Sulla emigrazione
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1948
Sulla emigrazione
Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Einaudi, Torino, 1956, pp. 561-565
A proposito della perspicuità di una minuta di disegno di legge «per il coordinamento dei servizi della emigrazione»:
Il disegno di legge che si dice riguardante i «servizi della emigrazione» non si può affermare sia dotato di quella perspicuità di linguaggio che in materia legislativa è richiesta.
Sovratutto oscura è la materia prima che dovrebbe essere oggetto della disciplina architettata nel disegno di legge. Materia prima costituita dai cittadini italiani i quali intendono emigrare.
Là dove si enumerano i compiti di un istituendo comitato di coordinamento sembrerebbe che il comitato debba occuparsi dei connazionali dei quali sia richiesto l’ingaggio non nominativo per l’occupazione all’estero (lettera a); e di nuovo (alla lettera b) si parla di elaborare piani o programmi di emigrazione organizzata.
Le lettere c, d, e, f sono stilate in termini generici e non destano preoccupazione. Pare di poter stare col cuore in pace, sicuri che l’armamentario dei servizi dei due ministeri sarà chiamato a disciplinare solo quel tipo di emigrazione che si muove per masse anonime, organizzate dai governi dei paesi di emigrazione e di immigrazione, secondo piani concepiti da autorità pubbliche. Si può essere scettici su siffatto tipo di emigrazione; si può desiderare che i disegni di legge in materia migratoria non trascurino di studiare, nelle relazioni al parlamento, quali risultati abbiano dato in passato le migrazioni organizzate; quanti tra gli emigrati di questo tipo abbiano infastidito con le loro querele ambasciate e consolati; quanti abbiano ragionevolmente lamentato di non aver trovato quelle favorevoli condizioni che erano state fatte balenare, col crisma della parola autorevole di un qualche organo del governo, alla loro immaginazione. Si può essere cioè scettici sulla convenienza di spendere i denari dei contribuenti e quelli dei contributi americani (ma ci furono i contributi o ci saranno o la teoria dei paesi riceventi che danno la terra, dell’Italia che dà gli uomini e degli Stati Uniti che danno i quattrini non è un mero fantasma?); ma non si può negare che, poiché in qualche modo il governo italiano organizzò qualcosa, lo stesso governo deve avere una certa tal quale responsabilità che questo qualcosa vada a finire il meno peggio possibile.
Ma andando avanti, il contenuto della materia prima assoggettata alla disciplina del disegno di legge, muta.
Non si parla più di connazionali con ingaggio non nominativo» o di «emigrazione organizzata; ma di aspiranti all’emigrazione. Si creano organi che avrebbero per iscopo di accertare e aggiornare periodicamente la consistenza numerica degli aspiranti all’emigrazione. Lasciamo fare all’organo; dopo un po’, questo, con un regolamento di attuazione, disporrà che nessuno possa aspirare ad emigrare se non si è prima iscritto in qualche registro. E poiché l’«organo» deve promuovere l’addestramento professionale degli aspiranti (lettera c), come resisterà il dirigente l’organo alla tentazione di chiedere all’aspirante notizie sulle sue attitudini e sul suo addestramento professionale? Più ancora: l’«organo» dovrà (lettera c) esaminare preventivamente le condizioni di lavoro offerte per la mano d’opera di cui sia richiesto l’ingaggio da parte dei paesi di immigrazione o dalle imprese all’estero. Dove è detto che questo diritto di esame si riferisca solo agli ingaggi non nominativi? Quale affidamento è dato che questo diritto di esame preventivo non sia attribuito al sullodato organo per tutti indistintamente gli aspiranti alla emigrazione? Come interpreterà l’organo del ministero del lavoro e della previdenza sociale il suo diritto (lettera f) di disporre il reclutamento in relazione alle disponibilità accertate ed alle richiestedi ingaggio? Non essendo in nessun luogo detto che il diritto di disporre si riferisca soltanto agli ingaggi non nominativi od altrimenti organizzati, la logica più elementare imporrà all’ l’«organo» di pensare e di decidere che un confronto tra disponibilità accertate e richieste di ingaggio non si può fare se non fra tutte le disponibilità accertate e tutte le richieste di ingaggio, comprese anche disponibilità e richieste di coloro che aspirano ad emigrare per conto proprio, senza chiedere allo stato sussidi, perché richiesti da parenti, amici, singoli datori di lavoro ecc. Le parole usate in seguito rafforzano tali dubbi. L’istituzione di un attestato di prove superate in corsi speciali di addestramento professionale degli aspiranti all’emigrazione, attestato che darebbe diritto di partecipare ai reclutamenti per l’emigrazione senza essere sottoposti alle operazioni di selezione fa sorger la visione di un’Italia nella quale, accanto all’obbrobrioso indecente ed incostituzionale reato di espatrio clandestino (reato in base a cui i tribunali della Repubblica cacciano in galera anche oggi coloro che, senza aver commesso nessun’altra violazione di legge, tentano di formarsi altrove una nuova vita), si crea l’istituto dell’esame di stato per il passaggio dalla condizione di aspirante all’emigrazione a quella di persona degna di emigrare.
È falsa l’interpretazione che qui si dà del contenuto del disegno di legge? Può darsi. Ma l’interpretazione è giustificata dall’oscuro significato delle parole adoperate nel testo del disegno. Vogliamo giungere, senza dirlo, a tanto obbrobrio? Vogliamo, dopo avere nella costituzione esaltato i diritti della persona umana, assoggettare questa all’arbitrio di funzionari governativi? Vogliamo, col pretesto di disciplinare (bruttissima parola che dovrebbe essere bandita dal linguaggio legislativo e amministrativo), rovinare quella delle due specie di emigrazione – la emigrazione individuale, libera, non organizzata, non fatta in branchi anonimi – la quale è stata praticamente sinora quella più feconda, quella che meno dà luogo a rimpatri, che meno affolla le anticamere dei consolati e delle ambasciate, che meno fa scrivere articoli analfabeti da corrispondenti sensazionali?
Se si vuole ciò, lo si dica apertamente; ma non lo si intrufoli distrattamente attraverso improprietà, oscurità e incertezze di linguaggio.
Dopo ciò, le altre osservazioni al disegno di legge hanno importanza secondaria.
Stringi, stringi, per quanto riguarda i servizi, la riforma consiste nella istituzione di un comitato di coordinamento, per il quale non si vede perché non potrebbero provvedere di buon accordo i due ministri interessati, senza disturbare per così poco la maestà del parlamento.
Né la formazione di un corpo di quaranta addetti e di trenta assistenti all’emigrazione lascia tranquilli. È un passo innanzi su una via pericolosa. Dopo gli addetti culturali e quelli commerciali e probabilmente altre specie di addetti, vengono fuori gli addetti ed assistenti all’emigrazione. Con tanti addetti, cosa hanno ancora da fare ambasciatori, ministri, consoli, vice consoli ecc. ecc.? Non è forse il compito essenziale di costoro e sovratutto del corpo consolare di fare direttamente essi, proprio essi, tutti quegli uffici che si vogliono affibbiare agli addetti? La china è brutta. Tende a trasformare un corpo che dovrebbe essere di uomini colti, attivi, dotati di iniziative personali in capi ufficio, capi di qualche cosa, gente che agisce attraverso a funzionari delegati, i quali, per istituto di legge, hanno la competenza di adempiere a questo o quel compito che spetterebbe al console. Ciò è un negare la competenza del corpo consolare, ossia negargli la sua vera ragione di vita. Brutta china, sulla quale stiamo scivolando per inerzia, per spirito di imitazione, per la mania di non dar peso ad un funzionario se questi non può suonar campanelli, comandare a gente subordinata, avere sotto di sé «competenze» di ogni specie; se non può scaricare su altri le responsabilità che sono sue, i doveri che sono suoi e devono essere adempiuti da lui personalmente od attraverso uomini scelti da lui volta per volta. Ricreare il senso di responsabilità è necessario all’interno; ma è sovratutto necessario all’estero, dove è in gioco il prestigio del nostro paese.
20 settembre 1952.
A margine di un decreto di autorizzazione a presentare al parlamento un disegno di legge «per la disciplina delle cooperative di emigrazione» fu annotato:
Se il disegno di legge avesse lo scopo di favorire il sorgere di cooperative serie di emigrazione, direi che si tratta di spese inutili per nuovi o ampliati uffici e per dare incremento all’industria delle pratiche amministrative. Se è difficile fondare e far vivere cooperative serie fra uomini che si conoscono e conoscono il lavoro che essi già fanno, pare impresa disperata far sorgere cooperative in Italia col proposito di lavorare nella Patagonia o in altre simili lontane contrade. Solo apostoli o filibustieri osano tentare. Gli apostoli troveranno la maniera di compiere la loro missione adottando o non forme cooperative e non sollecitando aiuto dallo stato, nemmeno aiuto di scartoffie.
Fortunatamente, il disegno di legge, rendendo, di fatto, difficile la costituzione di qualunque specie di cooperativa di emigrazione, renderà impossibile l’opera di quei filibustieri, i quali non riescano ad inventare qualche altro metodo di imbrogliare il prossimo. Perciò, nei suoi limiti ed a condizione che non favorisca troppo l’ampliarsi del numero dei sorveglianti filibustieri, il disegno di legge è approvabile.
Ottobre 1952.