Si deve essere prudenti nella previsione delle entrate?
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 10/12/1921
Si deve essere prudenti nella previsione delle entrate?
«Corriere della Sera», 10 dicembre 1921
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 471-474
Le cifre dominanti nella esposizione finanziaria sono queste tre: 11 miliardi di disavanzo nel 1921, 5 miliardi nel 1921-22 e 3 miliardi nel 1922-23. La prima e sostanzialmente più profonda impressione è buona. Il pubblico, leggendole, deve logicamente concludere che andiamo a grandi passi verso il pareggio e che questo sarà raggiunto, se non nel 1923-24, certamente nel 1924-25. Risultato che, se sarà ottenuto realmente, dovrà essere chiamato meraviglioso.
Tuttavia, converrebbe potere analizzare quelle tre cifre, prima di pronunciare un giudizio definitivo. Sebbene un’analisi sicura non possa farsi senza avere sott’occhio gli allegati, di cui l’esposizione è un commento non sempre compiuto, qualche osservazione preliminare può essere fatta.
Nel 1920-21 la differenza tra spese effettive ed entrate effettive fu di 18 miliardi e 712 milioni di lire perché, essendo le entrate effettive di 18 miliardi e 71 milioni, le spese ammontarono a 28 miliardi e 783 milioni. Nel 1922-23 le spese appaiono previste in 28 miliardi e 525 milioni, cifre suppergiù eguali a quelle che furono le entrate nel 1921. Tuttavia un disavanzo continua ad esserci ed è previsto in 3 miliardi perché le entrate sono calcolate in 15 miliardi e 763 milioni appena. Nessuna delle due cifre – di entrata e di spesa – appare vicina al vero, sebbene sia probabile che il ministro abbia bene e prudentemente previsto il disavanzo in 3 miliardi di lire. Non è verosimile che le entrate effettive debbano nel volgere di due anni contrarsi di ben tre miliardi di lire. Esse giunsero a 18 miliardi di lire nel 1920-21, come confessa il ministro del tesoro; e vi è ogni probabilità che giungano presso ai 19 miliardi nell’esercizio corrente 1921-22, checché prudentemente osservi in contrario il ministro medesimo. Vi è qualche buona ragione per credere che d’un colpo, nel 1922-23, esse subiscano un tracollo nientemeno di 3 o 4 miliardi di lire, precipitando a 15 miliardi e 763 milioni? Ci sono, è vero, delle entrate destinate a scomparire, come l’imposta sui sovraprofitti di guerra; ma ve ne sono altre le quali tendono a dare di più, come la patrimoniale, in seguito alle inevitabili revisioni dei valori imponibili e come parecchie tasse sui consumi e sugli affari.
La verità è un’altra e sembra a me più melanconica. Si dice e si afferma altamente che bisogna porre un freno alle nuove spese; ed il ministro del tesoro lodevolmente fa ogni giorno invocazioni pubbliche e private a tale altissimo scopo. Ma poi non è egli stesso sicuro di poter resistere; la persuasione delle economie non si è fatta carne della carne di tutti gli uomini politici, i quali ogni giorno propongono l’attuazione di programmi grandiosi di opere pubbliche, di lotta contro la disoccupazione, di nuovi istituti ed iniziative statali; né si vogliono persuadere che oggi il programma più grandioso possibile è quello di opporsi energicamente a qualunque programma che implichi nuove spese. Il ministro del tesoro per il primo è convinto di non potere resistere; ed i suoi colleghi medesimi in pieno parlamento dichiarano di essere persuasi che il ministro del tesoro per un po’ di tempo resisterà con energia, ma poi sotto i replicati assalti finirà per cedere. Della quale verità il ministro del tesoro è tanto persuaso che anch’egli, alla pari dei suoi predecessori, cerca di farsi una piccola riserva, un buco dal quale egli è sicuro di ricavare i miliardi di maggiori spese a cui egli dovrà dare il suo consenso. Stimando le entrate in 15 miliardi e 763 milioni invece dei 18 o 19 miliardi a cui probabilmente arriveranno, il tesoro si crea una riserva di 2 o 3 miliardi, con cui si potranno fare spese nuove, senza crescere il disavanzo ora previsto in 3 miliardi.
Si dice: così si è sempre fatto e così si farà sempre per norma elementare di prudenza; per evitare che, annunciando oggi il pareggio, i deputati si facciano animo a chiedere nuove spese. Se maggiori entrate ci saranno, saranno poi le benvenute. Frattanto, si nasconda quanto più si può delle entrate, per evitare che qualcuno ci metta sopra le mani.
Io dico che il ragionamento è sbagliato. Non bisogna valutare le entrate neppure un centesimo più della cifra che si ritiene probabile; ma neppure un centesimo meno. Col sistema attuale, tutti sono persuasi che il ministro del tesoro è stato pessimista nel valutare le entrate; e siccome egli ha annunciato come un successo la riduzione del disavanzo nell’esercizio prossimo a 3 miliardi, tutti, nonostante le sue invocazioni alle economie, partono dalla cifra dei 3 miliardi di disavanzo come da un punto fermo, da una «conquista» che importa conservare. Finché non si superi quella cifra di disavanzo, si può spendere tranquillamente. Tutti gli organi pubblici competenti, commissioni parlamentari, ministeri, ragioneria generale dello stato inavvertitamente ragionano su quella base; sicché considerano perdonabile e tollerabile ogni nuova spesa la quale assorba soltanto i maggiori gettiti di bilancio, in confronto alle entrate previste. Pur spendendo, si osserva, queste poche centinaia di milioni (adesso anche le centinaia di milioni paiono poca cosa!) il disavanzo non cresce; non si peggiora la situazione del bilancio!
Invece, si crea un disavanzo che in origine non esisteva od era di gran lunga minore. Con le nuove spese, il disavanzo da 1 miliardo sale in realtà a 2 od a 3 miliardi, pur figurando di rimanere invariato; ed alla fine si sciolgono i soliti inni alla virtù paziente del contribuente italiano, la quale ha consentito un miracolo così grande.
Quanto più chiara sarebbe la situazione, se le previsioni fossero fatte secondo realtà! In tal caso, la responsabilità del disavanzo o del maggiore disavanzo spetterebbe tutta a chi propone nuove spese. Non ci sarebbe nessuna riserva nascosta con cui poter far fronte agli appetiti politici e con cui indulgere a spese più o meno necessarie. Il proponente di nuove spese dovrebbe apertamente dichiarare che egli intende farvi fronte con debiti o con nuovi balzelli. L’ideale di una buona esposizione è di essere confermata con la maggiore approssimazione possibile dalle cifre del consuntivo. Non deve essere un titolo di gloria prevedere 15 ed incassare 18; ma prevedere ed incassare 18. Noi saremo in vista del porto quando in base a previsioni così fatte, le entrate uguaglieranno le spese. Finché invece saremo «prudenti» nel valutare le entrate, noi daremo impulso alle nuove spese e cresceremo o creeremo il disavanzo.