La rivalutazione della lira
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/06/1923
La rivalutazione della lira
«Corriere della Sera», 20 giugno 1923
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 280-284
Il consiglio rivolto dal sen. Albertini al ministro delle finanze di non spendere né un minuto del suo tempo né un centesimo del danaro pubblico in quella impresa che dicesi della rivalutazione della lira, ha avuto il benefico effetto di far rivivere un problema che, senza dubbio, è il più importante tra quelli che dominano oggi nel campo economico e finanziario. Da una giusta o da una sbagliata impostazione del problema monetario dipendono l’assestamento del bilancio dello stato, la prosperità o la crisi nell’industria e nell’agricoltura, l’occupazione operaia, la ripresa edilizia e quindi la soluzione del problema delle case. Si può affermare che la politica monetaria, che è politica di stato e di banche di emissione, è la chiave di volta per la soluzione dei problemi economici che oggi angustiano il nostro paese.
V’è chi ha voluto dare al consiglio di Albertini un carattere politico, quasi che egli consigliasse il far nulla assoluto e ciò facesse per contrapporre una politica liberale o liberista manchesteriana alla politica fattiva propria del fascismo. Manco a farlo apposta, moneta e banche sono le sole sezioni della scienza economica le quali siano, da tempo, assolutamente impervie alla politica, ed alle controversie generiche. In questo campo non è concessa ospitalità a quelli i quali immaginano che in economia non si faccia altro che parlare di liberalismo o di socialismo, di uomo economico o di uomo completo, di materialismo storico, di economie nazionali, cattoliche e simili.
Moneta e banche sono la materia specifica sulla quale cascano agli esami gli studenti asini e sulla quale fanno bene i generici a non aprire bocca, per non dire sicuramente delle sciocchezze. Qui la politica non c’entra; poiché siamo in pieno territorio di caccia riservata alla tecnica pura. La quale non è italiana, né francese, né tedesca, né inglese. Il sugo del consiglio dato dal sen. Albertini, se lo interpreto bene, non significa che il governo non debba avere alcuna politica monetaria, ciò che sarebbe un non senso, ma che non debba abbracciare, fra le tante politiche monetarie, quella sbagliatissima della rivalutazione della lira. L’italiano medio prova un senso di umiliazione nel vedere la lira carta, la quale nell’ante guerra equivaleva a 100 centesimi di lira oro, barattarsi oggi appena con circa 25 centesimi di lira oro. Ha la sensazione che ciò sia un’ingiustizia e vorrebbe che, in qualche modo non bene precisato – con accordi internazionali, con prestiti conchiusi allo scopo di ritirare e bruciare d’un colpo parecchi miliardi di carta – moneta o con prestiti o risparmi fatti per abbruciare per lo meno un miliardo di lire di biglietti all’anno – lo stato provocasse una rivalutazione più o meno rapida della lira, in guisa da avvicinarla a poco a poco ai 100 centesimi di lira oro.
Questa politica è artificiosa, perché fondata sull’impiego di mezzi predisposti ed attuati appositamente dallo stato allo scopo di provocare un rialzo della lira carta. Essa è dannosa allo stato, perché, senza mettere in opera alcun fattore compensativo, riduce i prezzi di tutte le merci e di tutti i servigi che si vendono nel paese. Quando c’è poca moneta in giro, non si possono pagare le cose ai prezzi a cui si pagano in tempi di moneta abbondante. Facciamo per un momento astrazione dal fatto se ciò sia un bene od un male da altri punti di vista; e guardiamo all’interesse dello stato. Se i prezzi ribassano, tutti i cittadini – salvo astrattamente tutti coloro che hanno redditi fissi – vedono ridotti i loro redditi monetari alla metà, ad un terzo, ad un quarto. Chi aveva 10.000 lire di reddito ne avrà 5.000, 3.500, 2.500. Chi, avendo 10.000 lire, pagava 2.000 lire di imposta diretta o sui consumi, quando abbia solo 5.000 lire, potrà pagare solo 1.000; quando sia ridotto a 2.500, potrà pagare a gran fatica 500 lire. Lo stato, che oggi incassa 16 miliardi di imposte e tasse, ne incasserà solo 8 o 4. Questo si chiama in parole nude e crude, fallimento dello stato. Se lo stato incassa 8 o 4 invece di 16, non può pagare 16. Deve, per forza, ridurre alla metà, ad un quarto l’interesse sul debito pubblico, mancare ai suoi impegni verso tutti coloro a cui ha promesso di pagare date somme fisse, deve ridurre alla metà, al quarto gli stipendi a tutti i suoi impiegati.
Alla lunga, anche tutto questo sconquasso potrà compiersi; ma bisogna ben bene ficcarsi in testa che è uno sconquasso formidabile, il quale non potrà aver luogo senza agitazioni, resistenze, malcontenti. E bisogna ben bene ricordarsi che il nome tecnico dello sconquasso è «fallimento». Chi vuole il fallimento dello stato, si agiti per la rivalutazione della lira a 100 centesimi oro. Chi non lo vuole, sappia che non deve volere quella rivalutazione. La quale, se provocata nella maniera dianzi ricordata, è dannosa anche alla collettività. Ribasso di prezzi, senza fattori compensativi, vuol dire invero fallimento o stasi delle industrie. Chi oserà mettere mattone su mattone, comprandoli a 150 lire il mille, quando tema che, in conseguenza della rivalutazione della lira, i suoi mattoni ridotti a forma di casa varranno solo 100 o 60 o 40 lire? Appunto per questo timore, pochi fabbricano oggi case. Si esercitano industrie a corta scadenza, in cui si spera di vendere i prodotti prima che la lira si rivaluti. Le imprese elettriche, le quali in Italia avrebbero un campo immenso di espansione, sono ferme, non osano procedere a nuovi impianti perché non osano farsi imprestare le centinaia di milioni di lire carta occorrenti, temendo di restare domani coi debiti di 100 e con gli impianti ridotti ad un valore di 60 o di 30. Chi può dar torto a costoro che hanno paura? Chi può consigliare o costringere i risparmiatori a investire fruttuosamente i loro risparmi se e finché sulla loro testa pende la spada di Damocle della rivalutazione della lira?
Notisi che i guai oggi esistenti sono un nulla in confronto a quelli che si verificherebbero se la politica della rivalutazione artificiosa della lira fosse in piena attuazione. Bene o male, oggi tutti temono od augurano la rivalutazione; ma istintivamente tutti la rinviano alle calende greche. Gli industriali continuano ad ordinare materie prime, a lavorare, a vendere. Non si fanno impieghi a lunga scadenza; ma quelli a breve scadenza corrono lungo le vie consuete.
Se invece il governo seguisse – cosa che è esclusa da dichiarazioni abbastanza esplicite dell’on. De Stefani nel suo discorso di Milano, quando parlò di «stabilizzazione dei cambi, stabilizzazione relativa e naturale e non imposta, poiché non si incatenano i rapporti di valore» – una politica di artificiale rivalutazione della lira sarebbe per un anno o due, durante tutto il periodo di adattamento, il caos: fallimenti industriali a diecine di migliaia, fallimenti di banche, disoccupazione di milioni di operai. Nessuno oserebbe comprar materie prime, nessuno oserebbe comprar macchinari, far lavorare, per paura di dover vendere la produzione a prezzi di rovina.
Di nuovo, chi vuole tutta questa ira di Dio, chieda pure la rivalutazione della lira. Chi non la vuole, deve andar d’accordo con il sen. Albertini nel chiedere che il ministro delle finanze non spenda né un minuto del suo tempo né un centesimo del danaro pubblico per attuare quell’impresa balzana e pericolosa che ha volgarmente nome di rivalutazione della lira.
Le osservazioni ora fatte sono talmente ovvie e inspirate al buon senso che tutti coloro i quali hanno riflettuto sull’argomento ne sono persuasi. Su queste colonne queste osservazioni furono esposte ripetutamente negli anni scorsi e non suscitarono obiezioni di peso. Tuttavia i più non osano manifestare il loro pensiero. Temano essi di farsi dar sulla voce come se fossero nemici del pubblico e dei consumatori? Oggi, al punto in cui siamo, l’Italia non perde e non guadagna un soldo, nei suoi rapporti con l’estero, dall’essere la lira bassa o la lira alta. Invece di comprare e pagare 3.000 milioni di lire oro di merci estere, ne comperiamo e paghiamo 12.000 milioni di lire carta; ma, per contrapposto, vendiamo all’estero e incassiamo 12.000 milioni di lire carta di merci nazionali, di rimessa di emigranti e di viaggiatori forestieri; e le partite sono ugualmente pareggiate come nell’ante guerra.
È nemico dei creditori dello stato chi vuole che il governo paghi perlomeno le 5 o le 3,50 lire carta d’adesso; chi vociferando a pro della rivalutazione, metterebbe lo stato nell’impossibilità assoluta di pagare, come è detto sopra, né le lire piccole di carta né le lire grosse di oro. E nemici dei consumatori non sono coloro i quali, al par di noi, vogliono che la lira si stabilizzi, almeno pro tempore, che gli industriali riacquistino fiducia, e che si possano pagare stipendi e salari adatti al presente livello di prezzi, ma coloro che, promuovendo una artificiale rivalutazione monetaria, caccerebbero le industrie e l’agricoltura nel caos e costringerebbero milioni di operai e di contadini alla disoccupazione.
Sconsigliare la rivalutazione significa puramente e semplicemente, non volere il fallimento dello stato e la rovina dell’economia nazionale. Essere nemici della rivalutazione non equivale neppure all’assenza di ogni politica monetaria. Significa soltanto essere contrari ad una politica monetaria balorda e dannosa. Finalmente, essere nemici della rivalutazione operata dal tesoro con ritiri dei biglietti emessi per conto dello stato (questa è la specie di rivalutazione qui criticata) non vuol dire che si sia contrari ad ogni specie di rivalutazione. C’è una rivalutazione, lenta, assai lenta, che, per distinguerla con una parola, si potrebbe chiamare la rivalutazione che si opera da sé. Questa è la rivalutazione sana e duratura e benefica ed è anch’essa frutto di una politica di tesoro e di banche di emissione. Una politica che anticipa ma non affretta, che aiuta ma non sforza l’azione delle forze naturali; una politica che non oggi ma fra qualche tempo, a cose assestate, potrebbe anche conchiudere alla fissazione di un rapporto tra la lira carta e la lira oro diverso da quello tradizionale. Potrebbe, si noti; perché nulla è meno prevedibile dell’avvenire e pochissimo si può prevedere intorno al futuro rapporto naturale tra le due specie di monete. Quale possa essere questa politica, non si può però chiarire così per iscorcio. Occorrerà forse tornarci sopra di proposito.