Quel che dice il Sen. Einaudi sull’unità e libertà sindacali
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 29/08/1943
Quel che dice il Sen. Einaudi sull’unità e libertà sindacali
«Il Giornale d’Italia», 29 agosto 1943
Abbiamo avuto occasione di avvicinare il senatore Luigi Einaudi e lo abbiamo pregato di concederci un’intervista a proposito del problema, così attuale e così importante, dell’unità o libertà sindacale, cioè, se sia preferibile, per il più pieno e profondo svolgimento della libertà, il sistema del sindacato unico oppure quello del sindacato plurimo.
Il senatore Einaudi si è cortesemente prestato a chiarirci il suo pensiero in merito.
– Ella crede, senatore, che l’unità sindacale sia davvero una conquista dei lavoratori come da molte parti si sostiene?
– È una vecchia disputa – ci ha risposto l’illustre Maestro della scienza economica – nella quale già un tempo Filippo Turati e i socialisti polemizzavano contro i cattolici per impedire alle organizzazioni cattoliche il diritto di rappresentanza nel Consiglio superiore del lavoro; ed altri, in nome delle idee liberali, difendeva le ragioni di costoro.
Oggi si vorrebbe con l’unità sindacale impedire che i sindacati diventino strumenti di politica, facendo sì che lo Stato ne garantisca con opportuni organi di controllo la retta amministrazione e la rigida apoliticità. Ma è una vana utopia quella di impedire che i sindacati operai o padronali non facciano politica, Come può accadere che una potente forza sociale non faccia politica? L effetto dell’unità sindacale sarà solo che i sindacati faranno un politica sola, quella del partito che avrà la maggioranza dei voti.
– Ma Ella non pensa che il sindacato unico, se liberamente eletto ed amministrato, possa evitare tali pericoli?
– No. La cosiddetta vivificazione dell’unico sindacato per mezzo della libera sua amministrazione da parte dei lavoratori si riduce ad un’ombra; quando il lavoratore non può uscire dal sindacato, non può passare ad altro sindacato o, anche passando in un’associazione collaterale (ma cosa sarebbero e a cosa servirebbero), continua a pagare contributi al sindacato unico ufficiale, è inevitabile si costituisca una burocrazia, che essa cresca, che essa diventi la vera padrona del sindacato; è inevitabile che il sindacato diventi una specie di ufficio pubblico. « come i ministeri, le prefetture, le questure, in definitiva emananti anch’esse indirettamente da un corpo elettorale; è inevitabile che gli operai si rechino agli sportelli del sindacato come a quelli delle poste, per vedersi trattati con più o meno cortesia da degli impiegati, i quali ad orario finito, se ne vanno a casa.
– Quali sarebbero allora, secondo Lei. Egregio Senatore, 1 principii cui dovrebbe ispirarsi un’autentica libera vita sindacale?
– Il sindacato, il quale sia genuina rappresentanza dei lavoratori, suppone:1) il diritto negli organizzati di poter uscire dal sindacato, non pagare contributo, iscriversi ad un sindacato concorrente. Questo non è necessario che sia cattolico, socialista, o liberale. In Inghilterra, specie nel periodo formativo, i sindacati erano in istato di flusso, con continui di scavalcamenti; alla lunga prevalsero i tipi adatti. Attualmente negli Statj Uniti d’America il « Congress of Industrial Organisation », presieduto dal Lewis, è in emulazione con la «Federation of Labour», di cui è a capo il Green. Ognuno ha i suoi clienti o gruppi di clienti distinti secondo industrie alle cui esigenze è adatto. Una fusione obbligatoria sarebbe oppugnata dai lavoratori come in ritorno a tipo schiavistico. Altro che «conquista»!
2) Che gli organizzatori siano, costretti dal timore dell’abbandono da parte degli operai e della rivalità di altri sindacati, a conservare i primi e ad impedire il sorgere dei secondi col rendere effettivi servizi. Quanto alla questione dei contributi, non v’è pericolo che gli operai non paghino volontariamente se hanno la sensazione di ricevere qualcosa di equivalente; come non v’è pericolo che ingrossino al margine le file dei non paganti, i quali si giovino della fatica e dei sacrifici degli organizzati per ottenere aumenti di salari ed altri vantaggi senza far niente.
O meglio, il pericolo c’è, ma non ci si rimedia con la legge. L’unico rimedio vero, che eleva, che porta ad un livello più alto la classe operaia, è la formazione col tempo indubbia, di uno stato psicologico, in virtù del quale chi volesse profittare senza pagare, si trovi nella impossibilità di farlo senza diventare oggetto di disprezzo da parte degli amici e dei compagni.
La solidarietà, di vicinato, di gruppo, di ceto sociale, non è opera della legge, ma del costume. Al solito la disputa è fra il risultato pronto e rapido della coazione e quello lento e faticoso della persuasione. Il primo non conta nulla per l’elevazione degli uomini; conta solo i| secondo.