La garanzia dei depositi bancari. (A proposito di casi italiani e di esperienze americane)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1922
La garanzia dei depositi bancari. (A proposito di casi italiani e di esperienze americane)
«Rivista bancaria. Minerva bancaria», 1922, pp. 269-290
In estratto: Milano, Associazione bancaria italiana, 1922, pp. 22-42
Dopo ogni grosso dissesto bancario, non mancano mai le invocazioni al legislatore affinché intervenga a tutelare efficacemente i depositi a risparmio. Non sempre i proponenti hanno idee chiare intorno ai mezzi che dovrebbero essere adottati per ottenere lo scopo; e per lo più i disegni di legge preparati dai ministri o presentati al parlamento fanno capo a certi obblighi i quali dovrebbero essere imposti alle banche rispetto alle dimensioni del loro capitale proprio ed ai tipi di investimento dei depositi a risparmio. Si vuole affermare in primo luogo che i depositi sono tanto meglio garantiti quanto più alta è la proporzione del capitale proprio della banca all’ammontare dei depositi; e si vorrebbe che tale proporzione non diminuisse al disotto di un terzo o di un quarto o di un decimo. Si vorrebbero inoltre che i depositi bancari non rimanessero a libera disposizione della banca, ma questa ne dovesse investire una parte in titoli di tutto riposo, da padre di famiglia, considerandosi per lo più dai legislatori degni di tal nome solo i titoli di Stato. È dubbio se in ambi i modi sia possibile prevenire i disastri bancari; poiché questi sono per lo più collegati con metodi imprudenti di impiego non solo del capitale proprio ma anche dei depositi affidati al banchiere. Ha una certa importanza sapere che dietro a 1000 milioni di depositi ci sono 200 o 300 milioni di capitale della banca; ma i disastri maggiori si ebbero quando il banchiere fu tratto dalla propria imperizia o imprudenza a impiegare male i 300 proprii ed insieme i 1000 milioni altrui. Pur essendovi un margine più alto di garanzia, questa non è sufficiente proprio in quei casi in cui la necessità sarebbe più sentita. Obbligheremo anche le Casse di Risparmio, spesso provvedute di un modestissimo capitale proprio, a non ricevere più depositi, quando l’ammontare di essi superi il triplo ed il quadruplo del capitale sociale? Spesso le Banche provvedute di capitale più vistoso non sono le più forti e sicure. Nessuna regola fissa vale in questa materia.
Neppure l’obbligo di investire una parte dei depositi in titoli di tutto riposo può ritenersi un salvaguardia sufficiente. In occasione dei fallimenti bancari è abbastanza frequente riscontrare l’esistenza di una certa quota di ottimi impieghi. Il male non derivò dalla mancanza di venti o trenta per cento di titoli e valori sicurissimi, ma dal cattivo impiego del restante settanta od ottanta per cento; né si vede come l’obbligo auspicato possa rimediare a ciò. Notisi che per lo più i buoni titoli e valori esistenti in cassa debbono essere per i primi venduti o scontati quando scocca l’ora del pericolo. Alle prime domande di rimborso presentate dai depositanti scossi dalle voci correnti in piazza, la banca buona ha il dovere di far fronte, per impedire che le voci vaghe prendano consistenza e si tramutino in panico. Né alcun rigido commissario governativo, se ci fosse, potrebbe evitare che si alienino i valori buoni; la sua responsabilità sarebbe gravissima, perché, allo scopo di conversare all’intiera massa creditoria il 20 o il 30 per cento, egli avrebbe costretto la banca alla cessazione dei pagamenti e fatto perdere ai creditori gran parte del loro avere, quando col sacrificio dei buoni valori il credito poteva tuttora essere salvato e con esso poteva essere garantito il rimborso integrale ai creditori. Qual commissario governativo oserà ingiungere ad una Banca, che egli conosce sicuramente come male amministrata, di sospendere i pagamenti, per non defraudare i ritardatari di quel venti o trenta per cento di attività solide che gli avveduti avranno assorbito?
La distinzione fra banche buone e banche cattive è odiosissima; e non è facile sia fatta da un ispettore ministeriale. L’arte del banchiere consiste nell’investire bene non il 20 ma il 100 per cento delle attività della banca. Ma il modo ed i limiti non possono essere indicati per legge. Vi furono banche costrette a fallire appunto perché investivano tutti i depositi in titoli pubblici, quelli che il legislatore ama considerare sicuri. Quando si è visto il consolidato italiano 5% a 67, chi può avere il coraggio di imporre un impiego il quale può riuscire disastroso? Che cosa sarebbe accaduto se le banche avessero in quei frangenti buttato sul mercato, per salvarsi, grossi pacchi di consolidato? Bene spesso un buon portafoglio cambiario è investimento più sicuro di titoli di Stato «dal taglio dorato», come chiamansi in Inghilterra. O, più propriamente, né le cambiali né le anticipazioni, né i titoli di Stato possono considerarsi come il «migliore» impiego in ogni tempo e per ogni istituto. Varia da caso a caso, da tempo a tempo, il tipo migliore di investimento o la miscela più adatta di investimenti. Non esiste alcuna norma fissa la quale possa essere codificata in una legge o fatta osservare da un ispettore governativo.
Bisogna invero essere scettici altresì intorno alla efficacia della «sorveglianza» dello Stato per impedire i dissesti bancari, quando si rifletta alla cecità ed alla buona fede con la quale non di rado gli stessi funzionari delle banche – e non i meno altolocati – furono colti dalla bufera, la quale travolse d’un tratto il loro istituto. I dirigenti hanno mille modi di nascondere la vera natura delle operazioni da essi compiute; per lo più la grande maggioranza degli stessi amministratori non è in grado di sapere nulla intorno alle malefatte dei veri dirigenti. E si vorrebbe che a compito così arduo bastassero i commissari inviati dal Governo, di cui è dubbia la competenza bancaria?
Non voglio, con le considerazioni ora fatte, negare che in qualche caso le norme proposte per la tutela dei depositi bancari possano avere una certa efficacia. Ritengo soltanto necessario che, prima di decidersi, si mettano sulla bilancia a confronto l’incertezza degli scarsi risultati sperabili con la certezza degli ostacoli che i vincoli imposti apporteranno alla libera attività dei buoni e capaci dirigenti delle banche solide. Poiché queste sono indubbiamente la maggioranza, la convenienza dei vincoli appare perlomeno dubbia.
La caduta della Banca Italiana di Sconto ha posto in grande risalto un’altra idea, germogliata spontaneamente e confusamente nell’animo dei depositanti, forse accarezzata in anticipo da taluno dei dirigenti. Nel dolore della sciagura ad essi toccata, i depositanti, sovratutto i minori, i più ignari del meccanismo bancario e delle ragioni vere del disastro, pensarono: o che forse la Banca Italiana di Sconto non svolse durante e dopo la guerra un’opera grandemente patriottica? Non diede essa i mezzi a grandiose intraprese affinché queste forgiassero le armi, grazie alle quali l’Italia fu salva? Non contribuì con indefessa propaganda al successo dei prestiti di guerra? Non fu apertamente lodata e incoraggiata dal Governo per l’opera da essa compiuta? Una gran parte delle perdite sofferte non può farsi risalire all’ardimento con il quale essa contribuì alla difesa e poi alla ricostruzione del paese? Le difficoltà in cui versano le intraprese debitrici della Banca Italiana di Sconto non sono dovute altresì alla errata politica tributaria dello Stato, alla pretesa di confiscare i profitti di guerra, considerando come profitti ciò che erano impianti, merci e macchinari svalutati?
Vi è qualche esagerazione nel racconto dei meriti pubblici e delle disgrazie della Banca Italiana di Sconto; ma sovratutto non è lecito trarne la conseguenza che lo Stato debba garantire le perdite sopportate dalla Banca. Gli uomini di governo non possono assumere nessuna responsabilità se non entro i limiti autorizzati dal Parlamento. Gli incoraggiamenti alle industrie belliche e la politica demagogica del dopo guerra fanno parte di quelle generali condizioni di ambiente, in cui ogni intrapresa, ogni banca doveva muoversi in quel tempo. Le persone prudenti ed avvedute, non invasate da megalomania e non prone a trattare alla leggera i denari altrui, pur facendo il proprio dovere verso la patria, si tennero lontane dagli eccessi e non corsero pericolo di morte. Lo Stato ha bensì il dovere di applicare con giustizia, equità e buon senso le leggi d’imposta; ma il suo dovere si ferma lì. Guai se il governo assumesse responsabilità nelle faccende private e garantisse le perdite di una Banca! Perché di quella e non di tutte le altre? Tutte vantano benemerenze verso l’industria ed il commercio. Perché il banchiere dovrebbe affannarsi a distinguere tra affari buoni e affari cattivi, se, in caso di rovina, le perdite dovessero essere coperte dallo Stato? I dirigenti della Banca Italiana di Sconto e quelli delle grandi intraprese ad essa affiliate avevano appunto fatto assegnamento sulla teoria della garanzia, quando, senza ritegno, diedero impulso straordinario e rapidissimo alla raccolta dei capitali ed al loro impiego in impianti spettacolosi. Pensavano probabilmente – e fu riferito che taluni di essi abbia anche spavaldamente detto: – «noi siamo una troppo grande cosa, perché il Governo ci lasci cadere. Non si lascia fallire una banca la quale deve miliardi di lire a centinaia di migliaia di depositanti in tutta Italia; non si può lasciare fallire uno stabilimento constringendolo a mettere sul lastrico venti o trenta mila operai».
Pare indubitato che la politica avventata di espansione della Banca Italiana di Sconto poggiasse su questa sicurezza morale: di dovere ad ogni costo essere salvati dal Governo. In un paese di politici deboli, esposti a tutti le improvvise correnti di una opinione pubblica male informata e facilmente esasperata da interessati e da incompetenti, tale persuasione era fondata. Ed invero, se non si è preceduto ad un salvataggio totale, il Governo è intervenuto con ogni maniera di aiuti, legislativi e pecuniari. Spavantato dal proprio coraggio di lasciar chiudere gli sportelli della Banca, non ha voluto, a quanto sembra, che l’esempio trovasse imitatori, anche nel caso di enti senza importanza. Né si può escludere che il sacrificio dell’erario non ammoniti, per via indiretta, a parecchie centinaia di milioni di lire. Di fatto, perciò, il concetto della garanzia statale ha conquistato diritto di cittadinanza nella legislazione italiana. Al solito, è un diritto ammesso di fatto e negato a parole; consentito come un favore speciale nascostamente, non riconosciuto apertamente. Forse appunto per questo suo carattere subdolo ed inafferrabile, l’istituto della garanzia dei depositi bancari è specialmente pericoloso. Se fosse regolato apertamente, lo potremmo discutere e criticare; forse sarebbe possibile costringerlo entro limiti precisi e meno dannosi. Così come è, esso sfugge alla critica; poiché il governo può sempre dire: «ma che mi andate voi cianciando di garanzia? Io non ho garantito nulla e non ho proposto nulla». E poiché formalmente ha ragione, la difesa dell’erario riesce meno efficace.
Perciò ritengo opportuno di esporre i metodi che furono tenuti in alcuni Stati dell’Unione nord-americana quando esplicitamente si volle sancire il principio della garanzia dei depositi bancari. Grazie alla loro costituzione federale, gli Stati Uniti sono un vero crogiolo di esperimenti legislativi. Qualunque novità può essere esperimentata in uno dei tanti Stati. Nel frattempo, gli altri Stati guardano ed osservano: wait and see. Se l’esperimento va bene, anche gli altri Stati l’adottano; se va male, i danni sono limitati. Al disopra, vi è la magistratura locale, vi è la Corte federale pronte a porre fine alle furie legislative più pazzesche.
Traggo i dati e le notizie che sommariamente esporrò da un bellissimo libro intitolato The Guaranty of Bank Deposits del Prof. Thomas Bruce Robb, dell’Università del Missouri (Boston e New York, Houghton, Mifflin Co. 1921, Un vol. di pagg. XII – 225, doll. 2.50). L’autore aggiunge egli stesso molte buone osservazioni delle quali ho fatto pro; ma per non attribuire a lui idee non sue, il lettore voglia distinguere tra i fatti che sono rigorosamente quelli vagliati ed esposti dal Robb e le osservazioni, le quali possono essere innestate sul racconto dei fatti.
Negli Stati Uniti, come quasi dappertutto altrove, il legislatore si limita ad imporre l’obbligo di forti riserve agli istituti di emissione. I depositi bancari sono considerati di natura tutt’affatto differente dal debito della banca per biglietti emessi. La distinzione risale all’epoca in cui realmente i depositi bancari non servivano alla circolazione. Oggi però, nei paesi anglosassoni, gli assegni tratti sui depositi bancari servono alla circolazione dei beni e dei servigi nello stesso modo e praticamente in una misura assai superiore ai biglietti propriamente detti.
Ecco una premessa favorevole al sorgere di norme regolatrici dei depositi bancari soggetti a cheques, simili a quelle che regolano le emissioni vere e proprie di biglietti di banca. Sotto questo aspetto l’idea generatrice della «garanzia» non è degli Stati Uniti la protezione dei depositi «a risparmio», bensì quella dei depositi bancari in conto corrente. Vedremo anzi che talune legislazioni esplicitamente escludono i depositi a risparmio dalla garanzia di Stato.
Probabilmente, però, la trasformazione avvenuta nei depositi bancari non sarebbe stata sufficiente a provocare l’attenzione del legislatore; ed invero l’istituto della garanzia non sorse negli Stati ricchi, manifatturieri, commerciali e bancari dell’est e del centro, ma negli Stati minerari ed agricoli dell’ovest. I fallimenti bancari connessi con la liquidazione di crisi agricole o minerarie diedero l’impulso alla nuova legislazione. Nei giorni del «populismo», quando verso il 1896 i bassissimi prezzi dei prodotti agrari favorivano l’agitazione dei «farmers» contro le ferrovie, le banche ed i capitalisti dell’est, vi furono tentativi nel Nebraska e nel Kansas per creare un fondo obbligatorio di garanzia dei depositi bancari. Un disegno di legge all’uopo fu approvato dal Senato del Kansas e fu respinto per soli quattro voti di maggioranza contraria nella Camera bassa. Col ritorno della prosperità, le richieste di controllo sulle banche furono abbandonate; e non se ne sentì più parlare fino al panico finanziario scoppiato negli Stati Uniti il 28 ottobre 1907. Pochi giorni dopo, il 16 novembre, il «territorio» di Oklahoma veniva elevato alla dignità di «Stato» e la sua prima legislatura si iniziava. La terribile crisi di credito e di borsa preoccupava tutte le menti in quel momento; e non si sentiva parlare d’altro che dei rimedi più atti a risolvere il problema delle garanzia per i depositanti delle banche minacciati di vedere travolta la loro fortuna dal panico universale. Ne parlò anche il primo governatore del nuovo Stato, signore Haskell, nel messaggio al corpo legislativo. Un disegno di legge in tal senso fu presentato il 5 Dicembre alla Camera dei rappresentanti. Approvato da questa il 13 Dicembre, otteneva il suffragio del Senato e diventava legge il 17 Dicembre 1907. La discussione era quasi mancata, tanto erano tutti persuasi dell’urgenza di fare qualcosa.
Poiché nello Stato di Oklahoma e non altrove? Era l’ultimo «frontier State» – stato di frontiera sull’orlo del deserto, dove si era precipitata in quegli anni la solita folla di avventurieri, in cerca di miniere e di sfruttamenti agricoli. Tra essi, banchieri dubbi ed altrettanto avventurosi come i cercatori di oro o di petrolio. In queste società primitive e disordinate, quando scoppia un male, si sente subito il grido: «facciamo una legge!». «A law against it» è lo specifico universale.
In che cosa consisteva essenzialmente la legge dello Stato di Oklahoma? In primo luogo si sanciva il diritto dei depositanti delle banche fallite di essere pagati immediatamente. E per soddisfare a questo tassativo obbligo si creava un fondo apposito che ogni banca «di Stato» ed ogni cassa di risparmio (traduco così, come ritengo si debba, le parole «trust company» le quali non hanno nulla a che fare con i cosidetti «trusts» e consorzi industriali, essendo noto che in questo secondo senso la parola «trust» non ha negli Stati Uniti applicazione legale) doveva alimentare con un prelievo dell’uno per cento sulla media dei suoi depositi giornalieri. Se nell’anno successivo, i depositi fossero aumentati, la banca o cassa doveva pagare l’uno per cento sull’incremento. Se il fondo così formato fosse stato esaurito in seguito a qualche importante fallimento, si dovevano fare prelievi speciali addizionali e nessun limite era posto ad essi.
La legge originaria fu subito oggetto di emendamenti, che ritornarono ripetutamente su se stessi: l’11 Giugno 1909 una legge rialzò dall’1 al 5 per cento dei depositi l’ammontare del fondo; da costituirsi con un prelievo dell’1 per cento nel primo anno e del 0,25 per cento negli anni successivi sino a che il fondo del 5 per cento fosse costituito: ma con un’altra legge, del 6 Marzo 1913, si torna indietro dal 5 al 2 per cento. – L’emendamento dell’11 Giugno 1909 limitava al 2 per cento all’anno i prelievi speciali, eliminando il pericolo che la banche sopravviventi potessero essere addirittura spogliate per pagare i depositi di quelle fallite. Nel caso in cui i prelievi ordinari e quelli speciali non fossero bastevoli, l’ufficio statale bancario poteva consegnare ai depositanti insoddisfatti certificati di debito al 6%. Questi certificati godevano di privilegio sui prelievi degli anni successivi. – L’emendamento del 6 Marzo 1913 infine riduce al 0,20 per cento il prelievo ordinario annuo. Dopo il 1916 i prelievi speciali sono proibiti.
Il carattere sperimentale della legislazione è evidente in tutti questi pentimenti e ritorni su se stesso del legislatore. Dopo avere oscillato tra l’idea del fondo grosso e quella del fondo piccolo, aiutato da prelievi straordinari; ora sembra essersi fermato sul concetto del fondo moderato, alimentato da un prelievo regolare modesto (0,20% ad anno), ed integrato dall’emissione di certificati di debito fruttifero in anticipazione dei prelievi futuri.
Uguali trasformazioni si ebbero nei metodi di impiego del fondo. Dapprima fu decretato dovesse essere tenuto parte in contanti e parte in titoli di Stato. Ora, il fondo è lasciato a disposizione delle stesse banche, su cui, quando sorga la necessità, vengono tratti assegni. Così le banche non vengono private dei loro depositi; e siccome è improbabile che i fallimenti siano contemporaneamente molto numerosi, la solvibilità del fondo è garantita.
Chi amministra il fondo? Un ufficio statale bancario (state banking board), il quale originariamente era composto del governatore dello Stato (qualcosa di mezzo tra un presidente di repubblica o cantone svizzero e un primo ministro), del vice-governatore, del presidente dell’ufficio (ministro) di agricoltura, del tesoriere dello Stato (ministro del tesoro) e del controllore dello Stato (da noi si direbbe presidente della Corte dei Conti). Il Consiglio aveva dunque carattere strettamente politico. L’esperienza provò che esso non era adatto al suo compito e, in virtù dell’emendamento del 6 Marzo 1913, l’ufficio è oggi divenuto in sostanza una emanazione delle banche. Ogni banca di Stato nomina un suo rappresentante in una «Associazione Bancaria», a capo di cui sta un consiglio, nominato dai membri nel suo seno, di non meno di nove e non più di quindici membri. Il consiglio presenta al governatore dello Stato una lista di nove persone, da cui egli sceglie tre. Questi tre, insieme con il commissario e l’assistente commissario alle banche, costituiscono l’ufficio statale bancario. Compito dell’ufficio è di amministrare il fondo di garanzia dei depositi, prendere possesso delle banche fallite, liquidarle, pagare immediatamente i depositanti o, se il fondo non basta all’uopo, consegnare loro subito i certificati di debito fruttiferi. Liquidata la banca, le attività liquide risultanti devono innanzitutto servire a rimborsare il fondo per le anticipazioni fatte.
Ogni banca partecipante al fondo riceve un certificato del commissario il quale dichiara essere i suoi depositi garantiti dal fondo di garanzia dello Stato di Oklahoma. Il certificato può essere esposto negli uffici della Banca; ma è vietato a questa di annunciare pubblicamente che i suoi depositi sono garantiti dallo Stato di Oklahoma.
Il governo americano è stato definito «governo dei giudici». Leggi e provvedimenti amministrativi valgono in quanto siano dichiarati dai giudici conformi alla costituzione. In moltissimi casi i giudici americani si divertono ad annullare le leggi votate dai parlamenti degli Stati e dal Congresso federale; ed i provvedimenti dei governatori e del Presidente. È questa una caratteristica fondamentale di quel paese; la cui vita costituzionale è incomprensibile ove non si ponga mente alla potenza, ignota in Europa, dell’autorità giudiziaria. Il signor Taft, attualmente Giudice Capo della Corte federale, non gode in questa qualità di autorità minore di quella posseduta, quando era Presidente degli Stati Uniti. In più, egli è Giudice capo a vita. In America non hanno le nostre fisime stupide sui limiti di età; e solo la morte, le dimissioni o la assoluta incapacità per malattia potrà far scendere il signor Taft dal suo altissimo seggio.
Per dirla in breve, i giudici ritennero che la legge di Oklahoma fosse valida soltanto per le banche «di Stato» e non per le banche «nazionali». La distinzione sta in ciò, che in America si chiamano banche «di Stato» non le banche gerite dallo Stato (non ce ne sono) ma quelle banche le quali furono «incorporate», ossia ottennero il riconoscimento giuridico come banche in virtù delle leggi di uno qualunque degli Stati della federazione; laddove sono dette banche «nazionali», quelle incorporate sotto l’egida delle leggi nazionali, ossia federali. Ora, i giudici opinarono che la legge federale vietasse alle banche «nazionali» create in virtù sua, di assumere impegni per conto di altre banche. E siccome il fondo di garanzia di Oklahoma in sostanza equivaleva ad un patto obbligatorio di mutua assicurazione fra varie banche, esso contraddiceva alla norma della legge federale. Questa esclusione sottrasse all’influenza della legge di garanzia tutte quelle banche alle quali il nuovo sistema non garbava. Bastò che esse da banche «di Stato» si trasformassero in banche «nazionali», rinunciando spontaneamente alla carta di incorporazione rilasciata dallo Stato (da noi si direbbe al decreto di omologazione dell’atto costitutivo da parte del Tribunale) per chiedere una nuoca carta al Governo federale. Poiché le banche «di uno Stato» possono lavorare anche negli «altri» Stati, e le banche «nazionali» possono lavorare in ogni singolo Stato della Federazione, il problema di appartenere all’una od all’altra categoria divenne un problema di convenienza. Conveniva di più alle banche, per attrarre depositi, sottoporsi alle leggi dello Stato e pagare i prelievi per il fondo di garanzia; ovvero conveniva di più rimanere al di fuori del sistema, trasformandosi in banche nazionali? Vedremo in seguito quale risposta diedero le banche al quesito. Per ora basti notare che, in virtù dell’opinione dei giudici, il sistema perdette il suo originario carattere obbligatorio.
La legislazione interna dello Stato di Oklahoma si incaricò di ridurre col tempo ulteriormente il campo di applicazione della legge. Oggi il fondo di garanzia non riguarda i depositi provveduti di garanzie particolari. Così pure sono esclusi dalla garanzia i depositi su cui si riceve più del saggio di interesse fissato dal commissario alle banche; saggio che ora è del 4 per cento. Finalmente, le casse di risparmio, incluse dapprima nello schema, furono nel 1911 escluse dalla protezione del fondo.
Il primo esperimento fatto della attitudine del fondo a servire al suo scopo ebbe in apparenza un ottimo risultato. Il 21 maggio 1908, venivano chiusi gli sportelli della «International State Bank of Coalgate», Oklahoma. I depositi ammontavano a 36.744,93 dollari. L’ufficio di Stato coi denari trovati nelle casse della banca e con 24.843,73 dollari prelevati dal fondo di garanzia pagò fino al centesimo i depositanti. Alla liquidazione, il fondo di garanzia ottenne il rimborso integrale della fatta anticipazione.
Meglio di così non poteva andare per i depositanti e per il nuovo sistema di garanzia.
Il guaio si è che l’opinione pubblica dell’Oklahoma concorda nel dire che la Banca era solida, che le sue difficoltà erano passeggere, il che fu provato dal fatto che essa poté in breve pagare, dollaro per dollaro, i suoi creditori; e che il fallimento fu voluto dal governatore dello Stato per dimostrare al mondo che la sua era una gran bella legge. Doveva tenersi, poche settimane dopo, l’assemblea del partito democratico a Denver, ed il governatore Haskell, democratico lui pure, aveva bisogno di fare un gran colpo. I politicanti sono fatti della stessa stoffa in tutti i paesi del mondo; ed il brutto scherzo del governatore Haskell è quindi perfettamente verosimile, sebbene sembri anche dimostrato che la banca non era scevra di colpe, che non era amministrata secondo le sane regole bancarie e che, se fosse stata lasciata vivere, col tempo poteva sul serio fallire da sé.
Comunque sia di ciò, trattavasi di una banchetta senza importanza. Il momento critico per il fondo venne quando il 28 settembre 1909 fallì la più grossa banca dello Stato, la «Columbia Bank and Trust Company of Oklahoma City». La Banca aveva 365.686,01 dollari di depositi alla data del 23 settembre 1908; e con un crescendo rapidissimo, li aveva portati a 2.806.008,65 dollari alla data dell’1 settembre 1909. Calcolando il dollaro alla pari di 5.18 erano poco più di 14 milioni di lire; calcolandolo a 20 lire erano 56 milioni di lire. Non una gran banca, secondo l’idea che ci facciamo ora della grossezza delle cose in lire svalutate; ma, per quello Stato appena agli inizi della sua vita, una rispettabile Banca. I depositi erano reclutati un po’ dappertutto, anche fuori dello Stato e in parte da minori banche rurali: 119 banche rurali avevano depositato 1.328.383,79 dollari al momento della chiusura degli sportelli. Il presidente e amministratore vero della banca era un signor Norton, che aveva fama di uomo abilissimo, estremamente simpatico ed accaparrante. Sembra, sebbene non ci siano prove sicure in argomento, che la Banca avesse saputo trarre partito dall’esistenza della legge che guarantiva i depositi bancari per attirare a sé i depositi in coppia; e li poté amministrare senza prudenza anche perché nessuno se ne preoccupava, sentendosi i depositanti garantiti dal fondo. E passo sopra al sistema della catena anche li in uso ed agli affari in cui la banca era interessata. Sembra di leggere le relazioni dei commissari sulle ragioni del dissesto della Banca Italiana di Sconto e del Lloyd Mediterraneo.
Quel giorno della chiusura, Haskell l’autore della legge, governatore dello Stato e presidente dell’ufficio responsabile del funzionamento del fondo di garanzia, passò un brutto quarto d’ora: circa 2.800.000 dollari di deposito da rimborsare subito, contro 28.000 dollari in contanti nelle casse della Banca, 185.000 dollari dovuti a vista e 300.000 dollari nel fondo di garanzia. Di questi ultimi, 50 mila valevano zero perché depositati presso la banca fallita e dei restanti 250.000 i tre quarti erano depositati presso altre banche. Haskell non si perdette di coraggio. Si fece imprestare da gente di Kansas City e di St. Louis 450.000 dollari; e cominciò con faccia franca a rimborsare. I piccoli depositanti furono rimborsati per intiero, cosicché spargessero per il paese la buona novella e facessero stare a casa fiduciosi gli altri. Coi grossi depositanti, venne a patti, dando degli acconti, a mano a mano che essi potevano dimostrare di aver proprio bisogno di denaro. Con le banche rurali correntiste (avevano 1.328 mila dollari a loro credito su un totale di 2.800.000) Haskell agì con risolutezza. Le minacciò di far saltare in aria sistema di garanzia; le impressionò con previsioni lugubri intorno al panico che si sarebbe esteso ad esse; offrì in pagamento un po’ della carta posseduta dalla banca fallita, le autorizzò a portare questa carta nel conto della loro riserva legale. Tanto fece che i direttori se ne andarono mezzi persuasi e mezzo terrorizzati. Per tranquillizzare il pubblico, Haskell pubblicò i manifesti per invitare i depositanti a ritirare subito i loro denari. Ottenne l’effetto di farli star per i primi giorni a casa e di impedire che il panico si estendesse. fatto sta che il 15 Dicembre 1910 i depositi erano rimborsati per intiero, eccetto 11.256,79 dollari, intorno a cui c’erano contestazioni o per cui nessuno s’era presentato a reclamare. Il procuratore generale voleva chiamare in giudizio Norton e gli altri amministratori della Banca fallita. Haskell, riflettendo che colla galera non si cava un soldo ai falliti, fece sospendere la procedura criminale; e tanto fece e minacciò e promise che gli amministratori cavarono fuori di tasca quel che potevano. La conclusione finale, a liquidazione compiuta, fu che il fondo di garanzia perdette 582.283,79 dollari, ossia tutta la somma posseduta al momento del fallimento ed in aggiunta parecchio di più, procurato con prelievi straordinari sulle banche dello Stato.
Sarebbe tedioso narrare particolareggiatamente le vicende degli altri 56 fallimenti accaduti nei primi dodici anni di vita del fondo di garanzia di Oklahoma. Basti dire che dal 1908 al 1920 le Banche dello Stato versarono al fondo 3.400.714,60 dollari, ossia una media annua del 0.408 per cento dei loro depositi. Ragguagliato al capitale della banche, l’onere giunge al 3 per cento all’anno del capitale medio proprio delle banche. Fortunatamente, la guerra ha risanato la situazione ed ha consentito di ridurre l’onere attuale alla proporzione più tollerabile del 0.20 per cento all’anno sui depositi. Alla data del 30 settembre 1914, il fondo non solo non aveva un soldo in cassa, ma era indebitato per 807.475,09 dollari, per mezzo dei noti certificati di debito. Al 31 dicembre 1916 il debito erasi ridotto a 666.378,61 dollari; ed all’1 marzo 1920 il debito era rimborsato e vi erano 75.000 mila dollari in cassa, oltre al credito per un prelievo scaduto e non ancora versato di 275.000 dollari.
Il sistema di garanzia ha giovato alle banche «di Stato»? Il seguente confronto fra numero e depositi delle banche di Stato (soggette al fondo di garanzia) e delle banche nazionali (esenti dal fondo) può gettare qualche luce in argomento:
Banche di Stato
| Banche nazionali | |||
Numero | Depos. in migl. di dollari | Numero | Depos. in migl. di dollari | |
1 Marzo1908 | 470 | 18.033 | 312 | 38.298 |
16 Nov. 1909 | 662 | 49.775 | 220 | 41.617 |
+ 41% | + 175% | – 30% | + 9% | |
7 Genn. 1912 | 695 | 54.756 | 229 | 48.169 |
20 Febb. 1912 | 628 | 39.391 | 283 | 53.094 |
– 10% | – 18% | + 24% | + 10% |
Il progresso relativo delle banche di Stato nel primo periodo, immediatamente successivo alla legge, si spiega con la paura da cui furono colte le banche nazionali di essere abbandonate dai proprii depositanti. Quelle, per le quali lo Stato di Oklahoma aveva grande importanza, si affrettarono a convertirsi in banche di Stato.
Nel periodo successivo, già si erano verificati i maggiori fallimenti sicché l’onere dei prelievi a pro’ del fondo di garanzia cominciò a sembrare gravoso alle banche di Stato. Un certo numero di queste ripassò nel numero delle banche nazionali per sfuggire al contributo.
Dati posteriori comparativi precisi non esistono. Sembra che i guadagni della guerra abbiano consentito ad ambe le specie di banche di prosperare.
È detto che all’1 marzo 1920, in confronto dell’1 marzo 1908 il numero delle banche di Stato era aumentato del 18.7% ed i loro depositi del 215%; ma anche le banche nazionali avevano fruito di un aumento rispettivamente del 16.5, del 190 per cento. Siccome il punto di partenza, quanto ai depositi, era di 38.3 milioni di dollari per le banche nazionali contro 18 milioni per le banche di Stato; si vede che l’aumento assoluto dei depositi fu molto maggiore per le banche nazionali che per le banche di Stato. In verità le banche nazionali sono banche di più grande importanza, le quali lavorano in parecchi Stati ed hanno interesse a vivere sotto le leggi federali; mentre le banche di Stato sono spesso minuscoli enti, con un raggio d’azione tutt’affatto locale.
È difficilissimo calcolare quale effetto l’onere determinato dal sistema di garanzia (0,40% dei depositi in media) abbia avuto sul costo dei servizi resi dalla banca. I problemi di traslazione delle imposte – e il prelievo forzoso sulle banche può essere considerato equivalente ad un’imposta speciale sulla cifra dei depositi delle banche – sono difficili da risolvere astrattamente; ma è quasi impossibile essere recisi nei casi concreti, quando si deve tener conto di molte circostanze particolari le quali possono influire sui prezzi.
Tuttavia, una qualche luce può trarsi dalle seguenti due tabelline, di cui la prima riguarda il saggio di interesse caricato nel 1915 sui clienti dalle banche «nazionali». È verosimile ritenere che le banche «di Stato» non abbiano caricato un saggio di interesse inferiore.
| Numero totale delle Banche nazionali | Numero delle Banche le quali caricano su alcuni prestiti il 12% o più | Percentuale |
Oklahoma | 351 | 287 | 81.7 |
Texas | 535 | 168 | 31.4 |
Kansas | 217 | 21 | 9.7 |
Arkansas | 61 | 7 | 11.5 |
Missouri | 131 | 19 | 14.5 |
La seconda tabella si riferisce ai dividendi percentuali distribuiti dalle banche “di Stato” nel gruppo di Stati vicini sopra indicato:
1911 | 1912 | 1913 | 1914 | 1915 | |
Oklahoma | 157 | 16.8 | 15.8 | 17.9 | 15.7 |
Texas | — | — | — | 11.0 | 11.0 |
Kansas | — | — | — | 12.3 | 12.0 |
Arkansas | — | — | — | 10.0 | 9.2 |
Missouri | — | — | — | 11.5 | 11.3 |
Le cifre ora riportate non sono probanti in un dato senso. L’alto saggio di interesse caricato nell’Oklahoma e i forti dividendi distribuiti in questo Stato forse derivano dalle condizioni particolari di novità, di mancanza di capitali, di scarso risparmio e di forti rischi, proprie di quelle Stato. Non è escluso però che l’esistenza di un onere speciale sulle banche abbia contribuito a ritardare la diminuzione che altrimenti si sarebbe verificata nel saggio dell’interesse. Né la concorrenza delle banche «nazionali» libere dall’onere speciale sembra sia un argomento decisivo per ritenere che questo sia stato sopportato dalle banche piuttosto ché dai loro clienti. Le banche nazionali possono essere infatti considerate come imprese intra-marginali, le quali lavorano solo nei maggiori centri e godono di quei prezzi – saggio di interesse – che le banche di Stato, lavoranti al margine, sono costrette a riscuotere, per coprire tutti i costi, fra cui quello dell’onere speciale. Più breve discorso richiedono i sistemi di garanzia applicati in altri Stati, per i quali si daranno solo le notizie atte a mettere in evidenza le caratteristiche differenziali in confronto allo Stato di origine.
Durante la depressione cominciata verso il 1890; nello Stato del Kansas si verificarono 75 fallimenti di banche di Stato dal 1892 al 1898 e 32 di banche nazionali dal 1890 al 1900. Un disegno di legge per la garanzia dei depositi bancari presentato nel 1892 non ebbe tuttavia fortuna.
Bisogna arrivare al 1909 per vedere approvata una legge di garanzia, le cui disposizioni si allontanano su due punti essenziali dal sistema di Oklahoma.
In primo luogo, il sistema è volontario. Ogni banca può, se crede, sottoporsi alle disposizioni della legge di garanzia. In tal caso deve dimostrare di avere una riserva uguale almeno al 10 per cento del suo capitale e sottoporsi ad una rigorosa indagine sulla sua gestione e sulla sua solvibilità. Una volta ammessa, la banca deve versare al tesoriere dello Stato una cauzione uguale al 0,50% dei suoi depositi, deduzione fatta del capitale e delle riserve. Adempiute queste formalità, la banca riceve un certificato, in cui è dichiarato che i suoi depositi sono protetti dal fondo di garanzia.
In secondo luogo, la legge non professa di volere, come nell’Oklahoma, rimborsare tutti i depositi appena la banca chiude gli sportelli. Ai depositanti viene rilasciato un certificato di debito fruttifero al 6%, o al saggio d’interesse stipulato colla banca per i singoli depositi e pagabile a mano a mano che sono realizzate le attività della banca fallita. In realtà, il certificato equivale a denaro contante, perché le altre banche lo scontano volentieri, trattandosi di un titolo di prim’ordine, e nella speranza di accaparrarsi un nuovo cliente. Se, compiuta la liquidazione, rimane un saldo insoddisfatto, il tesoriere dello Stato lo paga, prelevando la somma necessaria dal fondo di garanzia.
Non essendovi l’obbligo dell’immediato rimborso dei depositi, il fondo può limitarsi alla dimensione necessaria a fronteggiare le perdite le quali si riscontrano a liquidazione finita. Perciò il prelievo annuo è uguale al 0,05 per cento dei depositi, deduzione fatta dall’ammontare di questi del capitale e delle riserve proprie della banca. La deduzione ha per iscopo di incoraggiare le banche ad accumulare forti riserve in aggiunta ad un raggiungevole capitale. Il prelievo annuo non può essere minore di 20 dollari per ogni singola banca. Quando il fondo sia giunto alla cifra di 500.000 dollari, il prelievo cessa. Se il fondo è esaurito, il commissario alle banche ordina prelievi addizionali, ma in un anno non si possono fare più di cinque prelievi addizionali del 0,05 per cento l’uno.
Altre norme interessanti sono queste: i depositi delle banche garantite non devono eccedere il decuplo del capitale versato. L’interesse promesso ai depositanti non può eccedere il saggio fissato dal commissario alle banche. Esso varia ora dal 3 al 5 per cento, a seconda del distretto, in cui la banca esercita la sua azione. Non è lecito pubblicare avvisi, in cui si accenni al fatto che i depositi sono garantiti dallo Stato del Kansas.
Tre fallimenti di banche si verificarono nel Kansas durante l’impero della legge; ed è probabile che il fondo sia ridotto a zero, quando ne sarà terminata la liquidazione. Esso era giunto a 500.000 dollari nell’ottobre 1918, sicché da allora in poi le banche non avevano più pagato nulla. Il sistema entrò in azione il 30 giugno 1909. Già alla fine di settembre 300 banche vi avevano aderito. il numero crebbe a 456 nel settembre 1912 ed a 649 il 15 novembre 1919 contro 443 le quali avevano preferito rimanere senza garanzia. Fa impressione vedere tante banche fuori dal sistema; ma notisi che per lo più sono le più piccole a rimanere fuori, che occorre un anno di vita ed il possesso di una riserva del 10 per cento almeno per aver diritto all’ammissione. L’incremento rispettivo delle banche «di Stato» e
delle banche «nazionali» escluse queste ultime dalla legge di garanzia può essere riassunto così:
Numero delle Banche | Depositi delle Banche | |||
di Stato | Nazionali | di Stato | Nazionali | |
1905 | 558 | 171 | 51.555.000 | 50.236.000 |
1909 | 777 | 209 | 93.121.000 | 67.721.000 |
1910 | 843 | 208 | 102.667.000 | 67.846.000 |
1915 | 936 | 217 | 118.692.000 | 79.631.000 |
1918 | 1054 | 236 | 249.788.000 | 137.759.000 |
Dal 1909 (data dell’istituzione del fondo) al 1910 il numero delle banche di Stato ed i loro depositi crebbero notevolmente, mentre le banche nazionali rimanevano stazionarie. Era il primo effetto dell’aureola di maggior sicurezza che sembrò circondare le banche di Stato. In seguito, ambe le categorie ripresero il cammino ascendente, forse più rapido per le banche di Stato. È incerto tuttavia se a ciò abbia contribuito il metodo della garanzia, posto che il maggior sviluppo si ebbe nei distretti rurali, privi fino allora di servizio bancario. È verosimile che l’incremento si sarebbe ugualmente verificato anche senza l’esistenza del fondo, e che sarebbe andato a favore delle banche di Stato, queste sole occupandosi dei distretti rurali.
Fallimenti, su vasta scala accaduti nel periodo dal 1891 al 1896 (101 banche fallite, con depositi per 5 milioni di dollari, di cui poterono essere ricuperati appena 2 milioni) stimolarono anche nello Stato di Nebraska l’agitazione per una legge di garanzia. La legge, emanata il 25 marzo 1909, si avvicina più al tipo di Oklahoma che a quello del Kansas. Essa è obbligatoria per tutte le banche «di Stato». Il fondo di garanzia deve raggiungere l’1,50% dei depositi. I prelievi cessano quando è raggiunta tale proporzione; riprendono quando il fondo cade al disotto dell’1 per cento. Nei primi due anni il prelievo fu di 0,25 per cento al trimestre; ed in seguito del 0,05 per cento al semestre. In caso che il fondo scenda al disotto dell’1 per cento, si devono fare prelievi speciali, non superiori però all’1 per cento all’anno. Il fondo è lasciato a disposizione delle Banche; a titolo di deposito a vista. Le banche nuove devono pagare il 4 per cento del loro capitale; e i successivi prelievi devono, insieme col primo, giungere in due anni almeno all’1 per cento dei depositi. Il punto oscuro del sistema sta nel rimborso dei depositi. Questi non sono rimborsati subito come nell’Oklahoma, e neppure con certificati fruttiferi, come nel Kansas. La corte giudiziaria la quale gestisce il fallimento, paga i depositi fino a concorrenza del denaro trovato in cassa; e quindi comunica il deficit all’ufficio di garanzia, il quale dovrebbe pagare coi fondi proprii. Finora sono accaduti tre fallimenti, che hanno cagionato al fondo una perdita di 348.000 dollari. Siccome il fondo possedeva la somma necessaria, poté pagare. Ma sei fallimenti spesseggiassero, come vi si farebbe fronte?
Il sistema finora ha cresciuto la clientela delle banche di Stato a danno delle banche nazionali. Capitò invero che, laddove i creditori delle tre banche di Stato fallite furono pagati al 100 per cento in tre settimane, i creditori di due banche nazionali fallite quasi contemporaneamente ottennero solo il 31 per cento dopo quattro anni. Fu un grande successo per le banche di Stato, col risultato che dal 31 agosto 1911 al 20 maggio 1918 le banche di Stato crebbero da 662 a 910 in numero ed i loro depositi da 75.590.000 a 231.506.000 dollari. Nel tempo stesso le banche nazionali diminuivano in numero da 246 a 191 ed i loro depositi crescevano solo da 90.473.000 a 148.275.000 dollari.
Nel Texas la sfiducia verso le Banche è antica, tantoché dal 1844 al 1904 la legge proibì la costituzione di banche costituite sotto l’egida delle leggi di quello Stato. Nel 1909, cinque anni dopo ché era diventato lecito costituire banche di Stato, fu votata la legge di garanzia, la quale non riguarda i depositi ad interesse ed i depositi altrimenti garantiti. Per gli altri depositi – evidentemente quelli in conto corrente senza interesse soggetti a cheques – le banche hanno libera scelta tra due sistemi, chiamato il primo «Depositors’ Guaranty Fund» ed il secondo «Depositors’ Bond Security System». Ma è obbligatorio affiliarsi all’uno o all’altro dei due sistemi.
Adottando il primo, le banche devono pagare per la prima volta l’1% dei loro depositi nell’anno precedente ed il seguito il 0.25 per cento all’anno, sino a che il fondo tocchi i 2 milioni di dollari. In caso di necessità, si possono chiedere pagamenti straordinari, non superiori al 2 per cento all’anno.
Col secondo sistema, le banche debbono depositare presso il commissario alle banche una cauzione, in una forma ritenuta ammissibile dal commissario, uguale all’ammontare del capitale. Quando i depositi eccedono il sestuplo del capitale e riserve, la cauzione deve essere aumentata di una somma uguale all’eccedenza.
Il primo sistema ha incontrato maggiori favori del secondo: al 31 agosto 1910 erano affiliate al primo 541 contro 43 al secondo, al 31 dicembre 1919 erano aderenti ai due sistemi 942 e 41 banche rispettivamente.
Le banche possono avvertire il pubblico puramente e semplicemente che esse sono «Guaranty Fund Banks» o «Guaranty Bond Banks»; ma se i direttori pubblicano che i loro depositi sono garantiti dallo Stato del Texas, sono passibili di multa o carcere o ambedue.
Il Texas ha stabilito una relazione variabile tra depositi e capitale della banca. Quando il capitale non supera i 10.000 dollari, i depositi non possono superare il quintuplo del capitale e riserve; quando il capitale oscilla tra 10 e 20 dollari il sestuplo; se tra 20 e 40 il settuplo; se tra 40 e 75 l’ottuplo; se tra 75 e 100 il nonuplo; se supera i 100 mila dollari
il decuplo.
I fallimenti del Texas non sono stati poco numerosi: 14 in tutto. A metà del 1920 il fondo di garanzia aveva ciò nonostante raggiunto il massimo di 2 milioni, dopo aver sopportato l’onere dei fallimenti avvenuti.
L’incremento rispettivo delle banche di Stato e delle banche nazionali – non protette – prima e dopo il 1909, anno della legge di garanzia, è stato il seguente:
Numero delle Banche | Depositi delle Banche | |||
di Stato | Nazionali | di Stato | Nazionali | |
1905 | 29 | 440 | 1.731.000 | 101.285.000 |
1909 | 502 | 523 | 43.329.000 | 139.024.000 |
1918 | 874 | 543 | 203.642.000 | 333.717.000 |
1919 | 970 | — | 336.018.000 | — |
Probabilmente l’incremento straordinario delle banche di Stato non fu dovuto alla legge di garanzia, ma al naturale impulso a riempire i vuoti che nelle campagne erano cagionati dalla legge proibizionista esistente fino al 1904.
Altri Stati, come il sud Dakota, il Mississipi, il Washington ed il Nord Dakota, hanno adottato leggi di garanzia che si avvicinano più o meno ai tipi precedenti. Merita una particolare menzione solo il sistema seguito nel Mississipi, dove tra il 1912 e 1914 ben 29 banche fallirono.
Una legge del 9 marzo 1914 divise lo Stato in tre distretti e ordinò che fosse eletto in ogni distretto, a suffragio universale, un «esaminatore» (noi diremmo «ispettore») alle banche. Siccome sembrò anche a quei legislatori strano far eleggere dal popolo un tecnico incaricato di funzioni delicatissime, fu stabilito che i candidati al posto di «esaminatore» dovessero essi stessi subire un esame prima di poter porre la propria candidatura. I giudici sono tre, un banchiere nominato dal governatore, un giurista nominato dal procuratore generale ed un ragioniere nominato dal controllore dello Stato. Il candidato deve ottenere almeno 75 punti su 100 all’esame. Il candidato vittorioso alle urne dura quattro anni in ufficio. I tre «esaminatori« si debbono tenere in contatto, costituiscono un ufficio e nominano un presidente. Il sistema sembra complicato e vagamente stravagante e con le origini elettorali e la brevità della carica degli ispettori non offre sufficienti guarentigie di sana ed imparziale gestione.
Sarebbe ora utile poter venire a qualche conclusione precisa intorno agli effetti del sistema di garanzia adottato negli Stati sovra menzionati della Confederazione nord-americana. Ma forse la conclusione più sicura è che ogni conclusione sarebbe per ora prematura. Più che concludere, è meglio definire ed osservare.
Cominciando dalle definizioni, si deve insistere sul fatto che non si deve parlare di un vero sistema di garanzia dei depositi bancari da parte dello Stato. Vedemmo anzi che lo Stato ci tiene tanto poco ad assumersi tale garanzia da proibire espressamente alle banche di farsi della reclame annunciando pubblicamente che i loro depositi sono garantiti dallo Stato e minaccia multa e carcere ai contravventori. Non di garanzia dello Stato: ma di mutua assicurazione obbligatoria tra banche si deve parlare. In certi casi manca la obbligatorietà legale; ma vi subentra una specie di costrizione morale, alla quale le Banche non possono sottrarsi. Lo Stato non garantisce e non paga nulla; e, sebbene se ne sia discusso ripetutamente, sinora fu respinta la proposta di far contribuire, insieme alle banche, anche i cittadini con una imposta prelevata all’uopo e versata nel fondo di garanzia. Questo, in tutti gli Stati, è alimentato esclusivamente da un premio annuo regolare e da premi straordinari nei casi di emergenza. Come in tutti i sistemi di assicurazione – vita, incendi, infortuni, rischi marittimi, ecc. – trattasi di ripartire su molte banche il danno derivante dal fallimento di alcune poche. L’esperienza sembra abbia dimostrato che negli Stati a garanzia il rischio può calcolarsi normalmente dal 0.05 al 0.20 per cento della somma dei depositi.
Il punto più difficile della pratica della assicurazione dei depositi bancari è però questo: che non solo si tratta di distribuire il rischio di talune banche andate a male su tutte le banche oneste e bene amministrate, ma di distribuire un rischio concentrato in un tempo breve su un tempo lungo. Due sono gli elementi di rischio da considerare: l’uno morale e l’altro economico. L’elemento morale si può vagamente rassomigliare a quello che esiste anche nella assicurazione incendi. Nello stesso modo che bisogna assolutamente evitare che l’indennizzo ai colpiti da incendio si tramuti in un premio agli incendiari, così bisogna evitare che l’assicurazione contro il rischio della perdita dei depositi bancari si tramuti in un incoraggiamento alla amministrazione imprudente e disonesta dei depositi bancari.
Speranze e critiche contraddittorie si contesero il campo su questo punto negli Stati Uniti: da un lato si sosteneva che i banchieri, sicuri che i depositi sarebbero stati rimborsati fino all’ultimo centesimo non avrebbero più avuto ritegno nel lanciare le somme loro affidate nelle speculazioni più azzardate. Dall’altro si affermava che i banchieri serii ed onesti avrebbero usata una vigilanza accurata contro le malefatte dei loro colleghi meno degni per il timore di vedersi cadere addosso un forte prelievo straordinario. Non sembra che né l’uno né l’altra di questi timori e speranze abbia trovato una decisa conferma o confutazione nell’esperienza. È difficile provare che l’esistenza della garanzia abbia cresciuta la spinta a malversare nei banchieri disonesti: le circostanze particolari di ambiente e di tempo sembrano sufficienti a spiegare i disastri peggiori dal punto di vista morale. Né i banchieri onesti brillarono per avere sorvegliato bene i colleghi avventurosi e disonesti. In meno di un anno il signor Norton riuscì ad aumentare del 700 per cento i depositi della Columbia Bank, che fece poi il fallimento più clamoroso dell’Oklahoma; e non un banchiere fiatò. Il signor Spotts, dirigente di una banca fallita nel Texas, era già stato in galera per violazione delle leggi bancarie. Non si trovò un collega disposto a mettere il pubblico sull’avviso. Flack, dell’Abilene Bank, il più grosso fallimento del Texas, era fuggito da due settimane dallo Stato, e nessun banchiere ne sapeva nulla. La reciproca sorveglianza dei banchieri interessati ad espellere e punire gli indegni è un mito, come è un mito il controllo reciproco dei contribuenti nel sistema del contingente. Forse il banchiere savio, sperimentato e prudentemente si sente avvilito, vedendosi posto allo stesso livello, per quanto è alla attitudine ad attrarre depositi, del banchiere audace, presuntuoso e leggero di coscienza: perché il depositante deve distinguere tra buoni e cattivi, quando è sicuro ad ogni modo che egli sarà rimborsato o dalla banca debitrice ovvero, in caso di fallimento, dal fondo di garanzia? Ma neppure ciò induce il banchiere ad alzare un dito in tempo: il timore di poter essere considerato come invidioso, la possibilità di precipitare una situazione che forse può ancora essere salvata, lo trattengono dal prendere una decisa posizione. Se l’assicurazione muta potrà esercitare una benefica influenza moralizzatrice sul mondo bancario, ciò potrà accadere soltanto attraverso ad un perfezionarsi degli organi pubblici di controllo. Può darsi che i commissari alle banche col tempo diventino così esperti nel loro mestiere da scoprire i banchieri pericolanti ed impedire loro di aggravare la loro situazione. Questi funzionari dovrebbero poter sospendere le banche dalla facoltà di ricevere nuovi depositi e in genere di operare. Se ciò accadrà o no, se abbia qualche probabilità di accadere, è ignoto. L’esperienza americana ci dice pochissimo al riguardo; e questo poco è contraddittorio. Bisognerebbe inventare qualche sistema di gestione del fondo di garanzia che non fosse burocratico, che non fosse vessatorio, il cui rendimento sotto forma di prevenzione dei fallimenti fosse maggiore del costo di un maggior premio da pagarsi delle banche per l’assicurazione. Sono propositi generosi che si odono manifestare da tanto tempo che si ha diritto di rimanere scettici, quando si sente parlare di gestione non burocratica, ma industriale, snella ecc. ecc. di qualche cosa che si vuole affibbiare allo Stato. Amministrazione di Stato e snellezza sono termini nettamente antitetici e ripugnanti tra di loro. Vero è che, dove si introdusse un qualche sistema di assicurazione, si osservò per lo più una certa diminuzione nella frequenza dei rischi. Così negli incendi, negli infortuni, persino nella vita, perché le imprese di assicurazione ebbero interesse ad obbligare gli assicurati ad applicare adatti metodi preventivi.
Forse in avvenire accadrà qualcosa in tema di assicurazione bancaria specialmente se essa non sarà centralizzata in un unico ente pubblico monopolistico. A questo riguardo non occorre dimenticare che in nessuno degli Stati a garanzia esiste un vero monopolio dell’assicurazione. La esclusione delle banche «nazionali» dal sistema e la possibilità di passare dalla categoria delle banche di Stato a quella delle banche nazionali e viceversa impedisce che i premi di assicurazione possano essere spinti troppo all’insù. C’è, alla imprudenza dei banchieri assicurati contro i panici dal fondo di garanzia, un freno indiretto nella possibilità che hanno i banchieri prudenti di sfuggire ad una solidarietà troppo onerosa.
D’altro canto, la esperienza ha insegnato a togliere all’elemento politico ogni ingerenza nell’amministratore del fondo. Questo tende sempre più a diventare cosa propria dei banchieri: amministrato da delegazioni scelte nel loro stesso senso.
Fa d’uopo mettere inoltre in risalto una caratteristica propria del sistema nord-americano di assicurazione mutua tra le banche. Esso non ha per iscopo di proteggere il risparmio propriamente detto. Infatti le trust companies, ossia le istituzioni più affini alle nostre «Casse di Risparmio» non sono soggette all’obbligo di garanzia; e non sono neppure accolte volontariamente nel sistema. In parecchi casi, sono esclusi dalla garanzia anche i depositi a risparmio presso le banche ordinarie «di Stato». Il sistema di assicurazione tende così a diventare proprio dei depositi in conto corrente soggetti a prelievi con assegni bancari (cheques). Ed allora, per chi conosce il meccanismo bancario anglo-americano, vien fatto di domandarsi: «che cosa garantisce il sistema? i depositi propriamente detti o quella istituzione nettamente differente che sono le aperture di credito bancario con conseguente creazione di depositi?». Da quando il Withers nei suoi libri, classici e popolari nel tempo stesso, ne ha divulgata la nozione, tutti sanno che i depositi bancari hanno due origini differenti. Vi è il caso di chi ha risparmiato 1000 lire, spendendo tal somma di meno in confronto alla sua entrata e versa le 1000 lire a risparmio o in conto corrente presso una banca. E v’è il commerciante, industriale o uomo d’affari a cui una banca, dietro solida garanzia – che può essere personale o di cambiali o di titoli o di altra specie accettata – apre un credito di 100.000 lire. Contabilmente l’apertura di credito prende la forma di un accreditamento di depositi di 100.000 lire che figura versato dal cliente debitore e di un corrispondente addebitamento di 100.000 lire. Il cliente può dal deposito così creato far prelievi con cheques per pagare i suoi fornitori ecc. Ed è evidente che di quanto diminuisce il suo deposito, di altrettanto crescono i depositi delle persone a favore di cui egli ha tratto l’assegno, depositi fatti presso la stessa od altra banca.
Il sistema di garanzia nord-americano non è rivolto espressamente a tutelare più l’una che l’altra specie di depositi. Sia i depositi di risparmio propriamente detti sia i depositi derivanti da aperture di credito sono ugualmente garantiti. Di fatto, però, siccome negli Stati Uniti sembra che i depositi presso le Banche di Stato appartengano più alla seconda che alla prima categoria, accade che il cosidetto sistema di garanzia dei depositi è in realtà prevalentemente un sistema di garanzia mutua dalle aperture di credito fatte dalle Banche. L’insieme delle banche di uno Stato garantisce che i clienti della banca fallita potranno disporre dei depositi sorgenti direttamente od indirettamente da aperture di credito fatte dalla fallita e dalle sue consorelle. È una sfumatura, la quale doveva essere posta in rilievo, in quanto chiarisce che l’assicurazione bancaria negli Stati Uniti ha bensì lo scopo di ripartire le perdite nello spazio, distribuendo la perdita su molti invece che concentrarla su uno solo, ma anche e forse sopratutto di ripartire le perdite nel tempo. Se si trattasse di puri depositi a risparmio, data la prudenza somma con la quale devono essere e sono in media amministrati, l’assicurazione avrebbe per iscopo soltanto di ripartire sui molti prudenti ed onesti le perdite derivanti dall’azione di un imprudente o disonesto. Il che può accadere in tutti i tempi, di prezzi alti o di prezzi bassi, di prosperità od avversità nelle industrie. In massima le probabilità di fallimento di una Cassa di risparmio non sono molto più grandi in tempi di crisi economica che in tempi di grande prosperità; perché gli investimenti delle casse di risparmio, pur risentendosi delle variazioni economiche, non se ne risentono in massa, salvo i casi di imperizia individuale o di trasgressione delle buone norme bancarie.
Invece, quando si tratta di depositi derivanti da aperture di credito, è rarissimo il caso di banche fallite in tempi normali o di restrizioni. Non si aprono crediti allora, o si aprono con molta ripugnanza e con le più rigide garanzie. I fallimenti spesseggiano tutti insieme, quando c’è stato il periodo di allegria, di montatura, quando si è esagerato nelle aperture di credito e si è dato origine a molti affari sballati, i quali non potranno essere condotti a buon fine. Deriva da ciò che la mutua assicurazione bancaria ha in questo caso maggior affinità con la assicurazione vita che con la assicurazione incendi. Parlando grossolanamente, si potrebbe dire che un fondo di garanzia per i depositi a risparmio propriamente detti quasi quasi non avrebbe ragione di esistere; perché, riproducendosi i rischi ogni anno con frequenza poco diversa, teoricamente dovrebbe bastare un premio annuo a coprire i rischi, come accade per il rischio degli incendi; praticamente dovrebbe essere sufficiente una piccola riserva per coprire le oscillazioni dei rischi da una anno all’altro senza variare i premi. Invece per i depositi creati da aperture di credito, il rischio quasi nullo, negli anni normali, ingrandisce smisuratamente negli anni di crisi; ed occorre quindi una riserva molto forte, da accumularsi negli anni buoni, per essere consumata nei momenti di panico e di crisi di credito, quasi come accade, fatte le dovute riserve sulla diversità del caso, per le riserve matematiche nelle assicurazioni sulla vita.
L’insegnamento che dalle cose esposte si ricava è che la assicurazione dei depositi bancari è un problema assai complesso, finora non risoluto, il quale probabilmente comporterà soluzioni diverse o forse non sarà possibile di soluzione, a seconda delle circostanze. In alcuni casi basterà una riserva assai piccola, mentre invece in altri casi non basterà una riserva smisurata. E qui cade in acconcio una osservazione di confronto tra le condizioni degli Stati, i quali applicarono l’istituto del fondo di garanzia e quelle dell’Italia. Le cifre che tratto tratto ho avuto occasione di citare hanno probabilmente già fatto riflettere che trattavasi di garantire i depositi non di grosse banche, ma di piccole banchette di poco conto. Stati non dei maggiori della Confederazione, Stati bancariamente e commercialmente poco sviluppati, hanno ciascuno 500, 700, 1000 banche «di Stato»; senza contare la serqua delle banche «nazionali» e delle casse di risparmio esenti dal sistema. In Italia, qualcosa di equivalente può trovarsi solo nelle banche popolari e cooperative e nelle casse rurali.
Queste banchette americane hanno suppergiù l’importanza di piccole agenzie delle nostre grandi banche ordinarie. La mutua assicurazione, per esse, ha fino ad un certo punto una funzione analoga a quella che ha l’oculato movimento del contante tra le varie sedi ed agenzie di una grande banca per impedire che una di esse si trovi impacciata momentaneamente nel rimborsare i depositi, quando la banca nel suo complesso è seria e solida. L’estremo sminuzzamento delle banche negli Stati Uniti ha reso forse utile un avvedimento che in altri paesi, a sistema bancario più accentrato, apparirebbe probabilmente superfluo. Se si volesse dedurre qualche conclusione per analogia dell’esperienza americana, bisognerebbe dire che la mutua assicurazione è applicabile, con tutte le riserve fatte sopra, alle banche popolari, cooperative e casse rurali. L’applicazione alle grosse banche ordinarie italiane sarebbe una novità che non avrebbe riscontro finora altrove.
Un soggetto interessante di studio potrebbe essere quello del saggio di premio a cui i depositi dovrebbero essere soggetti per far fronte al rischio del fallimento. Riproduco qui sotto l’entità dei depositi presso le diverse categorie di banche esistenti in Italia, quali risultano dall’ultima esposizione finanziaria De Nava (pag. CLXIV e segg).
Scelgo, per non dare una tabella ingombrante, le tre date al 30 Giugno 1914, del 30 Giugno 1918 e del 30 Giugno 1921 (in milioni di lire):
A. Istituti pubblici e semipubblici | 30 giugno 1914 | 30 giugno 1918 | 30 giugno 1921 |
Istituti di emissione | 100,0 | 703,7 | 996,8 |
Casse di risparmio ordin. | 2800,0 | 4034,8 | 7475,8 |
Casse di risparmio postali | 2121,3 | 2919,4 | 7869,4 |
Monti di pietà | 214,5 | 337,4 | 553,7 |
B. Istituti Cooperativi |
|
|
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Banche cooper. e popolari | 1211,3 | 1854,7 | 3665,7 |
Casse rurali | 103,7 | 193,4 | 444,3 |
C. Istituti privati |
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Banche ordinarie | 1044,6 | 2188,5 | 5612,5 |
Totali | 7595,4 | 12231,8 | 26618,3 |
Il sistema di assicurazione mutua non potrebbe applicarsi agli istituti di emissione, alle casse di risparmio ordinarie e postali ed ai monti di pietà. Sono questi istituti pubblici o semi-pubblici, amministrati con criteri non privati ed in cui la percentuale delle insolvenze è sempre stata lievissima. Non si persuaderebbero facilmente gli amministratori di questi enti della giustizia e convenienza di garantire i depositanti di istituti consimili e tanto meno quelli delle banche ordinarie.
Rimangono i gruppi B e C, ai quali però il principio della mutua garanzia dovrebbe applicarsi in modo differente e separato. I rischi a cui vanno incontro gli istituti cooperativi sono più del tipo che sopra ho assimilato al rischio incendio; quelli delle banche ordinarie assomigliano più al ramo vita. La distinzione è per grandi linee ed è soggetta a moltissime interferenze; ma direi che i fenomeni ciclici si fanno sentire meno negli Istituti cooperativi che in quelli ordinari. I fallimenti dei primi sono più spesso da attribuirsi a malversazioni e ad inesperienza; quelli dei secondi altresì alle crisi di credito che fanno ribassare prezzi e valori. Probabilmente un modesto premio, senza costituzione di fortissime riserve basterebbe per gli Istituti del tipo B, che la statistica governativa classifica sotto il nome di cooperativi, ma in realtà potrebbero meglio essere collocati nella categoria delle banche medie di deposito e sconto, quelle che in Italia esercitano nel campo delle medie imprese industriali, commerciali ed agricole la funzione classica della Banca.
Gli Istituti del tipo C appartengono in prevalenza alla categoria delle banche mobiliari, di finanziamento all’industria ed al commercio. Ci sono cospicue eccezioni, anche tra le massime banche; ma la tendenza è verso il tipo della banca mobiliare. Ha il suo lato bello ed il suo lato brutto; e sopratutto, dal punto di vista assicurativo che qui si considera, è quello che è.
Facendo l’ipotesi che il sistema di garanzia fosse stato instaurato nel 1914; che il deposito medio dei successivi anni fosse stato in media quello che fu al 30 Giugno di ogni anno, quale premio avrebbe dovuto essere imposto alle banche componenti il gruppo delle banche ordinarie per far fronte ad un fallimento, il quale avesse alla fine del 1921 cagionato una perdita secca di 1 miliardo di lire?
Ecco i depositi delle banche ordinarie nei successivi anni:
1914 | milioni di lire | 1.044,6 |
1915 | milioni di lire | 644,8 |
1916 | milioni di lire | 907,7 |
1917 | milioni di lire | 1.355,4 |
1918 | milioni di lire | 2.188,5 |
1919 | milioni di lire | 3.447,6 |
1920 | milioni di lire | 4.125,4 |
1921 | milioni di lire | 5.612,5 |
Media annua | 2.415,8 |
Per aver 1000 milioni disponibili a fronteggiare uno o due fallimenti che fossero stati alla fine del periodo causa della perdita di 1 miliardo, sarebbe stato necessario che le banche avessero versato 125 milioni all’anno. Facciamo astrazione dagli interessi composti, perché potrebbe supporsi che i premi siano lasciati in deposito gratuito presso le banche stesse. Ma un versamento di 125 milioni all’anno equivale ad un premio medio annuo del 5,17 per cento sull’ammontare dei depositi. Ossia a 13 volte il premio medio annuo di Oklahoma, ed a 100 volte il premio che si usa stabilire oggi nella maggior parte degli Stati americani; e, quel che più monta, ad una percentuale superiore all’interesse medio pagato ai depositanti.
Forse l’ipotesi di un fallimento che produca la perdita secca di un miliardo è esagerata, non tanto perché non si sia verificata – nel caso della Banca Italiana di Sconto la perdita, a quel che si legge, fu anzi superiore – quanto perché la perdita andrebbe ripartita non solo sui 5612 milioni di depositi risultanti dalle statistiche governative ma anche su molti altri miliardi risultanti da saldi dei corrispondenti, di cui le statistiche non tengono conto. Anche riducendo la cifra di perdita a 500 milioni, o persino a 250 milioni, il premio necessario annuo appare tuttavia formidabile. Praticamente non pare possibile andare oltre ad un 0,50 per cento all’anno dei depositi; con il qual carico si sarebbe raccolto qualcosa come un 100 milioni, ossia una cifra ridicola in confronto alle catastrofi bancarie di cui siamo stati testimoni. Il sistema di mutua assicurazione sembra dunque immaturo. Siamo ancora in terra sconosciuta; mancano dati e conoscenze per potersi orientare. La esperienza nord-americana, incerta già per un mondo di piccole bancherelle, non ci insegna quasi nulla quando ci troviamo di fronte a colossi. Ad una catastrofe come quella della Sconto non si ha l’impressione che si sarebbe potuto rimediare con la garanzia obbligatoria mutua delle banche ordinarie.
Per ora non oserei andare più in là; ma forse questa è per se stessa una conclusione non priva del tutto di valore.