La fortuna di non aver materie prime
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/11/1945
La fortuna di non aver materie prime
«La Città libera», 1 novembre 1945, pp. 3-4
Per un paio d’anni, la fame di materie prime e di ogni altro bene, diretto o strumentale, sarà siffatta nel mondo che l’affermazione contenuta nel titolo di questo articolo può e deve essere giudicata paradossale ed irreale. Su qualunque materia prima si possa mettere le mani sarà davvero gran fortuna.
Ma l’albero non ci deve impedire di vedere la foresta; ma le necessità dei prossimi anni non ci debbono vietare di guardare alle nostre convenienze permanenti. Leggasi quanto scrive, in un memoriale ad uso di tecnici, un tecnico di gran valore.
«Non è esatto che negli altri paesi il minerale di ferro si trovi tutto sul posto. L’Inghilterra ha una parte di minerali in paese; ma si tratta, in generale, di minerali non ricchi, ed essa deve importare notevoli quantità di minerali dall’estero, sia dal Mediterraneo, sia perfino dal Brasile.
«La Germania importa la massima quantità dei minerali occorrenti dalla Svezia, in parte dalla Spagna e dal Brasile, dato che i suoi minerali sono poveri e non abbondanti; solo recentemente essa ha potuto impiegare dei minerali ad alto tenore di silicio (che finora non si era riusciti ad impiegare), ma con procedimenti più costosi.
«Il Belgio adopera principalmente le minierette della Lorena, che hanno solo il 30% di ferro, e ha dovuto sempre importare notevoli quantità di minerali di qualità superiore, per poter fare dei buoni miscugli.
«L’Italia, dovendo importare tutto il minerale dall’estero, è in condizioni di scegliere i minerali più ricchi e più puri che si trovano in quantità ingenti nel Mediterraneo (Algeria, Tunisia, Spagna, Marocco) con spese di trasporto notevolmente inferiori a quelle che devono sopportare paesi più lontani.
«Quanto al carbone, in tutti gli altri paesi esso si trova nelle immediate vicinanze delle officine (salvo nel Lussemburgo, che ha invece sul posto il minerale); ma evidentemente i singoli stabilimenti debbono adoperare il carbone che hanno in loco, ed esso non è sempre il migliore.
«L’Italia dovendo importare il carbone, può acquistare invece le qualità migliori, quelle che producono quindi una maggiore quantità e una migliore qualità di coke. È possibile infatti acquistare alcune determinate varietà di carboni prodotte da singole ben note miniere inglesi, che si possono mescolare con altre qualità di carboni tedeschi, in modo da ottenere il massimo rendimento».
Leggendo, mi venne in mente che due anni fa, nell’intervallo dei 45 giorni, scrissi un articolo, il quale suscitò forte indignazione perché era intitolato: esiste un problema delle materie prime? e, naturalmente, rispondeva negando la legittimità e l’esistenza medesima del problema.
Oggi, son tentato di ribadire il concetto, aggiungendo: beati quei popoli, i quali non posseggono materie prime!
Se si guarda all’avvenire, l’aggiunta non è paradossale. Certamente, se ci fosse a questo mondo un paese il quale fosse dotato di miniere di ottimissima qualità di minerale di ferro, di stagno, di piombo, di rame, di carbone, di metalli rari il quale possedesse i terreni atti alle più svariate produzioni dei climi freddi, temperati e tropicali; che avesse fiumi naturalmente navigabili, seni e ponti di mare profondi e sicuri, foreste secolari, mari pescosi ecc. ecc., questo paese non avrebbe ragione di lamentarsi di tanta grazia di dio. Ma poiché il paese di Bengodi esiste solo nelle favole e quel che si ha spesso è un po’ buono e un po’ cattivo, non val la pena di disperarsi per la mancanza di qualcosa; ed a chi non ha la fortuna di possedere se non in limitata misura quei minerali ai quali solitamente si attribuisce in modo peculiare la qualità di materie prime conviene riflettere se nella disgrazia tutto venga per nuocere. Invero, se, il possesso di miniere è, per se stesso, fonte di lavoro e di ricchezza, può diventare d’altra parte un freno al crescere delle industrie le quali utilizzano quei minerali. Nascono e crescono interessi potenti, i quali spingono ad utilizzare quei minerali, anche se mediocri o cattivi; e se non basta la forza degli interessi privati, soccorre il legislatore, il quale emana norme atte a far preferire i minerali ed i carboni nazionali; sicché le industrie siderurgiche e meccaniche le quali utilizzano quelle materie prime nascono sotto la maligna stella di costi eccessivi. Di qui richieste di compensi, di protezioni, di privilegi che, discendono per li rami sino al consumatore, aduggiano tutta la vita economica del paese.
Veggasi quanto sia più fortunata la situazione della Svizzera, del tutto priva di qualunque specie di materie prime: né ferro, né carbone, né rame, né piombo, né stagno, né metalli rari, né cotone, né canapa, né juta, né, se non in piccola parte, lana. Niente di niente. Eppure, se l’industria alberghiera, comunemente considerata «naturale» per quel paese di laghi e di montagne, da trent’anni attraversa momenti difficilissimi, la Svizzera è riuscita invece a diventare, fatta ragione alla sua superficie ed alla sua popolazione, uno dei maggiori paesi industriali del mondo. Come è avvenuto il miracolo? Non certo grazie al basso prezzo dei suoi orologi, delle sue macchine elettriche, delle sue motrici, delle sue automobili, delle sue macchine da cucire, degli impianti da essa costruiti un po’ dappertutto. Tutta roba cara la sua.
Il segreto, quale vien fuori dalle conversazioni con ingegneri, industriali e commerciali, è semplice: quando si ha la somma fortuna di non essere imbarazzati dalle proprie materie prime, spesso troppo costose, bisogna comprarle dove sono più convenienti ai propri fini. Produrre, se si è capaci e tali si può sempre diventare, roba di qualità, della migliore qualità e perciò procurarsi le più pregiate, le più costose materie prime. Bisogna pagar caro i materiali se si vogliono vender cari i prodotti finiti; ma niente vieta che se si vuol vendere roba andante al minor prezzo possibile, si possano acquistare materie prime di scarto a buon prezzo. Non sono forse famosi i greci, abitatori di uno dei paesi più sassosi e meno fertili del mondo, per la loro abilità nell’arricchirsi facendo viaggiare per i mari a noli bassissimi le navi più scalcagnate, le peggiori carcasse rifiutate da ogni armatore rispettabile?
Ogni popolo, se vuole, trova la maniera di vivere, secondo il suo genio. Perché denigrarci da noi medesimi, affermando di non avere le qualità che altri e noi stessi abbiamo saputo darci col tempo e con la volontà? Certo non bisogna mettersi in testa idee balzane, come quella di andare alla conquista di materie prime muovendo, lancia in resta, a battaglia contro i possessori; quasiché questo non fosse il metodo più costoso immaginabile di pagare le materie prime, le quali, fra l’altro, non hanno l’abitudine di offrirsi ai conquistatori, come salsicce pendule nei giardini d’Armida.
Certo, non bisogna pretendere dagli stranieri il regalo delle cose che non abbiamo. Certo fa d’uopo dimostrare, con le buone leggi e con la osservanza rigorosa dei contratti, di essere capaci di restituire domani il valsente che non possiamo pagare oggi. Ma, dicevami il rappresentante di una secolare casa di lane di Basilea: con gli italiani, ai quali usavamo vendere lana australiana a pagamento nove e dodici mesi, non abbiamo mai perso un soldo.
Per farsi corteggiare dai produttori di materie prime, i quali, fatalmente, saranno domani più ansiosi di venderle che noi di comprarle, – e già sono ansiosi per la lana ed il cotone – dobbiamo dar prova di essere decisi a restituire il denaro ricevuto, alle scadenze stabilite, senza tergiversazioni, nella valuta convenuta. Law and order; rispetto alla legge, qualunque sia, purché non mutabile ad ogni vento. Per ottenere, alle condizioni migliori possibili, tutte le materie prime di cui abbiamo bisogno, basta inspirar fiducia in chi ce la deve dare, per ora, contro pagamento a respiro. Inutile chiacchierare intorno alla natura matrigna ed alla scarsa intelligenza altrui della nostra spontanea genialità. Tutto dipende da noi: dalla nostra laboriosità, dalla nostra tenacia, dalla fiducia che sapremo inspirare a coloro dai quali non vogliamo avere nulla in regalo; ma ai quali dobbiamo dimostrare, con il buon ordine, che sapremo dare alle cose nostre, di essere meritevoli di trattare da paro a paro.