La guerra ed il commercio internazionale della Germania e dell’Inghilterra
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 18/09/1914
La guerra ed il commercio internazionale della Germania e dell’Inghilterra
«Corriere della sera», 18 settembre 1914
È assai difficile prevedere quali possano essere le conseguenze che la guerra eserciterà sul commercio internazionale dei paesi belligeranti; troppi fattori di peso ignoto intervenendo a determinare le variazioni dei rapporti commerciali. Che però la influenza abbia ad essere assai diversa per i diversi paesi si può rilevare anche da un esame sommario delle statistiche commerciali della Germania e dell’Inghilterra, i due grandi paesi rivali nelle lotte internazionali.
Ecco i dati del commercio tedesco con alcuni principali paesi esteri per il
1912 (in milioni di lire italiane): | |||||||
Importazioni in Germania | Esportazioni dalla Germania
| ||||||
milioni di lire | % | milioni di lire | % | ||||
Gran Bretagna | 1.053 | 7.9 | 1.451 | 13.1 | |||
Colonie britanniche | 1.416 | 10.7 | 420 | 3.8 | |||
Totale impero inglese | 2.469 | 18.6 | 1.871 | 16.9 | |||
Stati Uniti | 1.983 | 14.8 | 872 | 7.8 | |||
Russia | 1.910 | 14.3 | 859 | 7.6 | |||
Austria-Ungheria | 1.017 | 7.8 | 1.294 | 11.6 | |||
Francia | 690 | 5.2 | 862 | 7.7 | |||
Argentina | 556 | 4.2 | 299 | 2.7 | |||
Belgio | 483 | 3.6 | 647 | 5.5 | |||
Olanda | 451 | 3.2 | 761 | 6.8 | |||
Brasile | 392 | 2.9 | 241 | 2.2 | |||
Italia | 381 | 2.9 | 501 | 4.5 | |||
Svezia | 267 | 2 | 247 | 2.2 | |||
Svizzera | 257 | 1.9 | 651 | 5.8 | |||
Danimarca | 253 | 1.9 | 318 | 2.8 | |||
Norvegia | 80 | 0.6 | 181 | 1.6 | |||
Altri paesi non nominati | 4.645 | 16.1 | 1.031 | 14.3 | |||
TOTALE | 13.364 | 100. | 11.196 | 100. | |||
Basta uno sguardo alla tabellina sopra esposta per persuadersi che la Germania è esposta ai colpi più gravi al suo commercio internazionale. Soppresso ogni scambio con la Gran Bretagna e le sue colonie, con la Russia e con la Francia, rimangono annullati senz’altro il 38.1 per cento del commercio di importazione ed il 32.2 per cento del commercio di esportazione. Se poi l’Inghilterra riesce a conservare il dominio sul mare diventa impossibile tutto il commercio d’oltremare; principalissimo quello con gli Stati Uniti. Si può dire che soltanto l’Austria-Ungheria, divenuta una pessima cliente, l’Italia e la Svizzera, la cui capacità d’acquisto è grandemente diminuita, rimangono aperte alla Germania, oltre alla Danimarca ed ai paesi scandinavi. Nel complesso, finché la guerra dura, non pare una esagerazione affermare che i nove decimi del commercio internazionale tedesco sono minacciati di sospensione: con conseguenze disastrose rispetto all’approvvigionamento delle derrate alimentari (nel 1912 uguali al 30 per cento circa delle importazioni totali) e delle materie prime o semi-lavorate necessarie allo sviluppo delle industrie tedesche (55 per cento del totale delle importazioni); e con la impossibilità di poter vendere all’estero i prodotti dell’industria tedesca, che nel 1912 giungevano al 65 per cento delle esportazioni totali dalla Germania.
* * *
Certamente migliori sono le condizioni dell’Inghilterra rispetto ai suoi traffici internazionali (le cifre sono in milioni di lire italiane e si riferiscono al 1912):
| 1912 (in milioni di lire italiane): | |||||||
| Importazioni in Inghilterra | Esportazioni dall’Inghilterra | ||||||
| milioni di lire | % | milioni di lire | % | ||||
Colonie britanniche | 3.245 | 20.5 | 4.427 | 26.3 | ||||
Stati Uniti | 3.085 | 19.5 | 751 | 6.1 | ||||
Germania | 1.646 | 10.4 | 1.009 | 8.2 | ||||
Francia | 1.002 | 6.2 | 644 | 5.2 | ||||
Argentina | 983 | 6.2 | 513 | 4.2 | ||||
Russia | 977 | 6. | 343 |
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Belgio | 569 | 3.6 | 304 | 2.5 | ||||
Danimarca | 348 | 3.4 |
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Olanda | 521 | 3.3 | 357 | 2.9 | ||||
Egitto | 490 | 3.1 | 236 | 1.9 | ||||
Italia | 350 | 2.8 |
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Brasile | 316 | 2.5 |
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Giappone | 305 | 2.5 |
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Cina | 269 | 2.2 |
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Turchia | 203 | 1.6 |
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Altri paesi non nominati | 2.756 | 17.7 | 2.153 | 21.1 | ||||
TOTALE | 15.822 | 100. | 12.180 | 100. | ||||
Le conseguenze della guerra sono evidentemente assai meno dolorose per l’Inghilterra che per la Germania: invece di perdere quasi tutto il commercio internazionale, essa deve rinunciare solo alla cospicua frazione assorbita dalla Germania (10.4 per cento all’importazione ed 8.2 per cento all’esportazione ed alla assai meno importante frazione dell’Austria-Ungheria, di cui la statistica che ho sott’occhio non tiene neppure conto.
Il dominio che la flotta tedesca ha del Mar Baltico danneggerà inoltre sensibilmente i traffici con la Russia e con la Scandinavia; ed a queste perdite si deve aggiungere la diminuita potenza d’acquisto di quasi tutti i paesi del mondo. Qualche compenso potrà l’Inghilterra trovare nell’accaparramento di una parte della clientela tedesca, che la Germania si trova nella assoluta impossibilità di servire; ma, anche perché questa clientela è, per ora, grandemente ridotta, il compenso non pare debba essere sufficiente a bilanciare le perdite. Tuttavia, tutto sommato, l’Inghilterra si troverà, finché dura la guerra, in una posizione migliore della Germania, perché, mentre questa è destinata a perdere la massima parte, quella perderà solo la minor parte del proprio commercio internazionale.
* * *
Ben più difficili sono le previsioni relativamente a ciò che accadrà quando la guerra sarà conchiusa e sarà finito il periodo transitorio di scompiglio determinato da essa. La guerra avrà certamente effetti grandi; ma saranno gli effetti della guerra per sé medesima, ovvero delle qualità di lavoro, di invenzione, di organizzazione che la guerra avrà posto in luce, valorizzandole e rendendone consapevoli o più consapevoli e più pronti e vogliosi di servirsene quelli che già prima le possedevano? Una osservazione mi pare si possa fare fin da ora; ed è che errano grandemente coloro i quali ritengono che l’Inghilterra trarrà un vantaggio sensibile e duraturo dalla sconfitta della Germania, nell’ipotesi – che io non giudico se sia probabile od improbabile – che questa sconfitta abbia a verificarsi.
Le cifre sovra riportate dimostrano come in tempo di pace – ed al ritorno di questa noi dobbiamo riferirci – la Gran Bretagna sia uno dei paesi che maggiormente concorrono all’approvvigionamento della Germania (7.9 % delle importazioni tedesche) e nel tempo stesso sia il migliore cliente della industria tedesca (il 13.1 % delle esportazioni tedesche va in Inghilterra). E per converso l’Inghilterra compra dalla Germania più che da qualunque altro paese, dopo gli Stati Uniti ed il complesso delle sue colonie, e, fatta astrazione delle colonie, vende alla Germania più che a qualsiasi altro paese straniero. Queste constatazioni dimostrano come fosse nel vero sir George Paish, direttore dello Statist, quando, nel corso di un istruttivo dibattito alla Società di Statistica di Londra, dai cui rendiconti ho estratto alcune delle cifre contenute nel presente articolo, osservò che «le statistiche dimostravano che i due paesi potevano arricchirsi contemporaneamente, e che la crescente prosperità della Germania aveva per effetto non l’impoverimento ma l’arricchimento dell’Inghilterra; come pure l’incremento della prosperità inglese voleva dire maggiore e non minore ricchezza per la Germania».
Se per ipotesi, non affermata come probabile, ma semplicemente assunta in via esemplificativa, la Germania dovesse uscire davvero annichilita economicamente dalla guerra, quello sarebbe un gran brutto giorno per l’Inghilterra; perché essa avrebbe perso il migliore dei suoi clienti ed un rivale il quale, con l’energia magnifica delle sue iniziative economiche e con la pressione continua della sua concorrenza, ha impedito all’Inghilterra di addormentarsi, come pareva dovesse accadere verso il 1890-1900, e l’ha costretta a fare quell’esame di coscienza industriale, che è stato forse l’origine prima dei nuovi trionfi commerciali inglesi del periodo 1900-1913. Nulla di più falso nel commercio del detto che la perdita dell’uno sia il guadagno dell’altro; mentre è vero che nessun popolo può arricchirsi se gli altri contemporaneamente non diventano più prosperi. Ben a ragione perciò il londinese Economist notava in un suo ultimo numero che l’Inghilterra si è decisa alla lotta per motivi politici, per la conservazione dell’impero, per ragioni ideali superiori, non certo per considerazioni economiche. «Gli interessi del commercio, dell’industria e degli operai sono stati sacrificati a quello che è stato giudicato essere un interesse più ampio di tutta la collettività». Se queste, come a me pare, sono verità intuitive, giova augurare che le energie intellettuali e morali, queste sopra tutto, di tutti i belligeranti, vincitori e vinti, escano dalla guerra intatte, così da poter in breve ora saldare le ferite gravissime che la guerra ha cagionato.