Opera Omnia Luigi Einaudi

L’inquietudine dei cambi

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/01/1925

L’inquietudine dei cambi

«Corriere della Sera», 20 gennaio 1925

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 34-37

 

 

 

Le violente oscillazioni dei cambi e più l’ascesa di essi hanno nei giorni passati dato luogo a molte ipotesi e proposte. Fra le ipotesi lo studioso può valutare solo quelle economiche, e considerare le proposte dal solo punto di vista della loro attuazione concreta e dei loro effetti.

 

 

Giova, per quanto riguarda le ipotesi, ripetere che il rialzo della sterlina in se stesso non ha assolutamente alcun significato per l’Italia. È curioso notare che, per quanto si insista su questo punto, i discorsi correnti riflettono quasi sempre e quasi soltanto la sterlina, il franco francese, il franco svizzero. Il pubblico sembra indignarsi assai più del salto della sterlina da 100 fin quasi a 120 per chiudere a 115, che non del rialzo del dollaro da 22,50 ad un massimo di 25 per chiudere a 24. Eppure il rialzo della sterlina per se stesso significa zero via zero; e quel che può far pensare è solo il rialzo minore del dollaro. Per essere un po’ più precisi, nel rialzo della sterlina del 15%, bisogna distinguere due parti: la prima e minor parte corrispondente al 5-6% di rialzo sul dollaro, e che ha importanza in quanto l’ha il rialzo del dollaro; e la seconda o maggior parte, del 9-10%, che non ha per noi nessuna importanza. È evidente che noi non abbiamo né merito né colpa se di due monete carta, la sterlina e la lira, la prima, per ragioni sue particolari, sulle quali noi non possiamo menomamente influire, si è messa a correre per toccare la parità coll’oro ossia col dollaro, unica moneta aurea. Pur rimanendo fermo l’oro dollaro e pur non svilendo la lira, è fatale, si direbbe aritmetico, che la sterlina debba rincarare rispetto alla lira. In questo movimento non c’entrano affatto le finanze italiane, gli scambi internazionali italiani, le notizie politiche od economiche italiane.

 

 

Qualunque queste fossero o siano, quel processo di semplice arbitraggio doveva automaticamente verificarsi.

 

 

Quel che fa pensare è unicamente il deprezzamento del 5 o 6%, avvenuto dal giugno 1924 in poi, della lira sul dollaro. È questo il solo peggioramento significante, perché avvenuto in confronto a quel solido metro misuratore dei valori, che è l’oro, metro imperfetto senza dubbio, ma di gran lunga meno imperfetto dei metri cartacei.

 

 

Parecchie ragioni economiche sono state addotte per spiegare il movimento. Il rialzo dei prezzi delle merci in oro, verificatosi negli Stati uniti ha provocato una domanda cresciuta di divisa aurea per pagare le importazioni in Italia di quelle merci. La domanda non solo è cresciuta, ma è divenuta insolitamente alta per i maggiori approvvigionamenti o le previsioni di maggiori approvvigionamenti di frumento. Le restrizioni all’emigrazione italiana negli Stati uniti hanno inaridita o diminuita di volume la fonte delle rimesse degli emigranti. Pochi capitali stranieri sembra siano accorsi tra noi, laddove le emissioni di prestiti polacchi, ungheresi e tedeschi e gli investimenti privati italiani in prestiti esteri (francesi) alla lunga fecero sentire la loro influenza.

 

 

Tutto sommato, un aumento limitato al 5-6% non parmi tuttavia fatto di così straordinaria portata da non trovare da per sé i naturali correttivi.

 

 

Già i prezzi interni stanno crescendo; e le industrie esportatrici nostre riescono ad ottenere più elevati prezzi in oro. Che cosa vuol dir ciò se non possibilità di offerte maggiori di divise estere e tendenza ad un ribasso dei cambi? Se i viaggiatori stranieri (anno santo, ecc.) cresceranno, sarà un’altra massa di divise estere offerte. Poiché le condizioni delle finanze pubbliche rimangono buone, non si vede dove stiano i serii fattori di un decadimento della lira; sicché, ove si supponga di poter fare previsioni attendibili in questa materia complicatissima, direi che economicamente si deve prevedere piuttosto un ribasso del dollaro oro che non un rialzo. È l’opinione anche del collega prof. Giorgio Mortara, il quale nelle utilissime Prospettive economiche per il 1925 or ora pubblicate (Anonima libraria italiana, Milano), conclude un preciso, scrupoloso capitolo sulla moneta così: «Nell’ipotesi di un pronto assestamento politico interno, è forse lecito prevedere una sosta nel rialzo dei cambi, in un primo tempo, e successivamente qualche discesa di essi».

 

 

Coloro i quali amano i consigli recisi e le previsioni sicure, diranno che Mortara ed io siamo troppo prudenti, troppo «ma e se», troppo «forse», troppo «piuttosto», troppo «probabilmente o possibilmente». Ed è vero; ma chi voglia sicurezza si rivolga agli indovini e questi lo faranno ricco. Ciò di cui siamo sicuri è che i fattori economici favorevoli non potranno agire se si darà ascolto ai soliti semplicisti che invocano forca, carcere e bastone contro i ribassisti dei cambi; e invitano il governo a controllare la compra vendita dei cambi, a sorvegliare le conversazioni telefoniche delle borse e delle banche ed a monopolizzare, occorrendo, il traffico delle divise estere. Durante la guerra tutte queste stravaganze furono provate e riprovate. Ci si ricorse di nuovo dal 1919 al 1922 quando i cambi salivano. Alla perfine, si abbandonò il tentativo e si diede ragione a noialtri che sempre predicammo essere tutti gli interventi artificiosi perfettamente inutili, anzi dannosi allo scopo. Controlli, monopoli, divieti, obblighi di denuncia, multe, pene corporali hanno un solo effetto, notissimo da secoli: crescono il costo delle contrattazioni. Se, per ipotesi, il corso naturale del dollaro senza quelle grida, è di 24, bisogna, quando le grida vengono fuori, aggiungere a 24 il compenso per il rischio di multa, di carcere, di controllo, di fastidi burocratici, di inquisizione di gente ignorantissima di cambi rivestita di autorità ufficiale in materia. Tal rischio val 2, val 3? Ebbene il cambio sale da 24 a 26 od a 27. Ecco tutto.

 

 

Il governo dispone di mezzi ben più efficaci di queste ricette preferite della volgare ignoranza economica. Il ministro delle finanze, nel discorso alla camera del 20 dicembre 1924, ha dichiarato: «Il tesoro italiano è tuttavia vigilante e preparato ad adempiere la propria funzione per il caso di transitorie difficoltà». I pratici sanno che cosa vogliono dire queste prudenti parole. Esse dicono essere inutile ed assurdo intervenire quando il cambio tende soltanto verso il suo naturale livello economico. Ma se, per il panico dei detentori di lire, queste tendano a cadere al disotto del livello economico, è dovere del governo buttar sul mercato le sue riserve di divise estere e di oro. Il tesoro italiano è provvisto delle une e dell’altro quanto basta per controbattere qualunque non naturale ribasso. Le grida non servono a nulla. Colui il quale crede che la lira sia troppo deprezzata, ha un solo mezzo «serio» per dimostrare che la sua credenza non è a fior di labbra: comprar lire. Il governo francese, nel febbraio e marzo dell’anno scorso, essendo persuaso che i franchi ribassavano a torto, comprò quanti franchi fu necessario per rompere le corna a coloro i quali erano di opinione contraria. Siccome aveva ragione vinse la causa e guadagnò, per sovrammercato, fior di quattrini. Le parole sovra riprodotte del De Stefani dimostrano che anch’egli ritiene che questa sia la sola maniera seria di lottare contro una eventuale «fuga dalla lira».

 

 

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