Opera Omnia Luigi Einaudi

L’Italia e i dazi francesi sulle seterie

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 24/07/1905

L’Italia e i dazi francesi sulle seterie

«Corriere della sera», 24 luglio 1905

 

 

 

L’energico atteggiamento della Svizzera ha fatto sospendere, non sappiamo se per la terza o la quarta volta, la discussione che prosegue da parecchio tempo alla Camera francese sul disegno di legge Morel d’aumento del dazio minimo sulle sete pure d’origine europee da 2 e 2,40 a 7,50 per chilogrammo.

 

 

La Svizzera avendo senz’altro annunciata la sua intenzione di ripristinare le tariffe di guerra durate dall’1 gennaio 1893 al 19 agosto 1895, le quali avevano ridotte le esportazioni francesi da 227 a 129 milioni, si capisce come il Governo francese non volesse alla leggera andare incontro ad una eventualità così terribile solo per far piacere ai deputati lionesi ed al socialista sindaco di Lione Augagneur reclamante – malgrado le quotidiane retoriche tirate pacifiste ed internazionaliste – a nome degli operai alti dazi protettori per le seterie. Per ora e per qualche tempo noi possiamo essere sicuri che i dazi francesi sulle seterie non saranno aumentati. Ma dobbiamo vegliare attenti perché la fabbrica lionese è decisa a ritornare alla carica, a rischio persino di fare scoppiare una guerra di tariffe; e perché l’Italia ha un interesse di primissimo ordine ad impedire inasprimenti di tariffe e a reclamare parità di trattamento con gli altri paesi.

Che l’antica e gloriosa industria lionese della seta non possa più dormire fra due guanciali, è cosa certissima. Sono passati i tempi del primato indiscusso della Francia. Per la produzione della seta greggia la Francia rappresentava nel 1876-80 un quinto circa della produzione europea (510 mila chilogrammi contro 1.900 mila chilogrammi dell’Italia e 65 mila della Spagna), adesso (periodo 1898 – 902) è discesa a poco più di un nono: 614 mila chilogrammi contro 4.367.000 dell’Italia, 80 mila della Spagna e 294 mila dell’Austria – Ungheria. E ciò malgrado l’enorme premio di 60 centesimi per kg. di bozzoli raccolti che il Governo francese si è assunto l’obbligo di pagare ai produttori. La filatura rimane stazionaria sugli 800 mila kg.: e nulla valsero i premi rovinosi da 170 a 400 lire per bacinella.

 

 

Il commercio si sposta: Lione che nel 1879 teneva il primo posto nella statistica del movimento delle sete condizionate con 4.449.530 kg. contro ai 2.781.185 di Milano, a poco a poco perde terreno; nel 1895 è superata dalla sua rivale che vanta 6.915.965 kg. contro i 6.825.546 di Lione; e nel 1902 è lasciata gran tratto indietro: 9.849.650 kg. a Milano e 7.165.025 a Lione. La tessitura della seta è pur essa colpita al cuore: nei tessuti di seta pura, la cui produzione scema da 161 milioni di lire nel 1894 a 91 milioni nel 1903. È vero che nel frattempo la produzione dei crespi e mussoline di seta crebbe da 9 milioni a 117, ma il compenso non c’è, perché crespi e mussoline sono prodotti da altri fabbricanti, non dai proprietari dei vecchi telai a mano e meccanici che formavano la gloria di Lione.

 

 

Bisogna correre al riparo dei nemici della seteria francese: ed i nemici sono, al solito, i concorrenti stranieri. Questi, mentre la fabbrica lionese vedeva diminuire la sua produzione da 161 a 91 milioni, riuscivano ad importare in Francia 50 milioni invece di 19. Sui 50 milioni una ventina è di origine europea e 30 vengono dall’Asia e specialmente dal Giappone, il nuovo e formidabile rivale dell’industria europea. È questa importazione, nel 1894 appena uguale al 12 per cento della produzione francese, ed ora salita al 55 per cento, quella che costringe i fabbricanti lionesi a ridurre i prezzi, e, per rifarsi delle perdite, a ribassare i salari. Sono gli svizzeri specialmente ed i giapponesi i nemici del tessitore di Lione, costretto a contentarsi di salari di 3-4 lire al giorno, quando non sono di 90 centesimi o meno. Urge quindi porre uno schermo a tanta jattura e con un dazio minimo di fr. 7,50 al kg. per i tessuti europei e di fr. 9 per i tessuti asiatici conservare ai produttori francesi il mercato nazionale, il più splendido e ricco mercato che ci sia al mondo, perché consuma 222 milioni di lire di tessuti all’anno, deduzione fatta delle esportazioni all’estero.

 

 

A noi italiani questo quadro delle sofferenze dell’industria francese delle seterie interesserebbe solo in modo relativo, se non si dovesse tener conto che la Francia nei suoi tentativi di salvare se stessa, ha nociuto a noi moltissimo ed ancora più potrà nuocere in avvenire, senza suo vantaggio rilevante.

Ha nociuto a noi ed a sé quando ha messo un dazio di 3 lire per kg. sulla seta lavorata ed addoppiata, dazio che rappresenta il 75 per cento della spesa di lavorazione, senza salvare la sua torcitura dalla decadenza, impedendo a noi di esportare in Francia la nostra seta lavorata, e mettendo la sua industria lionese della tessitura (la quale deve pagare la seta torta più cara causa di quel dazio di 3 lire) di fronte all’industria italiana, svizzera e tedesca esenti da questo gravame. Nuocerebbe adesso forse più a sé che ai suoi concorrenti quando si ostinasse a proibire l’entrata delle seterie asiatiche, le quali danno vita ad una fiorente industria francese di finissaggio ed a rincarare il prezzo delle seterie francesi sul mercato di Parigi, obbligandolo così a lottare contro ostacoli maggiori per conservare il suo primato nell’approvvigionamento del mondo elegante. La Francia non dovrebbe dimenticare che essa esporta 128 milioni di lire di tessuti di seta all’estero, e che diventerà tanto più difficile l’esportarli quanto più cari siano e quanto più i Governi esteri saranno spinti a misure di rappresaglia.

 

 

La nostra situazione è quindi chiara. Sventato per il momento il pericolo dell’aumento del dazio sui tessuti a 7,50, noi dobbiamo reclamare di essere messi in posizione di uguaglianza di fronte ai nostri concorrenti svizzeri e tedeschi sul mercato francese. È noto infatti come il decreto del 28 febbraio 1899 manteneva sui tessuti di seta pura di origine italiana il dazio di L. 6 al chilogrammo escludendoci quindi dal beneficio della tariffa minima di L. 2, 2,40 e 4, della quale godono Svizzera, Germania, ecc. ecc. I signori Morel e C. avrebbero voluto concedere all’Italia la parità, elevando per tutti il dazio a L. 7,50, ed escludendo così gli altri, insieme con noi, dal mercato francese. Questo era uno scherzo di cattivo genere. Noi dobbiamo insistere perché giustizia ci sia resa, ammettendoci a fruire dello stesso dazio minimo di cui godono i nostri concorrenti. A noi un dazio uniforme gioverebbe pur sempre, anche se fosse più elevato dell’attuale, quando però non giungesse alle altezze proibitive volute dai lionesi.

 

 

Ma ciò che sovratutto a noi importa è la riduzione del dazio di L. 3 al kg. sulla seta lavorata ed addoppiata. In Italia trattura e tessitura serica progrediscono d’anno in anno: solo la torcitura rimane stazionaria a causa dei gravi dazi che colpiscono le nostre sete lavorate cioè torte negli Stati Uniti, in Russia e in Francia. Se questo dazio in Francia avesse almeno giovato all’industria protetta, noi, pur rammaricandoci del danno subito, non potremmo certamente persuadere i nostri vicini a rinunciare a quello che essi credono un beneficio. Ma siccome la torcitura non ha progredito affatto ed il caro della seta torta è uno dei fattori principali del disagio della tessitura francese, noi abbiamo ogni ragione di affermare che in questo caso l’utile della Francia e quello dell’Italia coincidono nell’abolizione e nel ribasso del dazio sulle sete lavorate.

 

 

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