Per un programma di lavoro
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1936
Per un programma di lavoro
«Rivista di storia economica», settembre 1936, pp. 199-204
Maria Raffaella Caroselli (a cura di), Natura e metodo della storia economica. Raccolta di saggi, Milano, Giuffrè, 1960, pp. 79-85
1. Per un programma di lavoro è veramente titolo appropriato allo studio di Gino Luzzatto perché pone in rilievo quel che vi è di comune negli sforzi che studiosi venuti da tante origini diverse, dalla economia pura, dalla filosofia, dalla storia politica e da quella del diritto, vanno compiendo nel campo della storia economica.
Il carattere comune è magistralmente chiarito dal Luzzatto, provetto fra i maestri italiani di storia economica: lavorare sulle fonti, lavorare con predilezione se non esclusivamente, sulle fonti italiane, lavorare con onestà e serenità rigorose, scegliere problemi atti ad illuminare le regioni meno note e non bastevolmente approfondite della nostra storia. Che la storia dell’agricoltura e quella dei secoli sedicesimo e diciassettesimo offrano al ricercatore curioso e paziente possibilità di scoperte in territori quasi incogniti è ipotesi meditata, che mi auguro riesca feconda. Suggerimenti siffatti promettono frutti assai più saporosi di quelli che possiamo attenderci dal metodo del lavoro collettivo, di fronte al quale ho l’impressione di essere più scettico di quanto il Luzzatto già non sia. Dubito che persino la sociologia, sebbene sia quella certa cosa che nessuno sa definire con precisione, possa trarre vantaggio dal lavoro collettivo, che gli americani, inconsapevoli umoristi, avviliscono quando intenderebbero lodarlo chiamandolo «lavoro di squadra» (team – work). Il Febvre in verità nell’ultimo (settembre, pag. 456) fascicolo delle Annales d’histoireéconomique et sociale parrebbe ridurre l’utilità del lavoro di squadra ad «un certain genre de travail» ed a «ces hommes estimables à qui on ne demande point de marquer les faits d’une empreinte personnelle». Si possono cioè pubblicare a mezzo di squadre di studiosi documenti, regesti, bibliografie?
Non nego; ma aggiungo subito: purché si tratti di documenti nudi e crudi, di regesti i quali contengano solo i titoli e i sunti e le frasi iniziali e terminali quali risultano dal documento medesimo, le bibliografie le quali indichino il titolo, il formato, la paginatura dei volumi, senza commenti estratti riassunti giudizi. Lavori cosiffatti sono per fermo utilissimi e possono essere condotti secondo un piano ed assoggettati, come vuole il Febvre, alla revisione del curatore in capo. Più in là è pericoloso andare. Quando si vuole illustrare i documenti o valutare i numeri della bibliografia, scartando gli inutili e dando il giusto peso ai libri veramente significativi, l’editore è obbligato a «marquer les faits d’une empreinte personnelle».
Una bibliografia dove c’è tutto richiede pazienza accuratezza abnegazione e può rendere ottimi servigi a chi sa usare i ferri del suo mestiere. Una bibliografia ragionata scelta, la quale voglia essere essa medesima guida agli studiosi, richiede qualità di ordine forse diverso ma non meno elevate di quelle che si richieggono a chi scrive storie. Importa sapere valutare i libri altrui, conoscere la storia del tempo, ed avere di essa una propria visione. La bibliografia compiuta e quella ragionata hanno due scopi diversi; ma solo la prima può essere compilata da squadre di schedatori.
Pubblicare documenti e compilar regesti è più difficile del cumulare schede di meri titoli di volumi; ma non è lavoro al di sopra delle forze degli «hommes estimables» a cui pensa il Febvre; se invece il documento deve essere interpretato e commentato, se il regesto deve contenere le parole o frasi veramente significative del documento, se esso deve essere illustrato da note sul carattere delle fonti l’«homme estimable» deve possedere le attività del filosofo e conoscere bene i tempi e le cose a cui i documenti si riferiscono. Storia non solo è descrizione di fatti individuali; ma è scritta dall’individuo. I più provetti possono suggerire problemi ai giovani: ma questi li devono affrontare da soli. Perciò il valore sempre vivo e vero dell’altro insegnamento dato dal Luzzatto: meglio studiare un dato problema in un breve tempo ed in un luogo ben limitato: il catasto, ad ipotesi, dei terreni agricoli nel 1791 nel territorio rurale della città di Torino (cito una data ed un luogo per i quali so esistere perlomeno la base preliminare di orientamento per la ricerca, che è la carta topografica per culture), piuttosto che la storia del catasto in Piemonte dal ‘200 all’800, impresa alla quale per ora siamo affatto impreparati. Attorno a quella sola ben delimitata ricerca si può far rivivere di scorcio tutto un mondo: i residui del feudalesimo, le nuove classi nobiliari e borghesi, i contadini, l’organizzazione comunale e statale, le imposte, le strade, la pubblica sicurezza. Quel piccolo fatto sarà illuminato – ma cosa vuolsi far illuminare da una squadra? – da tutti gli altri fatti che comprendono la realtà torinese e piemontese di quel momento e a sua volta li illuminerà.
Perciò ha ragione il nostro collaboratore: importa, sovrattutto, trovandoci in Italia ancora ai primi passi, non litigare tra noi medesimi e scomunicarci a vicenda: economisti contro giuristi, filosofi contro filologi. C’è da fare per tutti.
2. Tuttavia, quel benedetto aggettivo «economica» posto dietro al sostantivo «storia» è costretto, poiché c’è, ad avere un significato. Lo storico dell’economia non può scrivere storia allo stesso modo del giurista o del filosofo o politico. Non soltanto egli tratta problemi suoi, di banca, di cambio, di moneta, di commercio, di industria, di agricoltura; ma li tratta secondo un proprio punto di vista, che è quello economico. «Punto di vista» e non «prevalenza», né «specializzazione». Non si diventa storici dell’economia dando, come fecero molti nel tempo verso il 1900, rilievo a certi fatti detti economici e mettendoli a fondamento delle spiegazioni da essi date di certe passate vicende umane. Così scrivendo, si fa buona (esistono, nonostante la cosa tenga del miracoloso, persino buoni libri di storia informati al concetto materialistico della storia!) o cattiva storia politica, non storia economica. Non è storico dell’economia bensì del diritto, colui il quale discorre di storia dell’agricoltura in una data regione nella prima metà del ‘200, se egli di quei contratti agrari o di quelle forme della proprietà si occupi dal punto di vista giuridico.
A caratterizzare la storia dell’economia importa dunque il «punto di vista». Il giurista studierà il colonnato attraverso le norme le quali lo regolarono nelle leggi e nelle consuetudini; l’economista, tenuto conto di tutte le circostanze del tempo – costituzione politica della società, forme giuridiche, distribuzione della ricchezza, stato della sicurezza, della viabilità, quantità di terra, quantità di popolazione, livello dei bisogni – indagherà a quali esigenze produttive quel tal tipo di colonato intendeva soddisfare e in quale misura vi soddisfece; cercherà di conoscere quale influenza essa esercitò sulle condizioni di vita degli agricoltori e quali forze contribuirono via via a trasformarlo e poi a distruggerlo. A compiere l’indagine egli, come osserva il Luzzatto, dovrà forse chiamare a raccolta tutti i fattori politici religiosi sociali della vita del tempo. Tuttavia, se anche risolverà il suo piccolo problema tanto meglio quanto meno le sue conoscenze saranno specializzate, egli non deve dimenticare che quello e non altro è il «suo» problema. I libri di un banchiere si possono studiare dal punto di vista della forma osservata nelle scritturazioni contabili ed avremo storia della ragioneria ovvero del tipo dei contratti di cambio di moneta o dei rapporti con case bancarie corrispondenti o con filiali o con clienti ed avremo storia giuridica; dal punto di vista dei fatti accaduti, i quali diedero luogo ad operazioni bancarie ed avremo storia politica e sociale; ovvero si cercherà da essi di dedurre quale era il tipo della impresa, la sua organizzazione ed estensione, l’importanza e l’esito degli affari intrapresi e si farà storia economica.
Nessuna di queste storie diverse è perfetta se chi la scrive non la inquadri in una concezione generale che sappia valutare tutti i punti di vista ed i reciproci rapporti dell’uno coll’altro; ossia non sappia che la pretesa di scrivere sul serio storia ragioneristica o giuridica o politica od economica è assurda perché non esistono fette di storia l’una indipendente dall’altra e non sia convinto che la storia è unica, e solo, per ragione di divisione del lavoro e per difficoltà di intenderla e descriverla nel suo insieme, giova o fa d’uopo guardarla or dall’uno ed or dall’altro angolo visuale.
Su ciò non credo vi sia dissenso, se non con coloro i quali, assorti nella propria specialità, condiscendono ad ammettere l’esistenza di altri punti di vista a condizione di relegarli in condizione subordinata, intollerabile per i cultori di essi. Di qui i battibecchi e le scomuniche, oggetto di spassosa contemplazione per il pubblico, il quale è tratto a concludere: coloro che così vogliono sopraffare ed escludere altrui non hanno nessuno degli occhi necessari a fare una qualunque storia, non l’occhio del ragioniere né quello del giurista o dell’economista o del politico. Chi ce l’ha, sa che su un’attitudine innata, la quale poteva essere però rivolta ad altra meta, egli con lo studio assiduo, con l’esperienza, attraverso ad insuccessi ammaestratori è riuscito ad addestrare il suo occhio in guisa da vedere meglio o più presto il problema che altri non distingue; ma sa anche che il tirocinio suo non gli consente di vedere altrettanto bene e subito quel che altri, che l’occhio suo educò diversamente, vede. Epperciò egli non scomunica nessuno, e tenta di far suo pro delle conquiste altrui per capir meglio il tutto.
3. Forse perciò il solo punto di sostanziale amichevole dissenso fra il Luzzatto e lo scrivente ha tratto alla posizione della storia del pensiero economico rispetto alla storia economica in generale. Il Luzzatto inclina a sdoppiare la storia del pensiero economico in interna e questa avrebbe lo scopo di studiare la formazione graduale nel tempo del pensiero economico allo scopo puramente teorico della miglior conoscenza del pensiero economico attuale ed esterna, la quale studierebbe il pensiero degli economisti passati in quanto strumento di valutazione dei fatti e degli istituti economici del tempo. Gli aggettivi interno ed esterno da me aggiunti forse giovano a chiarire che la prima specie di storia è quella del graduale perfezionarsi della teoria economica, provocato dalla necessità spirituale in cui si sono trovati i grandi pensatori della nostra scienza di formulare schemi sempre più precisi logici ed atti a raffigurare una realtà, anch’essa mutevole; laddove la seconda studierebbe le dottrine degli economisti di un dato tempo, senza preoccuparsi della parte che esse ebbero nella formazione delle dottrine successive e presenti, allo scopo esclusivo di conoscere la virtù che esse invece manifestarono nel decidere gli uomini del tempo medesimo ad operare e legiferare in un senso piuttosto che in un altro.
È intuitiva l’importanza che la storia esterna ha per la conoscenza dei fatti ed istituti economici; e cagione non ultima di quel peso è notoriamente la circostanza dell’essere gli uomini spinti ad operare più dalle false o illusorie immagini di idee che dalle idee vere e proprie, frutto di meditazione.
Perciò le dottrine in genere e non solo quelle che per essere fondate sul ragionamento furono le genitrici del corpo ricevuto della teoria economica odierna, le dottrine qualunque, le parvenze di dottrine sono fonte e materia importantissima della storia economica. Lo storico dell’economia dovrebbe solo perciò interdire a se stesso lo studio della graduale formazione della teoria economica attuale? La storia delle idee non è forse anch’essa storia?
Notisi che storia «interna» del pensiero economico non vuol dire solo storia delle idee passate le quali culminarono nel pensiero attuale o ebbero parte a foggiarlo così come esso è. Storia del perfezionamento progressivo della teoria economica vuol dire altresì storia del continuo sfaldarsi e impoverirsi del pensiero antico, il quale si spoglia di talune sue proprietà per arricchirsi di altre, abbandona certi concetti o certe formulazioni di un concetto per far proprii altri concetti ed altre formule. Scrive storia chi assume il pensiero economico di un’epoca quale esso è come strumento per conoscere e valutare fatti ed istituzioni dell’epoca medesima.
Ma forse vede più a fondo nel passato chi nel pensiero dell’epoca vede la distinzione fra la tesi caduca la quale influì sull’opera degli uomini attraverso l’immaginazione il sentimento la passione, la dottrina contingente che influì sull’opera stessa attraverso il ragionamento applicato a fatti momentanei e ad istituzioni provvisorie, il relitto derivato da dottrine, fatti ed istruzioni del passato che già andavano svanendo e la teoria permanente che operò ragionando su fatti ed istituzioni e costumi proprii della natura umana, destinati a non perdere valore per il trascorrere di lunghissime epoche storiche. Lo strumento «pensiero economico del tempo» è per fermo mezzo tanto più raffinato di valutazione dei fatti contemporanei quanto meglio sappiamo scernere quel che di esso è rimasto successivamente vivo da quel che ne fu parte caduca.
Teoria e fatti hanno valori diversi e tengono luogo vario nel quadro che lo storico è chiamato a dipingere. O non è probabile che alle teorie feconde vive ed autoperfezionantisi nel tempo corrispondano nel quadro dello storico i fatti fondamentali, le istituzioni le quali durano oltre le dinastie le forme di governo e le cangianti vesti giuridiche? e che le tesi e le dottrine caduche contingenti e sopravvissute siano invece la eco di istituzioni e di fatti secondarii i quali, dopo aver riempito per qualche tempo di sé il mondo, poi svaniscono? La storia del pensiero economico è parte della storia in generale e di quella economica in particolare perché giova a mettere ordine nella massa eterogenea confusa dei fatti, a creare una gerarchia tra fatti primi e fatti secondari. Lo storico si distingue dal cronista erudito, per la sua attitudine a creare un ordine nei fatti accaduti; e ciò egli non può fare ove non rifletta sulle ragioni dei fatti accaduti.
Or come potrebbe lo storico riflettere ed ordinare fatti economici senza conoscere le vie per le quali la logica economica dai rozzi tentativi d’un tempo è giunta alla perfezione odierna e tenta di giungere a più alte mete?
Storia interna del pensiero economico è storia degli schemi logici ideati per dare un ordine ai fatti economici e tentarne una spiegazione sempre più piena e persuasiva. Come si può scrivere storia di fatti senza tentare di ordinarli mentalmente coll’aiuto di una qualche macchina logica?
Non appena, compiuta la trascrizione del documento, tentiamo di interpretarlo, sorge la necessità dell’uso di qualche strumento di interpretazione. Credere di poterne far senza è mera illusione, la quale ci può far cadere, senza volerlo, vittime di una macchina logica superata o disadatta o erronea.
Perché, a tacere della interpretazione materialistico – economica della storia, che non vorrei far diventare una testa di turco, gli economisti tedeschi della scuola storica non riuscirono, eccetto quando dimenticavano la propria tesi, a fare storia economica? perché, a prendere in mano un libro di Sombart si è tratti a lamentare spesso lo spreco di tanta dottrina e di tanto sforzo mentale? Perché essi non conoscevano od avevano volutamente dimenticato o disprezzavano quegli strumenti di interpretazione dei fatti che gli economisti avevano costruito sotto il nome di teoria economica. La teoria economica dell’oggi è, si intende, un mero strumento provvisorio, destinato ad essere sostituito domani da altro più perfezionato strumento.
Ma giova risparmiar fatica, a collocare i fatti secondo una certa prospettiva, ad interpretarli logicamente. Fare astrazione da quello strumento è un condannarsi a brancolar nel buio o ad afferrarsi ad altri strumenti di interpretazione creati dalla meditazione filosofica o politica o giuridica, ognuno dei quali è indubbiamente fecondo in un campo più o meno vasto, ma nessuno dei quali scava a fondo nel nostro particolare punto di vista economico. La scissione della storia del pensiero economico della storia economica in generale deve perciò essere deprecata come ogni altra frantumazione del tutto; ma qui, inoltre, la parentela è strettissima, anzi vi ha identità dell’oggetto studiato: la storia economica avendo per ufficio di rievocare azioni degli uomini e la storia del pensiero economico le idee che intorno a quelle azioni gli uomini medesimi manifestarono.