La parola all’Inghilterra
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 03/09/1922
La parola all’Inghilterra
«Corriere della Sera», 3 settembre 1922
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 806-810
La decisione della commissione delle riparazioni ha sostanzialmente il valore di una moratoria fino al 31 dicembre 1922. Spetta al governo belga, il quale ha, in virtù dei trattati, un diritto di priorità sulle somme dovute dalla Germania in quest’anno, mettersi d’accordo sulle garanzie delle quali dovranno essere forniti i buoni oro a sei mesi che la Germania dovrà fornire invece del contante dovuto.
Ed ora la parola spetta agli uomini di stato di buona volontà della Germania e dell’Inghilterra. Ad essi il compito di utilizzare bene, alacremente, con senso del dovere, i quattro mesi che ci separano dalla data del 31 dicembre, alla quale il meccanismo dei pagamenti dovrà ricominciare ad agire. Ad essi e non ai francesi e tanto meno agli italiani. Noi ed i nostri vicini non siamo in grado di far rinunce, se dal canto loro i nostri creditori non ci consentono di mettere il bilancio in ordine. L’ammontare degli interessi che noi dovremmo pagare ad americani ed inglesi è superiore all’ammontare delle riparazioni che la Germania ci deve e non ci paga. Il problema deve dunque essere sbrogliato dagli altri e non da noi. Il debitore massimo, la Germania, ed i creditori debbono trovare la via per salvare se stessi e l’Europa.
Deve innanzi tutto la Germania presentare un programma definito, preciso e sincero di pagamenti. Ciò che nell’atteggiamento della Germania rende dubitosi anche i più benevoli, anche coloro che si sono per i primi accostati alle idee del Keynes sulla eccessività dei pesi imposti dal trattato di Versailles, non è la sua conclamata incapacità a pagar subito alle date convenute od a pagar tutto. Su questi punti la Germania ha molti benevoli ascoltatori. Sono le sue tergiversazioni, la sua cattiva volontà evidentissima nel consegnare anche le piccole quantità di merci in natura di cui i creditori si sarebbero contentati. Non si svela un segreto ricordando che i successivi accordi chiamati di Wiesbaden o Bernelmaus-Cuntze hanno avuto limitatissime applicazioni per i cavilli ed i ritardi tedeschi; ed è abbastanza noto che per l’Italia un accordo era stato negoziato, comunemente indicato col nome di «chèque Pirelli» perché si imperniava su un metodo tecnico proposto dal negoziatore italiano, dott. Alberto Pirelli, e vivamente appoggiato dal sottosegretario del tempo on. De Capitani, per facilitare le ordinazioni di merci tedesche in conto riparazioni in natura. Pare che sinora non se ne sia fatto nulla, non perché il sistema non potesse funzionare o le merci da ordinare non ci fossero, ma per la chiara malavoglia dei tedeschi.
Dunque, i tedeschi in questi quattro mesi debbono fare sforzi energici – doverosi per chi ha messo a fuoco e fiamme le province del nord della Francia e del Veneto – per fare precisamente ciò che la commissione delle riparazioni chiede: 1) sforzarsi di mettere l’equilibrio nel bilancio; 2) avviare la riforma monetaria. Noi, che ogni giorno diciamo al governo italiano di fare economie e di combattere il disavanzo, abbiamo bene il diritto di dire che il governo tedesco pecca, sotto questo riguardo, ben più del governo italiano; che le difficoltà innegabili in cui si dibatte sono in gran parte di sua fattura: che Francia ed Italia non hanno nessunissimo obbligo di rinunciare a quanto ad esse sacrosantamente spetta, solo perché il governo tedesco è debole verso i suoi cittadini e non osa far pagare il pane, le poste, le ferrovie ed i servizi pubblici in genere neppure quel tanto che paghiamo noi italiani, anzi fa pagare assai meno di quanto paghiamo noi e che è già inferiore a quanto ragionevolmente dovremmo pagare. Un governo sorto dalla rivoluzione ha diritto a qualche attenuante, se elargisce panem et circenses alle masse elettorali. Chi non è di noi colpevole scagli la prima pietra. Ma ogni indulgenza ha un limite. I tedeschi debbono ricordarsi di essere stati vinti; e debbono rassegnarsi a rinunciare a vivere a sotto prezzo, mercé i sussidi governativi. Questa bazza rovinosa, che noi abolimmo già per il pane e vogliamo abolirla per il resto in casa nostra, è intollerabile duri in Germania. Gli uomini di stato tedeschi hanno quattro mesi di tempo per intraprendere e iniziare seriamente quest’opera di risanamento del loro proprio bilancio, che non neghiamo sia dura e faticosa; ma che essi hanno il dovere di compiere di fronte a se stessi ed ai loro creditori.
Qui comincia l’altro dovere: quello dell’Inghilterra. Essa ha l’obbligo – e fortunatamente per essa l’obbligo coincide con l’interesse – di utilizzare i quattro mesi per rendere possibile quella conciliazione tra Francia e Germania, la quale oggi non dipende esclusivamente da nessuno dei due paesi. La nota di Balfour è un avviamento alla conciliazione; ma sotto parecchi rispetti è stato un documento disgraziato, che ha nociuto alla causa che voleva difendere.
È un avviamento, perché riconosce in modo esplicito che i debiti interalleati non sono debiti, ma contabilità di sforzi sostenuti nell’interesse comune, e perché cancella 2 miliardi e 550 milioni di lire sterline di crediti inglesi su 3 miliardi e 400 milioni, lasciandone solo sussistere 850, ossia tanti quanti corrispondono ai debiti che l’Inghilterra stessa ha verso gli Stati uniti. Il guaio è che gli 850 milioni di crediti residui sono proprio quelli buoni, ossia quelli che l’Inghilterra ha verso la Francia e l’Italia. Aver rinunciato ai crediti verso debitori decotti, come la Russia, o dubbi come la Serbia, la Cecoslovacchia, la Grecia, è poco merito. Il peggio è che la pretesa di conservare una somma di crediti (praticamente quelli verso la Francia e l’Italia) uguale al debito dell’Inghilterra verso gli Stati uniti è fondata su un errore formale ed ha avuto un pessimo effetto morale.
È un errore formale affermare, come fece il Balfour, che l’Inghilterra non può rinunciare agli 850 milioni di lire sterline di suoi crediti, perché essa per mutuare quella somma a noi, si fece imprestare altrettanta somma dagli Stati uniti. Le cose stanno ben diversamente. È indiscutibile che l’Inghilterra mutuò a Francia ed Italia somme cospicue affinché noi potessimo in dati momenti acquistare dai suoi produttori armi, munizioni, carbone, ferro, tessuti, ecc. ecc. Ed è certo che, in altri momenti e in modo indipendente, l’Inghilterra ottenne a prestito 850 milioni di sterline dagli Stati uniti per potere acquistare dai produttori americani cotone, cereali, carni e per sostenere la politica del cambio favorevole della sterlina. I due generi di prestiti non sono legati necessariamente gli uni agli altri. L’Inghilterra non prese a mutuo dagli Stati uniti per mutuare agli alleati. Essa fece debiti per ragioni sue e concesse crediti a noi per altri scopi. Sotto questo punto di vista hanno ragione gli Stati uniti di negare di avere fatto mutui all’Inghilterra affinché questa potesse fare mutui a noi; e di negare quindi di essere moralmente obbligati a condonarle i suoi debiti quando essa a sua volta li condoni a noi. La motivazione sbagliata produsse anche un effetto dannoso sull’opinione pubblica americana. Questa che non sa nulla – né i suoi uomini politici hanno finora avuto il coraggio di educarla – delle ragioni profonde dei debiti interalleati, ha avuto un’impressione quasi di ricatto dalla nota di Balfour. Se ne sono offesi come di un ipocrita tentativo inglese di far ricadere l’odiosità del non condono degli 850 milioni di lire sterline sulle spalle del loro paese; e si sono sentiti rafforzare nel proposito di non condonar nulla.
Perciò l’Inghilterra deve bene utilizzare questi quattro mesi per decidersi ad una politica lungimirante e generosa. Solo col rinunciare completamente, senza condizioni, a tutti i suoi crediti verso gli alleati, essa può cooperare efficacemente alla ricostituzione dell’Europa. In cambio di questa rinuncia, essa può chiedere che Francia, Italia e Belgio rinuncino ad una equivalente somma di riparazioni tedesche. In agosto la Francia doveva all’Inghilterra 575 milioni di sterline, l’Italia 512, il Belgio 104; in tutto 1 miliardo 191 milioni di sterline uguali a 24 miliardi di marchi oro. Se si pensa che il debito della Germania per riparazioni si riassume così:
miliardi | ||
Buoni di serie A: | 12 | |
Buoni di serie B: | 30 | |
Buoni di serie C: | (al netto da partite varie di beni trasferiti, ecc. ecc.): | 42 |
Totale debito tedesco | 84 |
e se si riflette che degli 84 miliardi il 22% ossia 18 miliardi spettano all’Inghilterra, si vede subito che una rinuncia inglese alle riparazioni dovutele (18 miliardi) ed ai crediti verso Francia, Italia e Belgio, contro rinuncia di questi paesi ad altrettante riparazioni tedesche (24 miliardi) può ridurre il debito della Germania per riparazioni ad 84 – (18+24) = 42 miliardi di marchi oro.
Ecco la sola via per salvare l’Europa. La Germania può pagare 42 miliardi in un ragionevole numero di anni. Se non lo facesse, avrebbe ragione il signor Poincaré di affermare che l’inadempienza è dovuta a pura e semplice mala volontà, a deliberato proposito di rovinare economicamente i vincitori, per saltare loro addosso al momento opportuno e prendersi la rivincita. E chi oserebbe, in tale eventualità, rimproverare la Francia se essa intende per tempo premunirsi contro siffatto pericolo?
La parola decisiva è dunque al signor Lloyd George. Se questi vuole davvero la pace e la ricostruzione dell’Europa, raduni gli alleati e la Germania a discutere delle riparazioni ed insieme dei debiti interalleati. Giuochi a carte scoperte, dichiarando la sua volontà di rinunciare ai suoi crediti, purché gli alleati rinuncino ad altrettante riparazioni e la Germania indichi il modo di pagare sul serio i 40 miliardi di marchi oro residui. Nel 1871 la Francia pagò coraggiosamente, in un anno ed in furia, i 5 miliardi di franchi oro, somma per quei tempi enorme. Se i tedeschi sono tanto patrioti quanto lo furono i francesi d’allora, essi devono poter pagare in 33 anni 40 miliardi. E non preoccupiamoci di quanto faranno gli Stati uniti. Anch’essi dovranno alla fine riconoscere la realtà e dar di frego ai loro crediti. Cominci frattanto l’Inghilterra a dare il buon esempio. Essa non può nulla eccepire al signor Poincaré quando egli ricorda che la cancellazione dei debiti è giustificata dal punto di vista non solo economico ma anche morale.