L’industria zuccheriera e il regime di protezione
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 26/05/1914
L’industria zuccheriera e il regime di protezione
«Corriere della Sera », 26 maggio 1914
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.III, Einaudi, Torino, 1960, pp. 716-720
Nella sua risposta alle interpellanze sugli zuccheri, il ministro delle finanze è partito dal fatto che dura ancora l’attuazione della legge Luzzatti del 17 luglio 1910, per cui ad ogni primo luglio, a partire dal 1911, l’imposta di fabbricazione sullo zucchero interno viene aumentata di una lira al quintale, in guisa che, fermo rimanendo il dazio di confine in lire 99, la differenza fra il dazio di confine sullo zucchero estero e l’imposta sullo zucchero interno, ossia il margine di protezione, si riduce di una lira all’anno; e così di quattro lire al primo luglio 1914, e di sei lire al primo luglio 1916. Aspettiamo dunque il primo luglio 1916 – ha detto il governo – e poi si vedrà. Tanto più, ha soggiunto, che l’industria dello zucchero attraversa in questo momento una crisi assai grave, che una diminuzione della protezione doganale potrebbe inacerbire cagionando disoccupazione nella classe operaia.
Pochi commenti alle dichiarazioni governative. Il fatto che una riforma precedente si trova in corso di attuazione non è un buon argomento per impedire riforme future. A questa stregua, per rendere eterna ogni protezione doganale – il che è contraddittorio con la sua stessa natura e con i suoi scopi – basterebbe sancirne in un qualunque successivo momento una diminuzione graduale così lieve, da richiedere un tempo lunghissimo per giungere alla compiuta abolizione. In realtà, trascorso un periodo iniziale, che per l’industria zuccheriera è ormai oltrepassato da anni, il processo intorno alla convenienza di conservare o diminuire o abolire una qualsiasi protezione è sempre aperto. Governo e parlamento hanno sempre il diritto, anzi il dovere, di studiare se quei fini pubblici, che con la protezione provvisoria si volevano conseguire, siano stati raggiunti, o se sarà ormai impossibile raggiungerli. E può sempre il governo, sulla base della esperienza più recente, risolversi all’acceleramento di una riforma già iniziata, nel senso del ribasso del margine protettivo, allo scopo di dare incremento al consumo e cooperare ad assidere in tal modo l’industria su basi solide e durature.
Né più valido ci sembra l’argomento della crisi e della disoccupazione operaia. La crisi indubbiamente esiste; ma a qual causa fu in parte dovuta, oltre, s’intende, l’eccezionale bontà della stagione trascorsa? Può il ministro affermare che alla crisi non abbia concorso la prospettiva degli alti profitti che la protezione doganale odierna, sia pur ribassata ora di quattro e poi di sei lire, consente alle fabbriche nuove, tecnicamente perfette, che andavano sorgendo in Italia negli ultimi anni? Può affermare che il sindacato costituitosi tra i produttori per utilizzare l’alto margine di protezione, non abbia provocato il sorgere di stabilimenti rivali allo scopo di farsi assorbire nel consorzio a buone condizioni? No: l’argomento della crisi è tale da far gravemente dubitare intorno alla convenienza di conservare un dazio così alto, che si addimostrò capace di produrre in parte la sovraproduzione odierna. Troppi altri esempi si conoscono di industrie a cui la protezione inizialmente giovò, ma che furono tratte a rovina per la sovraproduzione provocata dall’eccessiva durata del dazio protettore, perché non si debba augurare, nell’interesse permanente della industria nazionale dello zucchero, che la protezione abbia a cessare prima che essa diventi troppo dannosa.
Anche pare che si sia dato troppo peso al pericolo della disoccupazione operaia e all’altro, connesso con questo, delle agitazioni di agricoltori per lo scemato numero dei contratti di barbabietole. Nessuno, intanto, chiede l’immediato e repentino ribasso della protezione a sei lire, come nei paesi esteri, appunto perché anche gli antiprotezionisti sentono la necessità di non perturbare troppo violentemente gli interessi acquisiti. Si chiede soltanto che la riduzione venga accelerata, fissando fin d’ora il periodo di tempo in cui dovrà ridursi al limite massimo sancito dalla convenzione di Bruxelles, cioè a sei lire. Qual è, fra le due politiche, quella che giova di più alla stabilità dell’industria, all’occupazione operaia e agli interessi dell’agricoltura? Quella attuale, che riafferma la potenza del sindacato, lo pone in grado, allo scopo di smaltire le grosse rimanenze attuali, di ridurre sul serio per la campagna prossima le fabbriche lavoranti, di diminuire i contratti con gli agricoltori per la coltura delle barbabietole, e di mantenere il consumo dello zucchero in Italia al livello bassissimo a cui oggi si trova per l’azione conseguita dall’alta tassa di fabbricazione e dall’alta protezione? Ovvero un’altra politica, la quale con la riduzione graduale ma notevole del margine protettivo e dell’imposta di fabbricazione, permetta al consumo di aumentare e di assorbire le rimanenze odierne più rapidamente, all’industria di tendere verso un nuovo stabile assetto, al capitale non speculativo di interessarsi in intraprese da cui ora i capitalisti prudenti rifuggono appunto per la spada di Damocle ognora incombente di una riforma fiscale, e all’agricoltura di adattare a poco a poco la sua rotazione alla nuova situazione di cose?
Il ministro delle finanze è scettico sulla probabilità dell’aumento del consumo in seguito alla riduzione del prezzo dello zucchero. E noi non gli ricorderemo l’esempio della Spagna dove, in seguito a una lotta simile a quella recentemente combattuta in Italia fra la Pontelongo e l’Unione zuccheri, i prezzi rinvilirono provocando un notevole aumento di consumo; dove gli industriali dissidenti, più preveggenti dei nostri italo – belgi, invece di accedere al sindacato degli altri produttori, chiesero al governo di rendere permanente la fausta diminuzione di prezzi verificatasi in seguito alla rottura del sindacato. Né gli ricorderemo che in questi giorni il ministero conservatore Dato, seguendo il consiglio di questi illuminati industriali, propose alle cortes di ridurre il dazio sugli zuccheri esteri da 85 a 50 pesetas, e l’imposta sugli zuccheri da 50 a 35 pesetas, diminuendo così d’un tratto la differenza fra dazio e imposta, ossia la protezione da 35 a 15 pesetas. Non gli ricorderemo tutto ciò, sebbene la Spagna sia paese inferiore all’Italia quanto a capacità di consumo. Ma gli ricorderemo che al ribasso del dazio sul petrolio, da lui menzionato come esempio degli scarsi effetti delle riduzioni d’imposte sul consumo, seguirono le seguenti variazioni nel consumo:
Dazio per quintale
| Q. di petrolio importati | |
1905 – 906 | 48 | 656.576 |
1907 – 908 | 24 | 857.252 |
1911 – 12 | 16 | 1.330.044 |
1912 – 13 | 16 | 1.459.717 |
Sono risultati brillanti e che promettono assai bene per l’avvenire. Se si pensa che nel 1912 la Svizzera esportò ben 55,2 milioni di lire di cioccolato, e 50,5 milioni di lire di latte condensato, e poté far ciò grazie allo zucchero a buon mercato; e se si riflette alle infinite industrie che in Italia potrebbero giovarsi dello zucchero a buon prezzo, si deve concludere che le preoccupazioni finanziarie non devono impedire le riforme che si ritengono utili al paese, ripetendo con Camillo di Cavour che «le riduzioni di dazi doganali, che sono sempre opportune quando vengono fatte con giudizio, sono una necessità quando una fatalità ci costringe ad aggravare la mano sopra i contribuenti» (Passi di Cavour sul protezionismo scelti ed ordinati da Luigi Emery, in «Opuscoli della Voce», Firenze).
E si può aggiungere che la necessità di ribassare i dazi protettori è palesata nel campo nostro dalla esistenza, riconosciuta dal ministro, del sindacato fra produttori di zucchero. A noi duole assai che il ministro non abbia a sufficienza tenuto conto delle considerazioni che furono qui esposte sul tema dei rapporti fra protezionismo e trusts. Che il sindacato fra i produttori di zucchero esista è certissimo; come è certo che esso è stato rinsaldato recentemente mercé l’accordo dell’Unione zuccheri con la fabbrica dissidente di Pontelongo e con la conseguente proroga del sindacato per altri, salvo errore, dieci anni. Non è quando, in conseguenza di questi rinnovati accordi sindacali, il prezzo fu rialzato da 114 a 126 lire al quintale, che si può discorrere di pericolo di crisi industriale.
Uno stato non può assistere impotente a siffatto uso dei favori da esso largiti ad un’industria nell’interesse generale. Essendo venuta a mancare la condizione in base alla quale i dazi protettori erano stati concessi, ossia la progressiva diminuzione dei prezzi grazie alla concorrenza interna, ed assistendosi anzi al rialzo dei prezzi ad opera di un sindacato di produttori, è doveroso prendere l’iniziativa di una riforma, sia pure cauta e prudente, la quale valga a tutelare l’interesse generale.
Quando l’esistenza certa di un sindacato dimostra che più non esistono le condizioni in base alle quali i dazi protettori erano stati stabiliti, prudenza di governo vuole che si affronti il problema in tempo, innanzi che i mali della sovraproduzione e del sottoconsumo si siano inacerbiti e il nodo si sia ingarbugliato diventando più difficile a sciogliersi.