Opera Omnia Luigi Einaudi

Le finanze della guerra

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1912

Le finanze della guerra

«La Riforma Sociale», marzo 1912, pp. 641-643

 

 

 

Federico Flora, che alla nostra rivista diede in passato pagine pensose, ha letto il 25 giugno 1912 alla Classe di scienze morali della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna una memoria su Le finanze della guerra (edita dalla Libreria editrice internazionale di Luigi Beltrami, Bologna 1912), che ci parve di grande interesse in questo momento e meritevole di essere tolta dall’oblio che spesso incombe, e non di rado immeritatamente, sulle dotte pubblicazioni accademiche. Ond’è che pregammo l’amico nostro di volere riassumere la sua maggiore memoria in guisa che potesse essere divulgata a più ampia cerchia di lettori, pur non togliendo l’incentivo ai volonterosi di leggere la trattazione bolognese.

 

 

Il Flora non ha, scrivendo, in animo di propugnare una tesi; ma di descrivere i mezzi che sono stati tenuti per condurre finanziariamente la guerra, scernendo, fra i molti, quelli che risultarono più adatti a facilitare la vittoria bellica. Chi è forte finanziariamente, non meno che pel valore dei suoi soldati, vince; e la scienza, per dica il Flora, ha per compito di studiare le leggi secondo cui si è perfezionata la condotta finanziaria della guerra da parte dei popoli forti. A chi viene spontaneo il desiderio di soggiungere che, se davvero la scienza ha per compito di studiare l’evoluzione e le leggi dei fatti, ci sono pure degli altri fatti che lo storico non può dimenticare; fatti non tangibili, forse invisibili, ma non meno dominanti, imperiosi nella vita dei popoli: essendoché le guerre, guardate a distanza di secoli e di decenni, soltanto paiono aver segnato un’orma benefica nella vita dei popoli che le condussero allorquando rispondevano ad un bisogno consapevole di realizzare in terra qualche messaggio divino, qualche forma ideale di civiltà politica, religiosa sociale, superiore a quelle prima conosciute; le crociate, le guerre della riforma, le guerre tra l’Inghilterra protestante e Spagna cattolica le guerre della rivoluzione, la resistenza del vecchio Piemonte contro la Francia conquistatrice, le compagne del risorgimento. Se questi sono i motivi ideali che soli spiegano il fatto brutale della guerra, se è vero che senza quei motivi ideali le guerre sarebbero un non-fatto, od un fatto proprio di quella umanità che non conta, perché non sa formare i popoli organizzati a nazione, non sa esprimere dal suo senso i genii militari, i genii politici ed i genii finanziari, perché non ha una volontà unica e quella volontà consapevole non sa tradurre in realtà e non sa registrare nelle storie, una illazione logica allora si impone: che tra tutti i metodi di condurre le finanze della guerra, che il Flora con tanta sapienza discorre, quelli soli possono essere ritenuti adatti alle guerre, che i secoli venturi glorificheranno come tappe nel cammino radioso della civiltà, i quali siano stati consapevolmente voluti dai popoli combattenti. Imperocché i popoli, i quali intrapresero una guerra per proseguire una meta ideale di civiltà nuova, dovevano necessariamente sapere che la guerra è uno sforzo, è un sacrificio non solo di vite umane, ma altresì di benessere materiale; è una rinuncia a godimenti presenti per ottenere dei beni che rimangono ideali, futuri per le generazioni viventi e diventeranno, forse, materiali a prò delle generazioni venture. Se la guerra non è una scuola di sacrificio, se non è un sublimarsi delle virtù altruistiche degli uomini ed un annientarsi degli istinti di avido procacciamento della ricchezza immediata, non è degna del nome santo di guerra. Od almeno è guerra che partorirà frutti che sapranno di amaro tosco ai figli di coloro che l’avranno condotta.

 

 

Or, se i popoli hanno dinanzi agli occhi questa visione sicura dello sforzo e del sacrificio meritorio, in che consiste la guerra santa, sceglieranno altresì i metodi finanziari per cui quello sforzo viene sostenuto e quel sacrificio si affronta, con quelli per cui lo sforzo si elide e si cerca di occultare il sacrificio. Tra i metodi descritti dal Flora due saranno allora i prescelti, le economie e le imposte, come i soli convenienti ai popoli consapevoli della propria missione. Le economie: per cui i fondi di cassa e gli avanzi di bilancio, apparecchiati dagli uomini preveggenti negli anni di pace, sono destinati, invece che ad opere di letizia e ad incrementi dell’esercito dei servitori dello Stato, alla dura condotta della guerra. Le economie: per cui nel piccolo Piemonte del 1690 e del 1706, durante le guerre di difesa contro la Francia, senza di cui l’Italia unita forse oggi non sarebbe, mentre il sovrano divideva tra i contadini affamati il collare dell’Annunziata ed i principi del sangue tardavano a riscuotere gli appannaggi, i servitori pubblici più umili rinunciavano con animo lieto ad un trimestre di paga, ed i più elevati in grado, i ministri, gli ambasciatori, i colonnelli ed i generali servivano per anni il paese senza stipendio veruno. Le imposte: per cui nel 1706, venuti meno i denari contanti, i torinesi furono invitati a portare alla zecca gli oggetti d’oro e d’argento conservati per più generazioni nelle famiglie; ed il principe offese i candellieri e le torcie dei Palazzi e delle SS. Sindone, ed i popolani e gara recarono le catene d’argento delle donne e gli anelli con cui avevano giurato la fede di sposi. Le imposte: a cui gli italiani del risorgimento volontariamente si sottoposero sottoscrivendo ai prestiti mazziniani e per i 100 cannoni di Alessandria, quando sottoscrivere poteva voler dire il carcere duro e la confisca dei beni, mentre il conte di Cavour poteva con orgoglio riconoscere che il Piemonte era il più tassato fra gli Stati d’Italia. Scomparvero i principi che non osavano tassare, perché essi non erano gli unti del Signore, non sapevano dire la parola che frena e innalza i popoli, ma erano vane ombre vestite di porpora caduca; e dura e vive e vivrà in eterno l’Italia, erede dell’unico Stato che sapeva tassare.

 

 

Il che non vuol dire che quei popoli che tennero in pugno la vittoria feconda non siano mai stati costretti ad indebitarsi; ma si indebitarono essendo pienamente sicuri che il debito era soltanto un mezzo per anticipare il prodotto di quelle imposte che dovevano, venire dappoi e che essi erano pronti a pagare.

 

 

Queste erano le cose che avrebbero dovuto essere soggiunte e spiegate volendo descrivere la finanza della guerra santa combattuta dai popoli che hanno sentito il comando della parola eterna che consacra la grandezza morale ed ideale. Ma forse il compito della scienza è diverso: dovendo essa cercare le leggi dei fatti quali furono nelle guerre che sono accadute, qualunque fosse la ragione della guerra. Onde il visionario cercatore del divino nella storia uopo è che si taccia, lasciando la parola allo scienziato implacabile e geniale scrutatore degli accadimenti che realmente furono.

 

 

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