Parlamenti e classe politica
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 02/06/1923
«Corriere della Sera», 2 giugno 1923
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 264-269
Singolare la fortuna di questi Elementi di scienza politica di Gaetano Mosca (seconda edizione, con una seconda parte inedita. Un vol. di pp. IX – 514, F.Ili Bocca, Torino). In piena fioritura parlamentare, quando appena, con i ministeri Depretis, si disegnavano malcerte le prime degenerazioni trasformistiche, egli, giovane di 25 anni, pubblicava nel 1883 il libro Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare il quale rimane con pochissimi altri, forse soltanto con quelli di Turiello, l’analisi più profonda della vita politica italiana di quel tempo. Oggi, è facile parlar male del governo parlamentare, della sua instabilità, della sua inefficienza amministrativa. Ma affermare che queste non sono che manifestazioni superficiali di una concezione radicalmente sbagliata della organizzazione politica, che il dogma della sovranità del popolo non ha nessuno dei caratteri della verità scientifica; e proporre, quaranta anni or sono, al posto dei dogmi metafisici della rivoluzione francese, i concetti della «formola politica» e della «classe politica»: questo è ciò che nella scienza dicesi «scoprire» terre nuove. Dopo Mosca, sono venuti altri scrittori giustamente celebrati; e, prima di lui, si possono trovare in scrittori grandissimi i germi delle idee che egli sistematizzò e riassunse nei due principii fondamentali che io riassumerei così.
Primo: il governo di un paese non è e non può mai essere retto dalla maggioranza del popolo e neppure da una genuina rappresentanza della maggior parte dei cittadini. Questa è una utopia pericolosa e distruggitrice della convivenza sociale. Il governo politico deve essere in mano di una minoranza organizzata. Mosca ha dato alla minoranza organizzata, costituita da quelle persone le quali in un paese emergono per ricchezza, cultura, capacità amministrativa ed anche arte di cattivarsi le moltitudini e di imbrogliare i governati, il nome di «classe politica». Dalla buona scelta e formazione della classe politica dipende la fortuna di un paese. A seconda che in essa predominano le qualità di valore, intelligenza, devozione al paese, indipendenza economica, ovvero quelle di intrigo, sopraffazione, avidità di danaro, e dipendenza dai pochi o dalle folle che possono dare la ricchezza, variano i risultati ottenuti.
Secondo: il predominio, necessario ed utile, della classe politica ha bisogno, per conservarsi, di una ideologia, a cui Mosca dà il nome di «formula politica»: e questa può essere la forza, la eredità, il diritto divino, la sovranità popolare. Presso a poco, tutte queste formule si equivalgono, essendo desse puramente la manifestazione esteriore verbale delle vere ragioni per le quali la classe politica afferma la sua capacità a governare le moltitudini.
Dodici anni più tardi, nel 1895, queste idee, le quali prima erano venute fuori dall’analisi delle forme di governo realmente operanti in Italia, trovarono la loro sistemazione scientifica negli Elementi di scienza politica ed ora tornano in pubblico in una seconda edizione, in cui gli Elementi del 1895 sono conservati intatti, senza alcuna modificazione; ma coll’aggiunta di un nuovo libro, in cui il problema fondamentale politico è ripensato a fondo.
In un articolo di giornale, necessariamente breve, non è possibile esporre compiutamente il processo mentale per cui un autore è giunto alle sue conclusioni. Giova, passando sopra a quelle che sono forse le parti essenziali, guardare di scorcio ad un aspetto solo del vasto problema considerato. Il libro di Mosca è un trattato delle forze per le quali sorgono, si rafforzano e decadono gli stati ed i governi. In questo mondo politico, dominato dai concetti di una «classe politica» la quale governa imponendosi alle moltitudini con una «formula politica», qual è il posto della forma di governo parlamentare? Questo è il modo giornalistico di porre un problema generale. Ponendolo così, noi ne restringiamo sicuramente la portata, ma lo si rende vivo. La singolarità della posizione di Mosca è la seguente: che, dopo aver cominciato nel 1882 a scrivere un libro, dalla cui lettura si esce critici convinti del parlamentarismo e persuasi che fa d’uopo cercare altri metodi più perfetti di governo, egli, nella conclusione del suo nuovo libro – ché questa edizione è un vero nuovo libro – scrive la più valida difesa, che si possa fare, del governo rappresentativo. Non è già che le idee fondamentali siano mutate; resta ferma la negazione della ideologia di Rousseau del governo fondato sull’espresso consenso dei consociati. Ma quarant’anni di osservazioni e di esperienza sui difetti della natura umana hanno persuaso l’autore che la perfezione non è raggiungibile in materia politica e che il governo rappresentativo offre forse la combinazione praticamente migliore del sistema dei contrappesi e dei compromessi, per cui il potere supremo non è libero di agire a sua posta, ma esistono parecchi poteri ognuno dei quali controlla e limita gli altri e tanto meglio li controlla e li limita, quanto più i diversi poteri rappresentano frazioni differenti e contrastanti della classe politica.
Gli altri tipi di governo: governo assoluto, dittatura del proletariato, repubblica social democratica, governo sindacale delle classi organizzate, sarebbero un regresso di fronte al tipo di governo rappresentativo, perché trarrebbero la propria classe politica da una sola sorgente, distruggendone ben presto ogni vitalità spontanea. La distrugge il governo assoluto, perché il favore del principe o del capo è il solo modo di arrivare a far parte della classe politica, la quale finisce perciò di essere composta solo di cortigiani. La distrugge la dittatura del proletariato, ove il potere cade in mano dei furbi che sanno condurre le plebi e sanno vivere dei proventi del lavoro di queste. Il che altresì accadrebbe qualora un regime di socialismo temperato assorbisse le iniziative più redditizie, le trasformasse in imprese di stato e rendesse la carriera di ognuno dipendente dal favore dei reggitori delle amministrazioni economiche statali. Parimenti, in un regime di rappresentanze politiche tratte dalle classi professionali, il modello del dirigente politico diventa l’organizzatore, stipendiato della propria organizzazione. In ognuno dei sistemi politici che si possono contrapporre a quello rappresentativo, il vizio fondamentale sta nel creare una classe politica uniforme, burocratica, asservita allo stato, che essa è chiamata a reggere e ad amministrare. Lo stato che recluta i suoi governanti tra i suoi servitori; che fa dipendere la carriera e la fortuna dei governanti dalle ricchezze che essi possono trarre dallo stato medesimo: ecco un tipo di stato decadente, votato all’immiserimento ed alla barbarie. Lo stato rappresentativo è invece fondato sull’esistenza di forze indipendenti e distinte dallo stato medesimo: resti di aristocrazia terriera, classi medie che traggono la loro propria vita dall’esercizio di industrie, di commerci e di professioni liberali, rappresentanti di operai organizzati di industrie non viventi di mendicità statale. Se queste condizioni sono soddisfatte, noi abbiamo un governo veramente libero; in cui i funzionari non sono l’unica classe politica esistente, ma una delle tante forze, dal cui contrasto e dalla cui cooperazione sorge la possibilità di un’azione veramente utile al tutto.
Mosca chiama «fortissimo» questo regime, perché ha potuto incanalare verso fini d’interesse collettivo una somma immensa di energie individuali e nello stesso tempo non le ha schiacciate e soppresse; e ha perciò lasciato ad esse una vitalità sufficiente per conseguire altri grandi risultati, sopra tutto nel campo scientifico e letterario e in quello economico.
E Mosca giunge perciò ad affermare che se durante l’epoca che ora accenna a tramontare i popoli di civiltà europea hanno potuto mantenere il loro primato nel mondo ciò si deve in massima parte ai benefici effetti del loro regime politico.
Certamente anche il regime rappresentativo è suscettibile di miglioramenti, sovratutto indiretti. Il Mosca ne addita due, relativi alla disciplina della libertà di stampa e di associazione. Rispetto a cui oggi si oscilla tra l’estremo di una sfrenata licenza in tempi di governi deboli e di compressione arbitraria in tempi di governi forti. Occorrerebbe che la legge definisse esattamente quali sono i reati di stampa e perseguire i veri responsabili dei reati, ossia gli scrittori; e farebbe d’uopo parimenti che la legge dichiarasse con precisione quali sono i limiti entro i quali è consentito ai cittadini associarsi ed al di là dei quali comincia il diritto dello stato a difendersi contro le organizzazioni attentatrici alla sua sovranità. L’onnipotenza assoluta della stampa e delle associazioni è altrettanto dannosa alla collettività come l’onnipotenza dello stato. Se si guarda in fondo, si vede dunque che l’essenza dei regimi rappresentativi non sta nella formula della sovranità popolare, sta nella creazione di una classe politica variegata, colta, economicamente indipendente, la quale diriga il paese attraverso organi di governo sufficientemente unificati per potere agire, ma non abbastanza sciolti da vincoli da diventare onnipotenti e tirannici. L’errore forse più grave della generazione che oggi volge al tramonto è di avere negletta la formazione di una cosiffatta classe politica, i cui componenti amino, come si esprime il Mosca, tutto ciò che è od appare nobile e bello e consacrino una buona parte della loro attività ad elevare od a salvare dalla decadenza la società nella quale vivono. Costituiscono essi quella piccola aristocrazia morale ed intellettuale che impedisce all’umanità di imputridire nel fango degli egoismi e degli appetiti materiali, ed a questa aristocrazia principalmente si deve se molte nazioni sono uscite dalla barbarie e non vi sono mai del tutto ricadute.
La unificazione d’Italia si deve ad una aristocrazia di questo genere formatasi nei travagli silenziosi di pensiero e di opere volti dal 1821 al 1848. L’aristocrazia di giovani appartenenti alle classi medie, la quale diede durante la grande guerra prova di tanta virtù militare, trasformando rozzi contadini in soldati difensori dell’Italia, deve oggi dar prova di altrettanta virtù civile e, coll’educazione politica e col freno imposto ai proprii generosi impulsi, deve dare all’Italia quella classe politica colta, indipendente e capace di cui il nostro paese ha massimamente bisogno.