Tabelle speciali
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/04/1923
Tabelle speciali
«Corriere della Sera», 28 aprile 1923
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 215-219
Parlo delle tabelle per la valutazione dei redditi agrari e le chiamo «speciali» per distinguerle da quelle «generali» che il ministero delle finanze ha pubblicato, provincia per provincia, affinché servissero di guida agli agricoltori nel fare le proprie denunce.
Le tabelle «generali» sono state utilissime e fece molto bene il ministero delle finanze a divulgarle. Ma, appena furono conosciute, tutti gli agricoltori vi si precipitarono sopra e le trovarono, come era naturale, piene di errori. L’essere piene di errori, a parer mio, non è da ascriversi a colpa del ministero. Il concetto delle tabelle fu ottimo; ed i difetti sono rimediabilissimi e furono la conseguenza fatale delle circostanze. Si doveva fare in fretta e compilare una specie di tariffa catastale generale per tutto il regno in pochi giorni. Cosa impossibile, ché il catasto, se si deve fare bene – altrimenti è inutile neppure cominciarlo – richiede anni di lavoro accuratissimo. A fare in fretta, non esistono sussidi. Al ministero di agricoltura non hanno una statistica dei prodotti agrari aggiornata e non posseggono un quadro attuale dei contratti agrari. Al ministero delle finanze non esiste nulla. La confederazione generale dell’agricoltura, interpellata in proposito, non poteva da sola avere le conoscenze tecniche possedute dai comizi agrari, dalle cattedre ambulanti, dalle associazioni agrarie sparse in tutta Italia.
Ne sono venute fuori le «tabelle»; pregevole avviamento a migliori rilevazioni future; ma per ora gravate di un pondo non piccolo di incongruenze manifeste. Ne enumero talune, traendole dai rilievi che mi giungono di giorno in giorno:
1) Non esiste proporzione tra provincia e provincia. Terreni vicinissimi sono tariffati con gravi differenze solo perché accidentalmente appartengono a province diverse.
2) Sembra, ispezionando le tabelle, che si sia partiti dall’ipotesi che, se un ettaro di seminativo frutta un prodotto lordo di 100, ove sia coltivato in economia con braccianti (metodo primo) dia 100 anche se il proprietario è coltivatore diretto (metodo secondo) o invece il fondo è dato a mezzadria (metodo terzo). Il che è contrario all’esperienza più volgare; essendo certo che il prodotto lordo è il minimo nel terzo metodo; e per lo più è massimo nel secondo, salvo alcune zone di grande progresso tecnico, in cui il primo metodo ha la palma.
3) Il difetto sarebbe tollerabile e si potrebbe anche sostenere vantaggioso – almeno per chi, al par di me, si mette dal punto di vista dell’oggettività dell’imposta – ove si fosse voluto creare un’imposta reale sull’industria agraria in se stessa considerata. Mi auguro che ciò si faccia in avvenire, coordinando tuttavia questa con l’imposta fondiaria; ma per ora il legislatore ha voluto dare al tributo un carattere personale. Di qui il guaio che il mezzadro è colpito come se ottenesse dalla terra lo stesso prodotto lordo del proprietario coltivatore dei proprii beni; ossia è sovratassato.
4) Se ho capito bene, si è concepito la mezzadria secondo il tipo classico della famiglia colonica in cui col capoccia stanno spesso fratelli e figli maggiorenni. Il che può essere vero qua e là; ma non è vero dappertutto. Si è arrivati quindi all’errore di considerare il proprietario coltivatore di beni proprii come possessore solo delle proprie braccia e di quelle della moglie e dei figli minorenni; mentre il mezzadro fu considerato provvisto altresì delle braccia di un certo numero di figli e fratelli maggiorenni. Quindi il suo reddito netto è risultato sproporzionatamente alto. È vero che gli si concesse la detrazione del quarto; ma questa non compensa l’ingiustizia commessa ai suoi danni e non rimedia affatto l’errore di aver supposto quel contratto capace di produrre l’identico prodotto lordo raggiungibile con gli altri contratti.
5) La differenza nel reddito tassabile a causa della pura differenza di contratto è fonte di lagnanze vivissime. Molti prognosticano una tendenza nei prossimi anni a passare dai contratti a mezzadria a quelli a paga fissa in natura, in cui il contadino non paga imposta. Il pericolo è realmente grave nelle regioni in cui i due contratti coesistono; e sarebbe una sciagura sociale ed economica. Gran parte del malanno derivò dall’aver concepito la nuova imposta come una parte dell’imposta di ricchezza mobile, per la quale esiste dal 1864 un pessimo articolo 32, che non concede detrazioni per il salario pagato ai membri della famiglia. È un articolo ingiustissimo, che andrebbe abolito in gran fretta anche per i redditi mobiliari, come quello che sancisce l’immoralità di premiare il contribuente, la cui moglie ed i cui figli non lavorano nell’azienda paterna e di punire le famiglie laboriose ed ordinate. Almeno non lo si doveva estendere all’imposta agraria, la quale con quella di ricchezza mobile non ha nulla da spartire.
6) Sembrerebbe, a guardar le tabelle, che in Italia esistessero solo quattro modi di condurre i terreni: affitto, economia, coltivazione diretta del proprietario e mezzadria pura. Mentre i contratti sono variabilissimi ed i tipi ben più numerosi.
7) Il valor locativo da dedursi perché già tassato con l’imposta fondiaria è noto in certe zone; per esempio, nella gran pianura padana, dove dominano le affittanze. Altrove è pressoché sconosciuto; ed i rarissimi casi noti sono dovuti a circostanze eccezionali e non possono assumersi a regola. Il Serpieri propone perciò di dedurre, a titolo di presunto valor locativo, un multiplo – per esempio, quattro volte – dell’importo delle imposte e sovrimposte pagate dal contribuente. È un criterio pratico raccomandabile, il quale avrebbe anche il risultato morale di impedire la rovina di coloro, il cui reddito era già stato assorbito dal bolscevismo tributario imperante in tanti comuni.
8) Finalmente, la classificazione dei terreni in prima, seconda e terza classe è quanto di più dubbio si possa immaginare. A ben riflettere, non basta copiare la classificazione adottata nel catasto del proprio comune. Un seminativo può essere di prima classe perché gli altri terreni del comune sono ancor peggiori; ma diventa di seconda o di terza classe, se si ha riflesso ai seminativi di gran lunga migliori degli altri comuni della stessa provincia. Alcuni ispettori avrebbero pensato di invitare le agenzie a classificare i terreni badando all’intiero distretto di agenzia e non ai singoli comuni; ed il temperamento è l’inizio dell’equità. Bene si farebbe, nelle province a nuovo catasto, dove la cosa è facilissima, a compilare una classificazione provinciale dei terreni a norma dell’estimo catastale.
A ridurre i difetti delle «tabelle» vanno sorgendo qua e là iniziative per la compilazione di «tabelle speciali». La camera provinciale dell’agricoltura di Reggio Emilia ha pubblicato una sua tabella. In Piemonte, so che taluni comizi agrari lavorano alacremente allo stesso intento. Si tratta di compilare tabelle le quali tengano conto della situazione speciale delle singole zone agrarie, dei contratti agrari vigenti, della effettiva produttività e classificazione dei terreni.
L’iniziativa è legale, perché in virtù dell’art. 14 ogni contribuente ha diritto di denunciare la cifra del proprio reddito netto; ed è bene che enti locali competenti curino le denunce in maniera uniforme e razionale.
L’iniziativa deve essere guardata con favore dalla finanza, in quanto essa dalle tabelle «speciali» può ricavare notizie preziose per la correzione delle sue proprie tabelle per l’anno venturo e sovratutto per l’aggiornamento del catasto e la futura permanente sistemazione del tributo.
Dico anzi che la finanza dovrebbe incoraggiare dappertutto la compilazione delle tabelle; e poiché il tempo stringe ed a voler davvero far presentare le denunce complete entro il 30 aprile si avranno pasticci e reclami senza fine e ritardo sostanziale ben più grande, metto avanti una proposta: che la data del 30 aprile sia tenuta ferma; ma si consideri sufficiente la denuncia fatta per iscritto entro tal giorno al sindaco del comune del nome, cognome, fondo posseduto e natura del metodo di conduzione, con dichiarazione di rimettersi, quanto al reddito, alle tabelle generali del ministero od a quelle speciali compilate da enti o corpi o commissioni locali.
Bisogna ricordare che, dopo tutto, le denunce non sono un elemento essenziale nella tassazione dei redditi agrari. Ragion vorrebbe se ne facesse a meno; come benissimo si fa per il catasto. La ragione delle denunce è tutta formale e consiste nell’irrazionale innesto di questo tributo sul tronco estraneo e ripugnante dell’imposta di ricchezza mobile; la quale, del resto, ha fatto progressi straordinari senza che, di fatto, nessuno si preoccupasse delle denunce. Si faccia in modo che l’elemento estraneo e trascurabile non assuma importanza principale. L’essenziale è far pagare una addizionale alla fondiaria col metodo più economico ed equo possibile. Ed a ciò saranno utilissime, in aggiunta a quelle generali, le tabelle speciali; contro di cui io mi auguro ed anzi sono sicuro che l’on. De Stefani vorrà disporre che gli agenti si astengano dal ricorrere per principio. Poiché le tabelle generali sono manifestamente esagerate e sovratutto squilibrate, la finanza non dovrebbe ricorrere contro le tabelle speciali se non con molta moderazione. Perché, anzi, non investire del problema della revisione delle tabelle generali e speciali le risuscitate commissioni censuarie, al posto delle incompetenti commissioni delle imposte dirette, dove commercianti, industriali, funzionari non catastali e ingegneri civili sarebbero chiamati, stranamente, a giudicare di prodotti e spese agrarie?