Opera Omnia Luigi Einaudi

Quel che ci fa paura

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/06/1900

Quel che ci fa paura

«La Stampa», 8 giugno 1900

 

 

 

Nei giorni passati una certa parte dell’opinione pubblica e della stampa si è sentita come presa da un vago sentimento di paura per l’avanzarsi irrefrenato delle marea socialista e radicale nelle regioni più progredite e civili del Paese.

 

 

Secondo noi questo sentimento di paura non è completamente giustificabile. Non è la presenza di 26 socialisti alla Camera ciò che deve spaventare maggiormente le classi dirigenti italiane.

 

 

Fenomeni simili si sono visti e si veggono ancora adesso in altri paesi, senza che alcun nocumento ne sia venuto alle regolari funzioni di quegli Stati. Nel Belgio i socialisti son più di trenta, e più di cinquanta nella Germania con due milioni e mezzo di voti; e Belgio e Germania si trovano in condizioni di tranquillità e di progresso economico e civile di gran lunga migliori dell’Austria, dove i socialisti non hanno quasi alcuna rappresentanza politica.

 

 

Diciamo di più: è naturale e perfettamente spiegabile la presenza di un certo numero di socialisti nei Parlamenti contemporanei. Quando si è concesso il diritto di voto alle classi operaie italiane, si doveva prevedere che sarebbe venuto il giorno in cui queste classi avrebbero voluto prendere parte diretta alla vita pubblica ed avrebbero eletto dei rappresentanti proprii a difendere quelli che sono o si credono essere i loro interessi.

 

 

Oggi i rappresentanti delle classi operaie del settentrione d’Italia appartengono al partito socialista non tanto perché gli operai si siano persuasi della attuabilità dei sistemi socialisti di ricostituzione sociale, ma sovratutto perché i socialisti sono quelli che nel momento presente hanno iniziato una critica persistente a tutte le magagne del nostro ordinamento governativo, e si sono fatti paladini con calore e con entusiasmo della causa delle classi meno fortunate, mentre i partiti costituzionali poco operavano e sovratutto operavano senza quell’ardore di propaganda e quel profondo convincimento che soltanto hanno la virtù di attrarre l’animo dei popoli.

 

 

Ciò che realmente deve far paura a tutti quelli che pensano all’avvenire dell’Italia non è dunque l’aumento numerico dei partiti estremi. Sono classi nuove che prima erano assenti, e che ora vogliono anch’esse partecipare alla vita pubblica. Nulla di più naturale che vi partecipino per mezzo del partito che ha saputo imporsi maggiormente alle loro

immaginazioni ed alle loro menti. Ciò che deve far paura è invece lo sgomento e l’anarchia dominante nei ceti dirigenti e governativi.

 

 

Pare che gli uomini di governo in Italia siano impotenti a formare un programma di azione civile ed economico, tale da corrispondere ai veri bisogni del Paese.

 

 

Non si sa far altro se non che ricorrere alla solita promessa di far approvare delle leggi sociali a favore degli umili, i quali sono oramai divenuti scettici al riguardo, come se le sole leggi sociali potessero ridare nuova vita ad un corpo ammalato. Si promette di fare della buona amministrazione e della politica modesta, come se il programma di un partito forte e vigoroso consistesse nel promettere di governare onestamente ad un popolo il quale troppe volte ha visto che i fatti non corrispondevano a consimili promesse fatte nel passato.

 

 

I partiti di Governo che si sono alternati al potere dopo l’epoca eroica del nostro risorgimento nazionale hanno fatto molto male al Paese e si sono resi quasi impotenti a fare il bene, appunto perché hanno dimenticato completamente che un popolo non si governa facendo degli affari, contentando con dei favori i varii gruppi parlamentari, dimenticando i veri interessi del Paese per propiziarsi i voti dei singoli deputati ed impoverendo i contribuenti ed i consumatori a vantaggio di gruppi rumorosi di parassiti dello Stato e di produttori privilegiati. L’esperienza del passato informi.

 

 

 

La folle nostra politica coloniale in Africa ed in Cina ha fatto sì che noi perdessimo ogni influenza sulla vecchia Colonia del levante e, facendoci sembrare deboli, ha reso difficile l’acquisto di un alto prestigio morale nelle nuove colonie americane.

 

 

Il prestigio dell’Italia scosso all’estero, l’esercito condotto alla sconfitta dalla ignoranza e dall’inettitudine di pochi accecati, le finanze non assestate, il debito pubblico cresciuto a dismisura, il malcontento diffuso nelle popolazioni: ecco dove ci hanno condotto i nostri ceti dirigenti e governanti.

 

 

E la cecità loro è tanto grande che immaginano di poter frenare il socialismo invadente col limitare la libertà di stampa e di associazione, col restringere il diritto di voto e col concedere una serie di piccoli favori cosidetti sociali alle classi diseredate. L’anarchia intellettuale dei ceti governanti, la mancanza di un grande principio di azione: ecco ciò che fa paura nel momento presente. Fa paura vedere quanto piccoli e meschini mezzi si vogliano adoperare per soddisfare al bisogno intenso di rinnovamento e di vita, di giustizia e di libertà che è diffuso oggi in Italia.

 

 

Tristi giorni si preparano all’Italia se non si avrà il coraggio di ritornare dopo un terzo secolo di malgoverno e di errori ai principii fondamentali della politica con la quale Cavour ha reso prima forte e prospero il Piemonte ed ha fatto poi l’Italia. Non è colle spedizioni coloniali sconclusionate e colle vergognose ritirate che si rende rispettato un paese; ma colla cosciente asserzione dei diritti proprii e coll’esercizio dei proprii legittimi mezzi di influenza morale nel mondo.

 

 

Non colla comprensione e colle restrizioni si governa un popolo, il quale dimostra di voler risorgere a vita nuova; ma colla libera discussione pubblica nel Parlamento, nella stampa e nelle associazioni. Non colla concessione di favori a classi speciali e col misero compenso di poche leggi sociali male attuate agli operai, si spinge sulla via della ricchezza un paese che ha dimostrato di possedere tanta energia di lavoro; ma coll’adozione di una politica economica liberale la quale permetta, senza favori e senza ingiustizia per nessuno, lo sviluppo rapido di tutte le nostre energie nazionali.

 

 

Non è coi salvataggi di persone sospette che si affeziona la coscienza popolare alle istituzioni esistenti, ma col rendere la giustizia pronta, efficace ed accessibile a tutti, ricchi e poveri, potenti e umili. Ciò che fa paura in Italia non è, ripetiamolo ancora una volta, l’aumento del numero dei socialisti, ma la impotenza dei ceti governanti ad abbandonare la politica dei piccoli espedienti, della protezione degli interessi regionali e speciali ed a ritornare alla vera politica liberale che inspirò quarant’anni fa la formazione dell’Italia.

 

 

Ed un Governo moralmente forte, con un programma chiaro, equo, di sana amministrazione e di prudenti riforme, arresterebbe il socialismo più che non facciano cento leggi restrittive.

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