La crisi agraria nell’Inghilterra (parte II)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/12/1895
La crisi agraria nell’Inghilterra (parte II)
«Giornale degli Economisti», dicembre 1895, pp. 561-606
La Concorrenza estera ed il protezionismo; le imposte ed il fair trade Principale fra le cause potenti che concorrono alla depressione delle industrie agricole è la concorrenza estera; che ricevette negli ultimi anni un impulso forte dai perfezionamenti compiutisi nella navigazione a vapore, dal ribasso dei noli marittimi, dei premi di Assicurazione, dalla scoperta delle camere refrigeranti per il trasporto delle carni attraverso i mari. Prima che i nuovi mezzi di comunicazione rendessero nulle le distanze fra i mercati locali, questi erano inaccessibili per le fortissime spese occasionate dai trasporti marittimi a vela. Il Tooke nella sua classica History of prices afferma che nel 1809 le importazioni della Francia in Inghilterra aumentarono per le previsioni di un cattivo raccolto; ma fu necessario un rialzo nel prezzo del grano al di sopra di 102 scellini per quarter perché gli importatori potessero sobbarcarsi alle enormi spese di nolo, assicurazione e licenze ammontanti in media a 30-50 scellini per quarter[1]. Ora tutto questo è profondamente cambiato. Il signor Atkinson nella bella deposizione fatta davanti alla Commissione d’inchiesta non dubitò di affermare che il costo di trasporto di un quarter di grano dai centri di produzione degli Stati Uniti all’Inghilterra era diminuito dal 1873 al 1887 di 15 scellini (cfr. question 32,466).
Un breve esame delle condizioni della concorrenza fatta ai principali prodotti agricoli inglesi ci mostrerà come sia vana la speranza che il basso prezzo conduca per forza di ritorsione ad una diminuzione della superficie coltivata nei paesi esportatori e per la diminuita offerta ad un corrispondente rialzo. Dove si può osservare una specie di sosta nella concorrenza ai paesi antichi è nella Russia; prima sola fornitrice delle derrate necessarie al consumo europeo, vede ora scomparire la sua preminenza ed è travolta nella crisi che oggi impera su tutta l’economia rurale del mondo[2].
Delle condizioni disastrose in cui si fa la coltivazione dei cereali nella Russia abbiamo le prove nelle parole del console inglese di Odessa il quale nel luglio 1894 dichiarava che, malgrado si fosse ristretta la cultura, i prezzi dei cereali continuavano a diminuire senza speranza di una ripresa che non poggiasse sulla deficienza dei raccolti nell’America e nell’India[3]. Malgrado il trattato commerciale concluso colla Germania i prezzi caddero a 18 scellini per quarter verificandosi così un ammanco di 1 scellino fino a raggiungere il costo di produzione che si eleva a 19 s.[4]. E lo stesso console il 13 novembre 1894 aggiungeva «Secondo le quotazioni odierne il coltivatore riceve circa 12 scellini al quarter pel suo grano, il che significa la rovina in un paese dove il lavoro è relativamente caro, e dove le tasse sono considerevoli. Nell’ India invece il contadino riceve 9 rupie od all’ incirca 10 scellini pel suo grano, e ci fa su un guadagno; così pure il produttore dell’Argentina ricevendo solo 13 scellini al quarter pel suo grano, può efficacemente lottare, protetto dalla circolazione cartacea deprezzata, contro il coltivatore europeo e Russo[5]».
Ciò nonostante malgrado le condizioni patologiche in cui si dibatte, come quella di tutti gli altri i paesi vecchi e nuovi, la industria agricola russa, continuano i porti del Mar Nero ad inondare l’Europa di cereali contribuendo a mantenere basso il livello dei prezzi. Pur essendo caduta a 26 milioni di cwts nel 1892 in causa della carestia dell’anno precedente e dei divieti governativi, la esportazione del grano risale a 50 milioni nel 1893; e quella dell’orzo si innalza a 35 milioni, superando la media del 1888-92. Nel 1894 atterriti dalle perdite colossali provate nelle culture cerealicole, i coltivatori del sud della Russia si rifugiano in altre coltivazioni, come quella dell’olio; i risultati sono buoni, ma come osserva melanconicamente il console inglese, undoubtedly within a few years, as the area of land under these crops increases, the prices obtained for oli seeds must fall[6]. E così con metro sempre eguale, dalla sovraproduzione nasce lo svilimento dei prezzi onde l’abbandono ed il ristringersi rapido delle culture antecedenti, ed il precipitarsi su altri rami di produzione, che possono dare buoni risultati, finché le offerte sorpassando i bisogni del mercato, anche questo appare un soccorso inefficace e tardivo. La Russia e gli Stati Uniti occidentali, paesi dove l’agricoltura è già relativamente vecchia, sono vinti nella lotta commerciale dai paesi nuovi, ove i raccolti si ottengono quasi senza sforzo e senza una applicazione costosa di capitali; e per la permanenza necessaria delle antiche pratiche agrarie, che in breve tempo non si possono cambiare, contribuiscono ad inacerbire il ribasso dei prezzi.
Non c’è nessun calcolo così poco sicuro come il voler stabilire il costo di produzione di una data merce; gli elementi sono difficili ad accertarsi ed il signor Levasseur che di una sua inchiesta sulle condizioni dell’agricoltura negli Stati Uniti ha esposto i risultati, ha rinunciato ad offrire alcun dato su questa questione per la grande difficoltà di arrivarci in modo preciso ed esatto. Per dare un esempio dei risultati diversi a cui gli osservatori possono giungere, noterò solo che il costo di produzione del grano negli Stati Uniti valutato dai commissari inglesi Reade e Pell nel 1881 a 40 scellini , era fissato dal Ronna a circa 24 scellini per quarter, stima accettata anche dall’Atkinson[7]. Non e’ dubbio in ogni modo che i coltivatori degli Stati Uniti, malgrado gli alti lamenti che essi elevano contro le forti tasse, e la campagna energica intrapresa in favore di una rimutazione profonda nelle condizioni della circolazione monetaria non si trovano in condizioni molto cattive. Il debito ipotecario che forma quasi la totalità del debito gravante sulle proprietà fondiarie negli Stati Uniti assorbe solo il 18.57% del valore di questa; ed il 35.44% del valore della proprietà ipotecata[8]. La proporzione non è forte se la paragoniamo a quelle che gravano sulle terre sfruttate e povere del continente europeo.
Inoltre la massima parte del debito ipotecario non grava sui terreni rurali, ma sugli urbani. Su 6,019,679,985 dollari costituenti il debito totale gravante sulla proprietà fondiaria, solamente 2,209,148,431 dollari incombevano sulla terra (acres) di fronte ad una somma di 3,810,531,554 dollari per i terreni urbani (lots). Come nell’Italia, il debito ipotecario cittadino è frutto della speculazione edilizia e della febbre di costruzione di cui sono invase le giovani città americane; ché anzi dei 2,200 milioni riferentesi alla terra, una porzione non ispregevole deve mettersi in conto dei terreni suburbani tenuti da società di capitalisti per speculare sul probabile aumento del loro valore. La produttività della terra in continuo aumento permette ai coltivatori di rimborsare in breve tempo i denari fattisi anticipare per la compra degli attrezzi agrari e per il dissodamento del suolo; la produzione agraria raggiunse in media il valore annuo di 20 miliardi di lire di cui al massimo il 10 per cento va a soddisfare agli interessi dei debiti; ed il 7 1/2 per cento al pagamento delle tasse. «In qual altro paese ed in quale altra epoca della storia, dice a ragione l’Atkinson[9], si può registrare un corpo politico di più di 4 milioni e mezzo di intelligenti ed industriosi freeholders, le cui terre sieno per la maggior parte esenti da ipoteche come negli Stati Uniti?».
Esiste però una qualche differenza fra le varie parti del continente americano riguardo alla pressione del debito ipotecario. Nella Nuova Inghilterra, nei paesi cioè dove la terra è più cara, e sono necessarie delle culture ammendatrici e ristoratrici, i proprietari sono maggiormente indebitati; e nel solo Massachussets vi sono stati 1461 poderi abbandonati nel 1890. Si può dire a questo proposito che si verifica negli Stati Uniti un fenomeno eguale a quello che accade nell’Europa; dove le regioni più gravemente colpite furono le occidentali, e solamente ora la Russia, come abbiamo visto più su, comincia a provare gli effetti del ribasso dei prezzi da essa provocato. Negli Stati Uniti, i lamenti più aspri vengono appunto da quegli Stati che primi costituirono l’Unione, e che ora veggono minacciata la loro ricchezza dalla concorrenza degli stati nuovi e del contro, dove il prezzo della terra è minimo, le tasse miti, le spese di coltivazione e di ammendamenti lievi, e dove la grande coltura può per mezzo di macchine riescire a ridurre al minimo il costo di produzione delle derrate. In corrispondenza a questo trasmigrare della preminenza agraria dalle coste dell’Atlantico alle ricche e fertili pianure centrali, si opera anche la emigrazione dei farmers i quali, dopo aver venduto le loro cascine ai nuovi venuti Irlandesi o Danesi, vanno a stabilirsi in luoghi dove meglio loro possa sorridere la fortuna.
Le differenze locali non riescono però ad infirmare il fatto che i coltivatori americani godono di una immensa superiorità rispetto ai loro concorrenti dell’Europa e malgrado che nei pubblici meetings i farmers americani si lagnino acerbamente di essere il popolo più gravato da tasse del mondo, queste sono ancora lievi in paragone alla confisca che avviene in Italia da parte del governo della parte maggiore del reddito fondiario. L’Atkinson non dubita di affermare che le condizioni del coltivatore americano sono buone, e contro le contrarie affermazioni nota concorde col Levasseur che la maggior parte del debito che li opprime proviene da ciò che i proprietari si sono fatti imprestare i capitali necessari alla compra dei loro poderi. L’attività e la intraprendenza che li distingue li pone in generale in grado li liberarsene in breve tempo per modo che la durata media dei debiti ipotecari non supera i cinque anni. E non sono ancora esaurite, checché si dica in contrario, le forze naturali che si racchiudono nel suolo degli Stati Uniti; ancora recentemente è stato aperto alla colonizzazione il cosidetto Pan Handle del Texas esteso per 30 mila miglia quadrate, la metà appunto della superficie occupata annualmente dalla coltura del grano negli Stati Uniti; e si crede che in breve ora diventerà uno dei più importanti centri produttori di quel paese. Non basta; il territorio indiano situato al nord del Texas, deserto finora, comprende 50 mila miglia quadrate di fertilissimo suolo, dal quale sono stati da poco tempo espulsi gli Indiani, aprendo così nuovi orizzonti alla attività ed alla energia inesauribile degli squatters americani[10]. Mentre così cresce il territorio sfruttabile e, per le forze vergini accumulatevi da secoli, capace di dare ad un costo infimo abbondanti prodotti, le continue invenzioni meccaniche ribassano il costo di produzione e permettono ai proprietari indipendenti, che formano il nerbo della economia rurale americana, di far senza dell’aiuto, costoso e difficile a trovarsi in tempo opportuno, degli operai. Le mietitrici, le falciatrici hanno ridotto il numero degli operai necessari nel tempo delle messi; la self binder ha permesso in seguito di far a meno anche degli uomini incaricati di tener dietro alle mietitrici per legare il grano in covoni.
L’aratro a vapore si estende sempre di più, e negli immensi campi dell’Ovest seminati a grano ed a meliga, l’opera dell’uomo non interviene che due volte all’anno all’epoca dei raccolti ed a quella delle messi[11]. L’economia realizzata nella produzione si accresce nei trasporti delle derrate agricole ai luoghi di consumo; è diventato ora di moda fra i coltivatori americani l’inveire contro gli abusi commessi dalle potenti compagnie ferroviarie, la cui proprietà è concentrata nelle mani di pochi miliardari, padroni e despoti della fortuna di milioni di loro concittadini; ma ad onta delle ingiustizie e dei favoritismi di cui si sono resi colpevoli questi re delle ferrovie, il costo dei trasporti è enormemente diminuito. In un discorso pronunciato al principio del 1834 davanti alla Camera di Commercio dello Stato di Nuova York, l’Atkinson ricordava che nella sua gioventù il quintale di grano raddoppiava di prezzo per un tragitto di 250 miglia, mentre oggidì il prezzo del pane di cui si nutre l’operaio inglese è accresciuto solo di poco più di due centesimi per il trasporto del grano dal Minnesota a Liverpool, e che la quantità totale delle merci trasportate per strade ferrate dal 1883 al 1892 sarebbe costata 11 miliardi di più se le tariffe fossero rimaste uguali a quelle che erano dal 1865 al 1869[12]. Non è meraviglia quindi se il prezzo del grano sia disceso a 15 lire il quintale sul mercato di Nuova York nel 1893, che la carne di porco valga la metà nel 1892 di quel che non valesse nel 1867. Gli Stati Uniti sono un mercato troppo ristretto per assorbire e consumare tutta la enorme quantità di derrate alimentari che essi producono; onde la necessità di cercare uno sbocco all’estero per le merci sovrabbondanti. Il 28 per cento del grano prodotto nel dodicennio 1881-92 è stato esportato. Il frumentone, se non trova nell’Europa un mercato così largo e così costante, vi penetra sotto forma di bestiame e di carne, dopo aver dato vita ad una delle maggiori industrie che arricchiscono gli Stati Uniti del Nord e che ha il suo centro in Chicago.
Nel 1893 si sono esportati 406 milioni di libbre di bue pel valore di 31 milioni di dollari, 53 milioni di libbre di maiale per 4.1 milioni di dollari, 474 milioni di libbre di giambone e di lardo del valore di 45 milioni; 365 milioni di libbre di saindoux del valore di 7.6 milioni, 19 milioni di libbre di burro per 1.6 milioni; il valore totale delle esportazioni di animali e prodotti animali è salito a 171 milioni di dollari (880 milioni di lire). Gli Stati Uniti hanno spedito inoltre 358,000 animali viventi, fra cui 287,000 buoi[13].
Se dagli Stati Uniti passiamo all’India, le condizioni della agricoltura europea di fronte alla concorrenza esercitata da quel paese, ci parranno ancora più pericolose. Non è gran tempo che l’India ha cominciato a diventare un fattore importante nella determinazione dei prezzi delle merci sul mercato mondiale. Nel 1874/1875 la sua esportazione di grano raggiungeva appena un milione di quintali inglesi. La apertura del canale di Suez diminuendo enormemente i noli marittimi diede un grande impulso non solo alla economia agraria indiana, ma anche alla sua industria, permodochè gli stessi fabbricanti di cotone del Lancashire sono gravemente impensieriti dei rapidi progressi che i cotonifici vi compiono, coll’aiuto dei capitali inglesi, emigranti in cerca di un collocamento vantaggioso. Lo sviluppo delle ferrovie ha eccitato molto lo svolgersi ed il fiorire della cultura del grano, ponendo in grado di sfruttare le terre incolte che coprono ancora un terzo del territorio indiano. La rete ferroviaria la quale si estendeva nel 1700 a soli 7,700 chilometri, ne abbracciava invece 28,430 nel 1892. La maggior parte del grano prodotto è costretto a trovare uno sbocco all’estero, consumando in prevalenza le popolazioni indigene solamente del riso; per modo che la esportazione del grano aumentava nel 1881-82 a 19.9 milioni di quintali, salendo nel 1891/92 a 30 milioni, per ribassare l’anno dopo a 14,9[14].
Il ribasso nel prezzo del frumento sui mercati europei, non esercitò che poca o niuna influenza sul produttore indiano, il quale grazie al diminuito valore della rupia continuò a ricevere la stessa quantità di moneta d’argento. Dovendo parlare dopo della ripercussione dei cambiamenti monetari sul prezzo delle derrate agrarie, non esamino per ora la questione; solo a documentare l’affermazione che il ryot indiano continua a ricevere pel suo grano un prezzo eguale se non maggiore di quello che egli riceveva prima della crisi agraria, noterò come ad un inchiesta fatta da una delle maggiori case inglesi esportatrici di frumento dall’India intorno a questo argomento, si rispose in due soli casi che il guadagno ritratto dalla vendita del grano era minore; gli altri corrispondenti non dubitarono di affermare essere il prezzo del grano maggiore nel 1887 che non nel 1868/73. E ciò mentre sul mercato inglese si calava da 63 scellini a 31 al quarter, e malgrado il ribasso delle derrate i governi europei accrescevano sempre più i pesi gravanti sulla proprietà fondiaria, laddove nell’India questa è gravata solo da una imposizione fissa sul reddito lordo del 5 1/2 per cento.
Anche le nuovissime terre colonizzate dagli emigranti europei, l’Australia e la Nuova Zelanda, se si erano prima limitate a fornirci la maggior quantità della lana necessaria pei nostri consumi, ora rivolgono la loro attività con raddoppiata energia alla produzione delle derrate alimentari. Lasciando da parte i vini, le frutta, gli agrumi, riguardanti in modo speciale i paesi meridionali d’Europa, si deve rilevare che la esportazione del grano, la quale era stata di soli 20 milioni di bushels nel 1875, avea raggiunto i 35 nel periodo 1885-88, accennando poi ad un rialzo. Le previsioni pel futuro non sono guai più consolanti; il signor Harris, conoscitore di quei paesi, ha fornito alla Commissione d’inchiesta dei dati molto precisi sullo estendersi della cultura in quei paesi. Così nella Australia del Sud, e nella Vittoria sempre nuove terre sono sottoposte a coltivazione, ed il grano può essere portato sul mercato inglese ad un prezzo rimuneratore per i coltivatori. Nella Nuova Zelanda, la terra è più facilmente coltivabile che nei paesi europei; e la differenza nella spesa per questa sola ragione dà al produttore un vantaggio di 50 lire per acre. In alcuni luoghi il raccolto è così abbondante che rende conveniente la cultura anche di fronte ai prezzi attuali. Il signor John Grigg grande proprietario vicino ad Asburton era in grado di portare il grano sul mercato inglese al prezzo di costo di 18 scellini e 4 pence per quarter, nel 1893; in modo che il corso d’allora di 26 scellini gli lasciava ancora un largo guadagno. La avena può essere venduta senza perdita in Inghilterra al prezzo di 12.13 scellini al quarter, lasciando circa 10 scellini di profitto al produttore. (Vedi Digest of evidence, questions, 4762-65).
Le regioni dell’Australia non esercitano ancora una temibile concorrenza solo per le peculiari condizioni del sistema colà vigente della proprietà fondiaria. La facilità colla quale grossi speculatori e capitalisti poterono comprare della terra colla intenzione di rivenderla ad un prezzo maggiore contribuì a mantenere incolta una estesa superficie di terra ed a produrre una immensa concentrazione della popolazione nelle città. Il signor William Epps osserva che nelle tre colonie della Nuova Galles del Sud, della Nuova Zelanda e della Australia meridionale, metà della terra alienata è passata in possesso di 1250 persone impedendo per tal modo che il capitale si rivolgesse largamente alla coltivazione dei campi è rendendo questi un puro oggetto di speculazione. Già alcuni stati però, e specialmente la Nuova Zelanda, sostituirono agli antichi metodi di vendita di terra all’incanto un sistema di fitti lunghissimi o perpetui; vietarono ad un proprietario solo di possedere in futuro più di due mila acri, estensione adatta anche alla grande cultura intensiva e capitalistica; promossero la creazione di villaggi ove gli operai disoccupati della città possono trovare nella coltivazione di piccoli fondi il mezzo di sorgere ad una condizione indipendente[15].
L’Argentina secondo un rapporto del signor Gastrell al Foreign Office, diverrà fra breve una grande esportatrice di frumento. Già nel 1893 essa occupava il terzo posto fra gli empori di grano, avendone esportato 1 milione di tonnellate, che nel 1894 si aggirarono all’incirca intorno a 1,600,000 tonnellate. Il costo di produzione e di trasporto alla stazione può essere fissato a circa 9 scellini al quarter. I noli ferroviari e marittimi ne portano il prezzo quando è sbarcato nei porti inglesi a 16 scellini al quarter onde l’eccedenza fra questa cifra ed il prezzo vigente sul mercato di consumo costituisce il guadagno del produttore e del proprietario terriero; il guadagno è però effettivamente maggiore, permutandosi nel mercato interno, per l’altezza dell’aggio, il prezzo in oro con una somma in carta la quale ha un alto potere d’acquisto, non essendo il costo delle altre derrate, le tasse ed i fitti cresciuti nella stessa proporzione in cui deprezzavasi la valuta cartacea[16].
Se la cerealicoltura è diventata una industria non remunerativa per gli inglesi, non si presentano migliori gli auspici per la produzione della carne, del burro, del cacio, che erano Stati fino a poco tempo fa un monopolio naturale per le ricche e grasse praterie inglesi, dotate di un clima umido e mite adattatissimo all’allevamento del bestiame.
Nell’Ottobre del 1875 si fecero i primi tentativi per spedire la carne fresca attraverso gli oceani dagli Stati Uniti, e gli esperimenti riuscirono per modo da portare in poche settimane, conservata nella camera refrigerante, la carne fresca della Nuova Zelanda sulla tavola del consumatore inglese, ponendo in grado anche le classi più povere di trovare nella carne a buon prezzo il mezzo di innalzare il proprio standard of life[17].
La maggior parte dei prodotti animali vengono, come abbiamo già visto, dagli Stati Uniti, e la loro importazione non pare destinata a cessare. Dopo di essi la Australia e la Nuova Zelanda nel 1889 non spedirono meno di 611,000 Centner di carne fresca di montone e di 100 mila di bue. Il buon esito delle prime spedizioni spinse alla formazione di grandi compagnie per la esportazione della carne, e si raddoppiarono i tentativi di produrre della buona carne col mezzo di incroci colle più famose razze britanniche. Nell’Argentina i numerosissimi capi di bestiame che vengono ogni anno uccisi per l’esportazione (circa 1 milione e mezzo) hanno dato modo a potenti società di inondare con conserve di carne tutti i mercati europei. Neppure i produttori del cacio, del burro e del latte, di cui si fa così gran consumo in Inghilterra furono esenti dalla lotta contro la concorrenza straniera. Pel burro e per la margarina noi passiamo da 1,334 mila quintali inglesi nel 1870 a 3,107 mila nel 1890; pel cacio da 1,216 mila a 2,144 mila alle stesse date. L’Olanda, la Danimarca, la Nuova Zelanda, il Canadà oltre agli Stati Uniti, diventano ogni giorno più competitori accaniti del produttore inglese, che finora avea trovato nella dairy farming uno scampo contro le perdite subite nella cerealicoltura.
L’estendersi della cultura a paesi nuovi, a terre vergini non può fare a meno di portare ad un ribasso dei prezzi non mai più visto. D’altra parte l’accrescimento delle comunicazioni ferroviarie e marittime, la facilità di tenersi informato per mezzo del telegrafo delle menome variazioni nella produzione mondiale, conducono ad una stabilità maggiore nei prezzi delle derrate, quale non si era mai verificata prima. Non sono più possibili adesso quei repentini cambiamenti che avvenivano in passato ad ogni fallanza del raccolto in un ristretto mercato per la impossibilità di porvi riparo coll’eccedenza di altri paesi.
Nei 100 anni dal 1641 al 1741 i prezzi del grano oscillarono in Londra fra 23 e 76 scellini, e nel periodo dal 1741 al 1841 perfino fra 22 e 120 scellini; dal 1841 in poi i limiti della oscillazione sono 40 e 75 s.; dal 1870 al 1882 soltanto 43 e 58 s. per scendere a s. 32 nel 1885 e perfino a soli s. 20 nel 1894[18].
Le alternative di carestia orribile e di inutile abbondanza non sono ora più possibili; ed i prezzi delle merci hanno acquistato una stabilità ignota ai nostri avi, i quali non potevano fare a fidanza sul futuro; a differenza dei produttori odierni, certi che le tendenze al rialzo ed al ribasso non possono rimutarsi repentinamente se non in casi affatto eccezionali.
Ed è appunto questa sicurezza del perdurare dei prezzi attuali anche in futuro, in causa dell’enorme rimutamento avvenuto nelle condizioni della produzione e dei trasporti, che spinge i coltivatori europei a chiedere ad alte grida al governo quelle misure protettive che valgano a salvarli dalla rovina. Non si può più credere oramai che la crisi attuale della economia agraria sia un fenomeno passeggero, proveniente da un disquilibrio momentaneamente originatosi fra la domanda e l’offerta, e destinato a svanire appena le nuove terre vergini saranno esaurite e la popolazione addensatasi anche su quelle avrà reciso alla base la possibilità per loro di esercitare una influenza perniciosa sulle vecchie ed esauste economie agrarie dell’Europa.
Noi non scorgiamo gli inizi di una nuova era nella quale il rialzo dei prezzi permetterà agli agricoltori di fare nuovi e grassi guadagni; tutto invece cospira alla diminuzione ancora più marcata nel costo di produzione, nei noli marittimi; ed è inutile sperare si rimuti la tendenza naturale, che si verifica non solo nella agricoltura, ma anche nell’industria e nel commercio, ad un alleviamento sempre più grande nelle fatiche spese per ottenere un qualsiasi risultato[19].
Se è vano sperare in un ricorso che ponga fine naturalmente alla crisi agraria, non ci dobbiamo meravigliare se i coltivatori si siano rivolti allo Stato per implorare da esso una protezione artificiale, che faccia parere loro meno dolorosi gli spasimi della morte. Le domande dei proprietari sono state quasi ogni dove esaudite, e noi assistiamo ora allo spettacolo strano di un ritorno ai più vituperati ed odiosi sistemi protezionisti che pareva fossero stati mezzo secolo fa per sempre sepolti di fronte ai benefizi immensi sperati dalla inaugurazione del libero scambio.
Una dopo l’altra tutte le nazioni incivilite si sono cinte di baluardi, e per mezzo di dazi proibitivi hanno cercato di salvare dallo sfacelo la propria economia.
Una sola nazione, l’Inghilterra, ha conservato intatta fin ora la bandiera del free trade. La politica commerciale inglese improntata al libero scambio non trovò contradditori finché le industrie ed i commerci prosperarono vigorosamente; appena però si ebbero i segni forieri di una depressione industriale, nella cittadella stessa della scuola di Cobden sorsero gli antesignani di un nuovo sistema, che senza adottare tutti i postulati dell’odiato protezionismo, pretendeva di integrare il libero scambio ponendo i produttori inglesi nelle stesse condizioni in cui si trovano i concorrenti. Il fair trade ha già nell’Inghilterra una lunga storia di conati intesi a rimutare le basi su cui riposa il regime doganale in quella nazione.
La National Fair Trade League fondata nel 1881 avea iscritto nel suo programma la domanda di un dazio moderato sulle derrate alimentari provenienti da Stati Esteri, ed, al contrario, libera importazione qualora esse provenissero da qualsiasi parte dell’Impero Brittanico[20].
Ultimamente la agitazione a favore di un dazio sulle granaglie ha acquistato un impulso nuovo; in un congresso tenuto il 7 e l’8 Dicembre 1892 nella St. James Hall a Londra da moltissimi proprietari ed affittavoli di tutte le parti dell’Inghilterra veniva votata a grande maggioranza (600 voti contro 200) una mozione del signor Chaplin a favore di un dazio protettore sui grani ed in genere sui prodotti esteri che fanno concorrenza ai nazionali[21].
Salvo rare eccezioni tutti gli agricoltori chiamati a deporre davanti alla Commissione d’inchiesta, accusando come causa prima delle loro sofferenze, il calo dei prezzi, invocano dallo Stato misure protettive contro la concorrenza straniera. Quelli che più si lamentano sono, e s’intende agevolmente, i cerealicultori.
Ed i loro argomenti, quantunque in gran parte tratti dal vecchio arsenale delle teoriche protezioniste, meritano una speciale menzione in quanto essi invocano la protezione od almeno il fair trade come un compenso alle maggiori spese che essi sono costretti a sopportare in causa delle molteplici tasse gravanti sui proprietari e sugli affittaioli. Esse assorbono il 25 per cento del reddito lordo della terra, e benché certe regioni italiane possano superare questa proporzione, è certo però che la concorrenza è resa più difficile coi paesi nuovi dove le tasse sono leggiere ed il debito ipotecario mite[22]. La pressione tributaria è inacerbita ancora dalla sperequazione esistente fra le varie contee. Lasciando da parte la income tax, la quale per la sua indole di universalità appare meno propizia a recriminazioni da parte degli agricoltori[23], si sono, specialmente negli ultimi anni, elevate lagnanze contro la diseguale incidenza della land tax. Questa per essere ridotta a poca cosa dopo la facoltà di riscatto concessa ai proprietari dal Pitt esercita una moderata pressione sulla proprietà terriera, e si è convertita oramai in un canone fisso pagato allo Stato. Risalendo però la ripartizione della land tax ad un secolo fa, essa rimane ancora commisurata ad una economia rurale, in cui il massimo fattore della produzione era la cultura dei cereali; e mentre adesso la maggior parte delle contee dell’Inghilterra realizza maggiori profitti nell’allevamento del bestiame, e nella produzione di generi più raffinati di consumo, la land tax ha continuato a premere con maggiore violenza sulle contee cerealicole che sono le meno feconde di reddito per i coltivatori e per i proprietari. Il fatto che abbiamo esposto trova la sua conferma nella tabella seguente dove si vede come la tassa fondiaria attuale, forte nella contea dell’Essex, conservi una importanza appena nominale in altre contee, che più di quella godono di una alta prosperità agraria:
Area Contea | totale in acri | Land tax secondo la ripartiz. del 1798 | Aree ancor gravate dalla tassa | Quota presente della land tax |
Essex | 987,028 | 88,647 | 834,187 | 50,120 |
Lancashire | 1,207,311 | 19,369 | 831,256 | 9,725 |
Northumberland | 1,289,756 | 14,423 | 725,702 | 6,682 |
Cumberland | 970,161 | 3,729 | 641,396 | 2,119 |
Durham | 647,281 | 9,480 | 438,321 | 5,905 |
Westmoreland | 500,906 | 3,030 | 290,222 | 1,816 |
Rutland | 97,273 | 5,473 | 87,226 | 1,396 |
Worcester | 480,560 | 33,568 | 406,992 | 14,803 |
Totale per le sette contee | 5,193,248 | 89,075 | 3,419,115 | 42,629 |
E quel che abbiamo detto della land tax, vuolsi dire anche della decima, in cui si osserva una sperequazione accentuata fra le corn counties e le grazing counties a tutto svantaggio delle prime. Così mentre nella contea di Essex ogni acre di terreno coltivato era gravato da una prestazione a favore della chiesa di sei scellini all’acre, il peso discendeva a 2 scellini e 1/2 pence per il Northumberland, ad 1 s. 9 1/2 per il Lancashire ed a 6 1/2 pence per il Westmoreland. Né il solo argomento che i coltivatori elevano contro la permanenza delle prestazioni ecclesiastiche consiste nella stridente diseguaglianza che gli è insita, ma anche nell’insopportabile peso che essa viene in generale ad imporre all’agricoltura per il difettoso modo di commutazione sancito dal Tithe Commutation Act del 1835. Questa legge stabiliva che la decima sui prodotti dovesse convertirsi in una quantità fissa di derrate agricole da pagarsi non in natura, ma computate secondo una media del valore dei prodotti stessi da rivedersi ogni sette anni. Da ciò nacquero diversi inconvenienti; essendosi infatti comprese nel computo del reddito lordo anche le varie tasse locali che a quell’epoca erano altissime, ne venne che quando queste furono, dopo l’approvazione della nuova legge sui poveri, ribassate, la decima convertita rappresentò per ciò una quota maggiore del reddito lordo effettivo. Il male fu poco sentito finché si tennero alti i fitti; ma quando incominciò la discesa del reddito fondiario, si cominciò ad invocare una riforma legislativa. Il Tithe Act del 1891 ponendo a carico del proprietario in ogni caso il pagamento della decima, e dandogli diritto ad una riduzione quando la somma percepita dal beneficiato sorpassasse i due terzi del reddito, ebbe poca influenza, dovendosi computare nel reddito anche la land e la income tax insieme alle tasse locali, verificandosi per modo sovente il caso di fondi il cui fitto non basta a soddisfare le brame di tutti i diversi partecipanti alla proprietà che ne assorbono le spoglie più opime.
Un altro difetto sta nella lunghezza eccessiva del termine fissato per ottenere la media del valore delle derrate agricole che al pagamento della decima serve di base. Sette anni sono un periodo troppo lungo perché, colla attuale perdurante tendenza a ribassi sempre più forti nel valor monetario dei prodotti agrari, questo corrisponda negli ultimi anni alla media del periodo intiero; e gli agricoltori unanimi ne invocano il raccorciamento a due od anche ad un anno solo.
Dove non giungono le bramose canne dello Stato e della Chiesa, si affrettano gli enti minori ad assorbire per molteplici scopi una parte rilevante del reddito fondiario. La tassa pei poveri che serve per la più gran parte ad alleviare le miserie cittadine grava specialmente sulla proprietà fondiaria, essendone esente la personal property, la quale pure abbraccia la parte migliore della ricchezza esistente nel Regno unito. Oltre a questa, altre tasse per le strade, per le scuole esigono il contributo quasi esclusivo dei landlords e degli affittaioli, mentre degli istituti che esse servono a mantenere, si giovano meno forse i paganti che non il commercio e l’industria in generale. Oltre ai gravami specifici e precisi, vi sono molte altre spese a carico dei proprietari, per il riattamento delle abitazioni rurali, le migliorie agricole, la manutenzione delle case esistenti, la costruzione di nuove e l’adattamento di vecchie per mettersi in regola colle leggi e colle pretese dell’ufficio locale di sanità. Vi sono poi molteplici altre istituzioni a cui deve sopperire la liberale munificenza del gran signore inglese, per tradizioni obbligato ad esercitare una larga azione benefica nelle campagne. Malgrado ciò le tasse locali non hanno cessato di aumentare continuamente, massime dopo l’istituzione dei nuovi consigli di contee a suffragio popolare. Nell’Essex, per il quale un rapporto molto ben fatto dell’Hunter Pringle ci fa conoscere i desideri e le lagnanze dei coltivatori, è stato affermato ed a ragione che, malgrado la crisi agricola avesse distrutta la prosperità della contea, e costretto a lasciare incolti i campi, si misero nuove tasse e si accrebbero le antiche. Questo stato di cose è proclamato non solo ingiusto ma insano. Il proponente di una mozione a Colchester disse che le leggi del paese aveano fatto opera dannosa alla industria agraria e che negli ultimi cinquanta anni la legislazione avea cooperato a spopolare e ad impoverire i distretti rurali. Parlando a favore della proposta, un coltivatore affermò che nelle presenti condizioni e senza un alleviamento nelle tasse eccessive, era inutile sperare di coltivare la terra con un qualche profitto.
È opinione universale fra gli agricoltori che se «fossero tolti i gravami che opprimono la proprietà terriera, e fossero posti nelle stesse condizioni dello straniero, essi potrebbero sostenerne la concorrenza[24]». Un alleviamento delle tasse è però poco probabile anche in Inghilterra per i bisogni ognora crescenti del potere centrale e delle amministrazioni locali, le quali vanno sempre più estendendo la loro operosità ed abbisognano di mezzi finanziari adeguati agli scopi di benessere sociale che esse, dimentiche oramai delle tradizioni liberiste ed individualiste inglesi, cercano di attuare. Forse un rimedio indiretto lo si potrebbe ritrovare nell’addossare al Tesoro pubblico le funzioni a cui ora si provvede mercé le molteplici tasse locali, facendo per tal modo pagare a tutti i cittadini per mezzo di una più forte aliquota della income tax i servigi che lo Stato renderebbe loro. Con questo si toglierebbe la diseguaglianza esistente fra le varie categorie della proprietà, e si rovescerebbe sul capitale mobile la maggior parte delle tasse ora sopportate dalla terra[25]. La proposta però quantunque suffragata dal consenso quasi unanime dei testimoni chiamati a deporre davanti alla Commissione d’inchiesta, urta contro la tendenza marcatissima nell’Inghilterra ad accollare ai corpi locali quella maggior quantità di funzioni che essi possono compiere meglio del potere centrale. Per molti la imposizione di tasse speciali oltre ad essere giustificata per ragioni storiche ha la sua ragione nella peculiarità della industria agricola, che dalla limitazione del suolo acquista una natura di monopolio[26]. Se però i coltivatori inglesi debbono conservare questo monopolio urge assicurarli contro le conseguenze di una concorrenza che li detronizza dalla loro posizione privilegiata. Vedendosi sfuggire di mano, assorbita dalle imposte e decimata dal ribasso dei prezzi, una parte cospicua del reddito fondiario, i proprietari e gli affittavoli invocano ad alte grida una protezione doganale che li ponga in grado di continuare a pagare le tasse fin qui usate e li salvi dal ricorrere a pratiche agricole depauperanti e dannose al benessere futuro della comunanza intiera. Io non credo però che lo spettro delle fertili campagne inglesi convertite in sterili brughiere ed abbandonate al pascolo brado varrà a far esaudire le domande unanimi dei proprietari; ha radici troppo profonde in quel paese il libero scambio perché divenga convinzione universale che alla sua permanenza si debbano tutti i mali onde è afflitta l’economia rurale. Non è ancora stato pubblicato il rapporto finale della Commissione d’inchiesta agraria, ma qualunque siano le raccomandazioni che essa farà è improbabile che il Parlamento inglese si decida a colpire di un dazio qualunque le derrate agrarie più soggette alla concorrenza straniera; se si pon mente anche alla preponderanza che in esso hanno gli interessi degli industriali e degli operai avversi a quelle misure che riescano ad un aumento nei prezzi dei generi alimentari[27].
Se è improbabile l’adozione di una franca e decisa politica doganale protezionista, è certo però che saranno coronati dal successo gli sforzi di coloro che tentano di sopprimere la concorrenza sleale esercitata dagli stranieri contro i produttori nazionali.
Così è probabile che si riesca a porre un termine ai vantaggi che le tariffe differenziali sulle ferrovie danno all’importatore estero sul produttore indigeno. Il signor H.H. Scott nella sua deposizione (question N. 30.086) ha accennato alla necessità di avocare allo Stato l’esercizio delle ferrovie per il carattere di monopolio che esse rivestono, a differenza dei trasporti marittimi, dove la concorrenza è illimitata. Ad esempio, l’invio del grano dal Northumberland a Londra, costa 22 scellini per tonnellata, mentre la spedizione della stessa quantità di frumento dall’America non raggiunge i 24 scellini[28].
Una riforma appare anche necessaria nel sistema invalso nell’Inghilterra di mandare tutti i prodotti come il cacio, il burro, le frutta, le ortaglie a poche grandi città per essere poi da queste rispedite nei centri minori di consumo, causando così uno spreco inutile di lavoro e facendo passare nelle mani degli intermediari quel guadagno che altrimenti sarebbe spettato ai produttori. La cooperazione degli interessati e qualcuno anche suggerì l’intervento degli uffici postali per la trasmissione delle offerte e delle domande contribuirà al più facile e proficuo smercio delle derrate. Il divieto della introduzione di animali affetti da malattie contagiose, la proibizione della introduzione di merci adulterate come la margarina, l’apposizione di un contrassegno alle carni provenienti dall’estero sono misure, che già in parte hanno ottenuta la sanzione legislativa, e che formeranno certo oggetto di nuove e più rigorose prescrizioni da parte del governo.
Unanime è la richiesta a favore della sostituzione della tassa sull’orzo alla tassa sulla birra, la quale spinge i fabbricanti all’uso di sostituti dell’orzo, ed aumenta la pressione della concorrenza estera, che può fornire orzo a miglior mercato benché di qualità peggiore. La tassa prelevata direttamente sull’orzo inciterebbe i fabbricanti ad adoperare le qualità migliori nazionali, e facendone aumentare la richiesta ne aumenterebbe il prezzo e ne estenderebbe la cultura[29].
III. La speculazione sui prodotti agrari ed i sindacati.
E non solo alla concorrenza estera attribuiscono gli agricoltori inglesi la crisi che oggi li opprime, ma ad altre cagioni ancora, più recondite e profonde forse, ma non meno potenti. Fino a poco tempo fa in Europa è stata apportata poca attenzione nello studio delle speculazioni commerciali conosciute negli Stati Uniti sotto il nome di Gambling system e la cui influenza sul prezzo delle derrate agrarie, secondo molti scrittori, è enorme. Lo studio più completo pubblicato su questo argomento è quello intitolato Commercial Gambling (Sampson Low and Co. London) del signor C.W. Smith, il quale ha poi avuto occasione di svolgere largamente le sue idee sulla nociva influenza di questi giochi sul prezzo specialmente del grano, in una importante deposizione fatta davanti alla Commissione sulla Depressione Agricola[30]. Noi seguiremo la esposizione che del sistema fa lo Smith, riservandoci di valutarne poi l’importanza vera in relazione al ribasso dei prezzi.
Ci troviamo qui di fronte all’applicazione dei contratti a termine al commercio non solo dei cereali, ma anche di molte altre derrate, come il mais, l’avena, il cotone, lo zucchero, il presciutto, il tè, il caffè, la seta, l’argento ed il petrolio.
A quelli che non sono pratici dei maneggi della speculazione può parere che un contratto col quale uno si obbliga a dare ad un altro una certa quantità, ad es. di grano ad una data fissa, non possa lasciar adito a nessun proposito di giuoco. Ma è questo invece il contratto che dà vita a tutta la speculazione sui grani che in America conosciuta sotto il nome di Options e di Futures. Il venditore non possiede nessuna di quelle merci che egli si è obbligato a consegnare ad un giorno fisso, e non si curerà di procurarsele per poterle in quel giorno rimettere, mentre d’altra parte il compratore non ha alcun interesse a ricevere effettivamente quelle merci di cui egli ha pattuito la compera a termine ad un prezzo fissato in anticipazione. Le due parti non si preoccupano punto che il contratto di compra vendita sia adempiuto veramente; essi hanno avuto in mira di compiere non una operazione commerciale, ma una operazione puramente speculativa sulla differenza del prezzo del grano fra il momento del contratto e il giorno in cui dovrebbe aver luogo la consegna della merce.
Se il prezzo del grano si troverà essere in questo giorno maggiore, allora il venditore pagherà al compratore la differenza, la quale sarà da questo ricevuta nel caso contrario. La transazione acquista così il carattere di un vero e proprio gioco sulle vicende del mercato dei cereali, nel caso nostro, ed in genere di quasi tutte le derrate.
I mercati a termine non sono cosa recente; fino dal decimoquarto secolo essi esistevano a Firenze sotto il nome di monti; nel decimosesto secolo ne troviamo le traccie ad Amsterdam dove erano usuali sotto molteplici forme nelle contrattazioni sulle spezie, sul caffè, sui grani e specialmente sull’acquavite. Ad Amburgo gli affari a termine sulle merci erano praticati fin dal secolo XVIII. Di là essi si estesero nella Inghilterra e nella Francia[31].
Fino al 1844 le leggi o la Common law proibirono i contratti a termine nell’Inghilterra; solo nel 1852 si fecero i primi affari di questo genere sul minerale di ferro a Glasgow; più tardi il sistema fu adottato anche nel commercio dei cereali, e si istituirono a Londra ed a Liverpool le Produce Clearing House per regolarizzare l’adempimento di questi contratti; negli Stati Uniti la Cotton Exchange della Nuova Orleans data dal 1871; il Board of trade, della stessa città per i cereali è di qualche anno posteriore; le Produce Exchange di Chicago e di Nuova York sono un po’ più antiche. Questi nuovi metodi commerciali che si sono in tal modo generalizzati hanno incontrato la opposizione più viva dei produttori americani ed inglesi come quelli che tendono allo svilimento eccessivo dei prezzi dei cereali a tutto danno dei coltivatori ed a profitto degli intermediari e dei ribassisti. Nel giugno 1887 la Tribune di York finiva un articolo sugli effetti della speculazione augurandosi che la opinione pubblica si persuadesse che la speculazione sui cereali era contraria al benessere generale e denunziava gli speculatori sui grani come nemici del produttore.
Il Commercial Advertiser di Buffalo nell’Agosto dello stesso anno dichiarava che «i giuochi d’azzardo aveano cambiato le borse delle principali città americane in bische» aggiungendo che fra queste immorali usanze sono da annoverarsi gli affari conchiusi a termine senza alcun effettivo trasferimento di merci[32].
Queste affermazioni che riassumono molto bene le opinioni nutrite su questo argomento dauna gran parte dei produttori[33] americani, e da molti commercianti ed importatori inglesi richiedono un attento esame.
La speculazione sui grani ha acquistato negli ultimi anni una immensa estensione nelle grandi città Americane. Il signor Stevens ha raccolto alcuni dati interessanti sulla proporzione delle vendite a termine o quelle per contanti nei primi sei mesi del 1857 al Produce Exchange di Nuova York. Le vendite reali si fecero rispetto a 48,836,360 bushels; e le vendite a termine raggiunsero l’enorme cifra di 867,594,740 bushels. Se si pensa che il raccolto intiero degli Stati Uniti raggiunse solo nel 1886, 457,000,000 bushels si avrà un’idea dell’ammontare enorme dei contratti fittizi il cui unico scopo era la speculazione differenziale. Le vendite a termine costituiscono il 94 3/4 per cento di tutte le vendite. Ecco l’ammontare delle vendite totali fatte nella prima metà del 1887 a New York e St. Louis, i due mercati principali per i grani iemali:
La speculazione commerciale sui prodotti agricoli formò anche, a quanto ne riferisce il Sig. Hunter Pringle (Royal Commission on Agriculture. Rapporto sull’Essex, pag. 66) oggetto di una discussione fra gli affittavoli di Ongar, i quali all’unanimità votarono che la speculazione sui prodotti agrari fosse strettamente proibita, specialmente quella che avviene per mezzo di contratti a termine.
VENDITE Durante la prima metà del 1887 | ||
in contanti | a termine | |
A New York bushels | 48,836,000 | 867,594,000 |
St. Louis “ | 5,675,000 | 134,720,000 |
Totale | 54,511,000 | 1,002,314,000 |
La vendita totale di cereali a termine conchiusa durante la prima metà del 1887 ammonta solo negli Stati Uniti a più di 2,000,000,000 di bushel di grano; eguagliando così ed anzi superando la produzione totale di grano nel mondo dell’anno precedente[34].
Si capisce facilmente come una così enorme quantità di contratti fittizi dia modo a degli speculatori di esagerare in modo pericoloso le tendenze momentanee del mercato, originando così quei subitanei aumenti e ribassi che tanto danno apportano al normale corso dei prezzi necessario per i produttori.
Ma questo fatto non conduce necessariamente ad un ribasso di prezzi. La stessa speculazione esiste ed in grado ancora più notevole nel mercato finanziario, il che non impedisce che frammezzo agli alti e bassi dovuti alle manovre dei sindacati di borsa non si noti un aumento continuo nel valore dei consolidati inglesi, e nei titoli di debito pubblico di tutte le nazioni più importanti. La speculazione al ribasso si urta inoltre contro gravi ostacoli, contro l’azione potente dei sindacati i quali si accaparrano la più gran parte dei titoli esistenti sul mercato, costringendo così i disgraziati ribassisti alla resa.
Ma quelli i quali fanno risalire al gambling system la responsabilità della crisi agricola attuale negano appunto che le due schiere che nelle borse dei prodotti agrari si combattono, i ribassisti ed i rialzisti, i bears ed i bulls abbiano lo stesso potere.
I venditori, i ribassisti, sono, secondo il signor Smith, per la maggior parte speculatori, mentre i compratori sono i consumatori, gli importatori di grano nell’Europa, i mugnai, che avendo bisogno di rivendere il grano e la farina, desiderano un aumento nei prezzi. Ciascuno dei due partiti impiegherà tutte le sue forze per spingere i prezzi nella direzione che più gli è favorevole. La questione che qui importa risolvere, si è di vedere quale delle due parti abbia maggiore influenza sul mercato. I compratori sono sparsi in tutto il mondo, senza nessuna organizzazione né comunicazione, senza potere stabilire un piano unitario di azione, senza avere nessuna partecipazione sulle borse dove si manipolano i prezzi, senza nessuna coscienza delle condizioni reali del mercato ed ignari delle manovre della alta speculazione. I venditori, i ribassisti invece, sono riuniti in sindacati possessori di enormi capitali, posti a capo degli istituti e delle corporazioni che sorvegliano lo adempimento dei contratti a termine, e posti in condizioni da potere meglio dei loro avversari, dominare a loro piacimento il mercato dei cereali.
Ed inoltre il meccanismo dei contratti a termine è tale che gli stessi compratori sono obbligati contro il loro apparente interesse a diventare essi stessi ribassisti.
Supponiamo che un importatore inglese di grano ne abbia comprato a Nuova York 100,000 quintali rilasciando una corrispondente cambiale pagabile ad un mese data. Egli per premunirsi contro la perdita che un ribasso del grano gli potrebbe infliggere vende subito a Londra una eguale quantità di grano a termine allo stesso prezzo a cui egli l’ha comprato. Se un mese dopo il prezzo del quintale di grano sarà aumentato, la perdita che egli dovrà subire a causa del contratto differenziale conchiuso a Londra, sarà coperta dalla minore somma spesa nell’acquisto effettivo del grano fatto a Nuova York; nel caso contrario la perdita subita nell’aver dovuto pagare più caro di quello che non valga il grano sarà compensata dalla differenza intascata in grazia del contratto differenziale. Si tratta, come si vede, di una specie di assicurazione che l’importatore fa con questo giuoco speculativo contro il pericolo di ribassi nel valore delle merci comprate. Ma ciò che per l’importatore è una necessità, riesce poi ad aumentare notevolmente il numero di quelli che sono obbligati nel più breve tempo possibile, a vendere il grano a termine; e siccome le operazioni a termine costituiscono il 95 per cento delle vendite totali, questo aumento nel numero dei venditori, esercita, per la legge economica della offerta e della domanda, una azione deprimente nel corso dei prezzi, il cui ribasso viene anche accelerato dalle liquidazioni che nelle Produce Exchange americane ed inglesi, nelle Caisses de liquidation des affaires a terme francesi e nelle Waren Liquidation Kassen tedesche sono di solito giornaliere, mentre nelle borse ove si specula sui titoli, la liquidazione mensile o quindicinale non tiene in un orgasmo continuo gli speculatori, rendendo meno frequenti le ricorrenze fatali delle compensazioni[35].
Il ribasso continuo del prezzo del grano non è perciò dovuto alla concorrenza estera; la protezione doganale è impotente a lottare contro la coalizione dei re delle finanze interessati al ribasso; altri rimedi occorrono. E che questi debbano essere energici lo prova il ribasso dei prezzi, il quale a questa sola causa deve attribuirsi.
Ed invero importa notare che nel decennio 1880-90 l’aumento dell’area coltivata a grano in tutto il mondo fu di soli tre milioni e mezzo di acri; onde l’aumento del prodotto, calcolando a 16 bushels il ricavo di un acre, a mala pena raggiunse 156 milioni di bushels; i quali avrebbero potuto far fronte ad un aumento di 14 milioni nella popolazione.
Ebbene durante questo periodo gli Stati Uniti e la Gran Brettagna videro aumentato il numero dei loro abitanti di una cifra superiore. A che cosa è dovuto il ribasso nel prezzo del grano, proprio quando ne aumentava il fabbisogno, se non a questo sistema di rampant gambling che alle antiche consuetudini commerciali di affari a contanti ha sostituito il gioco ridondante a profitto di pochi speculatori? Ancora: l’area coltivata a grano nell’America era nel 1881 di 37,000,000 di acri, e la popolazione di 51,000,000. Nel 1893 gli abitanti erano 67,000,000 mentre l’area a grano era caduta a 34,000,000. Nel 1882, quando i contratti a termine erano ancora poco comuni in Inghilterra, il prezzo medio del quarter di grano fu di 45 s. 1 d., quantunque vi fosse un raccolto che superasse di 223,000,000 bushels la domanda effettiva. Nel 1893 di fronte ad una deficienza accertata nel raccolto del grano di 26,400,000 bushels il prezzo medio del quarter di grano non superò i 26 s. 4 d.[36].
Secondo i rapporti ufficiali nel 1894 un raccolto minore di 80,000,000 bushels di quello ottenuto dieci anni fa, con una maggiore popolazione del 24 per cento, ed abbisognante per tal modo di 67 milioni di bushels di più pel suo consumo, è stato venduto per circa 1.80 al bushel di meno che nel 1884, benché in quest’anno si fosse esportato 1 milione di bushels di meno[37].
Che il vile prezzo dei grani non mai più visto da oltre un secolo avvenuto proprio quando la produzione mondiale bastava appena al consumo, sia dovuto alla speculazione ribassista, lo prova il fatto che il prezzo è regolato dalle borse di Nuova York e di Liverpool, dove le vendite a termine, raggiungono, come abbiamo già visto, delle cifre sbalorditive, determinando così delle crisi che si risolvono necessariamente in un ribasso dei prezzi. Così in un momento di acuta crisi nel commercio cerealicolo, nella sola New York le vendite a termine raggiunsero dall’1 al 15 febbraio gli 8,700,000 quarter, superando di gran lunga la produzione intiera del Regno Unito; mentre le vendite effettive in contanti si aggirarono solo intorno ai 330,000 quarter.
La perdita che i produttori del mondo intiero hanno subito per causa dei contratti speculativi a termine, ammonta a più di 5 miliardi all’anno, i quali vanno ad impinguare i forzieri ricolmi dei finanzieri, degli intermediari, dei ribassisti, portando poco sollievo alle classi bisognose ed ai consumatori che di sì poco videro diminuito il prezzo del pane. Contro questo pericolo insorsero con forza le legislazioni di molti paesi, e prima di tutti gli Stati Uniti, più direttamente minacciati dalle manovre sleali e fraudolente che conducevano alla rovina dei numerosi e potenti farmers.
La validità dei contratti a termine, è stata parzialmente riconosciuta nel 1884 dal Giudice Matthews della suprema Corte degli Stati Uniti con la seguente sentenza pronunciata nella Causa Irwin c. Williar:
«La dottrina generalmente adottata nel nostro paese è che un contratto di vendita di merci da consegnarsi a scadenza fissa è valido anche se il venditore non possiede le merci stesse e non ha alcun mezzo di procurarsele all’infuori di comprarle sul mercato; ma è valido solo in quanto ambe le parti intendono che il contratto debba avere piena ed effettiva esecuzione. Quando invece, sotto la parvenza di una compra vendita lo scopo reale è quello di speculare sul rialzo e sul ribasso dei prezzi, risolvendosi così il contratto in un pagamento differenziale, questo deve considerarsi come una scommessa ed è perciò nullo»[38].
Oltre alle norme della giurisprudenza desunte dalla Common law si tentò con una energica campagna condotta dalla Farmer’s Alliance e dal sig. Wood Davis di reprimere con gravi tasse i contratti a termine recidendo così alle sue basi la speculazione. Un Anti Option Bill che colpiva di una tassa di 24 dollari ogni operazione a termine fu approvato dal Senato, ma non ancora dalla Camera dei rappresentanti. Un progetto di legge presentato dal senatore George proponeva di considerare senz’altro come un reato qualunque transazione a termine di natura differenziale. Nella Russia (vedi question 19,655) sono proibiti gli affari a termine, a meno che il venditore provi di possedere realmente un terzo dei beni venduti. In Francia un decreto ministeriale del 10 febbraio 1894 riduceva ad un anno il tempo in cui si poteva lasciare in deposito il grano nei magazzini generali, impedendo così ai grossi speculatori di tenerlo per troppo lungo tempo immagazzinato.
In Germania si sono già colpite con gravi tasse le operazioni di borsa; ma questo non basta ancora agli Agrari che per mezzo del conte Kanitz presentarono al principio del 1894 una mozione per avocare allo Stato il privilegio esclusivo del commercio cereario; la qual proposta rigettata a grande maggioranza, è identica a quella che nel tempo stesso presentava con pari fortuna, il Deputato socialista Jaures alla Camera francese. Le quali leggi sono del reato destinate a restare senza pratica applicazione, come la legge del 1884 dell’Ohio che arriva fino a punire con una multa da 50 a 100 dollari e con la carcere da uno a tre mesi tutti quelli che fanno delle transazioni sui grani, i carboni, le derrate alimentari, o come la legge prototipo di tutte le seguenti a questo proposito, voglio dire, il decreto del 13 fruttidoro Anno III, art. 3: «Tout homme qui sera convaincu d’avoir vendu des marchandises et effects dont, au moment de la vente, il ne serait pas propriétaire, est aussi déclaré agioteur et puni comme tel[39]». Ora è vero che negli affari a termine si introducono degli elementi perniciosi, come l’agiotaggio e le manovre fraudolente destinate, come si dice nel linguaggio di borsa ad etrangler le decouvert o ad ecraser le marchè. Ma questi abusi pur troppo frequenti e che imprimono uno stampo sinistro sul mondo finanziario moderno, trovano in se stessi la propria repressione; testimonio famoso nel 1893 il crack dell’americano Cudahy che avea formato un sindacato inteso al rialzo del prezzo del grano comperarne per 11 milioni di bushels; amaramente castigato da un ribasso del 36 per cento.
Ma non si tratta degli abusi cui può dar luogo la speculazione a termine, ai quali le leggi sono affatto impotenti, per la natura delicatissima delle transazioni stesse, a porre un valido freno; la domanda a cui importa dare una risposta sicura e precisa è questa: riveste davvero la speculazione a termine sul grano un carattere pernicioso tale che ad essa sola si possa attribuire l’attuale ribasso mai più visto del prezzo dei grani?
A rispondere a questa domanda è necessario riprendere l’analisi della transazione commerciale fra il venditore americano e l’importatore inglese che secondo i fautori di un Anti Option Bill si risolve necessariamente in un incentivo ad una nuova vendita per l’importatore per modo che quegli che dall’interesse suo permanente sarebbe spinto a lottare pel rialzo, contribuisce invece al ribasso; cambiandosi così secondo l’espressione inglese, il Bull in Bear.
Gli oppositori del sistema dei contratti a termine dimenticano che tutta questa sequela di contratti che si vanno sovrapponendo l’uno all’altro non costituiscono per l’importatore, per il compratore in genere, che una assicurazione contro i rischi di un ribasso dei prezzi, e si elidono perciò rispettivamente, contribuendo a ridurre gli onori che alla società ed ai consumatori deriverebbero se i commercianti in granaglie dovessero, mercé un rialzo nei prezzi, premunirsi contro i pericoli di future perdite. Ed infatti coll’antico sistema di compera in contanti l’importatore si sarebbe ad ogni variazione nei prezzi trovato esposto ad una perdita che i guadagni eventuali non avrebbero potuto bastare a controbilanciare[40].
Gli antichi e più semplici metodi commerciali potevano forse adattarsi a tempi in cui ogni territorio poteva bastare ai proprii bisogni, in cui le comunicazioni erano difficili ed ogni commerciante custodiva gelosamente per sé quelle informazioni che gli riusciva di ottenere sulle richieste di derrate fatte da altri paesi. Ora invece si è sviluppato intensamente un sistema di scambi internazionali, per cui la Francia, l’Italia, la Germania, la Spagna e l’Inghilterra tutti gli anni abbisognano di una grande quantità di grano che viene loro fornita dagli Stati Uniti, dalla Russia, dall’India, dall’Austria Ungheria, dall’Argentina e dal Chilì. Il commerciante deve perciò nella conclusione dei suoi affari avere lo sguardo inteso a tutti i molteplici bisogni dei centri esportatori e di consumo; ad evitare che l’annunzio di un prospero o di un cattivo raccolto in una di queste grandi regioni non gli infligga una perdita irreparabile. perché, ed è necessario notarlo, i raccolti dei cereali non avvengono nel mondo tutti allo stesso momento, ma sono distribuiti equabilmente per tutto l’anno. L’Australia, la Nuova Zelanda, il Chilì e la Repubblica Argentina raccolgono il loro grano in gennaio; l’Egitto, la Persia e l’Asia minore in aprile, la California e l’Oregon, il Kansas ed il Missouri in giugno, l’Austria Ungheria, la Russia meridionale, il Dakota, il Minnesota, il Wisconsin, il Nebraska, il Iowa, I’Illinois, l’Indiana, il Michigan, l’Ohio ed il Canadà in luglio, il Manitoba in agosto e la Russia del Nord in settembre ed ottobre. Le distanze che i cereali devono percorrere per arrivare ai luoghi di consumo, ai porti inglesi ad esempio, sono diversissime; un carico di grano impiegherà da sette a dieci giorni ad andare dagli Stati Uniti a Liverpool, mentre per i grani russi ci vogliono da venti a trenta giorni; e dall’Australia e dalla California quasi cinque mesi.
Dato lo sviluppo recente e grandioso assunto negli ultimi anni dagli scambi internazionali, si è reso necessario uno sviluppo parallelo delle istituzioni commerciali, e sono sorte così le grandi piazze di Nuova York, Amburgo, Brema, Chicago, Liverpool, Londra, Calcutta ecc., dove si accentra tutto il commercio mondiale dei grani.
Ora ponendo mente a questo accentramento gigantesco delle transazioni commerciali in poche piazze, ed alla necessità in cui si trovano i commercianti di coprirsi, dopo fatta una compra, con una equivalente vendita a termine, le cifre, che a prima vista paiono mostruose, dei contratti puramente fittizii, assumono una configurazione affatto naturale e per poca parte dovuta a giochi speculativi puri e semplici.
«Se si nota, osserva opportunamente lo Stevens nel suo studio sui Futures in the Wheat Market, che i compratori nazionali, i commercianti in grano, i mugnai, gli asportatori sono giornalmente impegnati nella vendita, trasporto ed assicurazione di partite di grano, varianti da 8000 a 500,000 ed anche più bushels, e che ogni operazione simile deve essere coperta da vendite corrispondenti a termine, che devono risolversi poi di nuovo in compre, è facile scorgere da quale fonte scaturisca il grosso delle operazioni a termine»[41].
Le quali riescono anche a proteggere gli interessi dei consumatori opponendosi ai tentativi di accaparramento (corner) per mezzo di cui gli speculatori al rialzo potrebbero spesso fare innalzare strabocchevolmente il prezzo dei grani a beneficio proprio e non dei produttori, che già lo avevano venduto. Così nel 1888, secondo il Cohn, si era formato a Budapest un corner per far rialzare il prezzo del mais e vi sarebbe effettivamente riuscito, quando un sindacato ribassista per mezzo di vendite a termine riuscì a sventare il tentativo, col provocare delle importazioni dall’estero[42].
Nel 1891 il raccolto mondiale del grano all’infuori degli Stati Uniti era stato insufficiente; appena 1,623,500,000 bushels, di fronte a 1,772,700,000 nel 1890, a 1,874,100,000 nel 1894. Nello stesso anno la Russia era stata funestata dalla terribile carestia che costrinse il suo governo a proibire la esportazione del grano. Gli Stati Uniti, con un prodotto cereario sovrabbondante, avrebbero potuto in una situazione simile imporre prezzi altissimi alla Europa; ed a questo scopo si era formato nel luglio un sindacato di potenti speculatori a Chicago. Cionondimeno, il prezzo del grano, secondo la espressione del corrispondente americano dell’Economist si rifiutò «to take any noticeable flights». Quale ne sarebbe stato l’effetto se non fossero esistite le borse granarie americane ed europee, è difficile il poterlo dire. La speculazione era riuscita a scontare già prima l’effetto che una simile disposizione avrebbe potuto in altri tempi far subire al corso dei prezzi, eliminando dal mercato gli elementi casuali, le congiunture e diminuendone la morbosa impressionabilità. «È certo, nota molto bene l’Economist, che senza queste organizzazioni economiche centralizzate, la cui funzione principale è di prevedere le influenze degli avvenimenti presenti e futuri sui prezzi e di accomodare le quotazioni secondo queste previsioni, un provvedimento simile a quello adottato dalla Russia avrebbe concesso degli enormi benefici agli intermediari danneggiando seriamente al tempo stesso i piccoli rivenditori, i produttori ed i consumatori»[43].
I contratti a termine, quando nessun altro elemento venga a falsarne il carattere, contribuiscono al ribasso dei prezzi collo scemare il premio di assicurazione che i commercianti devono farsi pagare dai consumatori, ed è questo un fatto ineluttabile come l’estendersi della coltivazione a terre vergini, il ribasso dei noli, l’aumento delle ferrovie, cause tutte che allo stesso ribasso contribuiscono e contro le quali le disposizioni legislative sono impotenti a reagire. La esistenza di una speculazione estesa, si può bene dire col Iannet, manifestantesi per mezzo dei contratti a termine e della lotta fra rialzisti o ribassisti, tende a ricondurre il prezzo al suo giusto livello od elimina l’elemento di impressione, di rarefazione locale e momentanea che potrebbe falsare l’elemento naturale nella determinazione dei prezzi e cioè il rapporto della offerta e della domanda, del fabbisogno ai mezzi di soddisfarlo[44].
Ma da che cosa dipende allora l’accordo esistente fra tutti i coltivatori nell’attribuire alla speculazione il ribasso dei prezzi?
Una ragione la si potrebbe forse trovare nella disposizione dei coltivatori di imputare tutti i cambiamenti nei prezzi, di cui essi non riescono a conoscere le cause vere, alle manovre degli speculatori. Il coltivatore è naturalmente portato a credere che gli accordi di lontani borsisti e finanzieri riescano a sottrargli una parte dei suoi guadagni, ed i giornali che egli legge fanno a gara nel confermarlo in questa sua credenza
Il sotto comitato nominato dal Senato degli Stati Uniti nel febbraio 1893 per fare una inchiesta sulle condizioni della industria agricola, specialmente cerearia, a legittimare la sua proposta di sopprimere le transazioni commerciali conosciute sotto il nome Options and Futures osserva che i grossi commercianti in grano mandano in tutte le regioni a grano i loro agenti per accaparrarlo appena raccolto. La campagna è così rapidamente denudata dei depositi di grano; e finché questa operazione sia condotta a termine, i commercianti hanno interesse a mantenere bassi i prezzi per mezzo di ripetute vendite a termine[45].
A produrre questi risultati è necessaria la formazione di grandiose società le quali padrone del mercato finanziario e signore delle ferrovie possano imporre ai produttori i prezzi che esse vogliono. I Trust che hanno acquistato nell’America del Nord uno sviluppo così gigantesco hanno in molti casi meritato l’odio profondo che contro di essi nutrono ora i coltivatori, come una volta contro gli accaparratori[46]. Le arti della speculazione che come abbiamo visto servono ad eliminare le differenze mondiali nei prezzi, ed offrono ai produttori il mezzo di disfarsi dei loro generi in qualunque momento, divengono nelle mani dei grossi trust un’arma potente che essi possono rivolgere ad un tempo contro i produttori ed i consumatori. Padroni nella maggior parte dei casi delle reti ferroviarie essi rovinano col mezzo di tariffe differenziali i coltivatori che si attentino a mandare il grano per proprio conto nelle piazze consumatrici e costringono a vendere la raccolta ancora non giunta a maturanza ad un prezzo inferiore a quello che essi realizzeranno poi. A proposito delle tariffe di favore un presidente di una compagnia ferroviaria dichiarava: «It is a matter of time only when the small dealer who is compelled to pay the regular tariff will go to the wall».
Nel rapporto del 1890 sul movimento ed il consumo del mais e del grano si accagiona la coalizione degli intermediari e degli impresari di trasporti del ribasso del bestiame di un quarto mentre il prezzo della carne al minuto non era per nulla diminuito, e dell’essere il coltivatore obbligato a vendere 15 centesimi al gallone il latte che il consumatore compra per 40. «Il sindacato dei mugnai del Canada riesce a deprimere il prezzo dei grani e nel tempo stesso ad aumentare quello delle farine. Il sindacato degli esportatori di uova nella provincia di Ontario ne tiene sistematicamente basso il prezzo; in ogni mercato esso ha un agente che possiede sempre una riserva di uova tale da poter deprimere d’un tratto il prezzo se un rivale volesse dare ai coltivatori un prezzo più alto di quello fissato dai sindacati».
Il sindacato per la vendita delle carni di Chigago, conosciuto sotto il nome di big four, benché sia riuscito a dare un immenso sviluppo alla industria del bestiame, esercita d’altro canto una influenza funesta. Impadronitosi di tutti i mercati vicini egli ha potuto imporre agli allevatori delle condizioni leonine. «Quando questi hanno tentato di rivoltarsi, uccidendo il bestiame e vendendo essi stessi la carne, hanno visto rifiutarsi i vagoni refrigeranti. Allevatori e consumatori sono in balia dei quattro giganti! Agli uni essi pagano per il bestiame vivo il prezzo che a loro piace; agli altri essi fanno pagare carissima la carne macellata»[47].
Ora è indubitato che, per quanto sotto altri punti di vista i sindacati esercitino un’azione benefica, l’intensificarsi della speculazione intesa solo ad accaparrarsi i profitti che spetterebbero ai produttori ed ai consumatori è altamente dannoso.
Qui essa non compie più nessuna di quelle unioni utili alle quali abbiamo sopra accennato, ma sfrutta, unicamente a vantaggio del capitale improduttivo di intermediazione, i coltivatori, che a ragione chiedono che a questa tirannia si ponga un rimedio. E nessuno può rifiutarsi di unirsi ad essi nell’invocare la eliminazione dell’intermediario parassita ed inutile. Già è venuta meno una gran parte degli anelli intermedi della lunga catena frapponentesi fra il produttore ed il consumatore; un solo passo resta ancora da fare ed è la assunzione della vendita direttamente da parte dei coltivatori[48].
Nel programma della lega degli agricoltori tedeschi Bund der Landdwirthe (riportato a pag. 4 della Riforma sociale del 10 gennaio 1891) vi è anche la proposta di avocare allo Stato il monopolio dell’acquisto e della vendita dei cereali esteri, comprese le farine destinate al consumo in Germania. La proposta è, come facilmente si vede, inaccettabile; l’investire lo Stato di una funzione economica di altissima importanza come l’approvigionamento di una derrata di prima necessità, indurrebbe ad un monopolio gigantesco e pericoloso per la gran massa della popolazione, costretta a subire i prezzi desiderati dai proprietari fondiari predominanti nel governo. Troppo recenti sono ancora i ricordi dei tentativi fatti in Francia dal governo giacobino durante la rivoluzione di monopolizzare il commercio dei grani, e degli spaventosi risultati suoi perché si possa a chiusi occhi correre di nuovo pericoli simili a quelli, pure in condizioni economiche tutte diverse, e favoriti dallo sviluppo estesissimo delle vie di comunicazione[49]. Non al monopolio dello Stato, ma ad un sindacato internazionale di produttori dovrà nel futuro essere affidato il commercio o la vendita dei prodotti agrari; ideale lontano certamente e difficilmente raggiungibile; ma il solo che possa, quando sia attuato, porre un freno alla ingordigia dagli speculatori e degli intermediari, meglio che non le proibizioni legislative dei contratti speculativi a termine, le quali troppo facilmente per sopprimerne il lato dannoso, riescono anche a paralizzarne l’azione benefica di compensazione e di assicurazione dei rischi. Le società cooperative di consumo inglesi che allo smercio delle derrate uniscono la produzione di esse in grandiosi poderi ci offrono in piccolo un esempio di quello che può fare la iniziativa individuale, se diretta con costanza e pertinacia ad un fine nobile ed alto quale quello di accomunare gli interessi dei produttori o dei consumatori. L’esempio dei sindacati agricoli francesi e delle associazioni danesi di produttori di burro e di formaggio ci mostra quanto possono fare i produttori per opporsi con successo al danno che loro viene dalla appropriazione da parte dei middlemen di una grossa parte del prezzo ultimo di vendita; e bene si può dire coll’Economist (Commercial History and review of 1892, pag. 2) che gli agricoltori devono riporre le loro maggiori speranze nella coalizione e nella organizzazione a scopo di comprare le merci di cui essi abbisognano e di vendere i loro prodotti. Anche l’azione dello Stato può farsi sentire a beneficio dei coltivatori dove esistono banche di Stato, e dove il governo con le casse di risparmio postali assorbe una parte della ricchezza che traggono la loro origine dalla terra, restituendo ai coltivatori il denaro a mite interesse, specialmente nelle epoche dei raccolti per porli in grado di resistere con efficacia alla speculazione, la quale appunto in quelle epoche preme con veemenza sul corso dei prezzi verso il ribasso[50].
(Continua)
[1] Tooke, A history of prices and of the state of the circulation from 1793 to 1837. Vol. I, pag. 312-3.
[2] Cfr. Journal of the Royal Statistical Society. March. 1895. An inquiry into Wheat Prices and Wheat Supply by R.F. Crawford, pag. 75-120.
[3] Foreign Office Reports 1894. Annual Series N. 1439, pag. 4.
[4] Id. N. 1449, pag. 9.
[5] Foreign office Reports 1894. Annual Series N. 1487, pag. 3.
[6] Id. id. pag. 3.
[7] Il Journal of the Board of agriculture numero di Settembre 1894 ci fornisce alcune notizie sul costo di produzione del grano. Il prodotto medio per acre del grano negli Stati Uniti per gli anni 1890/93 fu di 12.9 bushels il che a 48 s. 8 1/2. per acre fa che il grano costi al bushel 3 s. 9 d. Il costo minimo per acre si verificò nel Sud Dakota con 35 s. 8 d., mentre nel Connecticut le spese di coltivazione del grano si elevano a 51.9 s. 8 d. Una cosa puossi ricavare ancora ed è che il fitto madio della terra si va avvicinando a poco a poco a quello dell’Europa; negli Stati vecchi della Nuova Inghilterra e del centro l’acre di terra dà un fitto di 14 s. 8 d. – 16 s. 8 1/2 d. all’ acre, mentre negli Stati dell’Ovest il fitto non raggiunge gli 11 scellini all’acre. Cfr. Journal cit. Vol …1, pag. 3. Cost of Growing in the United States.
[8] Uno studio speciale ha mostrato che l’82.5 per 100 del debito ipotecario avea esclusivamente per causa la compra delle terre o del capitale di conduzione e che in 12 altri casi su 100 queste due cause esistevano ancora unite ad altre.
[9] Vedi The Financial Outlook. An Address made befor the Chamber of Commerce of the State of New York by Edward Atkinson 5 april 1894. New York, pag. 11 cit. da E. Rossi in uno studio su L’Agricoltura e i debiti ipotecari negli Stati Uniti d’America (Giornale degli Economisti, Giugno 1895) ricco di dati e notizie interessantissime.
[10] Riferisco qui sotto alcune righe del console inglese alla Nuova Orleans per mostrare quale fiduciose speranze si nutrano sull’avvenire dell’agricoltura in una gran parte degli Stati Uniti, in paragone delle tetre previsioni che si vanno facendo nella Europa e negli Stati americani dell’Atlantico.
«At this time no section of this country offers, such favourable advantages to the immigrant as does the south, and this for various reasons. Here there is an even climate, and the winter does not consume what the summer produces. Lands may be purchased at very low prices, from 4 s. per acre upwards, and that, too, in localities where there are good trasportation facilities, and where the land will produce almost anything one may wish. Taxes are law, while the cost of manifactured goods are in favour of the purchaser, make it a chip country in which to live, while good prices are obtined for whatever the land produces, and owing to the seasons being early these these products are placed in the principal commercial markets before the icy king unloosens his grasp from our more northen fellow countrymen. Transportation rates are low, so that this trade may be fostered, and it has grown to mammoth proportions». Foreign office Report, 1894. Annual series, N. 1390, pag. 16.
[11] Nella California e nel Dakota il sistema generalizzato delle bonanza farms, che comprendono delle estensioni immense di terra, fino a più di 200 mila acri, ha ridotto il costo di produzione del grano a meno della metà di quel che non costasse secondo gli antichi metodi.
[12] E. Levasseur, L’Agriculture oux Etats Unis, p. 348. Cfr. negli Annals of the American Academy of Political and social science, Nov. 1894 uno studio di H.T. Newcomb. Reasonable railway rates. Ivi è messa in luce la costante riduzione delle tariffe pel trasporto delle merci da un lato ed il continuo decremento del saggio del profitto ottenuto dalle compagnie ferroviarie. Cfr. pure nella stessa rivista, Marzo 1895, Pacific Railways Debts di R.T. Colburn.
[13] Id. p. 372-3
[14] Levasseur, op. cit. p. 383-4.
[15] William Epps, Land systems of Australasia London, 1894, pag. 171.
[16] Foreign Office Report, February, 1895. Annual Series, N. 1495, pag. 30 e segg. Malgrado gli infimi corsi praticatisi nel prezzo del grano a Londra i produttori dell’Argentina riescirono a guadagnare da 1 s. a 3 s. al quarter; ed il signor Gastrell crede che essi potrebbero far fronte con vantaggio a prezzi ancora più bassi.
[17] Prof. Dr. Paasche, Die Entwickelung der britischen, Landwirtchaft unter dem Druck auslandidischer Konkurrenz. Nei Iarbucher, fur Nationalokonomie und Statistik III Folge. III Band. p. 29.
[18] Dott. C. De Scherzer, La vita economica dei popoli. Biblioteca dell’Economista, Serie IV Vol. II p. 13.
[19] Il Crawford nello studio citato, notevole per la abbondanza dei dati, e la accuratezza colla quale questi sono stati raccolti ed illustrati, arriva anch’esso alla conclusione che il ribasso nel prezzo del grano è dovuto alla estensione della coltivazione a terre vergini dove le spese di cultura sono tenui (supposto eguale a 100 il costo di produzione del grano nell’Inghilterra, esso andrebbe digradando a 70 nel Far West degli Stati Uniti, a 66 nell’India, a 57 nel Dakota, a 5 nella Russia) ed alla riduzione nei noli marittimi che ha reso possibile la parificazione dei prezzi nella Europa occidentale e nelle grandi nazioni esportatrici.
[20] C.G. Fuchs, La politica commerciale dell’Inghilterra, Biblioteca dell’Economista, Serie IV, Vol. I, p. 649.
[21] Vedi una relazione sul congresso nell’«Economic Journal» dell’Aprile 1893.
[22] Quarterly Rewiew, April 1895 pag. 416.
[23] A dir il vero, i fittavoli si lagnano del modo con cui la income tax è percepita da loro, fondandosi sulla presunzione che i profitti ricavati dalla industria delle affittanze, equivalgono alla metà della rendita goduta dal proprietario dei fondi. Vol. XI, Serie II
[24] Royal Commission on agriculture. Report by Mr. R. Hunter Pringle on the Ongar, Chelmsford, Maldon, and Braintree districts of Essex. pag. 81.
[25] Lasciando da parte le tasse indirette o la income tax abbastanza ben distribuite su tutte le parti della ricchezza pubblica ecco le cifre pel 1892-93 dei carichi imposti sopra la proprietà reale e la personale.
Quota delle tasse di successione | L. s. 1,150,000 |
Proprietà Land tax | ” 1,901,716 |
reale tassa sui fabbricati | “1,411,510 32,291,462 |
Tasse locali | ” 27,828,236 |
Quota delle tasse di successione | L. s. 8,910,000 |
Local taxation licenses | ” 3,098,769 12,936,514 |
Dazi sulla birra | ” 927,745 |
Totale | L. s. 45,227,976 |
Vedi a questo proposito un articolo del conte di Winchelsea sui The new death duties in England nella North America Rewiew January 1895, pag. 95, il quale nota come la proprietà stabile paghi tasse quattro volte maggiore di quel che vorrebbe l’equità, mentre la proprietà mobile si sottrae ai due terzi delle tasse che su di essa dovrebbero cadere Cfr. The Squirearchy and the Statute book nella Quarterly Rewiew di Gennaio 1895 (pag. 231/54) ove è dimostrato come la riforma nelle tasse di successione abbia più che raddoppiato il carico gravante sulla propietà fondiaria. L’articolo è tutta una vigorosa ed abile requisitoria contro le riforme democratiche e livellatrici che negli ultimi anni tolsero alla aristocrazia territoriale gran parte della influenza da essa prima posseduta nelle campagne.
[26] E. Giffen, Essays in Finance, First Series X, Taxes on lands pag. 239.
[27] La sconfitta del protezionismo anche qui non dipende dalla maggiore eccellenza teorica del sistema opposto, ma, come è stato maestrevolmente dimostrato dal Loria, dal Rabbeno e dal Ricca Salerno, dalla preponderanza degli interessi opposti alla elevazione dei dazi protettori; voglio dire dal predominio goduto nella Camera dei comuni dagli industriali, e dai finanzieri. La preponderanza del capitale mobile renderà per lungo tempo ancora inutili le argomentazioni degli agricoltori quantunque questi possano ricavare un appoggio alle loro domande dai discorsi stessi dell’araldo del libero scambio, il Cobden, il quale assumeva la permanenza del prezzo del quarter di grano ad un limite superiore a 37 scellini, come la condizione necessaria per la introduzione del sistema liberista. Cfr. (nella Riforma sociale del 25 Maggio 1895) L. Albertini, Lo spirito protezionista in Inghilterra. Nella discussione avvenuta nella Camera dei Comuni il 15 Marzo 1895 e terminata col rigetto dell’ordine del giorno protezionista del colonnello Hovard Vincent (105 voti contro 35) il signor Bryce, ministro dell’Industria e del Commercio dichiarò che «sulla questione del libero scambio il governo inglese è risoluto e fermo. Nessun peggior servizio potrebbe rendersi al paese che coll’incoraggiare pur blandamente coloro che aspirano ad un regime protettivo. Non vi sarà mai governo, il quale pienamente senta il peso della sua respansabilità, che proporrà un ritorno all’antico sistema».
[28] Cfr. Ernest E. Williams, Nationalization by inches. The British Railway sistem in New Review July, 1895, pag. 81-93.
[29] Scotland, Report by James Hope on the counties of Perth, Fife, Forfar, and Aberdeen, pag. 11.
[30] Minutes of Evidence taken before H.M. Commissioners appointed to inquire into the subject of Agricultural Depression Vol. II, questions 1572-798 e 19628-910. Vedi anche su questo argomento le deposizioni del Prof. H.S. Foxwell, questions 27-187, del signor W.E. Bear 27, 542-977; del signor E. Atkinson, questions 32-838. Vedasi anche sullo stesso argomento l’articolo di W.E. Bear, The agricoltural problem nell’Economic Journal. Sett. 92, pag. 403-7. Vedi Ghino Valenti, Il riordinamento delle Borse di Commercio, parte prima, in Giornale degli Economisti, Giugno 1894, e la bibliografia ivi citata.
[31] Innet Claudio, Le Capital, la speculation et la finance, p. 248.
[32] The quarterly Journal of Economics, Vol. II, 1888, p. 37. Albert C. Stevens, Futures in the wheat market.
[33] Dai Commissari del Select Commitee on Depression in Agriculture in the United States furono mandati a più di 200 coltivatori dei questionari, in cui fra le altre cose si domandava anche: «What effect, if any, have dealings in futures and options had on the prices of farm products?». Novantasei risposero che questo sistema riusciva allo svilimento dei prezzi, venti dissero di non saperne nulla, trentotto omisero di rispondere a questa questione pur rispondendo alle altre, quarantuno dissero che non avea nessun effetto; e solo undici affermarono che esso contribuiva al rialzo dei prezzi (Digest of evidence … questions 27.823.25).
[34] Stevens, Futures in the wheat market, p. 54. Le vendite di grano effettuatesi in New York nei due anni 1892-93 assommarono a 2,203,456,000 bushels ossia almeno 30 volte la quantità esistente effettivamente sul mercato e più del doppio della produzione totale degli Stati Uniti. Cfr. F.O. Report, Agricoltural condition of the United States and the probable competition with British Agriculture in the Future, pag. 14.
[35] Vedremo fra breve come sia inesatta ed incompiuta questa analisi che i fautori dell’Anti Option Bill fanno della operazione a termine e dell’effetto suo nel prezzo dei cereali.
[36] Le cifre sono tolte dalla questione 15,685.
[37] The Banker’s Magazine. Dec. 94. Articolo di William M. Grassvernor sulla World’s Wheat Situation, p. 26. Nella stessa rivista, Maggio 1895, Albert C. Stevens, (The World’s Wheat Crops and Cause for Low Prices, pag. 782-89), mette in dubbio la esattezza delle cifre raccolte dal Dipartimento agricolo degli Stati Uniti sulla produzione del grano; confrontandole colla quantità totale di grano consumata ed esportata conchiudeva doversi quelle aumentare di almeno un decimo pel periodo 1889-95. Il fatto strano e curioso si è che le cifre più basse provenivano dagli Stati dove la Farmer’s Alliance aveva gettate più profonde le sue radici, e dove era più viva l’agitazione per una legge contro gli speculatori a termine sui grani. Il decremento fittizio verificatosi secondo le statistiche ufficiali nella produzione granaria contrastando con la persistente tendenza dei prezzi al ribasso, agevole riuscì ad attribuire la responsabilità della crisi alle perfide mene dei ribassisti. Vol. XI, Serie 2.a
[38] Albet C. Stevens, Futures in the wheat market. Quarterly Journal Economics, II, p. 44. Molti Stati hanno tentato di vietare questi contratti; fra questi l’Ohio, l’Illinois, il Mississipi.
[39] Vedi H.C. Emery, legistation against futures nel Political Science Quarterly, Marzo, 1895 – e F.O., Reports from H.M. Representatives in Germany, Belgium, and the United States on Legislative measures for suppressing Gambling in Fictitious Wheat Contracts, 1895. La imposizione di gravi tasse e la proibizione legale dei contratti a termine riescirebbe inefficace, come nota anche il Supino (Le leggi contro i giuochi di Borsa a proposito di una recente inchiesta in Germania, in Riforma sociale, 10 Novembre, 1894, pag. 726) per la difficoltà di sceverare le operazioni legittime dai veri e propri giuochi di Borsa, e per la facilità di trasformare i contratti scritti in promesse sull’onore. Solo la instaurazione di un nuovo sistema cooperativo di vendita da parte di un gigantesco Sindacato di produttori riuscirebbe a minare la potenza inafferrabile del capitale mobile potentemente organizzato. Si tratterebbe insomma di sfruttare ad esclusivo beneficio dei coltivatori quel vasto e mirabile sistema di commercio internazionale e di speculazione a termine, il quale salva sì i consumatori dalle troppe repentine oscillazioni dei prezzi, ma troppo sovente ridonda ora a vantaggio dei banchieri e dei borsaiuoli.
[40] Il Dr. C.I. Fuchs nel suo studio Der Englische Getreidehandel und seine Organisation (Iahrbucher fur Nationalokonomie und Statistik. N.F. Bd. XX. pag. 17-18) osserva che il cattivo raccolto del 1847 che obbligò il governo inglese a comprare dei cereali, stimolò vivamente la speculazione, libera dell’impaccio della scala mobile; ma la lunghezza del viaggio per mare rendeva gli affari molto pericolosi, ed obbligava a ricorrere al credito in proporzioni eccessive. Nel 1847 il prezzo medio del mese di giugno fu di 92 s. per quarter; con una importazione in quell’anno di 12 milioni di quarter, il prezzo cadde in settembre a 42 s. È agevole l’immaginare le perdite immense che i carichi in viaggio inflissero ai loro proprietari; alcuni carchi furono venduti ad un prezzo che rimborsava a mala pena le spese di nolo; altri furono realizzati col 50% di perdite. Queste perdite condussero alla rovina di molte ditte commercianti in grosso; in tutto più di 400 case grandi e piccole dovettero cessare i pagamenti.
[41] The quarterly Journal of Economics. Ottobre 1887, pag. 55.
[42] Claudio Iannet, Le Capital, la speculation et la Finance, au XIX Siecle. Paris 1892, p. 248.
[43] The Economist. Monthly Trade supplement 12 Dec. 1891. The agricultural prosperity of the United States, pag. 248.
[44] Iannet, op. cit. pag. 248.
[45] The Journal of the Board of Agriculture. Vol. I, N. 1, pag. 18. Noi non neghiamo che l’avvilimento dei prezzi delle derrate agrarie si debba sovente ascrivere durante ed immediatamente dopo il raccolto alle coalizioni degli intermediari e degli speculatori, ed invochiamo, come è detto nel testo, a porvi riparo la unione dei produttori aiutati dallo Stato; ma non è però esatto affermare che i contratti a termine e la speculazione di Borsa producano sempre questo effetto. Il Conrad, in uno studio sui Die Monatspreise des Getreides. Eine statistische Untersurchung zur Prufung des Einflusses der Borse auf die Preisbildung ha messo in chiaro che è vera appunto l’asserzione opposta. La influenza della Borsa e dei contratti a termine si è esercitata nel senso di sminuire sempre più la differenza fra i prezzi delle derrate nei diversi mesi dell’anno. Ed è evidente che quando non esisteva l’opera compensatrice ed eguagliatrice della speculazione, i prezzi dovevano oscillare più fortemente a seconda dei bisogni locali e la abbondanza dei primi mesi dell’anno doveva generare un rinvilio, mal compensato dall’incarimento negli ultimi mesi dell’anno; quando il grano era già tutto passato in mano degli intermediari. Ora invece la differenza media (1865-92) nella Prussia fra i varii mesi è solamente del 5 per cento pel grano, e del 3.6 per cento per la segala; e notisi che per questa Berlino è il mercato più importante del mondo e quivi le oscillazioni dovute alle manovre speculative dovrebbero essere maggiori. L’orzo invece che non forma oggetto dei contratti a termine, ci presenta delle oscillazioni più forti della segala, del 4.5% per la Prussia e del 22.5% per l’Inghilterra. Per l’avena anch’essa quasi esclusa dalla sfera delle speculazioni di borsa le veriazioni si elevano fino al 12 per cento. Il commercio a termine conduce adunque od un eguagliamento dei prezzi a favore dei produttori ed a torto questi lo rendono, indipendentemente dagli abusi a cui può dar luogo, bersaglio delle loro più aspre invettive. Vedi Jahrbucher fur Nationalokonomie und Statistik. III Folge, IX Band, pag. 247-72.
[46] Sui sindacati cfr. H.G. Edwardes, Report on the constitution, attributes, and legal status of Trusts, in the United States. F.O. Reports, 1890. Miscellaneous series N. 174. London, 1890, e, recentissimi, volumi LX e LXI degli Schriften des Vereins, fur socialpolitick. Uber wirthschaftliche Kartelle in Deutschland und in Auslande. Leipzig, Duncker, und Humblot. 1894 e 1895.
[47] Iannet, op. cit. pag. 295.
[48] Il guadagno per il produttore sarebbe enorme ove si pensi che oggidì esso riceve solo un quinto del prezzo pagato dal consumatore pel pane in Inghilterra; un quinto va a pagare le spese di trasporto; ed il rimanente 60 per cento costituisce il guadagno degli intermediari. Cfr. un interessante articolo del Banker’s Magazine. Sett. 1885, pag. 210-11. Must the middleman go?
[49] Sugli effetti economici derivanti dalla approvazione del progetto Kanitz e sulla stridente diseguaglianza a favore dei grandi proprietari della Germania orientale ed a danno dei piccoli coltivatori delle Provincie renane confr. I. Conraud Die Preisentwickelung der Jahre und der Antrag Kanitz nei Iahrbucher fur Nationalokonomie und Statistik. III Folge, IX Band. pag. 278-93.
[50] È quello che ha fatto il governo russo con buon esito anticipando denari contro la garanzia di cereali. Vedi F.O. Report, 1894, Annual series n. 1337, pag. 2.