Per le nuove convenzioni marittime
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/09/1908
Per le nuove convenzioni marittime
«Corriere della sera», 8 settembre 1908
Un comunicato ufficiale del Ministero delle poste e telegrafi ha annunciato la rottura delle trattative iniziate dal Governo italiano con un potente gruppo finanziario per la rinnovazione delle convenzioni marittime. È questo un grosso problema, che ha preso una brutta piega e di cui non si vede vicina la soluzione. Il Governo ha studiato, fin troppo a lungo, per mezzo di proprie Commissioni senza mantenere il contatto con la gente del mestiere; cosicché il programma marittimo proposto dal Governo ed approvato dal Parlamento, appare a molti troppo grandioso e con mezzi non rispondenti al fine. Le Compagnie di navigazione interessate, d’altro canto, ebbero tutto il tempo per mettersi d’accordo ed avanzano oggi pretese fuor d’ogni proporzione con le somme che l’erario può e deve spendere.
Importa dunque rivedere il programma che ha condotto a risultati così negativi. Dopoché si sarà provveduto all’immediato avvenire con qualche espediente provvisorio, occorrerà prepararci per tempo ad una sistemazione definitiva. Oggi le Compagnie coalizzate chiedono i 50, i 40 ed i 24 milioni quando il Governo offre 12, 11 e 7 milioni e mezzo anche perché ci troviamo a meno di due anni dal giorno in cui le nuove convenzioni dovrebbero entrare in vigore. In due anni non si improvvisa una flotta quale è richiesta dalla nuova legge e quelle Compagnie che già la posseggono godono di una specie di monopolio. Se, come il Corriere tante volte ha avvertito, si fossero approntati i nuovi schemi di convenzione per tempo, ossia almeno quattro anni prima, non ci troveremmo oggi a questi mali passi.
Del resto, non tutto il male viene per nuocere. I fatti si sono incaricati di persuadere Governo, Parlamento e pubblico che in questo problema bisogna provvedere con mire lungiveggenti a tempo opportuno. Il programma odierno dovrebbe perciò essere duplice: provvisorio per continuare, nel modo migliore possibile, i servizi esistenti e definitivo, da entrare in vigore dopo un congruo numero di anni, nel 1912 o 1913 ad esempio. E quest’ultimo programma dovrebbe essere elaborato, tenendo conto di tutti i consigli della pratica e dell’esperienza passate. Appunto di questi giorni abbiamo letto un interessante libro Per le nuove Convenzioni marittime e le comunicazioni oltre Suez (Venezia, Editore Ferrari, 1908, pag. 230), in cui il signor Giulio Fradelletto esamina e discute le proposte governative; ed il suo libro viene in buon punto oggi in cui il problema è posto ex-novo sul tappeto.
L’autore, che in altro campo degnamente segue il nobile esempio paterno, ha scritto un libro di esperienze che si legge con gran frutto. Chi scrive non ha qui il tempo e lo spazio per prendere minutamente in esame le varie proposte che l’autore fa rispetto alle nuove linee oltre Suez, delle quali egli esclusivamente si occupa. Basti il dire che la legge del 30 aprile 1908 prevedeva per le linee oltre Suez 18 piroscafi, di tonnellate lorde 73.300, di una percorrenza annua di 747.254 miglia, mentre il Fradeletto propone 20 piroscafi, di tonnellate lorde 62.500 e d’una percorrenza di 1.183.244 miglia. Le linee esercite sarebbero 8 invece di 7 e la sovvenzione ammonterebbe a lire 6.800.000 invece che a lire 5.100.000.
Malgrado che la spesa sia sensibilmente maggiore, il libro del Fradeletto dovrà essere attentamente studiato dal Governo e dal Parlamento, poiché egli, con osservazioni penetranti e pratiche, con dati di fatto, cerca di dimostrare che i 5 milioni e 100 mila lire di sovvenzioni contemplati dalla legge darebbero scarsissimo frutto; mentre la maggior somma da lui domandata ridonderebbe a beneficio effettivo dei traffici italiani. Il problema non è dunque fra lo spender molto o poco, ma fra lo spender bene o male. Il legislatore con pochi mezzi voleva ottenere effetti grandiosi (fra cui due linee dirette alternate da Genova e Venezia a Jokohama che il Fradeletto apertamente dichiara premature ed antieconomiche, invocando invece una linea mensile da Bombay a Jokohama, di gran lunga meno costosa e praticamente più efficace, essendo già Bombay collegata da altre linee ai porti italiani); ma le intenzioni si chiarirono inefficaci. I competenti discutono ora se le nuove proposte siano preferibili, sia per la spesa che per i risultati da ottenersi.
Certo, il contributo apportato dall’autore alla discussione dell’importante problema è assai pregevole. Il suo è un libro pieno di osservazioni sennate e che danno a vedere l’uomo, il quale ha guardato in faccia alle questioni senza badare alle preoccupazioni politiche. Il Fradeletto lamenta a parecchie riprese l’affannoso arrembaggio per ottenere approdi fin nei più minuscoli porti, senza pensare che scarso o niun beneficio sarebbe derivato a questi, mentre complessivamente i vari servizi ne avrebbero risentito danno; e cita parecchi esempi di questo mal vezzo, causa precipua per cui la legge nuova non risolve il problema o lo risolve assai meno di quanto potrebbe, specialmente perché essa soddisfece sovratutto «le piccole ingordigie a detrimento di grandi necessità». Il legislatore dovrebbe tener conto del sensato consiglio che in diversi casi specifici dà il Fradeletto, di ridurre il numero degli scali obbligatori, rendendo gli altri facoltativi. La facoltà non dovrebbe essere concessa dal Governo, come oggi talvolta accade, facendo risorgere in altra veste il favoritismo locale che s’era voluto in apparenza impedire; ma dovrebbe mutarsi in obbligo, quando fosse segnalato in arrivo od in partenza un quantitativo minimo di merci. Trattandosi di servizi commerciali, e data l’esistenza del telegrafo con e senza fili, la proposta sembra pratica e toglierebbe lo sconcio di vapori che debbono perder tempo ad entrare ed uscire da un porto solo per far vidimare le carte e per crescere inutilmente le cifre delle statistiche governative.
La moltiplicazione degli scali e la scarsa visione delle necessità del commercio hanno indotto il legislatore a fissare delle linee, con velocità di dieci miglia all’ora, insufficienti ora ed incomportabili fra qualche tempo, le quali dovrebbero subire la concorrenza di linee straniere, già iniziate fra gli stessi porti che trasportano le merci in un tempo minore di un terzo a quello delle future linee italiane. «Quale bisogno ed utilità – esclama con ragione l’autore – di spendere somme non indifferenti per avere servizi peggiori di quelli esercitati da Compagnie straniere, senza un soldo di sovvenzione, tra i nostri porti ed altri al di là degli Oceani?».
Quest’ultima osservazione, che non sappiamo a quante linee possa applicarsi, dovrebbe aiutare il commercio italiano a sopportare con rassegnazione il prossimo periodo di incertezza nei servizi marittimi. Ai traffici più necessari provvederà la libera concorrenza e nel frattempo da un lato le compagnie si decideranno a venire a più miti consigli e dall’altro il Governo, dando ascolto ai veri bisogni della espansione commerciale italiana, vorrà, speriamolo, elaborare per tempo un programma marittimo compiuto ed efficace.