Prestiti di stato a cantieri navali?
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/08/1924
Prestiti di stato a cantieri navali?
«Corriere della Sera», 27 agosto 1924
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 814-817
Non può passare inosservato un ordine del giorno votato, pochi giorni addietro, dal comitato parlamentare ligure della lista di maggioranza, esclusi cioè i deputati liguri delle varie liste di minoranza, per incoraggiare il governo ad accogliere le domande che dalle premesse si intuisce essere state formulate da una grande società italiana di navigazione la quale ha in corso con un cantiere ligure trattative per la costruzione di un importante piroscafo.
Da un lettore, che mi segnala l’ordine del giorno, apprendo che la società sarebbe la «Navigazione generale italiana» ed il cantiere ligure sarebbe l’«Ansaldo» di Sestri Ponente, i quali avrebbero divisato di costruire un grande transatlantico da passeggeri atto a sostenere la concorrenza dell’«Umberto Biancamano» che un’altra società di navigazione, il «Lloyd Sabaudo», avrebbe ordinato ad un cantiere inglese.
Nobile proposito per fermo; il cui valore non è per nulla sminuito dalla richiesta che l’ordine del giorno fa al governo di uguale trattamento fiscale in confronto a quello da cui sono gravati i cantieri esteri, principalmente inglesi. Richiesta ragionevole perché, se per altre industrie possono concepirsi differenze eventuali di trattamento in ordine alla diversa ricchezza del paese od alla diversa distribuzione della ricchezza, per l’industria dell’armamento le differenze sono dannosissime. Il mare è libero; la concorrenza tra le diverse bandiere è vivissima e qualunque maggior gravame fiscale sulla bandiera italiana non può non avere gravi ripercussioni sulla sua capacità a correre i mari. I deputati di maggioranza nel chiedere parità di trattamento fiscale debbono avere avuto riguardo sovratutto al regime doganale ed a quello dei vari diritti e tasse di registro; ché oramai, abolite in Inghilterra la imposta sui redditi delle società ed in Italia quella sui redditi superiori a lire 10.000 e le sovrimposte locali sulla ricchezza mobile, la situazione inglese e quella italiana per quanto riguarda l’imposta mobiliare sono suppergiù simili; il 23,50% in Inghilterra ed il 22,23% in Italia, amendue calcolate collo stesso metodo della tassazione dei redditi prodotti e non dei dividendi distribuiti. L’aggravio differenziale, che turba la produzione dei cantieri nazionali, sta sovratutto nei dazi doganali sui materiali da costruzione, non abbastanza compensati da rimborsi di dazio, entrate parziali in franchigia, compensi di costruzione. Se i deputati liguri di maggioranza hanno inteso col loro ordine del giorno chiedere l’abolizione di tutti i dazi sui materiali da costruzione, essi hanno compiuto opera lodevolissima. Finalmente sarebbe compiuto il passo più importante per liberare cantieri e imprese di navigazione dalla servitù verso le industrie siderurgiche e per metterle in condizioni di parità con i concorrenti stranieri.
Ma i deputati liguri – tra cui si notano il sottosegretario di stato alla marina, on. Celesia e l’on. Dionisio Biancardi, consigliere delegato della «Navigazione generale italiana» – chiedono altro ancora al governo. Considerando «le grandi facilitazioni che, con l’intervento del proprio governo, l’industria inglese dei cantieri navali offre al riguardo del finanziamento» il comitato parlamentare ligure di maggioranza «chiede al governo italiano di adottare tempestivamente i provvedimenti richiesti per ristabilire la parità di condizioni tra cantieri nazionali ed esteri anche in rapporto al finanziamento».
L’ordine del giorno non è straordinariamente perspicuo; ma tradotto in linguaggio ordinario parrebbe voler dire che:
- in Inghilterra il governo concede ai cantieri navali prestiti ad un saggio di interesse di favore, ovvero sussidia banche affinché concedano tali prestiti;
- perciò è urgente che il governo italiano imiti il governo inglese e conceda o faccia concedere ugualmente prestiti di favore.
La richiesta merita di essere esaminata dal punto di vista storico e da quello razionale.
Storicamente, sarebbe utile che il comitato parlamentare ligure pubblicasse i dati che esso possiede riguardo ai prestiti che il governo inglese ha conceduto (in passato) o concede (presentemente) ai cantieri navali. Conosco l’esistenza di un «Trade facilities Act», diretto ad incoraggiare con prestiti il commercio con i paesi a valuta disordinata; ma non mi risulta che di esso sia stata fatta applicazione ai cantieri navali, né l’Italia figura tra i paesi verso cui l’esportazione è stata incoraggiata con prestiti. Parrebbe anzi che l’applicazione dell’atto sia stata scarsa e sia oggi ancor più piccola che in passato. Ad ogni modo, può darsi che esistano provvedimenti legislativi – senza dei quali il tesoro inglese non potrebbe sborsare neppure un centesimo – a favore del credito navale. I deputati liguri di maggioranza, competentissimi per gli uffici coperti, non avranno difficoltà ad illuminare il pubblico italiano su questo aspetto così interessante di intervento governativo a favore dei cantieri navali inglesi.
Non si può dire tuttavia che il governo italiano non abbia fatto nulla in merito al «finanziamento» dei cantieri nazionali. Al 31 dicembre 1923 erano in corso lire 149.174.903,85 per operazioni di credito navale ossia per prestiti concessi dal consorzio per sovvenzioni su valori industriali ed il comm. Stringher nota nella sua relazione che tali operazioni assorbono più del quarto delle operazioni totali del consorzio: 149 milioni su 572; e che, mentre le altre operazioni decrescono, «soltanto le operazioni di credito navale sono in sensibile aumento, a cagione della crisi dei cantieri di costruzione». E noto che le operazioni del consorzio sono indirettamente sussidiate dal governo, colla riduzione della tassa di circolazione dal 100% al 25% del saggio ordinario dello sconto; sicché il consorzio può far prestiti ad un interesse non superiore al saggio ufficiale dello sconto; che è certamente un saggio favorevolissimo ai mutuatari. Se non vado errato, a ciò non si limita l’intervento dello stato a favore dei cantieri; ché a suo tempo si parlò di prestiti concessi a cantieri triestini a condizioni di interesse straordinariamente favorevoli.
Tutto ciò è problema storico. I deputati liguri volevano probabilmente dire, sebbene si siano dimenticati di illustrare il loro concetto, che quel che si fa in Italia è troppo poco in confronto a quel che si dice si faccia in Inghilterra. Sul qual punto non c’è che da attendere le illustrazioni opportune. Razionalmente, si può chiedere: è bene che lo stato faccia prestiti a saggio di favore ai cantieri navali? Lo Stringher, con la solita cautela di linguaggio, così espone la ragion d’essere dei prestiti di favore del consorzio:
«Le nuove operazioni di credito navale sono state destinate, in gran parte, al compimento di navi impostate prima che il tracollo dei prezzi ne rendesse anti – economica la costruzione e quando l’industria navale poteva ancora contare su finanziamenti adeguati alle necessità, di poi improvvisamente mancati».
Il che torna a dire che l’industria navale è sicura di trovare capitali quando è redditizia; mentre i capitali mancano quando essa è in perdita.
Se le cose stanno così, e l’autorevolezza dello Stringher non lascia dubbi in proposito, il buon senso non insegna forse che è bene che le cose stiano così? Qual risultato mai può produrre la facilità dei prestiti in tempi cattivi – in quelli buoni sono superflui – se non di acuire la crisi? Tutte le crisi si sono risolute, cessando o diminuendo la produzione della merce sovrabbondante. L’intervento dello stato incoraggia solo a produrre una merce non richiesta e quindi aggrava la crisi. I deputati liguri di maggioranza probabilmente non vogliono che i prestiti di stato servano a siffatto scopo nefasto; ma, poiché altro esso non può essere secondo l’esperienza ordinaria, gioverebbe che essi chiarissero a quali altri scopi ed a quali altre esperienze si riferiscono i prestiti di favore di cui essi si sono fatti banditori a carico dello stato e cioè a carico dei contribuenti.