L’Italia coltivava troppo grano? Una rivelazione della nuova statistica agraria
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 23/07/1910
L’Italia coltivava troppo grano? Una rivelazione della nuova statistica agraria
«Corriere della sera », 23 luglio 1910
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.IlI, Einaudi, Torino, 1960, pp. 113-120
Che di questi giorni si sia pubblicato il primo fascicolo delle notizie periodiche di statistica agraria non parrà a molti, ora che la pubblicazione è avvenuta, avvenimento tanto importante da meritare che ad esso si dedichi nulla più di una frettolosa attenzione. Eppure da anni in Italia si deplorava la mancanza di una statistica agraria bene organizzata; si gridava contro lo sconcio di statistiche redatte sulle informazioni erronee, per ignoranza, disattenzione e talvolta malafede, dei sindaci e segretari comunali: e nel tempo stesso, fondandosi su quelle statistiche universalmente note come prive di fondamento, si lentava che l’alma parens frugum fosse ridotta ad una produzione media di frumento di 10/12 ettolitri per ettaro, diventando quindi «tributaria» di straniere e feconde contrade. Avevamo istituito in Italia l’Istituto internazionale di agricoltura, il quale, fra gli altri suoi compiti, ha quello di raccogliere le notizie sui raccolti agricoli del mondo; ed avevamo dovuto constatare con rossore che l’Italia, e cioè il paese che convitava tutti gli altri stati a quest’opera di diffusione della cultura agraria, non conosceva nemmeno quali e quante erano le sue produzioni agrarie.
Oggi, che finalmente esce alla luce il primo bollettino italiano di statistiche agrarie, degno di stare a paro con quello degli altri paesi civili, noi dobbiamo segnalare il lieto avvenimento. Tanto più lo dobbiamo, in quanto esso non è solo una pubblicazione interessante e seria, ma è tale da superare i bollettini della maggior parte degli altri stati. A leggerlo, ci si accorge che il commissario capo della statistica agraria, prof. Ghino Valenti, non è solo quel valoroso economista che tutti conoscono, ma è altresì un tecnico della economia agricola che ha saputo dare al problema della rilevazione dei dati statistici la soluzione migliore che in Italia si potesse, ed una soluzione che appare ottima anche in confronto ai metodi altrove seguiti. Purtroppo chi ha pratica di statistiche, deve spesso osservare: che i dati raccolti sono talvolta stati scelti col criterio dello statistico o dell’economista che si interessa di problemi generali, che solo di sbieco possono essere illuminati dai dati della vita reale relativi a problemi concreti; e sono stati scelti e raccolti perciò senza quella conoscenza precisa della tecnica delle industrie, dei lavori, delle amministrazioni che solo può mettere in risalto i fatti importanti e caratteristici. Tal altra le statistiche sono compilate da pratici, privi di ogni lume di scienza e non servono né alla pratica né alla teoria, per il malo modo con cui sono imbastite. Né si dimentichi che spesso si pubblicano grosse statistiche tanto per dimostrare l’attività degli uffici incaricati di metterle alla luce.
Per fortuna, la statistica agraria è stata messa in buone mani. Agenti raccoglitori furono i professori ambulanti di agricoltura, i loro assistenti ed i periti di loro conoscenza sparpagliati in tutte le terre d’Italia; base della rilevazione fu un catasto agrario, compilato nel breve spazio di tre anni, il quale uscirà alla luce nel decorso del 1910 e rivelera’ per la prima volta agli italiani la superficie, la ripartizione delle culture, la produzione media, ecc. ecc. della loro patria. Nell’ufficio centrale i dati furono elaborati, colla maggiore imparzialità scientifica, in guisa da dare frutti che tutti gli intenditori si accorderanno presto nel ritenere veramente segnalati.
Non trarrò da questo primo fascicolo i dati sulla produzione delle diverse derrate e sulle vicende delle stagioni e dei raccolti nel 1910. Questo compito di divulgazione dei risultati correnti delle statistiche agrarie, compito utilissimo per proprietari, negozianti e lavoratori, spetta alle agenzie telegrafiche, ed un articolo di fondo non può non arrivare in ritardo. Il Valenti calcola la produzione del frumento nel regno diminuita di ben 2.420.000 quintali in confronto al 1909, in cui era stata di 50.338.000 quintali. Le diminuzioni più gravi si ebbero nelle Puglie, discese da quintali 5.149.000 a 3.365.000 negli Abruzzi e Molise, da quintali 3.382.000 a 2.408.000, nelle Marche da quintali 2.797.000 a 2.129.000, nella Basilicata da quintali 1.638.000 a 1.221.000, nella Campania da quintali 3.048.000 a 2.473.000, nell’Emilia da quintali 7.406.000 a 7.172.000. Aumentarono invece il Piemonte di quintali 653.000, la Toscana di quintali 875.000, la Sardegna di quintali 371.000, la Lombardia di quintali 147.000, la Sicilia di quintali 113.000, il Lazio di quintali 86.000, ecc. Si tratta di previsioni che potranno essere modificate quando si avranno, in agosto, i dati dei raccolti effettivi, secondo il piano di lavoro dell’ufficio.
Ma non è su queste cifre assolute che voglio attirare l’attenzione dei lettori. La statistica agraria deve avere questa virtù: di far conoscere la struttura agricola del paese e di fornire i dati su cui fondare la condotta sì dei privati che degli enti pubblici in rapporto alla agricoltura. Quante leggi cattive si promulgano in Italia per l’ignoranza in cui viviamo sulle vere nostre condizioni e per la prevalenza che, nella cecità universale, acquistano gli stravaganti ed i ciarlatani! In materia di economia agricola, a ragion d’esempio, sono radicatissime in Italia due opinioni: che l’Italia sia un paese a bassa e scarsa produzione cerealicola e che essa sia un paese con molte terre incolte. Le due opinioni hanno dato luogo a molte declamazioni sulla necessità di sottrarre al deserto le terre italiane e di liberare il paese dalla ignominiosa servitù del comprar grano all’estero. La legislazione doganale italiana è stata tutta inspirata da queste due convinzioni; e molte leggi recenti e parecchi disegni di riforma, come il famigerato progetto di colonizzazione interna, hanno per iscopo confessato di partire in guerra contro le terre incolte.
Il bollettino odierno di statistica agraria viene in buon punto a fornire i primi elementi di controllo su una delle due convinzioni che sopra ho detto essere pacificamente accolte dall’universale. È vero o non è vero che l’Italia sia un paese a bassa e non abbastanza diffusa produzione di frumento? Se non bastassero gli altri motivi, io farei un monumento al Valenti per avermi dato modo di rispondere: essere priva di significato la affermazione che l’Italia sia un paese a bassa produzione frumentaria (per ettaro) ed essere profondamente erronea l’opinione che in Italia si coltivi troppo poco grano, mentre è verità inoppugnabile che la superficie coltivata a frumento è di gran lunga superiore a quella che ragionevolmente dovrebbe essere.
È vero: la produzione media in Italia del frumento fu di 11,20 quintali per ettaro nel 1909 e si prevede di 10,64 per il 1910. A primo aspetto la tesi di coloro che mettono il nostro tra i paesi ad agricoltura arretrata e di basso rendimento sembra giustificata, anche dalle nuovissime statistiche. Ma si rifletta che quella è una media tra l’Emilia con quintali 16,02 nel 1909 e quintali 15,31 nel 1910, la Lombardia con quintali 14,90 nel 1909 e quintali 15,45 nel 1910, il Veneto con 14,51 e 14,07, il Piemonte con 12,28 e 14,31, le Puglie con 14,38 e 9,40 da un lato e regioni come la Liguria dove nel 1909 si ottennero quintali 8,67 e nel 1910 se ne prevedono quintali 9,91, l’Umbria che ha 8,10 ed 8,3 quintali, il Lazio con 8,18 ed 8,68, la Campania con quintali 9,55 ed 8,29, la Basilicata con quintali 10,24 e 7,62, la Sicilia con 9,04 e 9,21, la Sardegna con 7,58 e 9,22. Non si può pretendere che tutti i climi siano ugualmente adatti alla cultura a frumento; e se vogliamo paragonare le nostre con le celebrate produzioni dell’Inghilterra, della Francia e della Germania dobbiamo paragonare con queste soltanto le produzioni del clima continentale dell’Italia del Nord; mentre le magre produzioni delle riarse terre meridionali vanno paragonate con quelle della Provenza, della Spagna, del litorale africano, della Turchia. Altrimenti il confronto non è equo, perché fatto tra quantità non omogenee. Se noi facciamo i paragoni internazionali seguendo questo evidente criterio discriminativo, usciamo molto meglio dal cimento, di quanto non si usi far credere; poiché produzioni medie oscillanti fra 14 e 16 quintali per ettaro non sono affatto spregevoli.
V’ha di più. Anche le medie per regione sono errate; e l’errore è messo in luce meridiana dalla nuova statistica agraria. Nella quale si è seguito il concetto – che pare semplice ed è tuttavia nuovo e fecondissimo – di distinguere le produzioni a seconda dell’altimetria. Per ora è pubblicata una sola tabella che distingue la produzione del frumento a seconda che essa è ottenuta nelle tre zone di montagna, di collina e di pianura. In seguito la divisione verrà estesa alle altre culture e verrà perfezionata nei particolari. Già quella prima tabella è una rivelazione. Quelli che spargono ogni altro giorno lacrime sulle condizioni arretrate della cerealicultura italiana faranno bene a meditarla. Io ne ho estratto (con calcoli approssimativi per la mancanza di taluni dati, ma con errori che non possono, sotto questo rispetto, andare oltre all’1,8%) una tabellina sulla produzione media in quintali per ettaro, che pubblico qui sotto:
Regione di montagna
| Regione di collina
| Regione di pianura
| ||||
1909 |
1910 |
1909 |
1910 |
1909 |
1910 | |
Piemonte
| 10,23 | 12,28 |
11,51 | 13,27 |
13,11 |
15,49 |
Liguria | 8,73 | 10,40 | 8,40 | 7,72 | — | — |
Lombardia | 9,50 | 9,68 | 12,15 | 12,56 | 16,11 | 16,70 |
Veneto | 9,70 | 10,80 | 12,17 | 12,59 | 14,91 | 14,55 |
Emilia | 7,72 | 9,34 | 12,20 | 12,32 | 19,45 | 18,11 |
Toscana | 8,31 | 9,88 | 9,80 | 11,74 | 12,09 | 19,21 |
Marche | 8 | 6,42 | 11,06 | 8,23 | — | — |
Umbria | 7,30 | 7,02 | 8,56 | 8,87 | — | — |
Lazio | 5,18 | 4,57 | 8,47 | 9,08 | 10,83 | 12,25 |
Abruzzi e Molise | 9,06 | 7,90 | 10,23 | 5,56 | — | — |
Campania | 9,03 | 7,83 | 9,11 | 8 | 11,41 | 10,23 |
Puglie | — | — | 14,25 | 9,51 | 14,66 | 9,18 |
Basilicata | 8,68 | 6,55 | 13,13 | 9,23 | 11,14 | 8,86 |
Calabrie | 8,06 | 7,48 | 11,10 | 9,38 | — | — |
Sicilia | 8,71 | 9,77 | 8,88 | 8,72 | 10,34 | 10,12 |
Sardegna | 7,01 | 8,30 | 7,31 | 9,13 | 8,56 | 9,93 |
Regno | 8,46 | 8,20 | 10,38 | 9,64 | 14,90 | 14,59 |
È sperabile che nessuno vorrà dire che l’altimetria sia stata inventata dalla ignavia dei cerealicultori italiani. Se si tiene conto di questa circostanza capitalissima, si deve onestamente concludere che gli agricoltori italiani hanno condotto la produzione a limiti che si possono considerare buoni, là dove era possibile progredire, ossia in pianura; ma ogni sforzo fu e resterà vano quando deve combattere contro le avverse forze della natura. Come fa opportunamente rilevare il Valenti, noi non possiamo contrapporre alla produzione del Belgio di 25 quintali, dell’inghilterra di 22 quintali, della Germania di 20 quintali, la produzione di tutta Italia, bensì soltanto quella della gran valle del Po che più si approssima a quei paesi per le condizioni di pianura continentale. Ora nella gran valle del Po noi oltrepassiamo i 16 quintali ad ettaro: e nell’Emilia oscilliamo tra i 18 ed i 20 quintali. Sono produzioni suscettibili di miglioramento; ma niente affatto vergognose. Né si obietti che si tratta di una piaga ristretta, dacché nella valle del Po si coltiva a frumento una estensione di terreni maggiore della superficie coltivata a frumento in complesso nell’Inghilterra, Irlanda e Scozia, dove, a causa del libero scambio, si destinano a tale cultura solo i terreni migliori, mentre da noi si coltivano a frumento anche terre poco adatte, a causa dell’elevata protezione doganale. La superficie coltivata a grano della valle del Po supera pure quella del Belgio e raggiunge poco meno della metà di quella dell’intiera Germania. La sola parte piana dell’Emilia coltivata a frumento rappresenta i tre quinti della superficie complessiva che il Belgio ed il Regno unito destinano al frumento. Se così stanno le cose, a che pro lamentare l’inferiorità irrimediabile dell’Italia, mentre si tratta di differenze spiegabili e sormontabili col progredire lento dei metodi culturali?
Le Puglie sono una regione caratteristica di pianura e di collina di clima meridionale, che nel 1909 superarono i 14 quintali ed anche quest’anno, malgrado l’annata disastrosa, stettero sui 9 quintali e mezzo. Orbene, l’Ungheria, paese famoso di produzione e grande esportatore di frumento, ha una produzione media che batte sui 12 quintali.
Nelle colline la produzione non è certo abbondante; ma, sebbene possa aumentare, è superiore alla produzione di paesi a cultura estensiva, che pure contano moltissimo come fornitori di grano: basti il dire che mentre la regione collinare nostra produce circa 10 quintali per ettaro, la Russia ha una media di 7 quintali, la Rumenia di 9,33, e gli Stati uniti di 9,50. Si dirà forse che in montagna produciamo appena 8 quintali per ettaro? Ma quale è il paese dove la gente usa andare a coltivare il frumento sulle pendici delle montagne, dove starebbero assai meglio il pascolo ed il bosco?
Qui tocchiamo il secondo punto del problema: è l’Italia un paese dove il frumento sia coltivato troppo poco? Ed anche qui la risposta dello studioso afferma che in Italia il frumento si coltiva su una superficie eccessivamente ampia. A rischio di importunare i lettori con troppe cifre, noterò che per chilometro quadrato di superficie la Francia produce netti da sementa 155 quintali di frumento, la Germania 65, l’Austria 47, il Regno unito d’Inghilterra, Irlanda e Scozia 48, l’Ungheria 110, gli Stati uniti 17, la Russia 6 e l’Italia 161. Siamo alla testa dei grandi paesi di produzione in quanto ad intensità territoriale. Se facciamo il calcolo in rapporto alla popolazione, allora per ogni abitante la Germania produce 0,58 quintali netti da sementa, l’Austria 0,54, il Regno unito 0,34, la Russia 0,90. L’Italia con quintali 1,36 per abitante sta indietro solo all’Ungheria con 1,86, agli Stati uniti con 2,03, ed è alla pari della Francia con 1,36. Se si pensa tuttavia che la popolazione di questi paesi è assai più rada, per chilometro quadrato, della nostra, si vede come sia elevata la produzione frumentaria italiana in rapporto alla popolazione.
La conclusione si impone ed è una sola: in Italia si coltiva troppo frumento. Le produzioni elevate per ettaro che si vogliono raggiungere sono in contraddizione stridente con la estensione eccessiva che in Italia si è data alla coltivazione del frumento. Finché si avrà la pretesa – economicamente assurda – di coltivare il frumento nelle montagne e nelle colline della Liguria, delle Marche, del Lazio, della Sardegna, si otterranno rendimenti bassi che influenzeranno sinistramente la media generale, su cui invano agiscono i buoni rendimenti della pianura e di certe regioni collinari adatte. Il male purtroppo pare vada aggravandosi. La mania di indurre per legge a mettere a cultura le cosidette terre incolte, che nessuno ha mai veduto, farà sì che si convertano terre ora tenute a pascolo in terre a grano. Sarà una perdita netta per la collettività, che coltiverà a costi elevati grano su terre fatalmente destinate a rendimenti bassi. D’altro canto gli alti prezzi odierni del frumento inducono spontaneamente gli agricoltori a diboscare ed a rompere praterie asciutte per sostituirvi la cultura del frumento; cosa deplorevole; ma conseguenza necessaria della politica legislativa nostra. A che vale lamentare il diboscamento quando si mantengono vive le cause che spingono a coltivare frumento in montagna ed in collina?