Le soluzioni del problema monetario alla luce di un rapporto anglo-indiano
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1927
Le soluzioni del problema monetario alla luce di un rapporto anglo-indiano
«La Riforma Sociale», gennaio-febbraio 1927, pp. 74-90
Saggi, La Riforma Sociale, Torino, 1933, parte II, pp. 1-19
Report of the Royal Commission on Indian Currency and Finance. Cmd. 2687, London, H. M. Stationery Office, Adastral House, Kingsway. (London, W. C. 2, 1926. Prezzo 2 scellini 6 d. net).
1. Se non erro, questo rapporto è il quinto nella serie dei documenti storici, i quali debbono essere studiati allo scopo di approfondire il problema della circolazione indiana. Chi abbia letto il volume classico di J. M. Keynes su «Indian Currency and Finance» sa che problema monetario indiano è suppergiù sinonimo di rompicapo economico: argento, oro, biglietti, rimesse dell’India e dell’Inghilterra, interferenze dell’Australia e dell’Egitto, azione del governo e delle banche cooperanti e contrastanti, banche anglo-indiane in Londra e banche inglesi in India, banchieri indigeni e mania accumulatrice dei contadini indiani sotto specie di argento e di oro in monili ed in moneta, monsoni e pensioni ed altri fattori senza numero ballano la sarabanda dinanzi agli occhi dello studioso, sì da costringerlo ad una attenzione intensa, con inevitabile mal di capo ed urgenza di uscire, dopo qualche ora, dallo studio per andare a prendere una boccata d’aria. Non mi attenterò dunque a fare un sunto compiuto del presente rapporto, ultimo della serie, non ultimo per chiarezza di esposizione, vigore di argomentazione, fecondità di proposte. Era presidente della commissione reale incaricata di ristudiare il problema il distinto economista Edward Hilton Young, e ne facevano parte sperimentati banchieri inglesi ed indiani. La commissione tenne 50 sedute a Delhi, Bombay e Calcutta nell’India, esaminandovi 45 testimoni; e si adunò più di 50 altre volte in Londra, esaminandovi 17 testimoni, di cui alcuni venuti appositamente dagli Stati Uniti. L’interessamento mondiale intorno a ciò che si medita di fare nell’India si spiega agevolmente, quando si pensi all’importanza grandissima di quel paese rispetto alle sorti future dell’argento o dell’oro. Se l’India avesse deciso di demonetizzare d’un tratto l’argento e ne avesse buttato d’un colpo sul mercato, come taluno proponeva, l’equivalente di tre annate di produzione, l’argento già caduto da 60 a 24 denari per libbra sarebbe precipitato ancor più giù, con grave danno dell’industria argentifera nord-americana e con non lieve perdita di tutte le miniere, talune delle quali sarde, le quali ottengono l’argento come sotto-prodotto del piombo e di altri metalli minori. Se, come pretendono parecchie teste calde di swaraisti indiani, nemici irriducibili dell’alta sovranità britannica, l’India decidesse di passare al regime di oro effettivo, ossia con circolazione di fatto di monete coniate in oro, l’oro farebbe un salto all’insù e forse un salto prodigioso, il che, ben si sa, vuol dire ribasso universale dei prezzi delle merci in tutto il mondo, con un collasso mondiale delle industrie e dei commerci.
2. – Fortunatamente, se il parlamento di Delhi approverà le conclusioni della commissione Young[1], non ci dobbiamo aspettare nessun fracasso del genere. Ogni cura e stata posta affinché si passi dal vecchio al nuovo sistema senza crisi sensibile. L’argento non sarà tolto subito dalla circolazione; ma si farà in modo che diventando moneta sussidiaria per la circolazione minuta, la quantità circolante a poco a poco si riduca all’indispensabile. La moneta effettivamente circolante nell’interno del paese si vuole sia il biglietto fiduciario di banca, rappresentativo di oro, sebbene non di moneta d’oro. Tra i sistemi differenti, i quali potevano essere adottati, furono cioè, dopo attento studio, eliminati:
- dapprima, il metodo della effettiva circolazione di monete d’oro, perché sarebbe stato impossibile trovare oggi nel mondo la quantità d’oro necessaria all’uopo; né, se per ipotesi esistesse, l’India avrebbe potuto, come dissi, mettervi le mani sopra senza produrre uno sconcertante rialzo nei prezzi dell’oro ed un ribasso violento nei prezzi delle merci, che le autorità bancarie di New York e di Londra non avrebbero a nessun costo potuto consentire, non volendo assumersi la responsabilità di scatenare la rivoluzione sociale nei loro paesi. Ciò che l’India non può fare, nessun altro paese, per le stesse ragioni, potrebbe oggi fare, eccetto forse Stati microscopici, come S. Marino od Andorra;
- in secondo luogo, il metodo della circolazione di biglietti permutabili a vista ed al portatore in moneta d’oro. Il metodo funzionerebbe nel solo caso in cui il pubblico, pago della comodità dei biglietti e contento di poterli a piacere cambiar in oro, non li permutasse di fatto; perché, altrimenti, si ricadrebbe nel caso precedente, con tutti gli inconvenienti che ne derivano. Potevasi prevedere che gli indiani, poco evoluti economicamente, preferissero spontaneamente i biglietti all’oro? Per la loro radicata passione per la tesaurizzazione in argento ed in oro, ed ora più in metallo giallo che in quello bianco, la speranza era senz’altro da giudicarsi infondata. Del resto, non per i soli indiani fu giudicato dai competenti pericoloso dare il diritto al cambio del biglietto in moneta d’oro. Non altrimenti si opinò per gli inglesi, i quali pure sono reputati essere all’avanguardia dell’educazione monetaria. Il recente ritorno all’oro in Inghilterra (1925) non significò affatto diritto di ottenere dalla Banca d’Inghilterra il cambio a vista dei biglietti in monete d’oro: né pare probabile vi possa essere oggi alcun paese il quale, abbandonando il regime di pura moneta cartacea a corso forzoso, sancisca il diritto del portatore di biglietto ad ottenere il cambio a vista in moneta d’oro. Sarebbe un salto nel buio, di cui le conseguenze sono oggi imprevedibili, ma probabilmente risulterebbero tali da costringere quel paese a ritornare, in fretta e furia, al corso forzoso.
3. – Eliminati questi due, restano in campo due soli altri possibili sistemi, noti rispettivamente sotto il nome di sistemi del «gold exchange» (sistema del cambio aureo) e del «gold bullion standard» (cambio in barre d’oro).
4. – Il sistema del cambio aureo (gold exchange system) ebbe svariatissime e fortunate applicazioni nell’ante-guerra: la politica delle divise nell’Austria-Ungheria, la cassa di conversione argentina, la vendita a prezzo periodicamente fissato e pubblico di divise-rupie a Londra e di divise-sterline a Calcutta per l’India, le riforme monetarie delle Filippine, degli Stabilimenti degli Stretti, ecc., ecc.; furono esempi bene riusciti di cambio aureo. Oggi il medesimo sistema inspira le stabilizzazioni del Belgio, dell’Austria, dell’Ungheria, della Russia, della Germania. In sostanza esso significa, che pur circolando all’interno esclusivamente il biglietto di carta, la banca di emissione è pronta in qualunque momento a cambiare il biglietto, ad un rapporto fisso immutabile, in divise espresse in una data moneta estera, la quale, a sua volta, è legata, ad un certo rapporto fisso, con l’oro. Per esprimermi in termini famigliari a tutti, si avrebbe sistema di cambio aureo in Italia se la Banca d’Italia fosse pronta a dare un assegno a vista su Londra di una sterlina a chiunque versasse ai suoi sportelli 110 lire-carta italiane (assumo, per esemplificazione, il corso della sterlina vigente al momento in cui scrivo); ed, inversamente, fosse pronta altresì a dare 110 lire-carta italiane a chiunque versasse ai suoi sportelli un assegno a vista su Londra di 1 lira sterlina. [Evidentemente la banca, per avere un margine per le spese, riscuoterebbe 110 e verserebbe 109,50 o giù di lì; ma ciò non ha importanza per la spiegazione del sistema]. È chiaro che, dato tale sistema, il cambio sarebbe fissato immutabilmente sulle 110 lire: ed il biglietto nazionale, sebbene non permutabile in oro, sarebbe moneta stabile (stabile è sinonimo di «buona»), perché infrangibilmente legato ad un rapporto fisso, con una moneta a sua volta legata, con un rapporto del pari fisso, con l’oro.
5. – Che il sistema possa funzionare bene, è dimostrato dalla lunga e fortunata esperienza fattane prima della guerra in tanti paesi; né la sua caduta in conseguenza della guerra, è conclusiva contro la sua adozione, perché la guerra fece precipitare ben altre cose e fra queste, ad eccezione degli Stati Uniti, tutti i sistemi escogitabili in concorrenza con quello del cambio aureo.
Tuttavia il rapporto Young si dichiara contrario al sistema del cambio aureo. Importa riepilogare le ragioni dell’avviso contrario, perché esse hanno una portata, la quale va ben oltre l’India.
Quale dovrebbe essere, innanzi tutto, la moneta straniera con cui la moneta nazionale dovrebbe essere legata? La risposta più ovvia per l’India, indica la lira-sterlina inglese. Per l’Europa si potrebbe essere in dubbio tra la sterlina e il dollaro, amendue, oggi, tipiche monete mondiali auree. Ma né sterlina né dollaro vogliono dire oro. La moneta nazionale sarebbe legata da un rapporto fisso con l’oro, soltanto se e finché sterlina e dollaro fossero alla loro volta legati da un rapporto fisso con l’oro. Che cosa accadrebbe se quest’ultimo rapporto, per cause oggi imprevedibili (cataclismi sociali, guerre europee od extra europee) andasse distrutto? Se la sterlina od il dollaro deprezzassero, anche la moneta nazionale deprezzerebbe. I nazionali subirebbero le conseguenze di fatti forestieri, su cui essi non avrebbero alcuna presa. Per quanto remota possa essere l’ipotesi di un crollo della sterlina o del dollaro, sembra pericoloso far dipendere le fortune monetarie del proprio paese dalla buona o cattiva condotta o fortuna monetaria o politica o militare o navale di altri paesi.
6. – Si ovvia all’inconveniente, imponendo alla banca nazionale di emissione l’obbligo di cambiare (nei due sensi di vendita e di acquisto, a prezzo fisso, di divise estere contro moneta nazionale), la moneta nazionale in parecchie divise estere, a scelta del cliente?
Il sotto-metodo, che si potrebbe dire del cambio aureo multiplo, allontana certamente il pericolo di una svalutazione ad un momento lontanissimo; poiché, potendo il portatore della moneta nazionale chiedere, a sua scelta, il cambio, a rapporti fissi, in sterline, ovvero in dollari, ovvero in marchi tedeschi, ovvero in franchi svizzeri, ovvero in corone olandesi, ecc., ecc., dovrebbe accadere uno sconvolgimento realmente mondiale per mettere in pericolo la moneta nazionale. Ed, in quel caso, come potrebbe quell’unica nazione sperare di rimanersene calma, fuori del cataclisma?
7. – Tuttavia, il rapporto Young respinge anche il sotto-metodo del cambio aureo multiplo; e lo respinge, ove si trascurino circostanze peculiari all’India, per un motivo essenziale: il metodo del cambio aureo, semplice o multiplo, non ha quei pregi di semplicità, si direbbe di evidenza, che sono necessari per assicurargli la fiducia del pubblico. Il meccanismo è troppo raffinato; bisogna avere una certa dimestichezza con i fenomeni di cambio e di banca per comprenderlo. L’uomo della strada sa soltanto che egli ha in mano un biglietto e che nessuna banca ha l’obbligo di cambiarlo né in argento, né in oro. Gli si dice, che, se egli lo desidera, può farselo cambiare in un foglietto di carta, chiamato assegno o chèque, il quale gli dà diritto di farsi pagare a Londra od a New York tante sterline o tanti dollari, con le quali o con i quali egli potrà avere il così sospirato oro. Ma l’uomo della strada sa che Londra e New York sono città lontane; né è propenso a fidarsi di banchieri che facciano, per conto suo, l’operazione. Teme di perdere persino il suo originario biglietto. La convertibilità della moneta nazionale in divise estere è cosa troppo astratta per essere apprezzata dal pubblico. E, poiché i sistemi monetari sono creati non per gli uomini di finanza, ma per i cittadini in generale, per il banchiere e per l’operaio, per il mercante e per il contadino, dietro al biglietto deve esserci qualcosa «di certo, semplice e solido». Questo qualcosa è noto ab immemorabile ed è l’oro.
8. – Non l’oro monetato. All’argomento già ricordato che gli indiani e molti europei (nell’opinione dei circoli finanziari e governativi, gli stessi inglesi) preferirebbero l’oro ai biglietti, se lo potessero avere – ed in tal caso non ci sarebbe oro abbastanza nel mondo se non dopo un terremoto economico-sociale -, bisogna aggiungere l’altro che, contemporaneamente al progredire economico di un paese, diminuisce la convenienza di una effettiva circolazione aurea. Una circolazione effettiva di monete d’oro si adatta faticosamente alle variazioni nella attività economica. Se la banca centrale di emissione ha una riserva di 600 milioni d’oro, essa può prudenzialmente limitare la sua circolazione in biglietti fiduciari a 1000 milioni (riserva metallica 60%); ma può, nei momenti di accresciuto fabbisogno monetario (punte stagionali, rialzo di prezzi, espansione commerciale, ecc.), spingere la emissione di biglietti sino a 1500 milioni. La riserva metallica, rimanendo ferma in cifra assoluta a 600 milioni, diminuirà al 40%, ma non cadrà al disotto del limite di sicurezza. Laddove invece si abbia una circolazione effettiva di monete d’oro di 1000 milioni, in qual modo potrà la circolazione, ove occorra, crescere? Sarà d’uopo mettere in azione il consueto meccanismo dei prezzi. Sotto la pressione, ad esempio, di una produzione interna cresciuta, i prezzi interni, scarseggiando il numerario, scemeranno al di sotto del livello internazionale; le esportazioni aumenteranno, le importazioni scemeranno. Ne seguirà una bilancia favorevole dei pagamenti, ed a pareggiarla dovrà entrare oro dall’estero. Cessata la causa, il processo inverso dovrà manifestarsi colla emigrazione dell’oro introdotto. Se il maggiore fabbisogno di moneta è permanente, il meccanismo funziona con frutto; ma con uguale frutto funzionerebbe altresì il sistema della semplice circolazione cartacea fiduciaria. Se, invece, il maggior fabbisogno di medio circolante è temporaneo, pare troppo costoso mettere in moto un meccanismo il quale non agisce senza perturbazione delle industrie interne e dei commerci avviati; e sembra più economico il metodo delle espansioni e successive restrizioni fiduciarie consentite dal possesso di una riserva metallica esuberante in tempi normali e ridotta al minimo legale solo nei momenti di punta.
9. – In un paese da lunghi anni abituato ad una circolazione di biglietti fiduciari ed in cui questa abitudine non è venuta mai meno, neppure durante la guerra ultima, il sistema della circolazione di biglietti permutabili a vista ed al portatore non presenta alcun pericolo, perché il pubblico, abituato ai biglietti, li preferisce all’oro. Questo rimane nelle cantine dell’istituto di emissione; fornisce il piedistallo su cui si svolge il ritmico incremento e decremento della circolazione fiduciaria dei biglietti all’interno; e da esso si traggono le somme occorrenti al saldo dei pagamenti internazionali, ridotte al minimo grazie alla politica di espansione e contrazione del credito. Così si svolgono le cose negli Stati Uniti, i soli rimasti attaccati, durante la guerra, alla circolazione fiduciaria a base aurea.
Si può aver fiducia, negli altri paesi usciti dalla grande guerra, nel senso di astinenza del pubblico dall’uso effettivo dell’oro? Si può sperare che l’uomo della strada si astenga in massa dall’usare del suo diritto a servirsi dell’oro invece che dei biglietti? Poiché, come ricordai dianzi, neppure in Inghilterra si osò sperare tanto e si preferì astenersi, pur dopo il ritorno all’oro, dal sancire il diritto di qualunque cittadino alla conversione del biglietto in monete d’oro; né ci si volle contentare del sistema del cambio aureo, semplice o multiplo [in Inghilterra la sua adozione era anche incompatibile col mantenimento del prestigio finanziario britannico, il quale sarebbe crollato se la lira sterlina fosse stata legata all’oro solo attraverso una moneta straniera, ad es. il dollaro], si accolse invece il sistema del «gold bullion standard». Oggi il rapporto Young propone all’India l’adozione del medesimo sistema.
10. – In che cosa consiste il sistema del «gold bullion standard»? Il perno del sistema sta nell’obbligazione della banca di emissione di comperare e vendere oro in barre:
- ad un rapporto fisso con l’unità monetaria del biglietto emesso dalla banca;
- in quantità illimitata, sebbene per partite (o barre) non inferiori in peso, ciascuna di esse, a 400 once d’oro fino (Kg. 11,34);
- senza limitazione di persona; ogni presentatore di biglietti avendo diritto di comprare barre d’oro al rapporto legale fisso ed ogni presentatore di barre d’oro avendo diritto di farsi pagare, pure ad un rapporto legale fisso, il prezzo corrispondente in biglietti;
- senza limitazione in uso, rimanendo il presentatore di biglietti in piena facoltà di tenere all’interno, fondere, esportare le barre d’oro ricevute, a suo piacimento.
È chiaro che il biglietto da 100 (rupie in India, lire sterline in Inghilterra) potendo in qualunque momento a vista ed al portatore, essere permutato in una barra d’oro o in una frazione di barra d’oro valutata in comune commercio a 100 e viceversa; il biglietto non potrà né deprezzarsi né apprezzarsi rispetto all’oro. L’oro essendo quel qualcosa «di certo, semplice e solido» di cui si andava in cerca, fornisce la base fisica, oggettiva per ispirare fiducia nel biglietto. L’uomo della strada sa che egli può sempre, in una città del suo paese, a suo libito, permutare i biglietti in oro. È vero che non gli viene promesso il cambio in comode monete d’oro e perciò egli è tratto a preferire, finché possa, i biglietti all’oro; ma è anche vero che la barra d’oro, sebbene incomoda per il peso e la forma, è oro vero, tangibile e vicino e non una promessa di farsi pagare oro in qualche lontano paese. Un’accorta fissazione dei due prezzi – di vendita e di acquisto – dell’oro, pur tenendo fermo il legame del biglietto all’oro così che non si superino i punti inferiore e superiore dell’oro; può evitare l’inconveniente che la banca di emissione possa convertirsi in provveditrice di oro per usi mercantili di oreficeria, doratura, posaterie e simili.
11. – Affinché la banca di emissione possa soddisfare all’obbligazione impostale di comprare e vendere oro in barre contro biglietti ad un dato rapporto, non basta che essa possegga una riserva aurea sufficiente; ma occorre che essa domini in paese la politica del credito. È sufficiente la riserva, afferma il rapporto Young, se essa è almeno uguale alla massima quantità per cui può contrarsi la circolazione interna in biglietti; ed è assicurata la dominazione sulle altre banche, se essa, oltre ad essere l’esclusiva cassiera dello Stato, non è la concorrente delle altre banche, ma si limita a sussidiarne l’azione nei tempi di bisogno. Su questi punti l’esposizione dovrebbe dilungarsi troppo per esporre compiutamente la dottrina del rapporto; sicché basti l’enunciazione del precetto. Della quale ci si può, per ora, star paghi, riflettendo che si tratta di norma, importantissima bensì, la quale tocca sovrattutto l’avvenire; laddove invece è problema presente e, può dirsi, universale la scelta del rapporto di conversione del biglietto in oro.
12. – Come in ogni altro paese, la commissione Young si è trovata di fronte ad uno stato di diritto ed a uno stato di fatto. Lo stato di diritto risulta dalla norma del «The Indian Coinage Amendment Act (Act XXXVI of 1920)» da cui risulta che la rupia equivale a 2 scellini di lira sterlina, epperciò, oggi, a 2 scellini oro. Lo stato di fatto, invece, fa equivalere da tempo la rupia ad 1 scellino e 6 denari oro. Sarebbe come se in Italia si dicesse che il valore legale (pari nominale) della lira carta è di 100 centesimi di lira oro, laddove il valore di fatto fosse soltanto di 75 centesimi di lira oro. A quale livello dovrà essere fissato il rapporto tra la nuova rupia carta e la barra d’oro? Ad un livello tale che la rupia equivalga a 2 scellini (100 % dell’attuale valore legale) o ad 1 sc. 6 d. (75 %) o ad un’altra quantità di scellini, con diverso rapporto rispetto al pari nominale?
13. – La commissione non si è neppure posto il problema della convenienza di riportare la rupia alla pari legale; e di 2 scellini; ed ha unicamente discusso quale fosse preferibile tra il livello di 1 sc. 6 d. e quello di 1 sc. 4 d.; in linguaggio comune si direbbe tra una svalutazione del 25 % (1 sc. 6 d.) od un’altra del 33 e 1/3 % (1 sc. 4 d.).
Perché il ritorno alla pari legale non sia nemmeno stato discusso non è detto esplicitamente nel rapporto Young. Dal contesto sembra potersi dedurre che governo e commissione concordemente considerassero il pari legale come un dato storico oltrepassato, privo di qualsiasi nesso con la situazione economica presente, il ritorno al quale sarebbe stato causa di inconvenienti analoghi a quelli addotti a respingere il peggioramento dal livello attuale del 75 % (1 sc. 6 d. per rupia) al livello del 66 e 2/3 % (1 sc. 4 d. per rupia), sebbene in senso inverso[2].
14. – Perché invece si sia dibattuto lungamente intorno ai meriti rispettivi dei due livelli di stabilizzazione 1 sc. 6 d. ovvero 1 sc. 4 d. si spiega per ragioni storiche .
Soltanto dall’ottobre 1924 la rupia raggiunse invero il livello di 1 sc. 6 d. sterlini, equivalenti allora, per il deprezzamento della lira sterlina a 1 sc. 4 d. oro. Dal 1921 a quella data la rupia aveva oscillato fra 1 sc. e 1 sc. 3 d. oro; e dopo l’ottobre 1924, mantenendosi ferma su 1 sc. 6 d. sterlini, erasi solo a poco a poco, contemporaneamente al riapprezzarsi della lira sterlina, avvicinato al livello di 1 sc. 6 d. oro, raggiunto verso la metà del 1925. Oggi che gli avvenimenti dell’anteguerra sembrano storia antica, un rapporto il quale dura dal luglio 1925 può dirsi duraturo; ma si comprende come nell’India non sia ancora uscito di memoria al pubblico il precedente rapporto, che non era discosto da 1 sc. 4 d.
15. – I fautori del ritorno al livello 1 sc. 4 d. oro, il che vuol dire i fautori di un ulteriore deprezzamento, rispetto al pari legale, all’attuale 75 % ad un 66 e 2/3 %, affermano che il livello 1 sc. 4 d. è più «naturale» del livello 1 sc. 6 d., anzi il solo livello «naturale» per la rupia. Il rapporto Young ovviamente nota non potersi comprendere quale sia il significato della parola «naturale» attribuito ad un livello o rapporto monetario. «Le oscillazioni dei cambi sono prodotte dall’azione reciproca dei prezzi interni ed esteri; e poiché il livello dei prezzi interni è determinato principalmente dal volume della circolazione interna, il solo rapporto il quale possa propriamente essere considerato naturale è quello dato il quale i prezzi interni sono in equilibrio con il volume esistente della circolazione ed altresì con i prezzi esteri». Ovvero si potrebbe chiamar «naturale» quel livello «il quale sussisterebbe di fatto se il legislatore od il governo non intervenissero ad ancorare la rupia ad un determinato livello». A norma della prima definizione, l’attributo di «naturale» non può convenire allivello 1 sc. 4 d., il quale esisteva quando il volume della circolazione, i prezzi interni ed i prezzi esteri erano differenti dagli attuali. A norma della seconda definizione, l’attributo «naturale» può essere attribuito a quel qualunque mutevole livello che di tempo in tempo possa essere il risultato delle variabili situazioni dell’agricoltura, dell’industria e del commercio.
È interessante osservare come da nessuno sia stata esposta la tesi che l’attributo di «livello naturale del cambio» debba essere attribuito a quel livello – 1 rupia = 2 scellini – il quale è oggi il pari legale dei cambi nell’India. Il pari legale è dunque reputato essere né più né meno dei tanti livelli fra cui liberamente si può scegliere nella determinazione della nuova parità . Gli argomenti di ossequio alla legge, di santità dei contratti, di violazioni di solenni promesse, i quali hanno avuto ed hanno in Europa tanto peso presso i fautori della cosidetta rivalutazione piena delle monete decadute, non sembrano avere avuto nella discussione indiana alcuna eco.
16. – Sottile è l’argomentazione dei fautori del livello basso (66 e 2/3% del pari legale) della stabilizzazione, la quale dice che esso ridurrebbe il fabbisogno di oro per la costituzione della riserva metallica della banca di emissione. Sia una circolazione cartacea di un miliardo di rupie. Se ogni rupia si cambia con uno scellino 6 d. oro (1 e 1/2 scellini), e se la riserva minima di barre d’oro è del 40%, occorrerà mantenere una riserva aurea uguale al 40% ai 1,5 miliardi di scellini, ossia a 600 milioni di scellini. Se la rupia si cambia con 1 scellino e 4 d. (1 e 1/3 scellini), basterà una riserva uguale al 40% di 1.333 e 1/3 milioni di scellini, ossia a 533 e 1/3 milioni di scellini. La fallacia dell’argomentazione sta in quel «sia una circolazione cartacea di 1 miliardo di rupie». Al cambio alto di 1 sc. 6 d. quando i prezzi interni, fermo rimanendo il livello dei prezzi esteri, il quale si può supporre logicamente invariato sono relativamente bassi, la circolazione sufficiente può essere di 1 miliardo di rupie. Ma se la rupia vale solo 1 sc. 4 d., ossia deprezza di 1/9, i prezzi interni necessariamente salgono di 1/8 ed a compiere il medesimo lavoro la circolazione deve pur essa aumentare ad 1 e 1/8 miliardi di rupie equivalente al cambio di 1 sc. 4 d., a 1.500 milioni di scellini. La riserva aurea deve dunque sempre essere di 600 milioni di scellini ossia il 40% dei 1.500 milioni di scellini che sono l’equivalente, sia, al cambio di 1 scellino e 6 d., della circolazione di 1.000 milioni di rupie al quel cambio sufficienti, sia, al cambio di 1 scellino e 4 d., dei 1.125 milioni di rupie necessari al cambio diminuito[3]
17. – Perciò è fallace altresì la pretesa maggiore facilità di conservare il livello basso del 66 e 2/3% del pari legale in confronto del livello alto del 75 per cento. Essendo maggiore la circolazione cartacea nel primo caso ed uguale la riserva metallica assoluta, a parità di altre circostanze, tale pretesa maggiore stabilità del livello basso si dimostra insussistente.
18. – Né la scelta di un livello piuttostoché di un altro ha importanza per quanto tocca la capacità di resistenza dell’industria interna contro la concorrenza delle industrie appartenenti a paesi a moneta svalutata. Dopo che le monete svalutate si sono stabilizzate, qualunque sia il livello della stabilizzazione, non esiste più alcun premio monetario della esportazione. Il premio funziona unicamente durante e finché dura il processo di svalutazione; ed avvantaggia quel paese il quale svaluta più rapidamente e più a lungo dei suoi concorrenti. Ma poiché nessun paese ha interesse a procacciarsi siffatto beneficio per natura sua temporaneo, chiaro è che a torto i francesi si preoccupano, ove essi stabilizzassero a 125 della concorrenza dei belgi, i quali hanno stabilizzato a 175. Essi col rapporto del franco della sterlina fissato eventualmente a 125 contro 1, si troverebbero nella stessa situazione di concorrenza nella quale sarebbero col rapporto fissato a 150 o 175 o 200 o qualunque altra cifra di franchi contro una sterlina.
19. – Speculano sull’avvenire della produzione e del costo dell’oro coloro i quali asseverano che, adottando un livello alto, si correranno prima e più aspramente i rischi della rivalutazione dell’oro che essi dicono prossima. Se si fa – dicono costoro – la moneta nazionale uguale a molto oro, non solo si tengono subito bassi i prezzi interni, espressi in una grossa unità aurea, ma si apparecchia un ulteriore ribasso futuro, quando, per la stazionarietà inevitabile della produzione aurea, l’oro rincarirà, ossia i prezzi delle merci espressi in oro ribasseranno. Ma il futuro dell’oro è incerto; e contro Cassel, il quale prognostica scarsità, Lehfeldt predice sufficienza se non abbastanza.
Par certo che l’ingegnosità degli economisti e dei banchieri del prossimo quarto di secolo sarà messa a dura prova dalle vicende dell’oro e che molta sapienza farà d’uopo per preservare l’umanità da inutili e dannose crisi industriali traenti la loro origine dalle bizzarrie del nobile metallo, dai conflitti fra cafri e bianchi, tra boeri ed inglesi nelle miniere transvaaliane. Qualunque siano i prognostici sull’affascinante problema, par certo altresì che esso dovrà essere risoluto dalle nazioni le quali hanno stabilizzato ieri o stabilizzeranno oggi ad alto livello e da quelle attenutesi a livello basso. La crisi dei prezzi aurei, se deve venire, verrà ugualmente sia che si parta da prezzi 75 o da prezzi 66 e 2/3 ovvero anche da 50 o da 25. La crisi, non bisogna mai stancarsi di ripeterlo, non può venire dal punto di partenza scelto per i prezzi, bensì dal passaggio da quel punto ad un altro più basso o più alto. Dovere degli istituti di emissione, degli economisti e dei legislatori è di evitare che le bizzarrie dell’oro turbino l’economia del mondo; dovere arduo, intorno a cui esiste tutta una notissima letteratura, il quale comincia ad essere affrontato con un certo inizio di successo dall’azione combinata delle banche di riserva americane e della Banca d’Inghilterra. Ma la soluzione di siffatto gravissimo problema non ha un legame logico con l’altro, pur momentoso, della scelta del livello di stabilizzazione per le monete svalutate.
20. – Qui si notano solo di passata gli argomenti famigliari a pro del livello basso[4]: rialzo dei prezzi interni, incoraggiamento agli industriali, minore peso degli interessi dovuti dai debitori e quindi del debito pubblico, a cui si contrappongono le usuali ritorsioni: il livello basso di stabilizzazione danneggerebbe i consumatori e specialmente quelli appartenenti alle classi medie a reddito fisso ed i lavoratori e spoglierebbe i creditori. Lo Stato dovrebbe aumentare i tributi per fronteggiare il crescere delle spese pubbliche, pur fatta eccezione degli interessi del debito; e l’inasprimento dei tributi, anche se è nominale, è sempre un processo penoso.
21. – Se la commissione Young è evidentemente favorevole al mantenimento dello statu quo (cambio al 75% del pari legale) e reputa futile ogni tentativo di ritorno al pari nominale, essa non vuole neppure indietreggiare. Non vuole anche perché non ritiene che si possa camminare adagio adagio nel passaggio da un livello ad un altro. Molti ritengono, anche in Europa, che si possa svalutare o rivalutare a scaglioni, a paliers, come dicono in Francia; e persino qualche legislatore volle attuare siffatto concetto, che è conforme al senso comune dei padreterni, ma è incompatibile col buon senso economico. Una legge danese del 20 dicembre 1924 statuì che la corona, il cui pari è 1 corona = 26.799 cents di dollaro, dovesse essere mantenuta a 17,5 cents durante il primo, a 17,8 cents durante il secondo semestre del 1925, a 18,3 durante il primo ed a 18,8 durante il secondo semestre 1926. In realtà, poiché le circostanze contrastavano, il cambio si tenne sotto ai 17,4 durante il primo semestre del 1925; ma prima della fine dell’anno era già arrivato a 24,864 cents; e nel maggio 1926 quasi toccava il pari.
Quando un Governo od una banca di emissione dicono: vogliamo ritornare al pari od arrivare ad un certo livello più o meno alto, è inutile che governo e banca soggiungano: ci arriveremo adagio adagio, senza scosse, senza che nessuno si rompa il collo.
Se oggi una merce vale 20, ma d’un tratto si sa o si prevede che fra 1 anno, 2 anni, 10 anni, n anni quella merce varrà 100, subito pochi o molti compreranno quella merce al prezzo attuale di 100, dedotto l’interesse composto per 1, 2, 10 od n anni. Inevitabilmente il prezzo della merce è determinato dalla formula del valore attuale di una somma determinata pagabile in un tempo futuro:
[1]
- dove V è il prezzo cercato attuale della merce
- V1 è il prezzo futuro previsto della merce
- t è il saggio dell’interesse
- n è il numero degli anni, al termine del quale si verificherà il prezzo V1.
Sostituendo se si prevede che il prezzo futuro della merce moneta sia 100, a seconda che, per es., il saggio dell’interesse (t) si fa uguale a 4 od a 5 o all’8% e il numero degli anni (n) al termine del quale il livello dell’unità monetaria avrà raggiunto la pari (100) rispettivamente si suppone uguale ad 1, 10 o 20 anni, si ottengono i valori seguenti attuali (V) della moneta:
[2]
[3]
[4]
Immediatamente, a seconda che si prevede che il pari 100 sarà raggiunto in 1 anno e il saggio dell’interesse è del 4% ovvero in 10 anni e il saggio dell’interesse sia del 5% ovvero ancora in 20 anni ed il saggio dell’interesse sia dell’8% il valore della moneta, qualunque fosse prima della previsione, fosse anche solo del 15% sale rispettivamente al 96,8, al 61,4 od al 21,4 % del pari. Il legislatore può avere avuto la pia intenzione di graduare il passaggio da 15 a 21,4, a 61,4 od a 96,8 con sapiente lentezza. L’intenzione non conta e, come accadde in Danimarca, il salto è brusco, immediato. Ed invero, chi, ragionevolmente, vende a 15 più una piccola frazione quella moneta che si sa valere fra 1 o 10 o 20 anni ben 100? Il gioco del mercato ne porta subito il prezzo al livello corretto.
Il rapporto Young espone, applicandolo al caso di un ipotetico ribasso dal livello di 1 ss. 6 d. all’altro di 1 sc.4 d. per rupia, nei seguenti termini la teoria da me sopra altrimenti sviluppata: «Nessuno, il quale sia famigliare col funzionamento pratico del mercato dei cambi, può immaginare che, quando fosse stata annunziata una politica di ritorno ad un livello più basso, il risultante declino al nuovo più basso saggio, possa essere graduale e continuo. Esiste sempre (in paese) un considerevole ammontare di richieste latenti di rimesse per l’estero (Inghilterra) ed appena fosse annunciata la decisione di adottare un saggio più basso dell’attuale, i richiedenti valute estere cercherebbero immediatamente di vendere moneta nazionale (rupie) al miglior prezzo possibile, finché non fosse toccato il livello più basso annunciato. L’ondata a questo punto si ritirerebbe ed al nuovo saggio sorgerebbe una fortissima domanda di moneta nazionale. La banca d’emissione (per non lasciar di nuovo crescere il prezzo della rupia da 1 sc. 4 d. a 1 sc. 6 d.) dovrebbe fronteggiare la richiesta di moneta nazionale, comprando valute estere senza limite al punto d’importazione dell’oro ed aumentando così la circolazione interna. Violente fluttuazioni sui cambi potrebbero forse aver luogo prima che questi si adagino al nuovo livello».
22. – Quid, se il valore futuro (V1) della moneta nazionale non fosse definitivamente stabilito ed annunciato dal governo, come accadde in Danimarca e come il rapporto Young propone di fare nell’India; ma fosse tanto segreto sia rispetto al suo ammontare, sia rispetto alla data futura nella quale esso sarà fissato? È il caso della Francia, dove par certa la volontà di stabilizzazione ad un certo livello; ma è incerto o segreto il livello medesimo e il momento della sua stabilizzazione. L’unica variante da apportare in tal caso alla formula [1] sembra questa: che tutti i termini del secondo membro dell’equazione sono affetti da una certa misura di incertezza o di rischio di prevedibilità . Se noi indichiamo con x, x1, x2 i rischi rispettivamente afferenti al livello futuro di stabilizzazione, al saggio di interesse corrente durante il periodo di rivalutazione ed al numero degli anni a decorrere prima della stabilizzazione tale rischio otteniamo:
[5]
Basta confrontare [5] con [1] per dover concludere che la situazione rappresentata dalla formula [5] può unicamente essere imposta dalla impossibilità assoluta attuale di assumere e pubblicare una decisione in materia tanto opinabile. Così gravi sono tuttavia gli inconvenienti dell’incertezza, cosi pericolosi gli alti e bassi dei cambi a cui possono dar luogo gli inevitabili scandagli che il pubblico interessato fa intorno agli elementi del problema, da rendere manifestamente necessario di giungere al più presto possibile ad una soluzione e renderla pubblica. La politica del silenzio in materia monetaria è inevitabile sinché davvero non si sappia che cosa annunciare; ma invita a dannose speculazioni quando una linea di condotta sia stata decisa.
23. – Taluna delle osservazioni sinora fatte parrebbe condurre ad una conclusione di indifferente possibilità di attuare e mantenere un qualunque livello di stabilizzazione. Stabilizzando al livello di 1 sc. 6 d., basta possedere una riserva di 600 milioni di scellini in barre oro per conservare 1 miliardo di rupie in biglietti alla pari di 1 1/2 miliardo di scellini oro; ed egualmente basta la stessa riserva per mantenere 1.125 milioni di rupie alla pari di 1 1/2 miliardo di scellini oro al cambio di 1 sc. 4 d. Ed è vero che la scelta di una pari tra la carta e l’oro è arbitraria e qualunque pari può essere mantenuta, anche la più lontana dal livello attuale. Ad una condizione: che il paese sia in grado di sopportare i costi del trapasso dal livello attuale al livello scelto. L’Inghilterra poté ritornare alla pari antica perché si sentì in grado di sopportare i costi del ritorno: disoccupazione prolungata per anni di più di un milione di uomini, crisi industriale, sofferenze dei contribuenti e dei debitori chiamati a pagare interessi e rimborsare capitali in moneta forte su debiti pubblici e privati contratti in moneta calante. E decise di sopportare quei costi, perché reputò che il ricupero del prestigio finanziario goduto prima della guerra dalla piazza di Londra nel mondo intiero fosse compenso sufficiente. Altri paesi, per cui i costi sarebbero più elevati per la maggior distanza tra il livello attuale e l’antico pari ed il compenso di un prestigio non mai posseduto e quindi non ricuperabile (conquistabile invece in avvenire, come cosa nuova, qualunque sia il nuovo pari scelto) sarebbe insussistente, possono ragionevolmente nutrire dubbi intorno alla convenienza di fare dell’arte per l’arte, allontanandosi dal livello attuale.
24. – Il rapporto Young è perciò tutto inteso a dimostrare che il livello attuale (1 sc. 6 d. oro per ogni rupia) è l’ottimo possibile perché è quello che meno turba lo stato di fatto esistente al quale l’economia indiana si è oramai adattata. «La principale ragione» – si legge al paragrafo 176 – a conforto della nostra tesi è il convincimento che, al livello attuale dei cambi di 1 sc. 6 d., i prezzi nell’India hanno raggiunto un grado notevole di adattamento a quelli del mondo in generale e che perciò ogni mutamento nel livello dei cambi darebbe luogo ad un difficile periodo di riadattamento, produttore di vasta perturbazione industriale, la quale da un lato è desiderabilissimo evitare nell’interesse generale e dall’altra non sarebbe da ultimo contro – bilanciata da alcun corrispondente beneficio».
25. – Che il livello dei prezzi tenda ad adattarsi al livello internazionale è un dato di fatto, che il rapporto Young discute a fondo e che sembra, nonostante le sottili contestazioni del commissario dissenziente Sir Purshotamdas Thakurdas, abbastanza soddisfacentemente dimostrato. Dal dicembre 1922 al giugno 1924 la rupia valeva 1 sc. 3 d. oro e il livello dei prezzi in rupie si aggirava sul numero indice 176 (base 100 ante-guerra); dal luglio 1924 al giugno 1925 il corso delle rupie salì a 1 sc. 6 d. oro, ed il livello dei prezzi in rupie cadde a 160; dopo il giugno 1925, ferma la rupia a 1 sc. 6 d. oro, il livello dei prezzi sta scendendo sotto 158 in simpatia con i prezzi mondiali.
Il che si vede ancor meglio confrontando i numeri indici dei prezzi quali si leggono nell’accuratissimo Bulletin mensuel de statistique della Società delle Nazioni.
Medie annue e mensili | Stati Uniti | Gran Bretagna | India Inglese |
1922 | 148,8 | 158,8 | 176 |
1923 | 153,7 | 158,9 | 172 |
1924 | 149,7 | 166,2 | 173 |
1925 | 158,7 | 159,7 | 159 |
1926 I | 156 – | 150,1 | 159 |
1926 VII | 150,7 | 148,2 | 145 |
1926 X | 149,7 | 154,1 | 144 |
A mezzo del 1925 la lira sterlina raggiunge la parità col dollaro e i prezzi inglesi tendono a ragguagliarsi meglio ai prezzi americani. Alla stessa data anche i prezzi indiani, raggiunta la rupia il livello di 1 sc. 6 d. si adattano ai prezzi mondiali.
26. – Anche i salari sembrano essersi equilibrati ai prezzi interni, tenuto naturalmente conto di tutti gli elementi i quali influiscono sulla produttività del lavoratore agricolo ed industriale indiano. Gli industriali dell’acciaio e del cotone si lamentano di non potere resistere alla concorrenza dei paesi a moneta svalutantesi (non svalutata). Da costoro partono perciò le maggiori pressioni affinché la rupia venga svalutata da 1 sc. 6 d. a 1 sc. 4 d. Sperano in tal modo di potere mantenere i salari nominali al livello odierno e quindi di ridurli in fatto di un nono del loro contenuto e in potenza di acquisto. Ma la commissione Yung fu unanime nel reputare che le manipolazioni monetarie fossero il pessimo tra i metodi possibili per aumentare o ribassare i salari.
27. – Questo dunque è il punto fermo sul quale si deve fondare ogni riforma monetaria secondo il magistrale documento qui esaminato; se in un paese e stato raggiunto un equilibrio stabile fra i cambi, prezzi esteri, prezzi interni, salari, fitti, imposte e spese pubbliche, fa d’uopo astenersi ad ogni costo dal perturbarlo violentemente con l’introduzione di un nuovo pari monetario diverso da quello esistente. Fatte le opportune riserve intorno al formidabile se, si può constatare che di fatto alla conclusione medesima aderiscono oramai in grandissima maggioranza teorici e pratici di quasi tutti i paesi travagliati dalla febbre monetaria.
[1] Dalle conclusioni dissente, in una particolare memoria, il commissario Sir Purshotamdas Thakurdas, sovratutto perché egli è favorevole ad una effettiva circolazione in monete d’oro ed al ritorno al rapporto 1 rupia contro 1 scellino 4 denari. Le sue argomentazioni sono molto interessanti, specie dal punto di vista storico e statistico: ma sono anche così tipicamente «indiane» per contenuto e concezione del mondo economico, che un riassunto di esse sarebbe oltremodo complesso e forse poco profittevole al lettore italiano.
[2] Una enunciazione autorevole delle ragioni le quali sconsigliano il ritorno all’antica pari legale, si legge invece nel rapporto del comitato francese dei periti nominato con decreto del 31 maggio 1926, per avvisare ai metodi di risanare la situazione finanziaria e monetaria della Francia. Il comitato composto di economisti come Jeze e Rist, attualmente vice governatore della Banca di Francia, di banchieri come Moreau, allora governatore della Banca di Algeria ed oggi della Banca di Francia ed altri dirigenti grandi banche ordinarie, esaminò altresì «l’ipotesi del ritorno del franco al suo valore di prima della guerra». Ma la respinge «per motivi che (al comitato) parvero decisivi». Importa qui riprodurre (cfr. la pagina 488 della riproduzione in extenso del rapporto contenuta nel numero di luglio – settembre 1926 della «Révue de Science et de Législation Financières», di Parigi) le osservazioni lapidarie del comitato:
«La rivalutazione integrale del franco è oggi chimerica perché essa suppone una detrazione continua e sistematica, rovinosa per i contribuenti, i quali rimarrebbero schiacciati dal peso di un debito pubblico uguale in valore nominale al totale della fortuna francese, rovinosa per l’industria, il commercio, l’agricoltura, che non potrebbero sopportare né la riduzione indefinita dei prezzi né le conseguenze degli impegni assunti dopo l’inizio del deprezzamento del franco.
«Aggiustamenti incessanti dei prezzi, di salari, di interessi darebbero occasioni a crisi continue, a crisi tanto gravi che la vita sociale ne uscirebbe costantemente sconvolta. Per lungo tempo i lavoratori si vedrebbero privi della sicurezza del domani.
«Una siffatta politica non sarebbe causa di maggiore giustizia, perché i beneficiari di questo nuovo periodo di instabilità non sarebbero le vittime del periodo precedente. Invero, nella vita economica moderna, i contratti si rinnovano, i titoli si scambiano ed i beni si trasmettono troppo rapidamente perché si possa sperare di riparare alle ingiustizie accadute con una prolungata rivalutazione del franco».
[3] Nel rapporto Young (cfr. par. 200) v’ha, a questo punto, la possibilità di un equivoco numerico. Il ribasso del prezzo oro della rupia da 1 sc. 6 d. a 1 sc. 4 d. è calcolato nel 12 e 1/2 % ossia in 1/8 ed è soggiunto «che una riduzione di 1/8 del valore aureo dell’unità monetaria necessariamente cagiona un aumento nella circolazione di una equivalente percentuale». È facile calcolare che la diminuzione da 1 sc. 6 d. a 1 sc. 4 d. è di 1/9 soltanto: ma la riduzione di 1/9 nel valore aureo dell’unità monetaria, dando ad ogni unità residua il valore di appena 8/9 delle unità precedenti fa si che, per compiere lo stesso lavoro, le unità residue debbono incrementarsi di 1/8 di se stesse. Il qual concetto si può esprimere dicendo che, laddove prima esistevano 9 unità monetarie di un dato peso unitario, adesso, scemato il peso di ognuna di esse di 1/9, rimangono solo 8 unità dello stesso peso unitario antico, ed importa riportarle a 9 ossia crescerle di 1/8.
[4] Ricordisi che «livello basso» e «livello alto» sono parole che si riferiscono al rapporto della nuova parità con il vecchio o vigente pari nominale: 75 centesimi di 100, o 66 1/3, ovvero ancora 50 o 25 o 20. Quanto più è basso il livello scelto, tanto più è grave la svalutazione della moneta svalutata; e più tenue invece quanto più è alto il livello scelto. Il ricordo non è inutile, poiché nel linguaggio ordinario italiano si dice che la lira peggiora quando il cambio con la sterlina o col dollaro aumenta e migliora quando diminuisce: laddove nel linguaggio del testo la lira peggiorerebbe quando il livello del cambio ribassasse e migliorerebbe quando rialzasse. Amendue i modi di discorrere tornano allo stesso significato: tenendosi nel linguaggio ordinario fisso l’unità della moneta estera (1 sterlina o 1 dollaro) e nel linguaggio del testo fissa la parità nominale della moneta nazionale (ad esempio 100 centesimi di lira).