Rivista delle riviste
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/10/1900
Rivista delle riviste
«La Riforma Sociale», ottobre 1900, pp. 1009-1022
I
Riviste italiane
Nel Giornale degli Economisti di settembre, Ghino Valenti continua l’esame di taluni noti concetti espressi da Achille Loria nell’Analisi della proprietà capitalista e nella Costituzione economica odierna. L’A. esamina per ora solo le dottrine del Loria intorno alla rendita di monopolio. L’A. ammette col Loria la possibile esistenza della rendita di monopolio non solo indipendentemente da ogni differenza di fertilità nei terreni coltivati, ma anche indipendentemente dall’esistenza del profitto; e riconosce che essa non è solo un fenomeno dell’economia odierna, ma ebbe già in passato (vectigal nell’impero romano, canoni enfiteutici nel medio evo) a manifestarsi spiccatamente ancor prima del sorgere del profitto come rimunerazione dell’impresa capitalistica, e indipendentemente dalla limitazione naturale della terra, quale una conseguenza dell’appropriazione esclusiva del suolo. Ma ciò che l’A. non può ammettere col Loria «è che la rendita di monopolio abbia sulla costituzione economica odierna l’influenza predominante che il Loria le attribuisce, talché necessariamente il proprietario sia l’arbitro della redistribuzione e detti la legge al capitalista imprenditore, come questo è l’arbitro della distribuzione e detta la legge all’operaio». In molti casi la rendita complessiva della terra non è, secondo la terminologia dell’A., che rendita di costo, ossia la rimunerazione al saggio corrente del capitale impiegato nella cultura della terra. «I pochi fatti citati dal Loria non solo sono insufficienti a fornirci la prova che la rendita fondiaria abbia mostrato una tendenza crescente all’aumento, ma appariscono assai contestabili anche a chi abbia una superficiale notizia degli ultimi avvenimenti economici». Il Valenti cita in suo appoggio le risultanze dell’ultima inchiesta sulla crisi agraria, le quali provano essere avvenuta in media una diminuzione di rendita del 50%. Quanto all’Italia, da una privata inchiesta intrapresa dall’A. risulta che la rendita del proprietario, quale si desume dagli affitti, è in diminuzione in un rapporto, che può stabilirsi tra un minimum del 10 ed un maximum del 50 per cento. «La causa concordemente additata di tale diminuzione è principalmente il ribasso dei prezzi: l’aumento delle spese di cultura, la malattia delle piante vengono in seconda linea. Se talora non si constata alcuna diminuzione e in qualche caso anche un certo aumento della rendita, si rileva in pari tempo un maggior impiego stabile di capitali sul suolo provocato da trasformazioni agrarie, il che significa che l’accrescimento non è dovuto ad un elemento di limitazione, e che pertanto non è la rendita di monopolio, ma quella di costo che sarebbe aumentata. Se per riguardo a qualche speciale utilizzazione del suolo, per esempio di prati naturali e pascoli nelle Puglie, si nota un aumento della rendita, si osserva in pari tempo ciò aver dipeso dall’essersi notevolmente ristretta, per l’estensione della cultura agraria, la zona ove può esercitarsi la industria armentizia». Facendo un calcolo approssimativo, la rendita netta dei proprietari italiani è di 1255 milioni di lire, ricavate da 20.283 mila ettari. Lasciando da parte i beni improduttivi, i beni incolti più o meno a pascolo, le terre da bonificare, non comprese nella precedente cifra (6.250.000 ettari), i boschi (4.093.000 ettari), i pascoli alpini (359.000), i castagneti (412.000 ettari) sui quali si può per larghezza concedere che non si sia impiegato alcun capitale, rimangono 15.419.000 ettari destinati alla cultura agraria così divisi:
Capitale di miglioramento
| ||||
Estensione migliaia | Per ettari, lire | Totale, migliaia di lire | ||
Culture arboree: | Viti a filari | 3000 | 1250 | 3.750.000
|
Viti a vigna | 500 | 2500 | 1.250.000
| |
Olive | 1000 | 2500 | 2.500.000
| |
Agrumi | 40
| 2500 | 100.000 | |
Altre piante | 160 | 1500 | 240.000 | |
Culture erbacee: |
Cultura intensiva:
Con irrigazione
1610
1500
2.415.000
Asciutto
2000
1000
2.000.000
Coltura media
2000
300
600.000
Coltura estensiva
5109
50
255.000
Ett. 15419
L. 13.110.000
Si hanno così più di 13 miliardi impiegati stabilmente nel suolo, a cui attribuendo l’interesse del 4% ed aggiungendo l’1% per le spese di manutenzione, potrà calcolarsi la rendita di costo del suolo italiano a più di 650 milioni di lire. Restano 600 milioni per la rendita differenziale e di monopolio. Almeno 300 milioni vanno attribuiti alla rendita differenziale dei terreni migliori dei pessimi coltivati. Gli altri 300 milioni sono non una vera rendita di monopolio, ma un sovrareddito dovuto all’estrema tenuità del salario agricolo e in genere della remunerazione del lavoro campestre in Italia. Basterebbe che i 5 milioni di agricoltori italiani potessero accrescere in media i loro guadagni di 60 lire all’anno, perché quel sovrareddito fosse completamente eliminato. Ove si trasportasse fra noi la misura del salario agricolo degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e ancor quello della Germania, e si abolissero i dazi di protezione, allo stato attuale delle condizioni di produttività del nostro suolo, ben pochi sarebbero i terreni capaci di dare una rendita al proprietario, o per lo meno essa sarebbe pressoché sempre inferiore al compenso di costo dei capitali stabilmente investiti nel suolo. Pertanto, laddove al presente la terra dà normalmente una rendita al disopra del costo, ivi indubbiamente essa si accompagna ad una remunerazione minima del lavoro. Laddove invece la rimunerazione del lavoro è elevata, ivi la rendita è ridotta al minimo e sussiste più come rendita differenziale o di costo che come rendita di monopolio, ammenoché non sia artificialmente determinata con un regime doganale protettivo o proibitivo.
Nel medesimo fascicolo A. Bertolini ed A. Graziadei, iniziano uno studio su la Rinnovazione dei trattati di commercio e gli interessi della provincia di Bari. Ne renderemo conto a studio finito.
Nella Critica Sociale del 16 settembre Rerum Scriptor finisce la serie de’ suoi articoli su la Questione Meridionale ed il Federalismo, raccontando dei fatti i quali provano i danni dell’ingerenza del potere centrale nelle amministrazioni locali ed affermando che il federalismo è «l’unica via per la soluzione del problema meridionale». Anche lasciando da parte la considerazione che è molto poco scientifico credere nella efficacia di una sola ricetta a guarire mali così complessi come quelli che travagliano la vita del mezzogiorno, l’affermazione andava dimostrata più largamente di quinto Rerum Scriptor non abbia fatto.
Nel medesimo fascicolo il prof. S. Montemartini delinea una teorica politica della municipalizzazione, ponendovi a base i concetti della lotta di classe e del materialismo storico. Secondo l’A. i teoremi che stanno a fondamento di tutta la vita finanziaria in un’impresa politica sono i seguenti: 1) ogni classe tende a far dichiarare pubblico bisogno, e cioè bisogno a cui si deve provvedere addossando i costi alla collettività, i bisogni propri di classe; 2) ogni classe cercherà di caricare la maggior parte del peso delle spese pubbliche sulle altre classi, appartengano queste o no all’impresa politica, riducendo al minimo la propria pressione tributaria. Quindi il calcolo edonistico, che fa l’imprenditore politico per municipalizzare, deve essere riferito a questa o a quella classe che è al potere, a questa o quell’altra circostanza che domina in un ambiente. La convenienza economica di una data municipalizzazione, oltreché da calcoli di semplice utilità, potrà quindi derivare anche dalla speciale posizione politica in cui si trova un Municipio.
Nella Rivista Italiana di Sociologia di luglio-agosto, è a notarsi sovratutto Un’applicazione di teorie sociologiche di Vilfredo Pareto. Ogni fenomeno sociologico ha due forme ben distinte e spesso interamente diverse, cioè una forma oggettiva la quale stabilisce relazioni tra oggetti reali, e una forma soggettiva che stabilisce relazioni fra gli stati psichici. Siccome la maggior parte delle azioni degli uomini trae origine non dal ragionamento logico ma dal sentimento, e siccome d’altra parte l’uomo ha piacere di legare logicamente le sue azioni a certi principii, a certe cause anche immaginarie, così devesi distinguere la forma oggettiva, reale dei fatti sociologici, e la forma soggettiva immaginaria che a quei fatti dagli uomini viene data per trovarvi una giustificazione. Non basta inoltre ricercare i due fenomeni, occorre eziandio indagare come il fenomeno reale muti per modificare il fenomeno soggettivo e viceversa. La storia umana è la riprova di questa teoria.
I popoli invero, salvo brevi intervalli di tempo, sono sempre governati da un’aristocrazia, intendendo questo termine nel senso etimologico e volgendolo a significare i più forti, energici e capaci, così nel bene come nel male. Ma per una legge fisiologica di sommo momento le aristocrazie non durano, onde la storia umana è la storia dell’avvicendarsi di quelle aristocrazie. Tale è il fenomeno reale, benché spesso a noi appaia sotto altre forme. La nuova aristocrazia, che vuole scacciare l’antica od anche solo essere partecipe del potere e degli onori di questa, non esprime schiettamente tale intendimento, ma si fa capo di tutti gli oppressi, dice di volere procacciare non il bene proprio, ma quello dei più; e muove all’assalto non già in nome dei diritti di una ristretta classe, bensì in quello dei diritti di quasi tutti i cittadini. S’intende che, quando ha vinto, ricaccia sotto il giogo gli alleati e al massimo fa loro qualche concessione di forma. Ora da parecchi segni è evidente prepararsi il tracollo dell’antica aristocrazia borghese sorta colla rivoluzione del 1789 ed il sorgere di una nuova aristocrazia operaia.
Dal lato oggettivo tre grandi classi di fenomeni ci colpiscono:
1) L’intensità crescente del sentimento religioso. Ciò ha giovato non solo alle forme religiose già esistenti, ma principalmente ha dato vigore ad un nuovo ordine di sentimenti religiosi, i quali si manifestano nel socialismo. Il sorgere del socialismo è un fenomeno religioso tra i più grandiosi che mai si siano veduti, e solo si può paragonare al sorgere del buddismo, del cristianesimo, dell’islamismo, alla riforma protestante, alla rivoluzione francese. Inoltre il patriottismo si è esaltato e toglie forma di religione, in Germania, ove un’autorevole rivista giunse fino a discorrere del “dio tedesco”, in Inghilterra coll’imperialismo, in Francia col nazionalismo, negli Stati Uniti d’America col jingoismo, ecc. Vi è anche la religione della temperanza; sorgono asceti, apostoli, martiri, pronti ad ogni sacrifizio pur che possano impedire ad una creatura umana di bere un bicchiere di vino, e quando ciò conseguono dicono di avere “salvato un uomo”, come l’apostolo cristiano dice di avere “salvato un’anima”. Vi sono sette, come quelle degli antialcoolici dette dei “Buoni templari” che si possono paragonare a congregazioni religiose. Hanno iniziazioni, cerimonie di culto, misteriosi legami e si esaltano con mistiche concioni. Altri si sono tolti la briga di dare la caccia “alla letteratura immorale” ed anche essi trascendono oltre ai limiti moderati di una onesta censura. I vegetariani hanno calcolato che il suolo coltivato può produrre assai più grano e riso che carne, quindi ci vogliono torre la carne per avere maggior copia di alimenti. È venuta anche in auge una setta mistico-sociale, che, secondo certi esperimenti fisiologici a sostegno della propria tesi, pretende che noi tutti mangiamo troppo e ci vuole mettere ad una dieta severa. Lo spiritismo, l’occultismo ed altre simili superstizioni hanno non pochi seguaci e ricevono incremento dal nascere in generale del sentimento religioso. Nella letteratura, nell’arte e nella scienza, il misticismo, il simbolismo ed altre vanità che paiono cose si fanno larga strada. Nemmeno le scienze positive sono salve dall’invadente sentimento religioso. Un egregio astronomo, H. Faye, nel discorrere delle origini del sistema solare, sente il bisogno di rendere omaggio al primo capitolo della Genesi. Il Mansion, che è valente matematico, in una comunicazione al Congresso scientifico internazionale dei cattolici del 1891 si arrabatta per dimostrare che infine il sistema Ptolemaico valeva quanto, o poco meno, il sistema Copernicano. Pare probabile che il nascere del sentimento religioso gioverà più al socialismo, il quale è forma nuova, che alle antiche forme religiose. Si riproducono i medesimi fenomeni delle precedenti crisi religiose. È noto come i primi cristiani credessero che prestissimo dovesse venire il regno di Cristo sulla terra, ed i socialisti or sono pochi anni credevano oltremodo prossimo il trionfo della loro dottrina; lo Engels ebbe su ciò previsioni che il fatto ha già smentito, ed ora risorgono per un tempo un poco più lontano, come risorsero simili previsioni tra i millenari cristiani. Parte dei cristiani si stancarono di aspettare come prossimo il regno di Cristo sulla terra, ed i più assennati tra loro intesero che, per conseguire vittoria sugli avversari, occorreva essere più pratici e più transigenti, onde, conservata la primitiva dottrina come meta ideale, nel concreto si accostarono al modo di vivere ed ai concetti volgari. Similmente operano ora i socialisti col programma minimo, ed il Bernstein schiettamente accenna la nuova via. In Olanda, il socialismo intransigente e rivoluzionario sparisce e dà luogo al socialismo di Stato. Altri si spinsero, ed ora si spingono, più in là e maggiormente ai secolari si avvicinano. In Francia i socialisti sono diventati partito di governo, e il Millerand fa parte del ministero Waldeck-Rousseau; in Inghilterra la maggioranza dei Fabiani votò in favore dell’imperialismo; in Germania vi sono molti socialisti vorrebbero fare all’amore coll’impero; il parroco Neumann nel suo libro Democratie und Kaisertum, apertamente predica, perché l’Imperatore sia capo dei socialisti, e quel cristiano collettivista predica pure il militarismo, guerra e sterminio ai nemici della Germania, ed anche a coloro che senza esserne nemici non vogliono esserne schiavi. Dal giorno in cui Gesù predicava amore e pace nella Galilea a quello in cui prelati guerrieri sovrapponevano la corazza alla stola ed uccidevano in nome del divino maestro, scorsero parecchi secoli; ma dal giorno in cui il tedesco Marx annunziava ai proletari la buona novella a quello in cui alcuni socialisti tedeschi al motto: “proletari unitevi”, sostituirono quello: “proletari uccidetevi”, scorsero solo pochi anni. Altro segno che, insieme all’opportunismo, certo si manifesterà nel periodo dipendente, cioè l’ipocrisia, ora manca quasi interamente nella fede socialista dei paesi, come l’Italia, ove il socialismo è perseguitato, ma fa già capolino in altri paesi, come la Francia, ove i socialisti hanno parte nel governo. Molti politicanti sono diventati socialisti per farsi eleggere a qualche ufficio pubblico, molti letterati per vendere i loro libri, molti autori drammatici per compiacere al pubblico, molti professori per ottenere una cattedra. Alcuni secoli fa ogni discorso si vestiva della forma della religione cristiana. Il Machiavelli canzona tale andazzo quando, nella Mandragola, fa citare da frate Timoteo gli autori sacri e la dottrina cristiana per persuadere a Madonna Lucrezia di cedere alle voglie dell’amante. Oggi frate Timoteo avrebbe cavato fuori la “solidarietà” e le massime umanitarie.
2) Il decadere dell’antica aristocrazia. Quando un’aristocrazia decade si osserva che essa diventa più blanda, più mite, più umana e meno atta a difendere il proprio potere. D’altra parte non scema in essa rapacità e cupidigia dei beni altrui e tende quanto più può ad accrescere le sue appropriazioni indebite, a praticare maggiori usurpazioni sul patrimonio nazionale. Sicché da una parte fa più pesante il proprio giogo, dall’altro ha meno forza per mantenerlo. Ciò si vide a Roma, in Francia si ripete adesso. In Francia ed in Belgio, che sono paesi più innanzi nell’evoluzione radicale-socialista, la classe dominante è trascinata da una corrente sentimentale ed umanitaria simile a quella che esisteva in sul finire del secolo XVIII. La sensibilità di quella classe è diventata quasi morbosa e minaccia di togliere ogni efficacia alle leggi penali. Ogni giorno si escogitano nuove leggi per venire in soccorso ai poveri ladri, ai simpatici assassini, e dove manca nuova legge soccorre un’opportuna interpretazione dell’antica. Le autorità stanno inerti per paura di far cadere i ministeri socialisteggianti. Le vittime si rassegnano come per mali ai quali non c’è rimedio e si contentano di sperare in un altro Due dicembre che li liberi da tale peste. I delitti perpetrati in occasione di scioperi rimangono impuniti; i giudici condannano qualche volta; ma è condanna formale, dopo cui viene subito la grazia imposta dagli operaio spontaneamente concessa dal Governo, “per pacificare gli animi”. Gli operai hanno un foro speciale, cioè quello dei probiviri, i quali condannano sicuramente il padrone ed il borghese, anche se avessero ogni possibile ragione. Si è abolito il foro ecclesiastico ed ecco che è nato il foro operaio. Muove pietà il vedere come tutti i partiti lusingano ed adulano il popolo. Perfino un uomo come il Galliffet dice, nella Camera francese, che egli è socialista! Tutti si prostrano ai piedi del nuovo sovrano e dinanzi a lui si fanno vili. Nel frattempo la borghesia, se si è fatta democratica e beghina, non si è punto ritratta dal mal costume. Come Seneca era stoico perfetto e pure avea infinite ricchezze e schiavi, come i nobili francesi applaudivano Rousseau e dissanguavano i contadini, così oggi i possidenti si fanno pagare mercè i dazi migliaia di lire dai loro contadini e mettono in pace la coscienza regalandone qualche centinaio ad un’opera di beneficenza o ad una Università popolare. La nostra classe dirigente è insaziabile; man mano che scema il suo potere, crescono le sue malversazioni. Ogni giorno in Francia, in Italia, in Germania, in America, chiede nuovi inasprimenti di dazi, nuovi provvedimenti per tutelare i bottegai, nuovi incagli al commercio sotto pretesto di provvedimenti igienici, nuovi sussidi di ogni genere. In Italia, sotto il Depretis, il Governo mandava i soldati a mietere i campi dei possidenti che non volevano pagare i salari chiesti dai mietitori liberi, ed ora si rinnova la bella impresa. Pare che tornino le corvate feudali. I soldati, invece di essere adoperati solo per la difesa della patria, servono ai signori possidenti per deprimere i salari al disotto del limite a cui sarebbero fissati dalla libera concorrenza. Se, come pare probabile, seguita a farsi più vivo il contrasto tra le male opere, che ognora nascono, e l’animo, il coraggio, la forza che ognora scemano, il fine non può essere che una violenta catastrofe, la quale ristabilirà l’equilibrio cotanto gravemente turbato.
3) Il sorgere di una nuova aristocrazia. Illusione è il credere che di fronte alla classe dominante stia, al presente, il popolo; sta, ed è cosa ben diversa, una nuova e futura aristocrazia, che si appoggia sul popolo; già anzi qualche lieve segno appare di contrasti fra quella nuova aristocrazia ed il rimanente del popolo, facendo prevedere che coll’andar del tempo, si avranno fatti simili a quelli che si videro a Roma pel contrasto fra l’aristocrazia della plebe e il rimanente di essa e nelle repubbliche italiane tra le arti maggiori e le minori. Queste ultime contese, in parte almeno, somigliano a quelle che si osservano in Inghilterra tra le antiche trades-unions e le nuove. I capi politici della nuova aristocrazia sono tutti borghesi; e gli operai scelti tendono a sindacarsi ed a respingere gli operai comuni. L’aumento della ricchezza ed i perfezionamenti industriali crescono ognora il numero degli operai tecnici, abili, ben pagati, i quali formano una casta distinta dal rimanente degli operai. I sindacati ne costituiscono l’organizzazione; e dove i sindacati sono potenti, è ben difficile trovare operai abili fuori di essi. Le persecuzioni politiche contribuiscono altresì alla formazione di una classe operaia aristocratica, ossia migliore del rimanente degli operai. Nei loro congressi i socialisti espellono colla forza, a Londra anche coll’aiuto dei policemen della borghesia, gli anarchici ed altri dissidenti o eretici, e fanno bene e non possono fare altrimenti, perché senza l’uso della forza nessun ordinamento può durare. Non ci sono che quei disgraziati di umanitari borghesi che si sognano un governo tutto latte e miele, e che pretendono che i carabinieri e i soldati si lascino a lungo lapidare e che aspettino che alcuni di loro cadano morti prima di fare uso delle armi. Si può essere sicuri che la forza pubblica della futura aristocrazia non sarà tanto paziente, perché i concetti di chi comanderà, saranno concetti di giovani vigorosi e non di vecchi rimbambiti. La fine della lotta tra l’antica e la nuova aristocrazia non può essere dubbia, perché la nuova è piena di vigore e di forze, mentre l’antica è infiacchita; la nuova, balda e coraggiosa, proclama la “lotta di classe”, la antica pargoleggia lodando la “solidarietà”, piegando il capo sotto i colpi che riceve e dicendo grazie, invece di restituirli. La nascente aristocrazia ha giornali che difendono i suoi interessi onesti e generali; per mantenerli, gente che ha appena di che mangiare, si toglie il pane di bocca; la borghesia non ha saputo né voluto compiere i sacrifici pecuniarii necessari per avere un giornale di quel genere. Durante gli scioperi gli operai mantengono fede ai compagni, soffrono la tetra miseria, la fame, per non tornare al lavoro, se tutti i loro compagni non sono riammessi, e solo quando è impossibile ogni resistenza si danno per vinti. Invece i padroni mancano solitamente di fede agli operai che hanno fatto venire per sostituire gli scioperanti, li sacrificano senza alcun scrupolo, senza la menoma vergogna. Rigorosa è la disciplina della nuova aristocrazia. Se tra i suoi uomini trova un colpevole lo espelle immediatamente. Invece la borghesia crede operare saviamente chiudendo gli occhi sui più turpi misfatti dei suoi. In Italia gli uomini che spogliarono le Banche, coloro che protessero gli assassini del Notarbartolo non ebbero pena alcuna. La nostra borghesia spende opera e denari solo per aiutare i nemici suoi. In numero oltremodo grande sorgono società per aiutare i viziosi, gli incapaci, i degenerati, e fra tante società i borghesi non hanno avuto l’animo di costituirne una, dico una sola, per difendere i loro diritti. Ma hanno poi diritti? Pare di no, perché si vergognano di parlarne, e sono i possidenti che per l’appunto negano il diritto di proprietà e che regalano denari alle Università popolari, dove si insegna che devono essere spogliati di ogni cosa. La nuova aristocrazia è ora pieghevole ed aperta a tutti, ma dopo la vittoria, seguirà di essa ciò che è seguito delle altre, cioè diventerà più rigida e più divisa. Dopo la vittoria, la nuova aristocrazia forse farà qualche concessione di forma e di parole ai nuovi proletari, cioè ai deboli, agli imprevidenti, agli incapaci, ma in sostanza costoro porteranno probabilmente un giogo più pesante di quello che reggono ora. I nuovi padroni non avranno le senili debolezze della nostra borghesia.
Questo è il fenomeno oggettivo. Soggettivamente i borghesi si illudono di obbedire nelle loro azioni ad elevati sentimenti, ma la realtà è diversa. Per molti di essi le opere socialiste tolgono forma di opere dirette ad assicurare la “pace sociale”, il “bene sociale”, la “giustizia sociale”, ed altre simili cose “sociali”. Il socialismo è cresciuto, ha acquistato ed acquista vigore, quasi esclusivamente per opera e fatica dei borghesi. Nel vedere l’arrabattarsi di costoro per compiere cosa che non può mettere capo che a sperderli e a disfarli, torna in mente la descrizione che fa Dante di Filippo Argenti:
Lo fiorentino spirito bizzarro
In sé medesimo si volgea coi denti.
II
Riviste inglesi ed americane
Intorno allo stesso argomento trattato in questo fascicolo della Rivista del prof. Flora, il prof. Jeremiah W. Jenks pubblica un lungo studio col titolo Trusts and Industrial Combinations nel n. 29 del Bulletin of the Department of Labor. Lo studio riassume i risultati di un’inchiesta ordinata a tale scopo dal Dipartimento americano del Lavoro e riflettente 41 coalizioni. Ne riassumeremo i dati e le considerazioni più importanti. Le 32 coalizioni che risposero alle domande relative al loro capitale, aveano azioni per l’ammontare di dollari 1,351,069,525, a cui aggiungendo le obbligazioni emesse si ha un capitale totale di 1,395,550,325 dollari. La maggior parte di queste coalizioni contano molti azionisti. In 24 di queste coalizioni si ha che in media il maggiore azionista possiede il 19,71% delle azioni comuni ed il 16,81% delle azioni privilegiate, mentre i 5 maggiori azionisti posseggono il 32,91% ed il 27,28% rispettivamente delle azioni comuni e privilegiate. Soltanto in 8 coalizioni i 5 maggiori azionisti posseggono la maggioranza delle azioni comuni; e solo in 5 la maggioranza delle azioni privilegiate. Non sembra che la pratica di cui i sindacati sono in America così spesso accusati, quella di annacquare le azioni, ossia di dare all’azienda sociale un valore fittizio superiore d’assai al valore reale, affine di far sembrare meno vistosi i dividendi distribuiti, non sia molto prevalente fra le 24 coalizioni per cui si hanno notizie al riguardo. Infatti 12 coalizioni dichiararono che il costo dell’impianto delle aziende sociali era uguale al 55,58% delle azioni emesse, a cui aggiungendo il 16,30% rappresentato dal capitale circolare, si ha un costo uguale al 71,88% delle azioni emesse, lasciando il 28,12% a rappresentare il valore della clientela acquistata, il valore delle patenti, l’annacquamento, ecc. E se anche non si tiene conto del costo primitivo dell’impianto, ma solo del costo di riprodurre l’impianto tuttora attivo, 15 coalizioni riferirono essere quest’ultimo uguale al 48,12% delle azioni emesse, a cui aggiungendo il 16,30% del capitale circolante, si ha che il valore materiale dell’azienda è uguale al 64,42% delle azioni emesse. Devesi notare però che le coalizioni le quali risposero non sono quelle più speculative, permodoché è ragionevole che in media l’annacquamento sia superiore a quello che risulterebbe dalle cifre precedenti.
Scarse furono le informazioni relative ai guadagni che le coalizioni pretendono di fare coi risparmi sulla reclame, sui trasporti, sul materiale greggio, colla chiusura di talune fabbriche. Importante è invece l’osservazione fatta da 21 coalizioni che la efficacia e la capacità direttive non erano venute meno e da 7 coalizioni che anzi la capacità ed efficacia suddette erano cresciute, malgrado la cessazione dello stimolo della concorrenza che gli avversari dei sindacati stimano necessario all’abbondanza ed alla bontà della produzione. Ma se si guarda il motivo che le coalizioni adducono per affermare uguale o cresciuta l’abilità e l’efficacia direttiva, sta nell’essersi trasportato lo stimolo della concorrenza dalla vendita del prodotto al paragone del costo. Infatti se nel regime di concorrenza i produttori più costosi vanno in rovina, nel regime dei sindacati gli amministratori dei varii impianti sociali sono costretti a tenere accurati calcoli del costo di produzione, e questi costi sono fra di loro paragonati dalla direzione centrale. In tal modo viene eccitata una vivissima concorrenza fra gli stabilimenti facenti parte del sindacato, in quanto la direzione centrale ricevendo o giornalmente o settimanalmente o mensilmente il calcolo del costo, può mandare ispettori a quegli stabilimenti dove il costo sia più alto per suggerire le opportune modificazioni nei processi industriali.
Quanto ai profitti, i dati ottenuti sono piuttosto deficienti. Per due coalizioni si sa che furono come segue (% sul capitale):
Anni1882 | 1883 | 1884 | 1885 | 1886 | 1887 | 1888 | 1889 | 1890 |
Standard Oil Company
5 ¼
6
6
10,5
10
10
11,5
12
12
Anni 188118821883188418851886188718881889
Standard Oil
Company
12
1221
12
12
17
31
33
30
33
American Sugar
Refining Co.
8
9
22
12
12
12
12
12
12
Nella maggior parte delle coalizioni formatesi nel 1898 e nel 1899 si pagarono dividendi comuni sulle azioni privilegiate, ma non si pagò nulla sulle azioni comuni; il che non è un cattivo risultato, perché le azioni comuni non rappresentano di solito capitale versato, ma l’avviamento, l’annacquamento, ecc. In parecchie coalizioni i profitti furono in parte adoperati per allargare l’impianto, ed a tale scopo si adoperò una somma variabile dal 3 al 38 del resto di riproduzione dell’impianto medesimo. Quale effetto esercitarono i sindacati sui salari? È questa, insieme coll’influenza sui prezzi, la domanda più importante a cui l’inchiesta voleva ottenere una risposta. Ma la risposta non venne decisiva né nell’un senso, né nell’altro.
La seguente tabella indica i salari medi annui pagati prima e dopo la formazione dei sindacati, e la percentuale di aumento o decremento nei salari medi annui, come pure la percentuale di incremento o decremento nel numero degli occupati e nell’ammontare totale dei salari pagati per classe di impiegati:
CLASSE DI IMPIEGATI | Coalizioni in cui i dati si riferiscono | SALARI MEDI ANNUALI PAGATI | Per cento di increm. o decrem. nel numero degli occupati | Per cento di increm. o decrem. nell’ammon-tare tot. dei salari pagati | ||
Dalle società costituenti prima della coalizione | Dalle coalizioni | % di incremen-to o decremen-to | ||||
dollari | dollari | |||||
Sovraintendenti e sovrastanti | 12 | 1262 | 1227 | – 2.77 | + 11.79 | + 8.72 |
Viaggiatori | 12 | 1346 | 1246 | – 7.43 | + 4.17 | – 3.57 |
Operai skilled | 9 | 620 | 705 | + 13.71 | + 23.34 | + 40.13 |
Operai comuni(unskilled) | 9 | 294 | 351 | + 19.39 | + 20.06 | + 43.38 |
Impiegati di segreteria | 9 | 757 | 798 | + 5.42 | + 36.45 | + 43.98 |
Altri impiegati | 9 | 754 | 662 | – 12.20 | + 29.06 | + 13.42 |
Impiegati in complesso | 9 | 460 | 518 | + 12.61 | + 21.56 | + 36.68 |
L’incremento maggiore si ebbe nel caso degli operai comuni; il maggior decremento negli operai non classificati. I viaggiatori perdettero di più dei sovrintendenti e dei sovrastanti. La diminuzione dei salari dei sovrintendenti si spiega col fatto che si poté fare meno di taluni direttori degli antichi stabilimenti indipendenti, sostituendoli con uomini di minor levatura posti sotto la direzione di uno o due direttori eccezionalmente abili. Un giudizio completo non potrebbe farsi se non si tenesse conto della efficacia del lavoro fatto sotto i due sistemi, di concorrenza e di coalizione.
Ecco una tabella basata sui dati forniti da 8 coalizioni, 4 delle quali organizzate al principio del 1899, 1 nel 1898, 1 nel 1895, 1 nel 1891, ed 1 nel 1860.
Produzione delle Società costituenti prima dal sindacato …………. doll. 64,995,193
Produzione delle coalizioni per l’anno 1899 …………………………………………………..” 95,750,465
Percentuale di incremento …………………………………….. + 47,32
Numero totale degli impiegati delle Società costituenti
prima del sindacato (per 6 coalizioni) ……………………………………… 26,851
Numero totale degli impiegati delle coalizioni (6 coalizioni)………………. 34,259
Percentuale di incremento …………………………………….. + 27,59
Salari annuali totale di tutti gli impiegati delle
Società costituenti prima del sindacato (6 coalizioni) ………………..doll. 11,659,202
Salari annuali totale di tutti gli impiegati delle
coalizioni (6 coalizioni) ……………………………………………. ” 16,112,409
Percentuale di incremento ……………………………………. + 38,19
Sembra che la tabella dimostri che i sindacati tendono ad aumentare la produttività degli operai; ma non bisogna però dare troppa importanza a questo fatto perché i prezzi durante il 1899 aumentarono generalmente in proporzioni abbastanza marcate. Così pure i salari aumentarono in molte occupazioni, anche all’infuori dei sindacati, cosicché sarebbe azzardato dire in modo positivo che le coalizioni per sé hanno la virtù di aumentare i salari.
Veggasi infatti la seguente tabella la quale si riferisce ai salari pagati da tre grosse società operanti sotto il regime della libera concorrenza in rami affini a quelli a cui si riferiscono i sindacati studiati nella tabella precedente.
CLASSE DI IMPIEGATI | Coalizioni in cui i dati si riferiscono | SALARI MEDI ANNUALI PAGATI | Per cento di increm. o decrem. nel numero degli impiegati | Per cento di increm. o decrem.nei salari totali annui | ||
1897 | 1899 | % di incre-mento o decre-mento | ||||
dollari | dollari | |||||
Sovrintendenti e sovrastanti | 1 | 1069 | 1010 | – 5.52 | + 33.33 | + 26.01 |
Operai skilled | 3 | 690 | 740 | + 7.25 | + 41.87 | + 52.10 |
Operai comuni (unskilled) | 3 | 489 | 572 | + 16.97 | + 41.08 | + 65.11 |
Impiegati di segreteria | 2 | 681 | 727 | + 6.75 | + 80.61 | + 92.85 |
Altri impiegati | 1 | 788 | 735 | – 6.73 | + 22.64 | + 14.40 |
Impiegati in complesso | 1 | 586 | 682 | + 17.58 | + 49.33 | + 75.60 |
Dal paragone di questa tabella con quella precedente relativa ai sindacati, si può solo dedurre la conseguenza che le coalizioni nel complesso dimostrano la medesima tendenza delle grandi società private a base di concorrenza e non trattano gli operai meno generosamente. Altri dati, citati dal Jenks, mettono in luce che l’aumento dei salari è stato generale per tutte le industrie. Ad esempio in 14 opifici della American Steel Hoop Company il 30 novembre 1898 eranvi 4545 operai occupati ad un salario medio di 1,93 dollari al giorno; mentre il 30 novembre 1899 il numero degli operai era cresciuto sino a 5873, con un salario medio di 2,27 dollari al giorno, ossia con un aumento del 17,62 per cento. Il rapporto dell’Jenks conclude, riguardo all’influenza dei sindacati sui salari, che solo quando i sindacati siano passati attraverso ad un periodo di depressione, vi saranno dati sufficienti per potere giungere a conclusioni definite riguardo ai loro effetti sui prezzi e sui salari. La conclusione ci sembra non tanto certa quanto pare allo Jenks, perché potrebbe ben darsi che i salari diminuissero tanto nelle intraprese concorrenti, quanto nelle intraprese sindacate, nel qual caso le statistiche non ci darebbero alcun lume a risolvere la questione studiata; e potrebbe anche darsi che la non diminuzione eventuale dei salari nelle imprese sindacate fosse dovuta a cause diverse dalla
coalizione.
Leggermente più conclusivi sono i risultati a cui si giunse rispetto al problema dell’influenza delle coalizioni sui prezzi. A questo proposito bisogna notare che non è al prezzo assoluto del prodotto finito che occorre guardare per vedere quale influenza abbiano sui prezzi i sindacati; ma alla differenza tra il prezzo dei prodotti greggi usati nella fabbricazione, ed il prezzo del prodotto finito. In alcuni casi la ricerca di tale differenza è difficile perché sono molti i prodotti greggi adoperati; talvolta però il materiale greggio è principalmente uno, come per il petrolio greggio e raffinato, lo zucchero greggio e raffinato, ecc., cosicché la differenza fra i due, il cosidetto “margine”, rappresenta il costo della fabbricazione più il profitto. Le coalizioni, se qualche efficacia hanno, devono esercitarla nel senso di allargare il “margine”, sia aumentando il prezzo del prodotto finito con un’unica offerta regolata, sia diminuendo il prezzo del prodotto greggio, con un’unica domanda pure essa regolata. Talvolta le coalizioni possono avere interesse a diminuire il “margine” per schiacciare i concorrenti importuni e poi rialzare i prezzi. È chiaro d’altronde che in tutte le industrie si compiono, coll’andar degli anni, dei perfezionamenti produttivi i quali tendono a diminuire il “margine” per cui le eventuali diminuzioni non possono senz’altro attribuirsi all’opera dei sindacati, a meno che intervengano altre circostanze probanti.
Daremo in brevissimo riassunto alcune statistiche di “margini”, avvertendo che, essendo impossibile dare le cifre per ogni mese di ogni anno, si sono in ogni anno scelti il margine più alto e il più basso.
Per lo zucchero si ha in America che da 100 libbre di zucchero centrifugo 96%, si estraggono da 92 a 93 libbre di zucchero granulato. Ecco le differenze massime e minime in dollari dei prezzi (New York) per libbre di zucchero greggio centrifugo e granulato. Si avverte che il trust dello zucchero cominciò le sue operazioni in novembre 1897:
Margine | 1880 | 1881 | 1882 | 1883 | 1884 | 1885 | 1886 | 1887 |
Minimo | 0.00812 | 0.0830 | 0.00022 | 0.00579 | 0.00533 | 0.00375 | 0.00437 | 0.00518 |
Massimo | 0.01934 | 0.01875 | 0.01563 | 0.01224 | 0.01078 | 0.00797 | 0.01014
| 0.00998 |
Margine | 1888 | 1889 | 1890 | 1891 | 1892 | 1893 | 1894 | 1895 |
Minimo | 0.01050 | 0.00750 | 0.00533 | 0.00587 | 0.00488 | 0.00845
| 0.00490 | 0.00641 |
Massimo | 0.01732 | 0.01625 | 0.01988 | 0.1076 | 0.01255 | 0.01430
| 0.01134 | 0.01085 |
Margine | 1896 | 1897 | 1898 | 1899 | ||||
Minimo | 0.00636 | 0.00802 | 0.00445 | 0.00352 | ||||
Massimo | 0.01330 | 0.01026 | 0.00955
| 0.00757
|
Prima del 1887 il margine avea la tendenza a ribassare. La concorrenza era accanitissima. Immediatamente dopo la formazione del trust il margine aumentò da poco più di mezzo cent per libbra ad un cent ed un quarto. Con fluttuazioni quasi giornaliere di piccola importanza, il margine rimase quasi lo stesso per circa due anni. A questo punto cadde al livello precedente alla formazione del trust, sopratutto a causa dell’attiva concorrenza mossa al trust dalle raffinerie Spreckles ed altre, specialmente nelle vicinanze di Filadelfia. Il margine rimase basso fino al principio del 1892, quando le raffinerie concorrenti furono comprate dal trust. Immediatamente dopo il margine fu di nuovo rialzato a più di un cent per libbra, e rimase in media a tal punto per più di due anni. Vi fu un marcato abbassamento nel margine per due o tre mesi in parecchi casi. Dopo il margine diminuì gradatamente e leggermente fino al 1898, dicesi a causa di miglioramenti nei metodi di fabbricazione e forse per paura di una concorrenza più vigorosa. Però non vi fu nessun ribasso durevole nel margine fino alla fine del 1898, quando sorse nuovamente un’attiva concorrenza, specialmente da parte delle raffinerie Arbuckle e Doscher. Il margine cadde immediatamente a circa mezzo cent per libbra, qualche volta più, qualche volta meno. In conclusione si può dire che il margine è basso quando il trust ha paura delle concorrenze e si rialza quando tale timore scompare. È d’uopo aggiungere che i raffinatori pretendono che prima della formazione del trust il margine era così basso da non concedere alcun profitto e da mandare in rovina 16 dei 40 fabbricanti. Attualmente sia il trust che i suoi concorrenti, affermano che il margine è di nuovo talmente basso da non concedere alcun profitto. Aggiungesi ancora che se il trust non fosse stato formato, tante raffinerie sarebbero state costrette a far bancarotta, che la offerta sarebbe diminuita ed il margine sarebbe aumentato ancor più di quanto non sia avvenuto per opera del sindacato. Le statistiche evidentemente non possono occuparsi di ciò che sarebbe stato; ciò che avvenne sembra dimostrare che la coalizione rialzò, quando le fu possibile, i prezzi al disopra del livello della libera concorrenza.
Quanto al petrolio, il margine si deve calcolare fra il petrolio greggio per gallone ed il petrolio raffinato pure per gallone. Il margine (in dollari) rappresenta il prezzo del barile più il costo della raffinazione ed il profitto. La coalizione la quale controlla l’82,3% della produzione fu organizzata nel 1882.
Margine | 1866 | 1867 | 1868 | 1869 | 1870 | 1871 | 1872 | 1873 |
Minimo | 0.2661 | 0.2023 | 0.1923 | 0.1784 | 0.1491 | 0.1257 | 0.1279 | 0.1118 |
Massimo | 0.4597 | 0.2654 | 0.2270 | 0.2077 | 0.2059 | 0.1510 | 0.1817 | 0.1647 |
Margine | 1874 | 1875 | 1876 | 1877 | 1878 | 1879 | 1880 | 1881 |
Minimo | 0.0902 | 0.0908 | 0.0946 | 0.0774 | 0.0698 | 0.0502 | 0.0524 | 0.0512 |
Massimo | 0.1113 | 0.1112 | 0.2036 | 0.1560 | 0.0868 | 0.0725 | 0.0969 | 0.0711 |
Margine | 1882 | 1883 | 1884 | 1885 | 1886 | 1887 | 1888 | 1889 |
Minimo | 0.0502 | 0.0505 | 0.0598 | 0.0586 | 0.0511 | 0.0506 | 0.0513 | 0.0471 |
Massimo | 0.0620 | 0.0640 | 0.0672 | 0.0609 | 0.0571 | 0.0535 | 0.0561 | 0.0521 |
Margine | 1890 | 1891 | 1892 | 1893 | 1894 | 1895 | 1896 | 1897 |
Minimo | 0.0500 | 0.0499 | 0.0418 | 0.0328 | 0.0305 | 0.0352 | 0.0393 | 0.0385 |
Massimo | 0.0578 | 0.0566 | 0.0499 | 0.0406 | 0.0325 | 0.0490 | 0.0440 | 0.0417 |
Margine | 1898 | 1899 | ||||||
Minimo | 0.0389 | 0.0430 | ||||||
Massimo | 0.0463 | 0.0572 |
Lo Standard Oil Company fu formalmente organizzata come un trust nel 1882; ma già fin da prima esistevano accordi più o meno definiti fra i principali raffinatori di petrolio, i quali in seguito entrarono a far parte del trust. Il “margine” diminuì molto rapidamente nei primi anni dell’industria. Ciò naturalmente era prevedibile perché i perfezionamenti nell’arte di raffinare il petrolio doveano essere grandi sovratutto sul principio. Nel 1880 vi fu un marcato aumento sia nel margine come pure nel prezzo del petrolio raffinato. Dopo la formazione del trust, nel 1882, vi fu un incremento relativamente leggero nel margine per parecchi anni, specialmente nel 1884 e nel 1885. In seguito rimase fermo per 6 anni, sino al principio del 1892. Il margine cadde quindi rapidamente per 3 anni, toccando il punto più basso nel 1894. Dopo l’inizio del 1898 vi fu un reciso incremento nel margine per tutto il 1898 ed il 1899. Secondo le dichiarazioni di molti raffinatori, vi è stato un forte incremento nel valore dei prodotti secondari durante gli ultimi anni. Molte materie che nei primi anni dell’industria andavano completamente sprecati negli ultimi anni furono trasformate in nafta e varii altri prodotti, cosicché i profitti dei prodotti secondari spesso eguagliarono in valore quelli ricavati dal petrolio illuminante. In queste condizioni era evidente che il margine dovea diminuire. Siccome invece negli ultimi anni aumentò, è equo assumere che i profitti dei manifattori aumentarono del pari. Dall’altro canto nel 1899 e nel 1900, il costo della raffinazione crebbe in parte per l’incremento nei prezzi degli acidi adoperati e in parte per l’aumento notevolissimo nel prezzo del ferro, di cui sono costrutte le raffinerie ed il cui consumo è fortissimo. Aumentarono pure i barili in cui il petrolio viene trasportato.
Dati analoghi a quelli ora esposti sono forniti per il piombo, gli spiriti, la birra, le lastre di stagno, il ferro e l’acciaio, il tabacco, i prodotti del grano o della farina, il carbone, il coke, il glucosio, l’amido, ecc. Sarebbe troppo lungo e non consentaneo ai limiti della presente rivista, esporre tutti i risultati particolari per le varie merci. Ci limitiamo perciò a riferire le conclusioni generali dell’autore. Questi ritiene che le combinazioni abbiano in taluni casi potuto, almeno temporaneamente, controllare il mercato in notevole misura, e che nella maggior parte di questi casi abbiano adoperato il loro potere per alimentare il margine fra la materia greggia ed il prodotto finito, collo spingere all’insù il prezzo del prodotto finito ed all’ingiù quello della materia greggia o amendue contemporaneamente. Ad ogni modo il margine è aumentato e sono con esso aumentati i profitti dei manifattori. D’altro canto non sembra che il potere delle coalizioni sia tanto grande da sottrarle all’influenza della concorrenza, sia attuale, sia potenziale, se si pensa che spesso poco tempo dopo la formazione delle coalizioni il margine è nuovamente diminuito fino a ridivenire tenue come prima la formazione del sindacato e talvolta anche più tenue. Questo decremento però deve naturalmente prevedersi in quanto coll’andar del tempo i miglioramenti industriali, che i promotori dei trusts pretendevano di essere in grado di compiere, doveano diminuire il costo e con ciò il margine. Di fronte a ciò, sembra certo il fatto che, malgrado la naturale tendenza del margine a decrescere, questo fu aumentato in taluni casi, almeno temporaneamente. L’autore crede che non si debbano nemmeno qui adottare conclusioni troppo radicali e generali. Le coalizioni, le quali si formarono ad esempio nell’anno decorso in molti rami industriali, hanno potuto alimentare il margine principalmente a causa della fortissima e crescente domanda del mercato per i loro prodotti. In queste industrie il margine è stato con tutta probabilità aumentato ad un punto quasi eguale da società private, le quali non facevano parte di alcun sindacato, e ciò per le condizioni straordinariamente favorevoli del mercato.