Suscettibilità giustificate
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 13/10/1900
Suscettibilità giustificate
«La Stampa», 13 ottobre 1900
Il Journal des Débats ritorna sulla questione delle mire della Francia sull’impero del Marocco coll’intenzione evidente di assicurare gli italiani che i francesi ora non pensano menomamente ad occupare il Marocco e neppure ad impadronirsi di qualche lembo della Tripolitania. Il giornale parigino dice di essere sorpreso della suscettibilità degli italiani riguardo al Marocco.
La Francia desidera mantenervi unicamente lo statu quo, impedendo ad un’altra Potenza di mettervi piedi in modo troppo esclusivo. La questione del Marocco non è ancora stata posta e non dovrebbe essere sollevata dall’Italia, la quale non è precisamente la Potenza la quale debba adombrarsi di un’eventuale azione della Francia sul Marocco. L’Italia dovrebbe quasi sentirsi indifferente sul punto di sapere quale possa essere un giorno l’erede di questo impero ancora abbastanza vigoroso. Tutt’al più il Journal des Débats si mostra disposto a permetterci di essere inquieti a proposito delle mire di ingrandimento della Francia sull’Est tunisino, ossia sulla Tripolitania. Ma ci assicura subito protestando che mai i francesi porranno piede a Tripoli, che, d’altronde, è una dipendenza turca.
Ora noi siamo bensì propensi a credere, in seguito alle autorevoli spiegazioni venute da varie parti, che la Francia non pensi ad occupare per adesso né il Marocco, né la Tripolitania. Ma ad indurci in tale credenza non bastano le dichiarazioni dei giornali ed anche degli uomini politici francesi.
Troppo vicini sono ancora i ricordi delle conquiste coloniali fatte dalla Francia a nostro danno, malgrado le più formali assicurazioni dei suoi uomini di Stato; troppo acerba è ancora la ricordanza del contegno dei francesi all’epoca della guerra italo-abissina perché noi dobbiamo prestare cieca ed indiscussa fede alle parole venute d’oltre Alpi.
I motivi per i quali la Francia non pensa e non può pensare ad allargare i confini dei suoi possedimenti coloniali africani ad est e ad ovest non sono punto motivi sentimentali di rispetto agli interessi ed alle ragioni storiche, geografiche o morali di altre Potenze. Nella politica estera le cose non si fanno per sentimento, e tanto meno dalla Francia, la quale ripetute volte ha dimostrato in qual conto tenga in pratica le magnifiche dichiarazioni teoriche del suo diritto pubblico. Anzitutto la Francia deve procedere ad una grande opera di consolidazione del suo impero africano; deve pensare a congiungerne le disgiunte parti con un buon sistema ferroviario; e non ha, per ora, interesse ad allargare troppo la sua base d’azione.
Inoltre la Francia ben sa che troppe Potenze hanno preso di mira il Marocco e vogliono tutelarlo dalla conquista dell’esercito francese, nella speranza che al momento opportuno esse se ne possano impadronire; la Germania, la quale vorrebbe non venire ultima nella gara coloniale africana e desidera aprire uno sbocco alle sue industrie fiorenti; l’Inghilterra, che vede minacciata da un protettorato francese la sua via regale alle Indie ed all’Egitto; l’Italia, che sente il pericolo di lasciar diventare tutto il Mediterraneo un lago francese. Né va dimenticata la ora stremata Spagna, che si troverebbe stretta eccessivamente fra i Pirenei, già francesi, ed il Marocco, infrancesato.
Tutto ciò fa sì che il Marocco venga protetto dalla mutua gelosia delle Potenze ed induce la Francia a fare dichiarazioni sentimentali di un disinteressamento che non è nella sua indole di conquistatrice insaziabile di territori coloniali. Se gli ostacoli ora accennati non esistessero, è molto probabile che i giornali francesi non terrebbero il linguaggio remissivo di cui sono così fieri.
Così pure una delle cagioni per cui la Francia dimostra di non interessarsi della Tripolitania si è la coscienza della difficoltà di fare accettare a noi un altro affare tunisino. L’esperienza dolorosa ha pur giovato a qualcosa; e noi non siamo più disposti a permettere che un paese vasto come la Tripolitania divenga possedimento francese, mentre potrebbe in condizioni propizie ospitare tante numerose e fiorenti colonie italiane non solo nel cuore, ma anche di fatto. È ben vero che il Journal des Débats osserva che nella Tunisia la colonizzazione italiana, malgrado il protettorato francese e malgrado i rimpianti della stampa parigina, procede innanzi a passi giganteschi, quasi ad ammonirci che in una Tripolitania francese si avverrebbe lo stesso fenomeno.
Ora, a parte il fatto che i francesi sono pessimi colonizzatori e non hanno mai popolato, eccetto nel Canadà, i loro possedimenti, per cui è naturale che il posto lasciato da essi libero venga da altri occupato, è evidente che nella medesima Tunisia le sorti dei nostri emigranti sarebbero ben migliori ove fossero tutelati da un Governo italiano. Basta pensare all’inveterato protezionismo coloniale francese ed agli ostacoli già posti ed ai maggiori che si porranno in avvenire contro l’espandersi dei nostri commerci per persuaderci che per gli interessi dei nostri coloni sarebbe assai meglio una Tunisia italiana che non l’attuale protettorato francese. Oramai la questione tunisina è stata risolta a nostro danno; e non giova riandare i dolori passati.
Ma è bene che i francesi sappiano che l’opinione pubblica italiana non è disposta a permettere ulteriori allargamenti della Francia nella Tripolitania. Forse la conoscenza di questo nostro convincimento potrà radicare ancora più in essi il concetto espresso dai Débats, che è meglio non occuparsi ad ampliare le attuali frontiere della Tunisia.