Proporzionale e costituente
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 14/11/1945
Proporzionale e costituente
«Il Giornale», 14 novembre 1945
Il collegio grande, con la proporzionale, è dunque disadatto alle camere ordinarie, perché è inetto a fornire governi di maggioranza, ossia inetto a fornire governi ed a mutarli senza il ricorso alla violenza. Perciò chi non sia disposto a rinunciare al metodo parlamentare di formazione dei governi o gabinetti, chi non preferisca il metodo americano o svizzero che trae il potere esecutivo da fonti diverse da quelle parlamentari (elezioni dirette a suffragio universale del presidente, con gabinetto responsabile solo a lui e non alle camere; od elezioni dirette dei ministri da parte del popolo come nei cantoni svizzeri o dell’assemblea delle due camere come nella confederazione svizzera), ma voglia tenersi fermo al metodo tradizionale inglese dei gabinetti creati dalla fiducia della camera elettiva, non può non respingere il sistema del collegio grande, con la proporzionale, perché incapace a creare ed a mutare governi stabili. Ma, si osserva subito, la conclusione, ottima per i parlamentari ordinari, chiamati a legiferare ed a creare gabinetti, non è valida per le assemblee costituenti.
Non è valida perché un’assemblea costituente non è chiamata a formare governi, ma a formulare la costituzione fondamentale dello stato, la quale dovrà regolare la vita pubblica del paese per lungo tempo avvenire. Se nell’opera ordinaria di legislazione e di governo, il parlamento non può operare se non sia provvisto di una maggioranza che, per mezzo di un ministero da essa derivato, governi, sino al momento in cui le critiche della o delle minoranze non l’abbiano, alle nuove elezioni, sbalzata di seggio; nell’opera unica iniziale della costituzione tutte le correnti di opinione hanno diritto di farsi valere. Tutti i cittadini hanno diritto, anche se appartenenti ad una piccola minoranza, di far sentire la loro voce, affinché di essa si tenga conto nella formazione delle tavole fondamentali dell’assetto politico del paese.
Non è valida perché gli elettori possono bensì dare mandato di fiducia all’eletto per quanto si riferisce alla scelta degli uomini di governo, dove si tratta di scegliere persone e per quanto riguarda la legislazione ordinaria, la quale deve adattarsi alle esigenze mutabili e non prevedibili della vita nazionale; ma non possono dar mandato di fiducia al rappresentante nell’assemblea costituente. Qui si tratta di principii, di tendenze da far prevalere. Gli elettori debbono decidersi per questo o quel tipo di costituzione: per la monarchia o per la repubblica; per l’elezione diretta dei ministri da parte degli elettori o per la scelta fatta dalle camere; per la scelta a tempo fisso o sino a voto di sfiducia; per questo o quell’elenco dei diritti dell’uomo e del cittadino; per questo o quel modo di reclutamento della magistratura; per questo o quell’altro tipo di organizzazione della difesa nazionale; per questo o quel tipo di regolamento della religione, della scuola, dell’industria, del lavoro ecc. ecc. I candidati debbono esporre programmi o manifestare la propria adesione al programma di questo o quel partito; e non possono allontanarsi dalle fatte promesse, né votare per soluzioni diverse da quelle volute dai loro elettori.
Sbarazziamoci prima di questa seconda argomentazione. Essa dice che gli eletti ad un parlamento ordinario non possono ricevere e tradirebbero il loro mandato se si adattassero a ricevere un mandato imperativo; ma gli eletti ad una costituente sì. È nota la ragione fondamentale per le quali il mandato imperativo è inaccettabile. Esso significa la fine dei parlamenti; perché trasferisce il potere delle camere elettive al comitato dirigente del partito di maggioranza. La massima degenerazione del mandato imperativo si ha quando l’eletto rilascia nelle mani del comitato dirigente del suo partito una lettera di dimissioni in bianco, che il comitato invia al presidente della camera quando il membro ribelle abbia violato uno dei canoni fondamentali del credo del partito. Ciò è accaduto; ma quando accade è la fine del parlamento. Parlamento deriva da «parlare»; e governo parlamentare non è nulla se non consiste nel parlare. Ma poiché a sua volta il parlare è men che niente, se non è inteso a persuadere altrui od almeno a discutere, a chiarire il pro ed il contro dei problemi, è chiaro che il mandato imperativo sostituisce alla discussione una macchina registratrice di opinioni già formate a priori. Aboliamo la discussione, nella stampa e nelle camere, ed abbiamo abolito il governo libero. Discussione implica la possibilità della persuasione, significa che il convincimento espresso nei voti dei deputati non equivale all’ubbidienza al comando di un capo, di un comitato di partito, di un gruppo di tirafili nell’ombra, ma è frutto di seria sincera meditazione sui dati del problema che si tratta di risolvere. L’essenza del parlamento sta nella «discussione»; ed è perciò che si ha parlamento libero, operante, moralmente vivo quando una minoranza anche minima, anche di venti, anche di dieci, anche di sette – mi fermo qui perché, se non ricordo male, sette furono gli oppositori in una delle camere di Napoleone III – può discutere le proposte del potere esecutivo; non esiste parlamento se una camera di marionette ubbidienti alla frusta del dittatore o del capo di un partito risponde all’unanimità sì alle domande del governo. Che su 500 marionette, 300 rispondano sì e 200 rispondano no per ordini dei comitati dei varii partiti, il contrasto dei sì e dei no non toglie che essi siano contrasti di marionette e non di legislatori. I quali, per definizione, sono uomini pensanti epperciò, per illazione logica, uomini disposti anzi decisi a lasciarsi persuadere dalla discussione, la quale faccia ad essi vedere nuovi aspetti di un problema e li dispone a conclusioni in tutto od in parte diverse da quelle prima abbracciate.
Se ciò è vero per le leggi normali, se è vero che un parlamento senza discussione e senza libertà di mutare le convinzioni proprie sulla base della discussione è una commedia anzi è una brutta farsa precorritrice o indice di tirannia, quanto più ciò è vero per la legge delle leggi, per la costituzione fondamentale dello stato! Se la elaborazione delle leggi è affare delicatissimo, se essa deve passare attraverso a lavori preparatori ministeriali, a discussioni in riviste e giornali, ad esame di commissioni speciali delle camere, a relazioni di queste ed a discussioni ripetute in assemblee plenarie; quanto è più delicata la discussione e la approvazione della legge delle leggi, di quella legge dalle cui formule precise lapidarie dipenderanno i giudizi di costituzionalità o di incostituzionalità di tutte le leggi ordinarie posteriori! Immaginare che la legge costituzionale possa essere tratta dalle formule vaghe, quasi sempre somiglianti o diverse per sfumature evanescenti, che si leggono o si leggeranno nei programmi dei diversi partiti, è vivere in un mondo irreale. Se la scelta degli uomini, dei migliori uomini chiamati a difendere idee e correnti diverse è essenziale nei parlamenti ordinari, essa è a mille doppi più necessaria per la costituente. Di idee, di opinioni, ne avremo fin troppe nei programmi dei partiti, i quali si distinguono quasi tutti ed io direi tutti, per il numero esuberante dei problemi posti e delle soluzioni offerte; picchè il lavoro principale dei legislatori futuri sarà la scelta dei problemi da risolvere nella carta costituzionale e sovratutto sarà la eliminazione delle contraddizioni che in ognuno dei programmi si leggono fra le soluzioni date a problemi quasi sempre posti l’uno indipendentemente dall’altro. Attribuire valore di mandato imperativo per gli eletti di un partito ai programmi elettorali del medesimo partito equivale a supporre che agli elettori possano essere proposte domande diverse da alcune semplicissime, univoche, quando invece i problemi che una costituzione deve risolvere sono molti e complicati e soggetti a soluzioni ed interpretazioni diverse e spesso contraddittorie. Se mai esista un campo in cui la discussione sia feconda e necessaria, durante la quale le opinioni si affinino e mutino perfezionandosi, quello è davvero il campo della legge fondamentale. Se le marionette manovrate dai tirafili dei comitati padroni del mandato imperativo sono sempre dannose, sono addirittura letali nella elaborazione della carta costituzionale.
Non ha maggior peso di questa l’altra difesa della proporzionale; la costituente non deve formare governi, ma tradurre in una legge fondamentale le opinioni, le idee correnti nel paese. Non uomini, ma idee. A tacere dalla stranezza del concetto medesimo di idee le quali si farebbero avanti, camminerebbero, lotterebbero e trionferebbero astrazion fatta dalla testa pensante degli uomini che se ne fanno i portatori, si chiede: quali idee debbono tradursi in norme sancite nella carta costituzionale? Tutte le idee? anche quelle dei gruppi minori della popolazione, di quelli che procedono in avanscoperta e bandiscono verbi i quali non saranno mai ascoltati o lo saranno fra secoli o di quelli che alla retroguardia si attardano a gran distanza dagli ultimi gruppi combattenti? Evidentemente no. La legge fondamentale dello stato non deve essere un’insalata multicolore delle correnti d’opinione più diverse. Essa deve essere informata alla opinione dominante del tempo; alle regole di vita accettate dalla grande maggioranza della popolazione. Non deve recare in se stessa germi di discordia e quindi di stasi. Inspirata ai principii accolti oggi, deve contenere in se stessa gli strumenti della sua progressiva evoluzione. Ossia la costituzione non può essere l’opera di una costituente nella quale, in virtù della proporzionale, siano rappresentate e si facciano contrappeso tutte le opinioni esistenti. Nata così, essa non sarebbe vitale. Sarebbe, come tutte le leggi ordinarie, un miscuglio, un compromesso fra ideali contrastanti, fra esigenze di piccole correnti, nessuna delle quali risponde alle esigenza della maggioranza.
Se la maggior parte delle costituzioni fabbricate dopo il 1918 finirono male, fu anche perché esse erano state il prodotto di esercizi scolastici di dottrinari appartenenti a diverse scuole e correnti di opinioni. Le costituzioni vitali, che durarono nel tempo, quella britannica, quella nord americana e quella svizzera non furono il frutto di elucubrazioni dottrinarie di rappresentanti diverse correnti di opinioni. Nacquero dopo rivolgimenti o guerre e furono l’opera di uomini decisi ad ottenere uno scopo, quello e non altro; l’opera di uomini, i quali sapendo la fatica durata nel giungere a quella meta, si proposero due fini: consolidare i risultati da essi ottenuti ed evitare per l’avvenire la necessità di lotte cruente per il raggiungimento di nuovi diversi fini. Uomini, non marionette; uomini che avevano lottato per raggiungere un fine, e non dottrinari intenti a costrurre l’ottima società, costrussero le carte che vissero. Le altre, fabbricate dai dottrinari, andarono malamente in frantumi in pochi anni. Se non vogliamo che la nuova carta costituzionale italiana faccia la fine della costituzione perfetta di Weimar o di quelle perfettissime dei più eterocliti antiparlamentari paesi del mondo, teniamoci alla esperienza dei paesi dove le costituzioni ebbero lunga vita. La lotta fra le correnti di idee è feconda; ma è lotta preliminare che deve aver luogo sulla stampa e nelle adunanze dei partiti e dei gruppi prima delle elezioni. Purtroppo, oggi non si vede alcuna traccia, se non minima, di queste feconde discussioni; e al di là del nome mitico, poco si discute sul lavoro che dovrà fare la costituente. Tanto più è necessario che gli uomini i quali entreranno nella costituente siano scelti perché uomini provveduti di idee e non perché iscritti in liste contrassegnate da simboli di idee. Purtroppo, oggi le idee politiche non hanno oltrepassato, nella grandissima maggioranza dei casi, lo stadio delle frasi fatte, dei simboli, delle formule mitiche. Se i simboli, se le formule non saranno interpretate da uomini seri, da uomini liberi, liberi di discutere di persuadere e di votare con la propria testa, che cosa sarà del nostro paese? Ma la proporzionale nel collegio grande è certamente inetta a darci uomini spiritualmente liberi.