposte. E, in fatto di spese, il primo e principale mezzo di riduzione è quello di ritornare al buon sistema pre-bellico, di vendere la roba per quel che vale. Le idee economiche si sono talmente confuse nella testa della gente, che oggi sembra naturalissimo che i consumatori paghino 5 o 3 o 2 o niente, quel che vale e costa 10. Il torchio dei biglietti ha rovinato l’immaginazione del pubblico e gli fa credere che sia possibile seguitare a far pagare allo Stato, senza sacrificio di nessuno, la differenza fra il costo alto ed il prezzo basso delle merci. Il signor François Marsal si persuase subito che il sistema illusorio non poteva seguitare a lungo senza condurre dritti dritti lo Stato al fallimento. Anche in altri Stati vi sono uomini di governo e ministri del Tesoro, i quali veggono il precipizio; ma le preoccupazioni politiche paiono più gravi dell’inabissarsi graduale verso il disordine. Per un banchiere, invece, il conto del dare e dell’avere ha più importanza delle schermaglie parlamentari; e così fu che il prezzo del pane è stato rialzato in Francia al livello del costo del grano interno; poiché il disavanzo dell’erario si limiterà quest’anno entrante alla differenza fra 100, prezzo interno, e 145, prezzo estero, su 15-20 milioni di frumento importato dall’estero. Il deficit è ancora di forse 1 miliardo di franchi; ma quanto lontano dai 7 miliardi che si annunciano in Italia!

 

 

Cessati gli acquisti di carne congelata, di grassi, di zuccheri, elevate le tariffe ferroviarie e postali, si può dire che le perdite dell’erario per la vendita di merci sotto costo vanno rapidamente scomparendo. Ed un Comitato d’inchiesta sulle economie possibili nei diversi ministeri ha già ottenuto apprezzabili risultati. Invece di almanaccare nuovi monopoli fiscali disastrosi, il ministro francese, se non presta facile orecchio alle proposte nord-americane di compra del monopolio dei tabacchi, è pronto a riconoscere che i metodi francesi di produzione e vendita del tabacco sono antidiluviani e burocratici, e che i metodi americani renderebbero assai di più.

 

 

Quanto alle imposte, si possono far rendere di più le vecchie ed istituirne delle nuove. Le vecchie imposte rendono di più dappertutto, spontaneamente, per il gioco del rinvilio della moneta e dei cresciuti redditi e spese dei cittadini. Ma possono essere spinte a rendere ancora di più, con l’applicazione rigorosa delle multe per i contravventori e con sanzioni a carico dei funzionari i quali non applicassero le multe per debolezza verso le raccomandazioni di influenti parlamentari. Ad un banchiere non vien neppure in mente di rinunciare all’interesse sui suoi crediti od alle provvigioni consuete sugli affari fatti, per pietà verso il debitore o per rispetto umano verso amici influenti. Egli sa che in fondo a queste condiscendenze c’è la rovina della banca ed il danno di coloro i quali hanno avuto fiducia in lui. Applicando gli stessi criteri, pare assodato che in Francia le entrate del 1920 supereranno di ben 4 miliardi le previsioni del bilancio preventivo.

 

 

Le nuove imposte sono, in seguito ad una discussione durata quasi un semestre attraverso alla Camera ed al Senato, state fissate in circa 8-9 miliardi di lire. Il signor Francois Marsal non ha chiesto nulla alle nuove imposte democratiche e demagogiche, che fanno furore in questo momento in Italia; fissata al 30 giugno 1920 la fine definitiva della imposta sui sopraprofitti di guerra, egli si è rifiutato di sostituirvi alcunché. Le imposte sul patrimonio, sugli aumenti di patrimonio, sugli aumenti di valore dei beni immobili, tutto il caleidoscopio di novità con cui si cerca in Italia di persuadere il buon pubblico che esistono fonti grandiose, non toccate, di proventi per la pubblica finanza, non hanno avuto fortuna ai suoi occhi. Un banchiere sa che esistono due sole specie di bilanci per un individuo e per la collettività: il conto patrimoniale di fine d’anno ed il conto profitti e perdite dell’esercizio annuo. Egli sa ancora che se il conto patrimoniale subisce una perdita od ottiene un beneficio, l’istessa perdita o beneficio deve essere registrata nel conto profitti e perdite dell’esercizio. Si ha un bel dire che il patrimonio deve essere falcidiato di un decimo; per necessità assoluta questa falcidia si ripercote sui benefici dell’annata. Epperciò, invece di logorarsi il cervello nell’escogitare nuovi nomi per imposte vecchie, François Marsal si attenne alle vecchie tradizionali fonti d’imposta. Fino a concorrenza di 3 miliardi egli passò in rassegna le imposte sui redditi, quella globale sul reddito, quelle di bollo, registro, successioni. Ne ritoccò le aliquote, ne migliorò l’assetto; le costrinse a rendere di più. Per nessuna delle grandi imposte egli toccò le altezze fantastiche a cui si arriva in Italia, tenendole, specie per i redditi e le successioni notevolmente al disotto.

 

 

Non può entrare invero nella testa di un banchiere l’idea, cara ai socialisti e popolari nostrani, che, per ottenere un maggiore rendimento delle imposte, occorre distruggere la base imponibile. Per il resto, 5 miliardi circa, si dovette escogitare una nuova imposta: quella chiamata sul giro degli affari. Anche qui si vide la praticità dei finanzieri francesi. Di fronte a masse operaie e contadine che si rifiutano di pagare le imposte sui redditi, che fanno sciopero contro le ritenute d’imposte operate dagli imprenditori, di fronte a tribunali che non osano mandare in carcere i contravventori, i finanzieri francesi, i quali sanno che il bilancio non si mette in ordine se non facendo appello a contributi delle grandi masse, hanno adottato il partito di un’imposta generale sulla spesa.

 

 

La Francia non volle insistere nel tentativo, non riuscito prima, di colpire con una tassa di bollo ogni singola vendita, perché si colpissero le vendite di tutte le merci o soltanto quelle delle merci di lusso (sistema decretato, ma non ancora applicato in Italia). Fastidi senza fine per venditori e compratori: per il compratore, che si irrita di veder colpito ogni oggetto, che non capisce la differenza fra merci di lusso e merci usuali; per il venditore, portato a diventare connivente col compratore, col frazionare ogni vendita in tante piccole vendite inferiori al minimo, che deve pur fissarsi se oggetto dell’imposta è ogni singola vendita. Grida dei giornali contro i venditori che pagano 3 alla finanza ed arrotondano in 5 per il compratore, pagano 6 ed arrotondano in 10.

 

 

Ad evitare evasioni e dispute, il signor François Marsal insistette per fare approvare il concetto dell’imposta non sulle vendite, ma sul giro d’affari. Tutti i commercianti e tutti i fabbricanti, anche in Italia, hanno propugnato questo sistema. A che pro bolli e pagamenti per ogni vendita? Si verifichi ad ogni mese, ad ogni quindicina il nostro giro d’affari e si carichi l’1% su di esso (a merci usuali), o il 10% (merci di lusso, con contabilità a parte). L’1% o il 10% entrerà nelle nostre spese generali; lo caricheremo, insieme col resto, sul prezzo. Nessuno se ne accorgerà, nessuno strillerà. Si calcolano 79 miliardi di merci e servizi tassabili vendute al compratore ultimo ogni anno in Francia: ma quanti passaggi ha dovuto far la merce per arrivare al compratore definitivo? A quanti giri d’affari, presso il fabbricante, l’importatore, il grossista, il mezzo grossista, il dettagliante, ha dato origine? Per ogni volta pagherà l’1%. L’esazione, se non facilissima, sarà enormemente più facile che non la tassazione dell’oggetto singolo. La finanza riscuoterà miliardi; e saranno chiamate a contribuire le masse percettrici di redditi fino ai 6000 franchi, che oggi poco o nulla pagano a titolo di imposta sui redditi.

 

 

La finanza del signor Marsal non è esente da difetti; ma è semplice, business-like e produttiva. Oggi non si può più rimproverare alla Francia di non avere messo imposte. Il suo bilancio di entrata dai 5 miliardi prebellici sta avviandosi ai 20 miliardi e quasi copre il bilancio delle spese ordinarie. Rimangono fuori le spese straordinarie di ricostituzione delle provincie invase e quelle che il Trattato di Versaglia addebita alla Germania. Lo sforzo compiuto è gigantesco. Dopo quello dell’Inghilterra, e sebbene le sue condizioni economiche e demografiche sembrassero qualche tempo fa peggiori di quelle dell’Italia, è lo sforzo più riuscito tra tutti quelli compiuti dai paesi belligeranti. E fu compiuto senza confische, senza finanza dell’avvenire, tenendosi stretti ai canoni tradizionali della finanza seria.

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