La predica della domenica (IX)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 19/03/1961
La predica della domenica (IX)
«Corriere della Sera», 19 marzo 1961
Le prediche della domenica, Einaudi, Torino 1987, pp. 27-29[1]
Gli avvocati protestano o scioperano contro l’aumento delle tasse giudiziarie. Scrissi, assai anni fa, non contro l’aumento, ma contro l’esistenza medesima di quelle tasse. Al pari di altri rami secchi del sistema tributario italiano, le tasse giudiziarie dovrebbero essere estirpate dalla radice, in modo da non lasciare di sé traccia alcuna. Come! Dalle scuole elementari in su, ricordando l’antico insegnamento justitia fundamentum regni, insegniamo che gli stati sono creati in primo luogo per difendere la patria dallo straniero, per rendere giustizia a coloro a cui è fatto torto, per assicurare i cittadini contro i ladri e gli assassini; e poi, prima di rendere giustizia, chiediamo sia pagata la taglia. Oggi si vuole aumentare la taglia; ma l’atto nefando sta nel chiederla.
Può darsi che oggi si sia passato il segno; che l’offesa al dovere primo dello stato stia per diventare incomportabile; ma l’atto immorale è stato commesso all’inizio; quando lo stato ha teso la mano per chiedere la sportula. L’abbiamo abolita, la sportula, quando essa era pagata direttamente al magistrato dalle parti contendenti; perché, dicevasi a ragione, che essa era indizio e causa di corruzione, a vantaggio di chi poteva pagare di più. Forseché lo stato attende che il nemico invada il territorio nazionale per invitare i cittadini a pagare l’imposta necessaria a creare, equipaggiare ed armare i difensori? Si giungerebbe troppo tardi.
Forseché si accorre a difesa solo a pro di coloro i quali abbiano anticipatamente pagato la taglia per essere difesi dai ladri e dagli assassini?
Si replica dai fabbricatori zelanti di tasse inique: Forseché i litiganti, quando vincano la causa, non ottengono un lucro, non sono avvantaggiati nelle sostanze, e, in ogni modo, ottengono il riconoscimento del loro buon diritto? Sofisma grossolano; ché lo stato non adempie al dover suo se non quando l’osservanza del diritto sia così sicura, che nessuno ardisca violarlo. La giustizia è veramente resa solo quando il diritto dei cittadini è siffattamente osservato, che nessuno abbia uopo di adire il tribunale per chiedere il ristabilimento del proprio diritto offeso; quando la legge è così chiara, quando la procedura è così rapida, che nessuno osa far cosa contraria al diritto altrui e la spada della giustizia cada prontamente su chi l’ha offesa. Giustizia è resa perfettamente solo a coloro che non hanno ragione mai di ricorrere al magistrato; ed il dovervi ricorrere è segno di incertezza nella legge che il giudice è chiamato a dirimere. Là dove la giustizia è veramente resa, lo stato dovrebbe, non che ricevere qualcosa, indennizzare coloro i quali, per colpa sua, e cioè per la imperfezione della legge od a causa degli attriti nella procedura, hanno dovuto sostenere spese per il ristabilimento del proprio buon diritto. A che pagare imposte, se lo stato non adempie al suo primissimo ufficio, che è l’osservanza della legge? Sta bene pagare imposte, anche per consentire allo stato di adempiere ad altri uffici educativi sociali ed economici; ma non si dimentichi mai quelli che sono i suoi compiti fondamentali; difesa, sicurezza, giustizia.
Fa d’uopo resistere alla tentazione di colpire con multa, sotto forma apparente di tassa, i litiganti temerari e pervicaci. Noi non sappiamo quale scempio siano capaci di compiere, quando si dia loro nelle mani uno strumento qualsiasi, anche se paia innocuo, i legulei ed i funzionari, virtuosi cultori di quello che essi considerano il ramo dotto del sistema nostro delle imposte e tasse! Ai litiganti temerari devono provvedere i magistrati; ché, se essi non possono o non sanno provvedere, occorre riformare le norme della procedura e quelle per il reclutamento e l’avanzamento dei magistrati.
L’episodio sciagurato odierno dell’aumento delle tasse giudiziarie pone già un problema urgente: quello del reclutamento degli uomini i quali consigliano i ministri a commettere siffatti reati. Al vertice della amministrazione devono arrivare solo coloro i quali hanno il diritto e il dovere di consigliare nell’interesse della cosa pubblica. La amministrazione pubblica ha bisogno non di copiosi uffici legislativi ministeriali; ma di alcuni pochi consiglieri permanenti, inaccessibili e silenziosi.