Palazzi ministeriali ed altri lavori pubblici
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 29/04/1917
Palazzi ministeriali ed altri lavori pubblici
«Corriere della Sera», 29 aprile 1917
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 549-552
Sui giornali si leggono notizie le quali meriterebbero di essere autorevolmente confermate o smentite. Si tratta della costruzione degli edifici governativi in Roma, per cui pare esistano «preoccupazioni» circa la velocità con cui essi sono condotti a termine. Ed ecco – a quanto sembra, poiché la cosa è talmente incredibile da dover essere riferita con ogni cautela – i ministeri interessati affrettarsi a dare spiegazioni ed assicurazioni.
Per il palazzo del ministero dell’interno già molto si è fatto: l’area espropriata, sgombrato il suolo delle costruzioni esistenti e delle macerie, compiute opere murarie per 3 milioni di lire, assicurata la fornitura di travi di ferro per i solai del nuovo edificio, ecc. ecc. Rimangono da fare i progetti esecutivi per i pavimenti e per gli infissi, i vetri, le decorazioni artistiche, gli impianti sanitari, igienici, di riscaldamento, per cui però, si noti bene, sono già in corso le forniture.
Per il palazzo del ministero dell’istruzione si eseguono in economia i lavori di costruzione del piano terreno. Nel mese di marzo ultimo si provvide a sistemare il cantiere e ad approvvigionarsi dei materiali occorrenti.
L’edificio del nuovo ministero di grazia e giustizia è stato progettato, modellato ed alla fine di aprile, essendo già demoliti i fabbricati espropriati, saranno ultimati i lavori di parte delle fondazioni.
Oramai le fondazioni del nuovo ministero dei lavori pubblici sono ultimate; e non potendosi procedere ai lavori di sopraelevazione, si eseguono le opere in pietra da taglio per la zona basamentale e le murature occorrenti per collocare in opera le pietre stesse.
E potrei continuare con l’elenco: nuovi edifici universitari, nuovo convitto nazionale Vittorio Emanuele III, ministero della marina, palazzo delle casse di risparmio postali «la cui ultimazione presenterà qualche ritardo per la difficoltà di procurarsi materiali», palazzo della nuova dogana, platea in bronzo e ferro della quadriga trionfale sul palazzo di giustizia.
È tutto un fervore di opere e di iniziative edilizie da cui è pervaso il mondo ministeriale ed ufficiale romano. Si vuol dimostrare che la guerra non ha sospeso in nulla il progresso non so se economico o amministrativo del paese. Solo la Corte dei conti sembra sia stata presa da qualche scrupolo. Ultimate le espropriazioni e le fondamenta del suo nuovo palazzo, si sono eseguiti il bozzetto ed il modello al vero; ma poi i lavori sono stati sospesi sino a nuova disposizione.
Né il fervore di opere si limita alla capitale. Non sono molti giorni si è potuto leggere sui giornali torinesi il testo di una risposta che il sottosegretario ai trasporti on. Ancona aveva dato all’on. Vinai, deputato di Mondovì, il quale deve essersi dimostrato assai inquieto perché «lentissimamente procedessero i lavori del tronco della ferrovia Torino-Fossano-Ceva, nonostante lo stanziamento del fondo da tempo regolarmente avvenuto e che si riconosca da enti di Torino e della provincia interessati la grande necessità nazionale dell’attuazione della linea stessa, nella parte essenziale già costruita, anche per non lasciare improduttivi i capitali già impiegativi dallo stato» .
L’on. Ancona così risponde:
Con decreto ministeriale in data 24 maggio 1916 veniva autorizzata l’amministrazione ferroviaria ad eseguire in economia il quarto lotto del tronco della ferrovia Mondovì-Ceva. Furono subito iniziate le espropriazioni dei terreni occorrenti ed eseguiti impianti provvisionali, ma la pessima stagione invernale non ha poi permesso un regolare sviluppo dei lavori, i quali furono ostacolati anche dalla scarsità della mano d’opera. Per tale riguardo si è chiesto l’impiego dei prigionieri di guerra, nella quantità compatibile con le condizioni locali di lavoro e di alloggiamento, impiego che sarà sollecitamente effettuato, ma ciò nonostante l’avanzamento dei lavori, finché durerà lo stato di guerra, non potrà essere sollecito, sia per la scarsità di mano d’opera, sia per le ben note difficoltà delle provviste dei materiali da costruzione e del loro trasporto per ferrovia o per via ordinaria. Riguardo agli altri lotti della ferrovia in parola, si fa presente che i materiali necessari per eseguire l’armamento si potranno avere solo dopo la pace, quando cioè sarà riattivata la regolare loro produzione da parte delle industrie.
Che l’on. Vinai, deputato per Mondovì, cerchi di far passare per una «grande necessità nazionale» la costruzione di una linea la quale è invece un perspicuo esempio di ferrovia elettorale e politica – e mi piace accennare a cose del Piemonte, anzi della provincia dove son nato, per non incorrere nella taccia di regionalismo, come accadrebbe se parlassi di ferrovie ugualmente di lusso di altre regioni d’Italia – è comprensibile, se non perdonabile. Ma che l’on. Ancona vada mendicando scuse per giustificare una lentezza di lavori imposta dalla necessità e dalla utilità nazionale; che egli tragga quasi motivo di lode dal fatto di aver chiesto l’impiego di prigionieri di guerra per lavori ferroviari perfettamente prorogabili, mentre da tante parti agricoltori ed industriali chieggono mano d’opera, anche di prigionieri, per essere in grado di dare pane e munizioni al paese in guerra, non è né comprensibile né perdonabile. Anche alle forme di cortesia nel rispondere alle interrogazioni dei deputati vi ha un limite, quando i deputati chieggono cose dannose al paese e su cui i cittadini monregalesi, buoni patriotti e persone di buon senso, non insistono certamente.
Mi son soffermato sull’incidente della ferrovia Torino-Fossano-Ceva, perché esso risulta da un documento ufficiale. Ma sarebbe bene che i ministeri si decidessero a manifestare i loro criteri rispetto a quelle cose stupefacenti che sono le imperturbate costruzioni edilizie pubbliche in Roma.
Nessuno chiede che si debbano piantare in asso tutte le costruzioni pubbliche, a qualunque punto esse siano giunte e senza tener conto delle particolari condizioni tecniche, economiche e legali del loro completamento. Ma che si proseguano in economia lavori probabilmente abbandonati dagli appaltatori per la difficoltà ed il costo di eseguirli; che si cerchino materiali da ogni parte per tirar su edifici, che nessuna urgenza richiede, che si procaccino legnami per pavimenti, infissi, vetri, impianti sanitari ed igienici, quando è noto che tutto ciò costa oggi somme folli e sovratutto richiede lavoro e carbone, che potrebbero, anzi dovrebbero essere destinati ad altri scopi, che tutto ciò si faccia e si dica dalle competenti direzioni; che i capi degli uffici non abbiano finora sentito il dovere di proporre ai rispettivi ministri i provvedimenti opportuni di sospensione; che serenamente, come se la guerra si combattesse nel mondo della luna, si lascino andare innanzi le costruzioni, perché il lasciar fare rappresenta la linea della minore resistenza, è veramente incredibile.
Occorre che gli uffici edilizi dei ministeri romani si persuadano che oggi occorre scusarsi non per il ritardo nel fare, ma per il ritardo nel decidersi a non fare. Ogni mattone, ogni quintale di cemento, ogni tonnellata di ferro o di carbone, ogni giornata di lavoro impiegata in costruzioni è un mattone, è cemento o ferro o carbone o lavoro sottratto alle trincee, alle linee ferroviarie della zona di guerra, agli stabilimenti militari. Epperciò bisogna dimostrare che davvero non si può fare a meno di continuare nei lavori intrapresi e che la sospensione recherebbe maggior danno del vantaggio; s’intende danno pubblico.
Se i capi degli uffici edilizi o di costruzioni non sono ancora persuasi di ciò, importa che i ministri li richiamino all’ordine. E come un recente lodevole provvedimento del gabinetto cerca di porre un freno allo sciupio della carta nelle amministrazioni pubbliche, così si provveda a ridurre le costruzioni a quelle che davvero è impossibile o troppo dannoso sospendere.