La vana ricerca dei redditi esenti
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 03/01/1961
La vana ricerca dei redditi esenti
«Corriere della Sera», 3 gennaio 1961
Il disegno di legge di imposta sulle aree fabbricabili, il quale trovasi davanti al parlamento, risponde ad una osservazione ovvia e ad un proposito di giustizia.
L’osservazione è che il valore delle aree fabbricabili cresce, un tempo quasi soltanto nelle grandi città progressive ed oggi anche in moltissimi borghi medi e piccoli e che l’incremento di valore non è colpito dalle imposte normali. Il proposito è quello di assoggettare quell’incremento, dovuto in gran parte all’opera degli enti pubblici ed al generale incremento economico, ad una imposta particolare, sia per colmare il vuoto ingiusto lasciato dalle imposte ordinarie, sia per frenare e multare la speculazione di coloro che provocano ristringendo l’offerta delle aree, gli aumenti più rilevanti del loro valore.
Ho l’impressione di essere stato il primo che, fin dal preistorico 1903 (vedi gli articoli del 19, 20 aprile e del 4 maggio 1903, del 26 maggio 1904 e del 20, 24 e 25 maggio 1907 del «Corriere della Sera» riprodotti nel 2 volume delle mie «cronache di un trentennio»), divulgai in Italia l’osservazione ed il proposito quando altri ancora non aveva fermata l’attenzione sulla vicenda già allora imponente. Ubbidii tuttavia nel 1912 al comando della logica quando dimostrai (in una memoria riprodotta in «Saggi sul risparmio e l’imposta» in «Opere») l’inconsistenza della tesi che l’incremento di valore delle aree fabbricabili sia il fatto originario il primus nella sequenza cronologica e logica in fondo alla quale oggi si vede che una data superficie, la quale valeva ieri 100 lire al metro quadrato come terreno agricolo, vale oggi 1.000, 10.000, 100.000 lire ed anche 1 milione di lire per lo stesso metro quadrato, perché è divenuta area fabbricabile.
L’incremento di valore non è il fatto originario: esso è un derivato, una conseguenza di ciò che taluni uomini, detti speculatori, vedono che quell’area è destinata a passare dalla condizione di terreno meramente agricolo, suscettivo di dare un certo reddito netto annuo di 5 lire, in base al quale il metro quadrato non può valere più di 100 lire, alla condizione di area fabbricabile, suscettiva di dare, in prosieguo di tempo, fra 10, 20 ovvero 50 anni, un reddito netto, il quale, dedotto l’interesse sul capitale impiegato nella costruzione, l’ammortamento dell’edificio, le spese di manutenzione e gestione della casa, le imposte e gli altri oneri edilizi, appare assai superiore.
Lo speculatore, antiveggendo prima di altri quel momento, e trasportandolo, con una operazione di sconto al saggio corrente di interesse, dal più o meno lontano futuro al momento presente, calcola che il reddito netto di cui è suscettivo «oggi» quel terreno, invece di 5 lire, è di 50, ovvero 500, ovvero 5.000 lire al metro quadrato e perciò apprezza in valore capitale invece che a 100 lire, a 1.000, a 10.000 ed a 100.000 lire per lo stesso metro quadrato.
Così i pochi antiveggenti cominciano a comprare a un po’ più di 100 lire; ed a poco a poco, crescendo per imitazione dei primi, il numero dei veggenti, il valore dell’area fabbricabile aumenta, quando tutti abbiano mangiata la foglia, sino ai livelli attuali. Il quale livello sarebbe però stato maggiore se, non esistendo l’imposta sul reddito dei fabbricati costrutti ed instrutti, il reddito netto futuro fosse stato proiettato in oggi, non in 50, 500, e 5.000 lire, sebbene invece in 70, 700 e 7.000 lire.
A questi redditi maggiori il valore capitale del metro quadrato sarebbe stato non di 1.000 ma di 1.400, non di 10.000 ma di 14.000, non di 100.000 ma di 140.000 lire.
L’imposta fabbricati, non mai inferiore in Italia, comprese le sovrimposte locali, ad un 30 per cento sul reddito, proietta la sua ombra futura sul valore capitale presente e lo decurta di altrettanto. Traveggono coloro i quali immaginano che reddito e capitale siano due fatti diversi e non due faccie del medesimo fatto. Non è possibile ridurre, con l’imposta sul reddito dei fabbricati, il reddito da 70 a 50 lire, senza ridurre ipso facto il valor capitale da 1.400 a 1.000 lire. Chi immagina che un’imposta sul reddito non sia anche un’imposta sul capitale, travede. Se il tiranno riduce con l’imposta il reddito della terra a zero e ghigna: non querelarti, ché
tu conservi la terra, il contribuente doppiamente si duole, perché al danno vede aggiunta la beffa. La ricerca dell’araba fenice di un reddito sul serio immune da imposta è qui, come nel più, per non dire nella totalità dei casi, vanissima ricerca, sollazzo di funzionari vogliosi di conseguire benemerenze e promozioni, ovvero strumento di politici bisognosi di procacciarsi popolarità con imposte odiose alla piccola minoranza dei contribuenti e simpatiche alle moltitudini assetate di giustizia ed incapaci di seguire il filo di ragionamenti semplici.
Il quesito sarebbe a questo punto risoluto, se a risolvere i problemi finali bastasse il ragionamento.
Poiché è certo che gli incrementi delle aree fabbricabili soffrono, con una decurtazione attuale del loro valore, l’intera imposta futura sui fabbricati in una proporzione per fermo non lieve, l’aggiunta di un’imposta sociale sull’incremento di valore non può per fermo fare appello ad alcun canone di giustizia. O, meglio, si giustifica con la spiegazione geniale che ne dette negli anni della prima guerra mondiale il ministro delle Finanze, on. Daneo, costretto dalle circostanze ad inventare e dar ragione di nuove imposte; quella delle «sciabolate».
A chi tocca tocca: e il cielo lo protegga dal peggio.
Le imposte non sono spesso istituite in virtù di puri ragionamenti: sibbene in ragione di fattori politici, sentimentali, sociali. Qui di seguito dirò di uno dei due schemi che si possono immaginare applicabili alla formazione delle città moderne; che è lo schema razionale di un piano regolatore bene studiato, da una amministrazione, la quale sia atta ad antivedere il futuro, che sia decisa a creare la città bella e bene organizzata per dare ai cittadini un massimo di comodità materiale e di godimento spirituale. Dico subito che il caso è raro, sebbene sia augurabile divenga a mano a mano meno infrequente; e che in siffatto caso la imposta sulle aree fabbricabili è razionalmente e politicamente assurda.
Nello schema razionale, il piano regolatore è congegnato in modo da serbare intatte le caratteristiche della città antica, del vecchio centro cittadino: non sventramenti, non squarci aperti nel vivo delle vecchie strade, non costruzioni nuove non proporzionate alla statura umana, non falsi rifacimenti di edifici antichi.
Non vie ampie disposte a nuovo per il servizio delle vetture automobili, di carrozzoni tranviari e di immani carri da trasporto. Le vie restano quali erano, strette e spaziose, diritte od in curva. I giardini privati non scompaiono e gli abitatori seguitano a goderne l’uso e la vista.
Se nella città vecchia i pedoni potranno camminare pacatamente senza correre il pericolo di essere arrotati da automobili in corsa; e se non di rado converrà usare i propri mezzi fisici per giungere in tempo invece di avventurarsi su vetture semoventi; se sarà scomodo e arduo occupare le case a scopo di uffici pubblici e di amministrazioni private; se per il limitato numero dei piani ed il divieto di sopraelevazione, se non assai arretrate e non maggiori di un piano, gli ascensori non saranno remunerativi, gli inquilini non si quereleranno troppo delle brevi scale e saranno lieti per la serbata tranquillità della convivenza. I bottegai si rallegreranno per la possibilità data ai clienti di far sosta dinnanzi alle vetrine o nel negozio, possibilità oggi negata dai divieti di sosta, se non a grande distanza, delle vetture.
In un piano regolatore razionale alla espansione cittadina si provvede creando attorno al centro antico, rioni moderni adatti agli scopi diversi di ognuno di essi; gli uni dove prevalgono gli uffici pubblici, le borse di titoli o di merci, le sedi delle banche e delle imprese industriali e commerciali: gli altri conservati alle abitazioni private, ognuno di essi fornito di scuole, di chiese, di teatri, palestre e luoghi di ricreazione e di ginnastica, alternate le costruzioni costose a quelle più modeste. Le zone destinate agli stabilimenti industriali, agli empori commerciali ed ai laboratori artigiani avranno una sede propria.
In nessuna parte delle città nuove sorte attorno al centro antico faran difetto i parchi pubblici amplissimi ed i più numerosi giardini minori. I grandi viali alberati sono nutriti da molte vie minori di misurata larghezza, nelle quali i divieti di altezza garantiscono a tutti gli abitatori giusto godimento di sole e di verde.
Non esistono sobborghi cresciuti dapprima in fila indiana lungo le vie di accesso alle porte della città antica e poi allargatasi in maniera accidentale e deforme; ma i sobborghi sono cittadine vere e proprie costruite secondo un piano razionale, provveduto di piazze e di vie, collegate da strade di arroccamento le une alle altre, ciascuna in maniera indipendente dalla città antica, sicché questa non debba essere forzatamente attraversata da uomini e veicoli in corsa affannosa; ma sia quel centro maggiore dove ci si reca per cercare utilità diverse da quelle proprie di tutte le cittadine moderne che gli fanno corona.
I solerti amministratori della città razionale e perciò gelosa della sua storia e desiderosa di aggiungere alla bellezza antica nuove armonie, non hanno atteso il campanello dall’allarme dei prezzi proibitivi delle aree fabbricabili; ma in tempo hanno saputo accaparrare, pagando il pieno prezzo allora corrente, le ampie aree poste ai margini della città, che si prevedevano necessarie per dare alle nuove cittadine gli spazi opportuni per creare edifici pubblici, scuole, chiese, parchi, giardini e palestre pubbliche.
La descrizione della città «ideale» potrebbe arricchirsi di più numerose caratteristiche.
Giova affermare che nelle più diverse nazioni del mondo, lo sforzo di attuare l’ideale è vigoroso; e che il grado di civiltà di una città si misura in modo visibile ed immediato dalla contemplazione delle tradizioni religiosamente conservate, dalle brutture scansate e dalle nuove armoniche bellezze create.
Gli ostacoli sono potenti ed organizzati; né alcuno pretende possano sempre e tutti essere rapidamente superati. Debbono tuttavia essere affrontati con sforzo duraturo e previggente. Qui si domanda: in una città cosiffatta quale è il luogo dell’imposta sulle aree fabbricabili?