Lavoro e zona di piacere. Contributo ad una teoria pura
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1933
Lavoro e zona di piacere. Contributo ad una teoria pura
«La Riforma Sociale», settembre-ottobre 1933, pp. 575-576[1]
Nuovi saggi, Einaudi, Torino, 1937, pp. 306-307
Con questo titolo, il dott. Manlio Resta pubblicò nel fascicolo del settembre-ottobre 1933 della rivista, uno studio intorno all’importanza degli studi biologici per la formulazione di una dottrina economica del lavoro. Allo studio del R. premisi la seguente avvertenza:
Pubblico lo scritto del Resta, perché attira l’attenzione sui vantaggi che gli economisti possono ritrarre dal gettare lo sguardo di tanto in tanto sulle scienze le quali lavorano, da diverso punto di vista, intorno al medesimo oggetto, l’uomo. Il Resta fa osservazioni interessanti intorno ai risultati ottenuti dai biologi nelle indagini compiute su quella zona di lavoro, che può essere caratterizzata come zona di piacere.
Non vorrei però che la pubblicazione potesse sembrare acquiescenza alla tesi dell’A., secondo la quale «nell’economia pura appare acquisito il concetto della coincidenza fra penosità e lavoro»; «non solo la zona piacere non è considerata in economia, ma non se ne ammette neanche l’esistenza» ed esisterebbe una «coincidenza, sempre e comunque, verificantesi fra penosità e lavoro». Che la parte iniziale della curva del lavoro dia luogo ad utilità positive sia decrescenti dal bel principio, sia prima crescenti e poi decrescenti, non parmi sia verità nuova né contestata nella scienza economica. Pensai di esporre un concetto pacifico tra gli economisti quando, discorrendo del problema antico (Hume, ecc.) dell’imposta stimolo al lavoro, osservai che «il lavoro comincia a dar piacere a chi lo compie per le prime ore della giornata. La noia, il fastidio di quelli che sono mandati anzi tempo in pensione, l’affanno con cui i pensionati cercano di lavorare, dimostrano che l’uomo soffre per non saper che cosa fare di se stesso… Per le prime ore della giornata il lavoro dà dunque piacere, ma, col prolungarsi del tempo e del crescere della fatica, il piacere diminuisce fino a diventare a un certo punto zero. Perciò ad un certo punto, per indurre l’uomo a lavorare, occorre un compenso…» (Principii di scienza delle finanze, 1932, pag. 221 e suppergiù identicamente nelle edizioni precedenti). Può darsi che la zona piacere del lavoro non sia stata abbastanza studiata; ma la sua esistenza non rimase ignota agli economisti, anzi per essi quella zona è da tempo oggetto di interesse vivissimo. Che altro ha voluto compiere se non una ricerca sulla zona piacere del lavoro e sulla sua importanza sociale Henri de Man nel libro La gioia del lavoro, che Alessandro Schiavi tradusse nel 1931 (Bari, Laterza)? Ma prima di lui Willlam Smart scrisse quei Second Thoughts of an Economist (London, 1916), che a me erano parsi una delle più belle confessioni dei tormenti del proprio spirito che un economista abbia scritto. Orbene, il motivo fondamentale del libro era l’ansiosa risposta ad un perché: perché il lavoro dello studioso produce gioia e quello del lavoratore industriale no? Il problema del mondo moderno non è quello di produrre di più e di distribuire meglio: il vero problema è quello di ottenere che per tutti gli uomini il lavoro sia fonte di gioia. (Cfr. un mio articolo sul libro di Smart: Le confessioni di un economista, in «La Riforma Sociale», 1917, pag. 563, riprodotto in Le lotte del lavoro, Torino, 1924, dove è seguito da un altro studio su Il governo democratico del lavoro e la gioia di lavorare. Il libro dello Smart fu poi tradotto
dal Garino e pubblicato dal Laterza, 1921).
Se gli economisti si sono fermati soprattutto sulla zona-fatica o zona-dolore del lavoro, sino al punto da dimenticare persino, taluni di essi, l’esistenza della zona-piacere, probabilmente la causa si è quella medesima sulla quale lo Smart meditava: essere la zona-fatica quella dominante per la più parte degli uomini. Lo Smart, pessimisticamente, non vedeva la via per fare ritornare la gioia del lavorare nel tetro mondo industriale odierno. Gli economisti puri, che parlano di prezzi, ritengono che il momento decisivo per la determinazione del prezzo del lavoro sia quello in cui si intersecano le curve della penosità del lavoro e del piacere della remunerazione del lavoratore marginale. Lo studio delle curve individuali dell’utilità del lavoro dei lavoratori singoli è per fermo di grande interesse per la teoria delle rendite nei salari. Non pare, per il momento, che esso muti sostanzialmente l’impostazione della teoria del salario.