Opera Omnia Luigi Einaudi

Le imprese di colonizzazione all’estero. Quel che si può fare

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 10/08/1905

Le imprese di colonizzazione all’estero. Quel che si può fare

«Corriere della sera», 10 agosto 1905

 

 

 

Uno dei difetti principali delle imprese di colonizzazione, delle quali discorremmo giorni fa, è la necessità di impiantare nuclei di popolazione nuovi in terreni non prima coltivati, quindi posti al di là dei limiti del territorio oggi popolato, quindi ancora nove volte su dieci posti in luoghi dove occorre crear tutto dalla ferrovia alla strada, dalla chiesa alla scuola, dal diboscamento dei terreni alberati al dissodamento dei terreni nudi, dalle case d’abitazione alle opere più indispensabili richieste dalla pubblica igiene. Tutto ciò è un capitale enorme che si ammortizza solo col trascorrere di generazioni e che solo lo Stato può impiegare grazie all’imposta. Le imprese private che ci si sono provate quasi sempre hanno dovuto fallire: l’esperienza delle cose nuove è costosa e la via della civiltà è seminata di cadaveri di pionieri. Lode si deve ai coraggiosi che per primi si avventurano in regioni non mai prima tocche dalla vanga o dall’aratro; ma non è lecito chiedere a nessuno Stato e tanto meno ad un Commissariato dell’emigrazione – il quale amministra denari spettanti ad una poverissima fra le classi povere italiane, quella che emigra – di spingere i coloni verso terre ignote dove una vita di stenti e l’insuccesso attende i più. Le masse emigrano dove si sa che non è improbabile riuscire; si recano in territori già semicolonizzati dove esiste un primo nucleo di popolazione ed i primi rudimenti della civiltà. Di qui a poco a poco la fiumana migratoria avanza verso le terre non abitate, mantenendo però sempre il contatto con i nuclei prima costituiti.

 

 

Da questo concetto è germogliata la proposta che il Salemi Pace fa per il Paranà e che sarebbe, crediamo, applicabile anche ad altre regioni. Bisogna abbandonare l’idea di far le cose in grande e procedere modestamente alla spicciolata. Oggi nasce l’occasione di acquistare vicino ad un centro abitato un fondo adatto per 10, 20, 100 famiglie? Un Banco di credito locale, specie di Cassa Rurale trapiantata nell’America, lo acquisterebbe dai proprietari privati, lo dividerebbe in lotti convenienti per ogni famiglia, costruirebbe su ogni lotto un ricovero purchessia di tavole di legno, lasciando al colosso la cura di costruirsi in seguito, secondo i suoi gusti e i suoi mezzi, la casa propriamente detta, anticiperebbe ai coloni qualche soccorso e qualche strumento agrario e procurerebbe di liquidare la posizione in sei o sette anni.

 

 

Noi non sappiamo se nei nuclei attualmente abitati da italiani negli Stati meridionali del Brasile si troverebbero persone adatte (italiani benestanti, brasiliani autorevoli, il medico e il sacerdote italiani, un delegato del Commissariato dell’emigrazione) a costituire il Consiglio di amministrazione di queste Casse rurali. Probabilmente, come accadde in Italia, si otterrebbero risultati buoni e ottimi misti a cattivi o mediocri. Ed è per questo che siamo incerti sulla convenienza di fare accomanditare il Banco coi fondi del Commissariato dell’emigrazione. È vero che i rischi sono qui immensamente minori che non colle imprese di colonizzazione in territori spopolati dove si tratta di giocare il tutto per tutto. Qui siamo nel caso di coloni che si recano in un paese già abitato, dove il mercato esiste già e non è refrattario ad assorbire la maggiore produzione dei nuclei agricoli già esistenti. I nuovi coloni producono per vendere una parte dei loro raccolti; ma diventano per ciò stesso acquisitori sul mercato locale; onde si attiva una proficua corrente di traffici, specialmente se i nuovi coloni, giudiziosamente indirizzati, produrranno derrate di cui in paese vi sia una certa deficienza. Le strade esistono già, le correnti di esportazione sono già avviate. Nei primi tempi i coloni possono occuparsi come braccianti a ore perse, presso i grandi proprietari del vicinato ed accrescere di qualcosa le loro risorse. Ma rischi ce ne sarebbero pur sempre ed è dubbio se i denari degli emigranti possano essere impiegati direttamente in operazioni aleatorie. Più adatta sarebbe, parmi, questa funzione a banche vere e proprie, ad Istituti privati che sovvenissero e sorvegliassero le singole Casse rurali, così come oggi si fa in Italia, dove le Banche popolari, e Casse di risparmio, le Banche ordinarie anticipano fondi alle Casse rurali. Tanto meglio se accanto alle Casse rurali sorgeranno Sindacati per la compra e la vendita dei prodotti agrari, delle semenze, dei concimi, del bestiame. Quello che è stato fatto con tanto successo nel Veneto ad opera delle Casse rurali laiche e cattoliche, perché non potrebbe farsi, su per giù cogli stessi metodi, a favore dei coloni italiani, in grande maggioranza veneti, i quali vivono negli Stati meridionali del Brasile? Forse quest’opera modesta, minuta, favorita dal nostro Commissariato, ma svolgentesi sovratutto per iniziativa privata, farebbe più di cento mirabolanti progetti di colonizzazione.

 

 

Il momento per questa colonizzazione spicciola sarebbe attualmente buono e sarà ancora migliore quando sarà costrutta la ferrovia che dovrà rannodare il porto di San Francisco colla San Paulo – Rio Grande e dare così al sud – est del Paranà ed al nord – est di Santa Catherina un grande sviluppo economico per la possibilità di portare il legname, l’erba matta ed i prodotti dei coloni al porto di San Francisco, che tutti sono d’accordo nel ritenere il miglior porto del Brasile meridionale. Certamente le sorti della colonizzazione italiana sarebbero migliori, se il capitale italiano si interessasse nella costruzione di questa ferrovia e non lasciasse alla Societé generale de France il privilegio di fornire le somme occorrenti al Governo federale. Gli inglesi sono diventati economicamente i padroni dell’America del sud appunto perché si impadronirono della maggior parte delle ferrovie. Certamente noi non possiamo gareggiare coll’Inghilterra per abbondanza di capitali, ma non dovrebbe essere negato a noi di prendere parte in quelle imprese che più interessano il nostro avvenire. Forse anche le Banche italiane potrebbero assicurare meglio di altre l’avvenire delle regioni attraversate dalle ferrovie, quando facessero nel modo che sopra si è detto, delle aperture di credito a Casse rurali i Banchi di colonizzazione posti nelle regioni che si tratterebbe di popolare e mettere in valore colla ferrovia. L’una iniziativa aiuterebbe l’altra, e se si pensa che alcune Compagnie inglesi traggono pingui profitti dalle proprie concessioni ferroviarie, è logico concludere alla opportunità di fare studi per vedere se convenga indirizzare in tal senso il capitale italiano amministrato da Banche italiane. Ed importa non perdere tempo perché i tedeschi, già padroni di circa 600.600 ettari di terra nello Stato di Santa Catherina, si apprestano a fare un ultimo vittorioso sforzo perché la nuova ferrovia da San Francisco alla San Paulo – Rio Grande diventi come l’aorta del loro dominio, fino ad oggi anemico per mancanza di sbocchi.

 

 

Soltanto così – interessandosi nella costruzione e nella direzione delle ferrovie e creando una rete di piccoli istituti sussidiari della colonizzazione – noi riusciremo a far qualcosa di serio a vantaggio dei coloni italiani, che oggi nel Brasile attraversano un momento ben duro. Ma oseranno i capitalisti e si troveranno gli uomini adatti? Ecco il problema.

 

 

È tanto più facile fare un bel discorso sulla missione storica colonizzatrice dell’Italia!

 

 

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