L’imposta sui salari
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 22/04/1900
L’imposta sui salari
«La Stampa», 22 aprile 1900
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Vol. I, Einaudi, Torino, 1959, pp. 187-190
A proposito dell’imposta sui salari è capitato in Italia un caso apparentemente strano.
Nel disegno di legge presentato dal governo ed approvato dalla commissione della camera è scritto un articolo 7 il quale dichiara esenti dalla imposta di ricchezza mobile le retribuzioni per prestazioni d’opera puramente manuale in qualsiasi modo corrisposte.
A tale graziosa concessione dello stato avrebbero dovuto gli operai plaudire e dimostrarsi grati per la benignità verso di loro usata dal fisco.
Gli operai invece si sono messi a protestare; ed i comizi si sono succeduti ai comizi e gli ordini del giorno agli ordini del giorno di vibrata protesta contro il governo.
Donde deriva lo strano caso?
Egli è che l’articolo 7, che largisce l’esenzione dall’imposta sui redditi di ricchezza mobile ai salari degli operai, ha una coda la quale dice:
«Cessa tale esenzione quando si verifichino simultaneamente le tre seguenti
condizioni:
- che la retribuzione assuma indole di stabilità, per essere continuativa la prestazione dell’opera o del servizio;
- che sia corrisposta in misura superiore alle lire 3,50 per ogni giornata di lavoro;
- che risulti dall’accertamento un reddito per il percipiente superiore alle lire 800 annue nette, per effetto della prestazione dell’opera ed indipendentemente da qualsiasi coacervo».
A spiegare l’eccezione ora letta, il governo nei suoi comunicati ufficiosi intorno all’agitazione operaia, di cui l’ultimo comparso poco fa, si meraviglia che la nuova legge sia stata accolta con così scarso favore da coloro appunto ai quali avrebbe dovuto tornare più gradita.
Eppure essa rappresenta un grande miglioramento di fronte allo stato esistente di cose. Adesso un operaio, il quale lavorando 300 giorni all’anno ad un salario di lire 2,15 al giorno riesce a guadagnare 641 lire all’anno, è colpito dall’imposta; e non importa che il suo guadagno sia instabile o continuativo, purché si accerti il sovradetto reddito di lire 641. Che, anzi, se l’operaio possiede un pezzetto di terra od ha qualche risparmio investito in un mutuo od in deposito, si fa il coacervo, ed egli viene colpito dall’imposta anche se il reddito del suo lavoro è inferiore a lire 641, ma sommato cogli altri redditi ammonta appunto a tale somma.
Invece, colla legge nuova, gli operai saranno esenti dall’imposta quando il loro salario non superi le lire 3,50 al giorno, o, pur superando tale cifra nei giorni di lavoro, non ecceda le lire 800 all’anno. Saranno esenti quegli operai che, pur guadagnando di più, non hanno una occupazione continuata; e nel fare il conto del reddito dell’operaio non si avrà riguardo agli altri suoi redditi. Un operaio avente un salario di lire 800 nette all’anno sarà esente anche se per caso egli si trova a possedere campi e case e risparmi che gli accrescono le entrate complessive al di là delle 800 lire.
Che si vorrebbe di più? esclama il governo meravigliato dalla perversa natura degli operai italiani i quali, abituati a parlar male dello stato sfruttatore, non vogliono nemmanco riceverne i beneficii promessi per legge.
Malgrado ciò, gli operai si ostinano a respingere il beneficio legislativo; e lo chiamano insidioso perché rivolto a peggiorare nella realtà la condizione attuale delle cose.
È vero, dicono gli operai, che adesso i salari superiori alle lire 641 all’anno sono colpiti dall’imposta; ma in realtà l’imposta non viene riscossa per molteplici cagioni:
- Per tassare i salari operai, converrebbe conoscerne la misura. Ora nulla di più incerto e di più mutevole di un salario operaio. Nel caso in cui, per via di media, possa accertarsi un reddito imponibile, rimane un altro ostacolo gravissimo, quello cioè della riscossione dell’imposta. Gli operai d’ordinario sono sprovvisti di sostanze o facilmente possono apparire tali, e la tassazione quindi rimane senza effetti.
- Si aggiunga che lo stato non può ricorrere alla rivalsa per esigere l’imposta sui salari superiori a 641 lire; non può cioè costringere gli industriali od impresari a pagare l’imposta per gli operai da loro dipendenti, salvo il diritto di rivalsa contro di questi. Infatti la legge obbliga le società ed i privati imprenditori a dichiarare gli stipendi, pensioni, onorari od assegni mensili pagati ad agenti e commessi e tace per le mercedi operaie. Il che è segno che la tassazione indiretta per mezzo di rivalsa non è consentita.
A causa degli inconvenienti pratici, ora accennati, la legge attuale rimane lettera morta. Appena 12.000 operai in tutta Italia sono colpiti dall’imposta sui redditi di ricchezza mobile per un reddito di poco più di mezzo milione.
Gli operai ora tassati appartengono quasi tutti a stabilimenti governativi o semi-pubblici, ed anche negli stabilimenti governativi la tassazione per ritenuta dei manovali è stata abbandonata per non suscitare contrasti e lagnanze.
Gli operai dunque temono la nuova legge non già perché teoricamente la credano meno equa della legge precedente, ma perché prevedono che la nuova legge sarà applicata mentre la legge attuale rimane, come si disse, lettera morta.
Se, invece, volendo applicar l’imposta, il governo sarà sicuro di non fare strillare troppa gente, ossia potrà lasciar quieti coloro i quali guadagnano meno di 3,50 al giorno, il governo applicherà la legge.
Tutti quegli operai i quali adesso abusivamente – e per un abuso fortunato – guadagnano più di lire 3,50 al giorno ed 800 lire all’anno e frattanto sono in fatto esenti dall’imposta, strillano all’idea di doverla pagare in seguito; e strillano non a torto se si pensa che essi contribuiscono già ora fortemente alle entrate governative colle imposte indirette sul sale, sul pane, sullo zucchero, sul petrolio, sul caffè, sui vestiti, ecc. ecc., imposte le quali proporzionatamente sono più gravose per i redditi minori che non per i redditi medi e grossi.
All’accusa di voler godere di un privilegio rispetto ai professionisti, commessi, agenti, impiegati di ogni sorta, maestri, ecc., i quali con redditi inferiori alle 800 lire sono tassati, gli operai rispondono sollecitando il governo ad esentare dall’imposta anche questi loro fratelli, fratelli nella sventura di avere redditi meschini e sudati, e già falcidiati dalle imposte indirette.
Insieme cogli operai strillano i padroni, gli industriali, gli impresari, i quali temono che gli operai riversino con scioperi e leghe di resistenza su di loro il gravame dell’imposta; e protestano che il nuovo carico riuscirà un peso incomportabile per l’industria italiana, soggetta alla concorrenza di paesi, dove i salari operai sono colpiti da imposte sui consumi molto minori delle nostre e sono affatto esenti dalle imposte sui redditi.
Nei termini ora narrati sta la questione dell’imposta sui salari; ci è sembrato opportuno dare qualche spiegazione al riguardo, perché il pubblico non creda che le cose siano così semplici come vorrebbero far credere i comunicati officiosi.