Opera Omnia Luigi Einaudi

Ristampe di cose rare

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/06/1939

Ristampe di cose rare

«Rivista di storia economica», giugno 1939, pp. 172-175

 

 

 

Series of Reprints of scarce works on Political Economy. The London School of Economics and Political Science, Houghton Street, Aldwych, London, W. C. 2.

 

 

1. – D. H. MACGREGOR: Industrial Combinations, (1906) 1935. In 8º di pp. IX-245. Prezzo 7 scellini 6 d.

 

 

2. – A. C. PIGOU: Protective and Preferential Import Duties, (1906) 1935. In 8ºdi pp. XIV-117. Prezzo 6 scellini.

 

 

3. – T. R. MALTHUS: Principles of Political Economy, (1836) 1936. In 8º di pp. 6 s.n.-LIV-446. Prezzo 10 scellini e 6 d.

 

 

4. – MOUNTIFORT LONGFIELD: Three Lectures on Commerce and One on Absenteeism, (1835) 1937. In 8ºdi pp. IV-111. Prezzo 6 scellini.

 

 

5. – I. R. MAC. CULLOCH: The Literature of Political Economy, (1845) 1938. In 8ºdi pp. XV-407. Prezzo 12 scellini 6 d.

 

 

6. – A. L. BOWLEY and J. STAMP: Three Studies on the National Income, (1919, 1920, 1927) 1938. In ottavo di pp. 2 s. n.-147. Prezzo 6 scellini.

 

 

La “Scuola londinese di scienze economiche e politiche” dell’Università di Londra, la quale aveva pubblicato una prima «serie di ristampe di “opuscoli” rari nelle scienze economiche e politiche» la chiuse col ventesimo volume, iniziando una seconda serie, di cui la sola differenza con la prima consiste nell’abbandono della parola sottolineata sopra e nella sostituzione della parola “opere” (Works) a quella di “opuscoli” (Tracts) usata nella prima serie. Gli editori, i quali s’erano dapprima limitati a curare la ristampa di opuscoli rari, ben presto, spingendosi più in là del limite delle 100 pagine che convenzionalmente separa l’opuscolo dal libro, avevano invero ospitato la celebre dissertazione del Bailey sulla natura, misura e cause del valore (vol. 7), le lezioni sulla economia politica del Longfield (8), i Grundzüge del Bohm-Bawerk (11), il saggio su salari e capitale del Taussig (13), i viaggi di Young (14), il volume su rischio incertezza e profitto di Knight (16) ed i quattro volumi delle opere di Menger (17 e 20), taluno dei quali andava oltre le quattrocento pagine.

 

 

Come nella seconda, che ora si inizia, tutti i volumi della prima serie spettavano alla scienza economica; sicché nulla è mutato negli scopi della collezione. È forse accentuato il proposito di ristampare opere recenti, precocemente scomparse dal mercato librario: ad esempio in questa nuova serie, i libri di Macgregor, Pigou e Bowley-Stamp. È curioso e confortante constatare come i buoni libri, quelli che, passati trent’anni, vale la pena di consultare, abbiano trovato luogo negli scaffali degli studiosi e di lì non escano. Oggi, come trent’anni fa, i problemi del modo di operare e degli effetti dei consorzi industriali e dei dazi protettivi e preferenziali sono vivi come quando il Macgregor e il Pigou li sottoposero ad analisi penetrante. I saggi di Bowley e Stamp ci aiutano a guardare indietro: come sono variati il reddito nazionale e la sua ripartizione in Inghilterra dal 1880 al 1924? Guardisi a questo confronto relativo alla Gran Bretagna ed all’Irlanda settentrionale:

 

 

1911

1924

Reddito speso

1.475

2.835

Reddito destinato ad imposte

225

855

Reddito risparmiato

320

475

—–

—–

2.020

4.165

 

 

Probabilmente i dati del 1939 accentuerebbero vieppiù, percentualmente, la quota destinata alle imposte e scemerebbero quella destinata al risparmio. Col crescere del reddito assoluto – e tra il 1924 ed il 1939 l’incremento, anche tenuto conto della svalutazione della sterlina, deve essere stato notevole – la quota assorbita dagli enti pubblici cresce; ma i cittadini non si lagnano se e finché essi possono, ciononostante, consumare di più.

 

 

I tre volumi più antichi non richieggono presentazione. Longfield è quel tale che ha titolo a una certa priorità nella esposizione della teoria marginalistica applicata al costo, alla domanda e all’interesse e per avere insistito sulla dipendenza dei salari, invece che dalle esigenze della vita, dal contributo dato dai lavoratori al prodotto dell’industria. Le sue qualità anticipatrici fanno augurare che, oltre quello odierno (n. 4) e le lezioni ripubblicate nella prima serie, si trovi modo di ristampare qualche altro saggio del Longfield. Le quattro lezioni sulle leggi sui poveri del 1934 colla distinzione fra provvedimenti di elemosina e provvidenze di elevazione, paiono, a leggerne i riassunti, suggestive.

 

 

I due pezzi forti della nuova serie sono i Principii di economia politica del Malthus e la Letteratura dell’economia politica di Mc Culloch. Fino a ieri, per possedere una copia di queste due opere capitali faceva d’uopo spendere rispettivamente cinque e dieci lire sterline; che non era, per gli studiosi e le pubbliche biblioteche, lieve salasso. Oggi si hanno a prezzo mitissimo. Se il lettore italiano, grazie a Ferrara, poté sempre leggere nella prima serie della “Biblioteca dell’economista” la traduzione dei Principii di Malthus e delle meno rare Definitions, e può oggi sincerarsi direttamente di quanto vi sia di vero nella tesi modernissima di Keynes ed allievi che la scienza economica classica sia andata a catafascio per avere seguito Ricardo invece di Malthus – s’intende, qui, il Malthus dei Principii di economia politica, non quello del Saggio sulla popolazione-; non così per il volume di Mc Culloch (n. 5 sopra). Citato ed utilizzato largamente da Ferrara, non mai tradotto, intravisto dai più di sfuggita, che cosa è il celebre libro di Mc Culloch, quello per il quale questo un tempo autorevolissimo scrittore si raccomanda ancor oggi all’attenzione degli studiosi? Nient’altro che un catalogo. Ma un catalogo, il quale, dopo cent’anni, attende ancora l’emulo e il seguitatore. In questo stesso fascicolo, ricordo che Marget cita in epigrafe taluna lapidaria sentenza di Mc Culloch contro coloro i quali imprendono a trattare di un problema senza prima chiedersi se altri l’abbia prima discusso e con quali risultati. «Uomini di valore» – lamentava nel 1838 e lamenterebbe oggi, se rivivesse, il Mc Culloch – «si affannano ad investigar principii e dimostrar leggi che erano già prima state investigate e dimostrate e mettono innanzi al pubblico, come fossero originali, meditazioni le quali erano da tempo note».

 

 

Il catalogo di Mc Culloch resta, ancor oggi, lo strumento migliore per evitare agli studiosi siffatti infortuni, sia pure strumento imperfetto, per il tempo (1838) al quale giunge e per la animosità dell’autore contro coloro i quali non appartenevano al cenacolo dei precursori e dei seguitatori di Ricardo, e sono acerbamente criticati, o, peggio, ignorati.

Entro i limiti posti dalla ingenua convinta ammiranda perversità intellettuale di Mc Culloch, il catalogo è un capolavoro, non sostituibile dai dizionari di Coquelin e Guillaumin e di Palgrave, né da quelli tedeschi, né dall’enciclopedia americana, perché, essendo classificato per materie, guida lo studioso invece di abbandonarlo alla ria sorte della memoria e dell’alfabeto; non sostituibile dalle storie della scienza, perché non secca l’anima degli impazienti con trattazioni sistematiche di cose estranee al libro di cui si cerca il titolo, la data, l’autore, il contenuto essenziale; non sostituibile dalle moderne blbliografie, tipo quelle del Cossa, dell’Higgs, dell’Hollander, pur tanto più compiute e precise, perché queste sono bibliografie pure, imparziali, le quali danno “tutto” su un dato argomento o un dato tempo, o una data raccolta, laddove Mc Culloch dà quello che al cataloghista pare essenziale per eccellenza di errore o di verità e ci ragiona sopra dicendo il perché dell’ammirazione o dell’orrore, adducendo talvolta il brano essenziale, atto a recar fama o disonore all’autore. Tutto ciò senza aver l’aria di scrivere un libro il quale debba essere letto da capo a fondo. Un semplice catalogo, che si sfoglia, quando se ne ha voglia o urgenza. Quando penso che, a tratti e bocconi, l’ho letto e riletto, mi pare alla prima di dovermi vergognare.

 

 

Rileggere un catalogo! Poi mi consolo ricordando che Francesco Ferrara doveva aver fatto altrettanto; e quindi par lecito umilmente imitarlo. Noto che i sei volumi della nuova serie sono tutti riprodotti coi moderni processi fotostatici; e che il n. 3 (“Principii di Malthus”) è stato riprodotto nel Giappone a cura dell’”International Economic Circle” di Tokyo, di su una copia prima appartenuta a Karl Menger ed oggi depositata nella “Biblioteca Menger” purtroppo lasciata trasmigrare alla Università commerciale di Tokyo.

 

Torna su