Proprietari e contadini in Germania
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 30/06/1903
Proprietari e contadini in Germania
«Corriere della Sera», 30 giugno[1] 1903
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 53-57
L’avvenimento più saliente delle ultime elezioni germaniche è stato senza dubbio, insieme alla vittoria del partito socialista, la sconfitta degli agrari. I quali furono battuti nelle medesime provincie che sono la loro rocca forte, ossia nelle sei provincie prussiane al di là dell’Elba (Prussia orientale ed occidentale, Posen, Pomerania, Slesia, Brandeburgo), nei due Meklemburgo e nella parte orientale dell’Holstein. In questa, che i tedeschi indicano complessivamente come la grande regione transelbica, sembrava che il Bund der Landwirte fosse diventata onnipotente e dovesse mandare al parlamento una massa compatta di suoi rappresentanti. Come un esercito disciplinato e serrato, la lega degli agricoltori, forte di centinaia di migliaia di soci, muoveva all’assalto del potere; non un uomo doveva mancare all’appello per salvare la terra dalle rovine di cui la minacciavano i liberali trattati di commercio del 1892. Tutti, dai nobili Junker discendenti dai condottieri militari, che dall’XI al XIV secolo avevano conquistato alla Germania il territorio orientale, insino ai fittavoli ed ai contadini, dovevano obbedire alla parola d’ordine, la quale diceva: la Germania ai tedeschi! Abbasso il cosmopolitismo industriale, che strappa gli uomini alla terra per gettarli nelle fucine ardenti e negli opifici divoratori! Ritorniamo all’agricoltura, vera ed unica fonte della ricchezza nazionale e preservatrice suprema delle tradizioni tedesche!
Invece fittavoli e contadini troppo spesso, nel segreto della cabina elettorale, violarono la consegna; e votarono per quelli che la lega aveva indicato come i nemici dell’agricoltura. Il disinganno degli agrari fu vivo; ed ancora adesso i dirigenti la organizzazione di difesa dell’agricoltura non sanno persuadersi di avere sbagliato strada e di essere stati essi medesimi gli artefici della propria disfatta.
Poiché è inutile negarlo: i contadini hanno avuto ragione di ribellarsi – per quanto non tutti l’abbiano osato – contro la formidabile lega, la quale pretendeva difendere i loro interessi. Essi hanno veduto che il programma della lega degli agricoltori, se in apparenza era indirizzato alla tutela di tutte le classi agricole, in realtà ne rafforzava una sola: quella dei grandi proprietari. Detentori dei tre quinti del suolo nel Meklemburgo e nella Pomerania e del 44% in media del suolo nella regione transelbica, i grandi proprietari avevano visto diminuire le loro rendite in virtù di due fatti, di cui in Italia già conosciamo l’uno, e si intravvedono qua e là gli albori del secondo: il ribasso dei prezzi dei cereali e la scarsezza della mano d’opera. La concorrenza dei cereali stranieri aveva ribassato i prezzi; e l’attrattiva nuovissima delle grandi città, anzi delle vaste regioni industriali dell’ovest della Germania aveva spinto gli Inste (i contadini obbligati e disobbligati della Germania orientale) ad abbandonare in masse compatte la terra ed a dirigersi a frotte verso la Sassonia (onde il nome di Sachsengänger ai contadini migranti), la Westfalia ed i paesi del Reno, dove le miniere, le officine e la piccola proprietà a base di culture industriali richiedevano larga copia di mano d’opera.
I grandi proprietari, rudemente percossi dal ribasso dei prezzi dei cereali e dal rincaro dei salari, non si scoraggiarono e mirarono alla riscossa. Ma fu loro torto di non limitarsi a lottare colle armi apprestate dalla scienza agricola, progreditissima in Germania; e di volere risuscitare dal vecchio arsenale delle leggi dell’antico regime una serie di disposizioni incompatibili coi tempi mutati. Allo stato essi chiesero di togliere la libertà di migrazione ai minori di ventun anno, di prelevare una tassa su coloro che immigrano nelle città e di concedervi il soggiorno soltanto a chi possa provare di avervi trovato una conveniente abitazione. Nei periodi della mietitura ottennero che ai lavori agricoli fossero applicati soldati e prigionieri; e contro gli operai violatori del contratto del lavoro propongono l’applicazione di pene privative della libertà personale.
A ribadire i ceppi che avvincono i contadini alla gleba, gli agricoltori si servono inoltre delle leggi sulla colonizzazione interna della Prussia. Col pretesto di dare ad ogni contadino una casetta, un orto ed una vacca, essi vorrebbero estendere su vastissima scala il sistema già iniziato – coll’ausilio del credito di stato – delle colonie agricole. Presso ogni grande dominio rurale dovrebbero trovarsi coloni possessori di una casa e di una particella di terreno variabile da mezzo ad un ettaro; tanto quanto basta, cioè, per rendere il contadino innamorato della sua proprietà, renitente ad abbandonare i luoghi natii e costretto a vendere ai grandi proprietari vicini la propria esuberante forza di lavoro ad un prezzo che sarebbe artificialmente tenuto basso dalla offerta delle braccia dei piccoli proprietari, privi della facoltà di spostarsi verso le città ad alti salari. Machiavellico piano codesto di servirsi della invincibile forza che attrae il contadino alla proprietà, anche minuscola, per creare una popolazione di servi attorno alle grandi proprietà feudali!
Allo stesso scopo – con una varietà meravigliosa di mezzi cospiranti allo stesso fine – gli agricoltori vanno fondando altresì cooperative di costruzione, le quali avrebbero per iscopo di fornire ai proprietari i capitali per la costruzione di casette da vendersi, insieme ad un piccolo orto, ai contadini, con ammortamento parte in 47 e parte in 17 anni.
Tutto ciò aveva per iscopo di trattenere i contadini sulla terra. I vincoli feudali di cui, sotto forme palliate, si proponeva il ristabilimento, erano presentati con le formule attraenti della difesa della piccola proprietà, della resistenza all’intensificarsi pernicioso dell’urbanismo e con le descrizioni idilliache della vita di campagna. Una cosa mancava: il tornaconto ad esercitare la cerealicultura coi metodi consueti della grande proprietà. Malgrado tutto, i grandi proprietari, rovinati dai debiti, dovevano vendere la terra a vil prezzo a medi ed a piccoli proprietari, che lentamente avevano cominciato un’opera sinora poco visibile, ma certa, di conquista della terra feudale. Perciò i grandi proprietari giuocarono l’ultima carta intraprendendo una campagna, mirabile per costanza, se non per la nobiltà degli intenti, per il rialzo del dazio sul grano da marchi 3,5 a marchi 7,5 per quintale. Anche qui il motivo addotto era la difesa dell’agricoltura tedesca ed il desiderio di pagare più alti salari agli operai agricoli. Gli operai agricoli sapevano però che l’effetto primo del dazio sarebbe stato: da una parte il rialzo dei prezzi della terra e quindi accresciute difficoltà per essi di esaudire il loro desiderio di conquista della terra nobiliare; dall’altra parte le rappresaglie degli stati stranieri contro l’industria tedesca, il ristagno di questa, il ribasso dei salari industriali, il riflusso degli operai nelle campagne orientali e in definitiva il ribasso dei salari agricoli.
Ecco perché fittavoli e contadini hanno in molti collegi elettorali votato contro agli agricoltori. È l’inizio della fine di una grandiosa lotta sostenuta dall’aristocrazia terriera per conservare l’egemonia politica ed economica che ogni giorno più le sfugge di mano. L’augurio nostro è che questa aristocrazia terriera, la quale ha dato prova sicura di non essere guasta e timida, applichi le proprie meravigliose energie ad un’altra battaglia più audace di quella ora miseramente perduta: trasformare l’agricoltura della Germania orientale e far fronte alla concorrenza straniera, al rialzo dei salari, non più con provvedimenti coercitivi e coi dazi, ma con una nuova organizzazione tecnica delle proprie aziende e col ribasso dei costi. Probabilmente se sarà tenuta questa via, si attenuerà il conflitto acerbo delle classi sociali, che fu uno dei fenomeni più sintomatici e pericolosi delle ultime elezioni tedesche. Se quella battaglia si fosse combattuta non fra i misurati teutoni, ma fra gli impulsivi italiani, ben diverse ne sarebbero state le conseguenze. Per ciò le elezioni tedesche sono un monito anche a tutti i partiti italiani. Esse dicono che oramai certe cause non si possono più difendere; e che la grande e la media proprietà, per conservarsi, non debbono far ricorso a rimedi che sembravano plausibili venti anni fa. Oggi, se si vuol vivere, occorre trasformare i proprii metodi produttivi; perfezionarli ogni giorno e resistere col ribasso dei costi alla concorrenza straniera, ed al rialzo dei salari. Non è una via facile; né sarà possibile percorrerla d’un tratto, rinnegando d’un colpo l’opera del passato. Ma è la sola via che conduca alla pace sociale.
[1] Con il titolo Proprietari e contadini in Germania. (A proposito della sconfitta degli agrari). [ndr]