La crisi agraria nell’Inghilterra (parte I)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/11/1895
La crisi agraria nell’Inghilterra (parte I)
«Giornale degli economisti», novembre 1895, pp. 504-523[1]
I
Condizioni dell’agricoltura inglese
Di fronte al perdurare ed all’inacerbirsi della crisi che travaglia da così lungo tempo l’economia agraria attuale, si sentono frequenti i vaticini della sua prossima scomparsa e dell’evento di una nuova era di alti prezzi e di prosperità. Un illustre economista italiano, il Loria, scriveva nel 1885: «Già si presentano i prodromi della attenuazione e della cessazione della crisi agraria attuale. Già la esportazione delle derrate dell’America presenta un notevole decremento; e mentre un illustre statista inglese, il Giffen, non si perita di affermare che tra 25 anni, l’America non potrà più accrescere le sue esportazioni di derrate agrarie, e di presagire la prossima rielevazione della rendita, una eminente autorità in materia di economia rurale, il Caird, avverte che il prezzo odierno dei cereali, dovuto ad una produzione eccessiva dell’America, è insufficiente anche a rimunerare il coltivatore americano, che i fallimenti e le crisi dei farmers che ne derivano, debbono arrecare come già arrecarono, una diminuzione nella esportazione degli Stati Uniti[2]». I fatti hanno smentito le induzioni alquanto affrettate del Loria; i prezzi del grano sono caduti così in basso come non furono mai da più di un secolo, producendo una parallela diminuzione della rendita dei proprietari.
La esportazione degli Stati Uniti si è accresciuta; riunendo insieme il grano e la farina, erano stati esportati nel 1881 prima della crisi 65 milioni di ettolitri; nel 1892 questa cifra era salita ad 81 milioni, malgrado che il valore ne fosse molto minore e che in molti luoghi dell’America settentrionale i coltivatori abbandonassero a migliaia le terre dissodate e coltivate con tanta fatica e tanto dispendio. Ai vecchi centri esportatori altri nuovi se ne aggiungono ogni giorno esercitando un effetto deprimente sui prezzi; l’India, l’Australia ed ora l’Argentina, invadono i mercati europei coi loro prodotti, ed i coltivatori dei paesi a circolazione monetaria deprezzata vincono gli agricoltori europei, impotenti a reagire col ribassare il costo di produzione e costretti ad innalzare altissime barriere doganali nella vana speranza di potere conservare i prezzi ad un livello rimuneratore. Malgrado ciò la crisi agraria non è scongiurata; nei paesi esportatori stessi, come in Russia, la coltivazione cerealicola subisce una diminuzione; i proprietari del Cherson, del Don e della Bessarabia sono costretti a far pascere dagli armenti le loro messi per la elevatezza dei salari agricoli ed il vile prezzo del grano[3]. A poca distanza da Londra nella contea di Essex i campi prima fiorenti sono convertiti precipitosamente in pascoli e in maggesi; la coltivazione delle terre è abbandonata, e fra pochi anni, se non vi si pone un pronto riparo, intiere parrocchie saranno convertite in lande incolte. Già i cascinali, le abitazioni degli operai agricoli, cadono in rovina, e si ha così il miserando spettacolo di intieri distretti che ritornano allo stato selvaggio vicino alla più grande città del mondo, dove si celebrano i maggiori trionfi del capitale mobile, e mentre i titoli dei consolidati inglesi e dei principali stati europei salgono ad altezze non mai più viste, e per la pletora di capitali ansiosi di impiego la buona carta commerciale è scontata al saggio derisorio dell’¼, ½ per cento. Tutto questo indica che noi ci troviamo di fronte ad uno stato patologico della agricoltura; la retrocessione delle terre europee, esauste da lunghi secoli di sfruttamento, a forme inferiori di coltivazione ci prova che non si tratta di una momentanea crisi nelle forze produttrici dell’Europa ma di una depressione che ha caratteri duraturi e la quale trae con sé un cambiamento profondo nei prezzi ed un regresso della rendita ad un limite del quale in Inghilterra si può ritrovare le tracce solamente nei peggiori anni trascorsi prima dell’abolizione delle leggi sui cereali. Di questo rivolgimento nella economia agricola, le cause sono molte e complesse; e la ricerca di esse è resa più difficile dall’agitazione degli interessati i quali, come sempre accade, si affannano a voler ricondurre ad una cagione unica tutti i mali di cui soffrono, speranzosi che, tolta quella, le cose vorranno riprendere il loro corso usato riportandoci a condizioni migliori. Così sorgono negli Stati Uniti, fiancheggiando le domande dei silvermen, le potenti società di agricoltori, come la National farmers alliance, a chiedere l’aumento della circolazione metallica e la proibizione dei contratti speculativi a termine; e vi fanno eco nell’Inghilterra i fautori del protezionismo e del Fair trade, in Germania il National Bund der Landwirthe.
A chi voglia studiare spassionatamente le cause e gli effetti della crisi agricola attuale forse non vi è paese dove i fenomeni si presentino in una luce più vera e meno falsata da rapporti fittizi e da disposizioni legislative di quel che non sia in Inghilterra. In essa il libero scambio ha, in mezzo secolo di vita, messo così profonde radici che vani paiono i tentativi di sostituirvi anche una pallida imitazione del protezionismo continentale; d’altra parte ivi la relativa scarsità della popolazione agricola ha costretto i coltivatori ad adottare i sistemi tutti che valgano a sfruttare la terra col minore dispendio. La assenza di barriere doganali ha fatto sì che la concorrenza transatlantica avesse in Inghilterra il primo contraccolpo, dimodoché bene può la agricoltura sua, con le debite restrizioni dovute alla diversità delle condizioni naturali, rappresentarci il termine finale a cui le altre economie rurali europee sono spinte con crescente velocità. Le alte lagnanze degli agricoltori hanno indotto il governo inglese ad adottare il provvedimento che in quel paese è il più usato: la nomina di una commissione d’inchiesta che studii le condizioni vere dei coltivatori e proponga quei rimedi che paiono i più adatti a migliorarne le condizioni.
Non è questa la prima Commissione nominata per studiare le condizioni della agricoltura e lo cause della sua depressione; già fino dal 1821 il prezzo del grano essendo caduto a 71 scellini al quarter seguito da un ulteriore ribasso a 53 scellini nel 1822 in causa di un forte raccolto nell’Inghilterra e dell’accresciuta importazione dell’Irlanda, le lagnanze dei proprietari fondiari, allora onnipotenti, spinsero il Governo alla nomina di una Commissione la quale non ebbe altro effetto che di accrescere la misura della protezione doganale di già goduta in forza di una legge del 1815. Alla proibizione totale dell’importazione del grano sancita dall’atto del 1815 finché non avesse raggiunto il prezzo di 80 scellini, la Commissione propose e fu ammesso di sostituire un dazio a scala mobile di 11 scellini al quarter quando il prezzo oscillava fra gli 80 e 70 scellini, prezzo minimo al disotto del quale la importazione era proibita.
Le condizioni dell’agricoltura inglese non migliorarono gran che; la spinta che gli alti prezzi verificatisi durante il periodo della rivoluzione francese avevano dato alla coltivazione dei cereali, aveva fatto sì che molte terre prima incolte venissero dissodate e seminate; non solo furono le terre comuni divise fra i proprietari confinanti, ma il numero delle enclosures aumentò sempre più nel primo quarto del secolo. L’aumento della produzione non trovando un corrispondente accresciuto potere di consumo condusse ad un ribasso dei prezzi che durò fino a dopo la approvazione della legge abolitiva del dazio sui cereali.
Due Commissioni furono elette nel 1833 e nel 1836-7, ma non ebbero nessun risultato pratico. Frattanto l’inaugurata politica del libero scambio avea prodotto un immenso sviluppo della attività manifatturiera inglese; le migliorate condizioni della popolazione, i maggiori salari aveano permesso un più alto tenor di vita agli operai; ed i prezzi delle derrate agrarie si innalzarono così con progressione lenta ma continua fino al 1873. Da quell’anno data il principio di un nuovo periodo nel corso dei prezzi contrassegnato da un rinvilio sempre crescente delle derrate agrarie.
Nel 1879 fu nominata la cosidetta Duke of Richmond Commission, la quale fece una inchiesta che durò fino al 1882. Quasi tutti i testimoni furono concordi nell’attribuire i mali di cui soffrivano gli agricoltori al carattere eccezionalmente cattivo dell’annata 1879. Il Caird, una eminente autorità in cose rurali, fece osservare che il prodotto medio per acre del grano in cinque annate prima del 1861 era stato di ventiquattro bushels mantenendosi il prezzo a 61 s. mentre nei cinque anni 1873-75-76-77 e 79 il prodotto medio fu di soli 19 bushels ed il prezzo era caduto ciononostante a 40 s. 10 d.
La Commissione nel suo rapporto finale fece varie proposte; fra esse le principali furono tradotte in atto; cosi si è aumentato il contributo delta proprietà mobile al pagamento delle tasse; si sono offerte agevolezze alla costruzione di case pei contadini; si è proibita la introduzione nel regno del bestiame affetto da malattie contagiose; la coltivazione a cereali ha forse anche con troppa rapidità ceduto il luogo alla coltivazione a prati ed a pascoli; furono adottati provvedimenti contro la adulterazione del latte, del cacio e di altre derrate; si è cercato per mezzo dell’Agricullural Holdings Act di dare affidamento agli affittavoli di un compenso per le migliorie da loro introdotte nei fondi; si è posto esclusivamente a carico del proprietario il pagamento delle decime; si è costituito un Ministero di Agricoltura.
Malgrado ciò la crisi agraria perdura tuttora ed assume delle forme più dolorose, ed acute. La National Agricultural conference tenuta a Londra il 7 e l’8 dicembre 1892 invocava ad alte grida come rimedio alle condizioni disperate dei coltivatori una riduzione generale dei fitti, una energica protezione doganale insieme colla adozione del bimetallismo. Una nuova Commissione d’inchiesta fu nominata nel settembre 1893 per studiare la depressione agraria nell’Inghilterra e nella Scozia; ed i risultati delle sue ricerche offrono largo campo di considerazioni e di studio[4].
E non è da stupire che il Parlamento mostri tanta cura degli interessi agricoli: predominanti nella Camera dei Lordi, i proprietari terrieri sono anche fortemente rappresentati nella Camera bassa e della loro influenza traggono profitto per assicurare alla industria agricola gli aiuti sempre più generosi e frequenti del Governo. Fino al 1875 la loro ricchezza era sempre venuta crescendo: pareva volessero avverarsi i vaticini della scuola ricardiana che presagivano una ascensione illimitata del reddito fondiario e l’assorbimento da parte degli oziosi proprietari della parte maggiore delle ricchezze dell’Inghilterra. Nella quale il reddito annuo sottoposto all’income tax era cresciuto dal 1857 al 1875 da 41,177,000 di lire sterline a 50,125,000 con un aumento del 21 per cento, che nella Scozia era del 26 per cento essendosi passato da 5,932,000 a 7,493,000. L’aumento solo per piccola parte era dovuto, come fa notare bene il Caird[5], alle migliorie effettuate dai proprietari e dagli affittavoli ed era invece il risultato dell’accrescersi della popolazione, e della maggiore richiesta di derrate agrarie, e specialmente di carne, latticini, frutta, ortaggi. L’aumento era stato più grande là dove le condizioni naturali del clima e del suolo erano più adatte all’estendersi dei prati ed all’allevamento del bestiame, nella Scozia cioè e nella parte settentrionale ed occidentale dell’Inghilterra, dove le ultime diramazioni della calda corrente del golfo mantengono temperato il clima e per la sua umidità favorevole alle praterie. L’accrescimento maggiore avvenuto nella Scozia era stato favorito anche dalla migliore educazione agraria ricevuta da quei proprietari più facilmente pronti ad adottare nuovi progrediti metodi di cultura e dalla consuetudine dei lunghi affitti, che agli affittavoli scozzesi rendeva proficuo l’impiego di larghi capitali negli ammegliamenti culturali sicuri di rivalersi in seguito delle spese incontrate. Ora tutto questo è cambiato. La rendita fondiaria ha subito un rinvilio crescente, che la sta facendo retrocederò ad un limite oltrepassato da più di un mezzo secolo.
Ed in verità nella sola Inghilterra il reddito della terra è disceso a 30,238,742 lire sterline noi 1888-89, al disotto della cifra raggiunta nel 1842-3, quando in condizioni economiche così diverse e prima ancora di tutte le grandi scoperte di metalli preziosi, il reddito fondiario assommava a 30,589,471. Mentre il reddito dei proprietari fondiari precipitava in breve tempo dalle altezze così faticosamente raggiunte, il reddito delle case aumentava nello stesso periodo (1842-3, 1888-9) da 34 a 117 milioni di sterline[6], ed i profitti industriali e commerciali crescevano da 222 milioni nel 1875-80 a 304 nel periodo 1892-93. Così la preminenza dell’agricoltura in Inghilterra svaniva e quella forza indefinita di accrescimento che si era proclamata insita nella natura stessa della rendita fondiaria emigrava dalle campagne alle città ove gli alti salari attraevano gli operai rurali ed i lauti guadagni ottenuti nello industrie e nei commerci allettavano i capitalisti avidi di nuovi guadagni. Alla terra per il basso saggio di interesse offerto non si rivolgevano oramai che i capitali dei mercanti arricchiti nel commercio, dei banchieri ritiratisi dagli affari e desiderosi di collocare i loro risparmi in modo sicuro e senza pericoli. La terra era diventata per gli inglesi quello che era nel medio evo per le nostre repubbliche lombarde: un salvadanaio dove i ricchi cittadini riversavano i risparmi accumulati per assicurare alla propria discendenza i frutti della loro operosità; e come le nostre grasse e fertili pianure lombarde così anche le verdi vallate dell’Inghilterra erano diventate il ricettacolo dei capitali che le nazioni di tutto il mondo offrono in tributo alla industria ed al commercio inglese. Malgrado questo iniettamento continuo di capitali nel suolo, i proprietari videro falcidiate le loro rendite nella proporzione altissima del 30 al 40 per cento; nelle torre possedute dalla Corona estese per circa 70 mila acri la rendita è diminuita in media da 30 a 20 scellini all’acre benché vi fossero state spese nel periodo scorso dal 1880 al 1893 più di 220 mila sterline in migliorie permanenti e di 36 mila in riparazioni. Nei 6,000 acri posseduti dal Guy’s Hospital nella contea di Lincolnshire la rendita salita da 4,499 lire nel 1801 a 7,838 nel 1840, a 15,501 nel 1879 ribassò poi nel 1893 a 10,879 malgrado le larghe somme spese nelle migliorie. Ed il ribasso esiste anche nelle terre dell’Essex dove il fitto da 12,189 nel 1879 scese a 6,771 nel 1893. I distretti più colpiti sono quelli coltivati a grano. Il signor Hunter Pringle, relatore per la contea dell’Essex, afferma che le rendite sono state ridotte in 13 anni del 52 per cento, gli arretrati sono stati condonati, si sono spese grosse somme in costruzioni e malgrado questo, gli affittavoli non si trovano in grado di pagare gli affitti.
La Quarterly Review in uno studio dal titolo lugubre Perish Agriculture! (April 1895 pag. 406-30) ha riprodotto dal Journal of the Royal Agricultural Society un quadro molto suggestivo sullo riduzioni dei fitti avvenute nelle varie contee inglesi:
Contea | Riduzione per cento | Contea | Riduzione per cento |
Northumberland | Da 20 a 25 | Hereford | Da 20 a 30 |
Cumberland | » 30 » 40 | Somerset | » 20 » 40 |
York | » 10 » 50 | Oxford | » 26 » 50 |
Lancaster | » 5 » 30 | Berks | 90 |
Stafford | » 10 » 25 | Suffolk | Fino a 70 |
Leicester | 40 | Essex | Da 25 a 100 |
Nottingham | Da 14 a 50 | Kent | » 15 » 100 |
Warwick | » 25 » 60 | Sussex | 42 ½ |
Northampton | 50 | Hants | Da 25 a 100 |
Huntingdon | Da 40 a 50 | Wilts | » 10 » 75 |
Derby | » 14 » 25 | Devon | » 10 » 25 |
Gloucester | 50 | Cornwall | » 10 » 100 |
Nella Scozia e nelle parti dell’Inghilterra dove prevale la coltura estensiva a pascoli, la riduzione non è stata così forte; nell’Aryshire su 110 mila acri si è verificato un ribasso nei fitti dal 13 al 18.4 per cento[7]. La diminuzione della parte del prodotto annuo spettante ai proprietari ha proceduto parallela al decremento nel prezzo dei prodotti stessi. II Giffen ha presentato alla Commissione due interessanti tavole che ci indicano il valore della produzione agricola nel 1874 secondo il Caird, ed il rispettivo valore nel 1891, paragonato con quello che essa avrebbe avuta se i prezzi si fossero mantenuti allo stesso livello del 1874. Il valore è sceso da 260 a 222 milioni di lire sterline, mentre se i prezzi fossero ancora quelli del 1874 esso sarebbe di 299 milioni circa. La perdita che i coltivatori soffrono è di 77 milioni e sarebbe maggiore se si prendessero a base i prezzi non del 1891 ma del 1894.
La correzione è stata fatta dalla Quarlerly Review (pag. 418-19); eccone i risultati:
La perdita derivante da 20 anni di acuta crisi agricola si concreta per tal modo in una somma annua di 88 milioni di lire sterline corrispondenti alla enorme cifra di 2,200 milioni di lire italiane ed al terzo del valore totale della produzione agraria nel 1874.
Le cifre raccolte nel quadro precedente si prestano anche ad alcuni interessanti raffronti e ci spiegano quale delle diverse culture abbia negli ultimi anni sofferto maggiormente.
La produzione del grano che equivaleva nel 1874 ad una somma di 41,829 mila sterline non rappresentava più che 8,263 mila nel 1894; ed il ribasso non si limitava al valore delle merci ma riguardava anche la quantità prodotta. Questa diminuzione ha un significato più grande di quello che a prima vista non paia; perche ci prova il passaggio della economia rurale inglese dalla coltivazione del grano all’allevamento del bestiame, e la sostituzione della economia della villa, come dicevano i Romani, intesa al soddisfacimento dei bisogni molteplici e raffinati delle grandi città industriali e commerciali, alla economia dei paesi agricoli il cui scopo precipuo si riassume nella produzione dei generi di consumo più immediato. Della enorme diminuzione della superficie coltivata a grano in causa del rinvilito prezzo se ne ha una prova nello specchietto seguente:
Acri agricoli dal 1 sett. Al 31 ag. Medie dei sei anni | Acri coltivati a grano | Raccolto medio per acre | Prezzo medio del grano per quarter | Produzione totale (meno le semenze) | Totale del raccolto | Importazione meno le esportazioni per quarters | Totale del 5 e 7 | Popolazione a metà dell’anno agricolo |
1869-75 | 3,821,000 | 3.32 | 53.4 | 11,633,000 | 31,021,000 | 10,763,000 | 22,396,000 | 31,930,000 |
1675-81 | 3-241,000 | 3.06 | 47.1 | 9,052.000 | 21,310,000 | 14,907,000 | 24,019,000 | 33,980,000 |
1881-87 | 2,751,000 | 3. 48 | 37.4 | 8,756,000 | 16,344,000 | 17,924,000 | 26,680,000 | 35,794,000 |
1887-93 | 2,462,000 | 3.71 | 31.4 | 8,531,000 | 13,365.000 | 19.789,000 | 28,320,000 | 37,600,000 |
1893-94 | 1,955,000 | 3.26 | 26.0 | 5,885,000 | 7,650.000 | – | – | – |
La esportazione straniera che nel 1869-75 provvedeva meno che mezzo il grano necessario al consumo dell’Inghilterra, vi contribuiva nel 1887-93 in proporzione del 70 per cento. La produzione invece dell’orzo o dell’avena, diminuì leggermente in causa del minor ribasso dei prezzi, e della grande domanda fattane per scopi industriali. Cosi per l’ orzo
Acri agricoli Media degli anni | Superficie in acri | Raccolto medio per acre in quarter | Produzione totale in quarter | Prezzo medio per quarter | Valore totale del raccolto |
1860-75 | 2,324,170 | 4.1 | 9,529,000 | 39.6 | 18,820,000 |
1875-81 | 2,510,333 | 3.6 | 9,037.000 | 35.10 | 16,191,000 |
1881-87 | 2,276,000 | 4.20 | 9,559,000 | 29.3 | 13,980,000 |
1S87-93 | 2,092.000 | 4. 16 | 8,703,000 | 27.1 | 11.785,000 |
1892-93 | 2,075,000 | 3.59 | 7,442,000 | 28.4 | 10,543.000 |
e per l’avena | |||||
1869-75 | 2,706,166 | 5.9 | 15,966.000 | 25.7 | 20,423,000 |
1875-81 | 2,722,700 | 5.2 | 14,158.000 | 24.5 | 17,284.000 |
1881-87 | 2,941,000 | 4.90 | 14,411,000 | 20.2 | 14,531,000 |
1887-93 | 2,943.000 | 4.79 | 14,097.000 | 18.6 | 13,040,000 |
1892-93 | 3,172,000 | 4.45 | 14,111,000 | 18.0 | 12,700,000 |
Malgrado la diminuzione meno sentita nella cultura dei cereali inferiori, si va operando una gigantesca trasformazione culturale; eccone le prove nelle cifre seguenti che ci dicono quale superficie sia coltivata a cereali su 1,000 acri del territorio posto a cultura:
1870 | 1880 | 1890 | ||
Inghilterra | 1mo gruppo |
(corn- counties)
209
181
158
2mo gruppo
160
122
100
3mo gruppo
124
96
72
4mo gruppo
(grazing- counties)
73
50
35
Galles
50
32
24
Scozia
28
16
13
La diminuzione benché proporzionalmente più forte nella Scozia e nel Galles è ivi meno sentita, perché la economia rurale riposa su altre basi, essendo la terra arida e infeconda delle montagne adatta solo al pascolo ed alle foreste che sotto il nome di deer forest hanno sostituito da lungo tempo la economia patriarcale degli Highlands.
Parallelo a questo decremento nella cerealicoltura avviene nell’Inghilterra uno estendersi crescente nella superficie a prati stabili ed a pascoli e nella cultura delle piante da foraggio, come le bietole, le rape, le patate ecc. Gli inglesi hanno sentito molto presto che conveniva abbandonare quelle culture che meno fossero proficue ed alla spossante ed esauriente coltivazione di cereali, disadatta all’umido clima, hanno sostituito un perfezionato sistema di prati stabili ed a vicenda, dove si allevano quelle famose razze bovine, ovine e suine che formano la gloria maggiore dell’agricoltura inglese. La ricchezza che essi traggono così dal terreno prima arido e sabbioso, ed ora trasformato in pingui praterie, viene restituita al terreno in parte sotto forma di concime fertilizzante. «Si può ben dire, nota un acuto osservatore, il Galanti[8] che l’agricoltura inglese riposa oramai su basi semplicissime: i molti prati perenni o temporanei; due piante a radice carnosa, le patate e le rape; due cereali di primavera, l’orzo e l’avena; un solo vernino, il frumento; tutte queste piante incatenate fra di loro da un avvicendamento alterno, cioè dall’interposizione regolare dei cereali, detta raccolta bianca –white crop – con le piante foraggere detta raccolta verde – green crop – che ha principio con piante tuberose, per finire col frumento; ecco tutto.
Gli inglesi abolirono ogni altra cultura, come le barbabietole da zucchero, il tabacco, le oleaginose, le frutta; le une perché il clima vi si oppone, le altre perché sono troppo esaurienti, o perché essi non vogliono complicare inutilmente i loro mezzi di produzione. A due piante industriali non fu esteso l’ostracismo, cioè al luppolo in Inghilterra ed al lino in Irlanda». La parte grande che i coltivatori inglesi davano al raccolto verde quando il Galanti nel 1892 visitava l’Inghilterra si accrebbe sotto la pressione delle perdite enormi incontrate nelle altre culture; per non stare a ripetere le cifre da tutti conosciute che ci rappresentano la discesa precipitosa nei prezzi del grano, ricorderemo solamente che questo da 55 scellini nel 1873 era disceso a 27 nel 1892 ed a 20 nel 1894. Nella contea dell’Essex, coltivata in prevalenza a cereali, i fittaioli abbandonano in massa i fondi, ed i proprietari per mancanza di denaro sono costretti a lasciarli incolti. La terra prima così ammirabilmente coltivata, è ridotta a maggese, e le erbacce che vi pullulano danno solamente un meschino reddito come pascolo per i greggi di pecore. Gli affittavoli non prendono neppure più la terra col patto di pagar solo le tasse e le decime[9].
La crisi che affligge l’agricoltura inglese, costringendola ad adottare forme nuove di sfruttamento della terra, trova il suo contraccolpo nelle cifre che ci raffigurano la estensione relativa delle varie culture rispetto alla terra coltivata.
1870 | 1880 | 1890 | |
Grano | 19.1 % | 16.5 % | 14.3 % |
Orzo | 12.9 | 14.0 | 12.0 |
Avena | 15.1 | 15.8 | 17.3 |
Segale | 0.4 | 0.2 | 0.3 |
Fave | 2.9 | 2.4 | 2.2 |
Piselli | 1.7 | 1.3 | 1.3 |
Patate | a. 2 | 3.1 | 3.2 |
Rape ecc. | 10.4 | 1G.C | 16.5 |
Prati | 24. 6 | 25. 1 | 28. 7 |
Maggese | 3.3 | 4.6 | 3.0 |
La terra a prati ed a pascoli saliva da 27 milioni di acri nel 1867 a 33 milioni nel 1890, sui quali si alleva una maggior quantità di bestiame, come appare nel seguente specchietto:
Media degli anni | Bestiame | Pecore |
1870-75 | 5,744,822 | 28,724,013 |
1876-81 | 5,826,707 | 27,351,250 |
1882-87 | 6,287,554 | 25.578,419 |
1888-03 | 6,545,973 | 27,151,537 |
Ma anche qui, sebbene in misura più lieve, la pressione della concorrenza estera si fa sentire; il prezzo della lana diventa sempre meno rimunerativo per gli allevatori inglesi di pecore che si trovano in una condizione di svantaggio di fronte ai proprietari della Australia, i quali hanno opportunità di fare degli allevamenti in grande, e traggono un beneficio dalla abbondanza di terre ricche di pasture offerte senza spesa alcuna alle greggi di pecore che a milioni popolano quelle terre. La lana per pack è scesa da 23 lire sterline nel 1873 a 11 ½ nel 1892.
Benché in minor grado anche la carne di bue e di montone è deprezzata; e così pure i produttori di latticini non traggono più dalla loro industria quel profitto che si ricavava quando il prezzo non era ancora disceso da 8 a 6 pence al gallone.
I bassi prezzi ebbero il loro contraccolpo non solo sulle condizioni dei proprietari, ma anche e forse prima, sulla fortuna degli affittavoli; le riduzioni dei fitti non vennero così sollecite come avrebbe richiesto l’inacerbirsi continuo della depressione; a poco a poco però i proprietari dovettero arrendersi alle giuste domande dei loro fittaioli, ed il signor Wilson Fox ha dovuto riconoscere che i proprietari avevano fatto in generale il loro dovere rinunciando ad una porzione cospicua dei proprii redditi. Molti coltivatori affermano che la riduzione del fitto non sarebbe da sola un rimedio sufficiente alla depressione agraria; le spese per la mano d’opera ed i concimi superano di gran lunga la rendita pagata al proprietario. La perdita subita per il ribasso del prezzo del grano equivale da sola all’intiero fitto[10].
Primi ad andare in rovina furono i fittaiuoli sprovvisti della capacità e delle cognizioni necessarie a superare i tempi cattivi[11]. La grande maggioranza però degli agricoltori industriosi, intelligenti ed attivi ha dovuto sottostare anch’essa a successive perdite nel proprio capitale di conduzione; i risparmi faticosamente accumulali nelle annate prospere sono sfumati; il loro credito presso le banche non è più così buono come prima; oggi non possono più mandare i loro figli ad impratichirsi in una cascina modello, come era costume antico e lodevole in Inghilterra, e non sorride più loro la speranza di diventare proprietari. Il pagamento dei concimi e delle sementi va diventando sempre più gravoso per la mancanza di danaro; i debiti crescenti li mettono alla dipendenza dei loro fornitori; il raccolto del 1894 che fu relativamente buono non portò alcun sollievo ai coltivatori dovendo essi impiegare i denari ritratti dalla vendita dei prodotti a pagare i debiti degli anni precedenti.
Il tenore di vita peggiore; le grandi e comode abitazioni rurali nascondono sotto un’apparenza di agiatezza gli sforzi fatti per superare le cattive annate; il lavoro fatto prima dai servitori è compiuto ora dalle mogli e dalle figlie degli affittavoli. E si noti che tutto ciò riguarda solamente quelli che esercitano l’industria agraria con larghi capitali varianti sovente da 10 a 20 mila lire sterline.
I piccoli coltivatori impotenti a resistere al primo colpo dell’avversa fortuna sono già quasi scomparsi, se si eccettuino i contadini scozzesi trasmigrati nell’Essex e la cui riuscita è dovuta sopratutto all’indefesso lavoro personale[12]. I piccoli proprietari nella contea del Lincolnshire si trovano in una condizione di gran lunga peggiore che non gli affittaiuoli. Essi comprarono la terra in annate di grande prosperità ed a prezzi altissimi ; mancando del denaro necessario, ipotecarono il fondo comprato fino al 60, al 70 all’80 per cento del suo valore ad un saggio d’interesse variabile dal 4 ½ al 5 ½ por cento. Ora si trovano nella assoluta impossibilità di far fronte ai loro impegni; gli interessi sui debiti ipotecari rimasero immutati mentre diminuiva il valore della terra; onde frequenti gli abbandoni di fondi ai creditori ed agli antichi proprietari. «Pure, osserva malinconicamente il Fox, la maggior parte di questi piccoli proprietari rovinati erano il fior fiore della loro classe, i più valenti fra gli operai, i più operosi nell’adempimento dei loro doveri. Dopo aver lavorato aspramente e messo da parte a forza di privazioni un qualche risparmio allo scopo di elevarsi da una classe in un’altra superiore, ed aver sperato di avere raggiunta la indipendenza, si videro costretti a fare fallimento, a vedere i loro risparmi sfumati, le loro fatiche inutilmente sprecate, le loro speranze deluse e dovettero ritornare alla rude vita dell’operaio in una età nella quale cominciano a venir meno l’energia e la capacità al lavoro»[13].
«The small freehold farmer works very hard, but after all is not so well off as a common labourer». Questo dice l’Hunter Pringle, ed è vero. Gli operai rurali hanno visto diminuiti i loro salari, ma non nella proporzione in cui è diminuito il prezzo dei principali prodotti agrari, la rendita dei proprietari ed i guadagni degli affittaiuoli. Il loro numero è grandemente diminuito dal 1871 al 1801:
1871 | 1891 | Diminuzione | |
Inghilterra e Galles | 906,642 | 798,912 | 19.85 |
Scozia | 165,006 | 120,770 | 26. 8 |
Irlanda | 509,344 | 280,086 | 45. 0 |
Regno Unito | 1,671,082 | 1,190,708 |
La diminuzione nel numero degli operai agricoli ha contribuito a migliorare le condizioni di quelli che rimanevano ed il Little non dubita di affermare che i salari degli operai rurali, quantunque sieno leggermente diminuiti negli ultimi anni, hanno però una maggiore potenza di acquisto. Se nel periodo 1831-40 il 93 per cento dei salari era necessario al consumo famigliare, rimanendo solamente il 7 per cento per soddisfare a tutti gli altri bisogni della vita, nel periodo 1881-1890 invece il margine per le altre spese si innalzava fino al 42 per cento[14]. L’altezza del salario degli operai rurali in mezzo ad una crisi agraria acuta e lunga è un fenomeno consolante per tutti quelli che desiderano la maggiore possibile stabilità nelle condizioni economiche e morali delle classi operaie, ma fornisce, ed è naturale, un nuovo argomento di lagnanze ai proprietari ed agli affittavoli, costretti a subire per intero la pressione delle peggiorate condizioni del mercato.
Il lamento è generale nel mondo agricolo inglese ; la depressione non mai come adesso si è fatta sentire con tanta violenza e pare voglia ridurre all’ultima rovina la intera classe dei fittaioli e dei proprietari già spossati da una lotta sostenuta per ben 15 anni; non è meraviglia per ciò che a siffatta condizione disperata di cose si attribuiscano cause diverse, e si invochino rimedi molteplici e discordi. La concorrenza estera, la scarsezza del medio circolante, la poca stabilità nelle condizioni dei fittavoli per i contratti agrari non giusti, la speculazione perniciosa sui prezzi delle derrate, la gravezza delle decime e delle tasse, ecco i motivi della crisi secondo gli agricoltori inglesi. Bisogna esaminare con accuratezza le loro affermazioni, e vedere quali sieno veramente i rimedi che possono aiutare la economia rurale a togliersi dalle tristi condizioni in cui ora giace.
[1] Rielaborazione della tesi di laurea di L. Einaudi [Ndr.].
[2] Prefazione ai Doveri della proprietà fondiaria del Mortara pag. X-XII.
[3] E. Masè-Dari, Le condizioni agricole della Russia pag. 27. Cfr. La depressione agraria nella Gran Brettagna ed all’Estero di William E. Bear nel Journal of tke Royal Agricultural Society of England 31 die. 94 e F. 0. R. Miscellaneous series N. 361. Report on the agricultural position of Germany May 1895.
[4] Sono già stati pubblicati due volumi dei Minutes of evidence taken before Her Majesty’s Commissioners appointed to inquire into the sulrjecl of agricultural depression di pag. 457 e 662 e 10 rapporti dei commissari Wilson Fox sulle contee del Lincolnshire c del Northumberland, Hunter Pringle sull’isola di Axholme e le contee di Essex, di Durham e del Yorkshir, Henrj Kew sul Wiltshire, ed il Nord Devon. Jabez Turner sul Somerset ed il Warwickshire, W. Fream sull’Hampshire ed il Kent, Aubrey Spence sulle contee di Oxford, Gloucester, Wilts, Berks, James Hope sulle contee di Perth, Fife, Forfar Aberdeen, Roxburgh, Berwick, Selkirk, Peebles, Linlithgow, Edinburgh, Haddington, Banff, Nairn, ed Elgin, John Speir sulle contee di Ayr, Wigtown e Dumfries.
[5] James Caird, The Landed interest and the supply of food.
[6] Vedi lo studio di sir John Lubbock nella North American Review del febbraio 1894, sulla The income tax in England dove a dimostrare la intensità della crisi agraria l’A. mette a confronto le cifre del 1882 e del 1892 del reddito ricavato dalle terre a dallo case in tutto il Regno Unito.
1882 | 1892 | |
Terre | 69,800,000 | 57,400,000 |
Case | 121,000,000 | 143,000,000 |
[7] Vedi nello Journal of the Royal Statistical Society 1892 gli studi del Price su The Recent depression in Agriculture as shown in the Accounts of an Oxford College, 1876-90 pag. 2 e dello Steele su The Agricultural Depression and its Effects on a leading London Hospital, pag. 37. Cfr. nel fascicolo di Marzo 1895 della stessa rivista: The Colleges of Oxford and Agricultural Depression by L. t. Price, pag. 30-74.
[8] Galanti, Viaggio agronomico pag. 372, Vol. XI, Serie 2a.
[9] Vedasi nel rapporto dell’Hunter Pringle sulla contea di Essex una magnifica carta ove sono descritti i progressi fatti dai pascoli a spese delle terre arale. A nulla ha giovato la vicinanza delle ferrovie e delle grandi Città.
[10] Report by Mr. Wilson Fox on the County of Linrolnshire, pag. 95.
[11] Id. pag. 59.
[12] Report by Mr. R. Hunter Pringle on the Isle of Axholme and the Ongar, Chelmsford. Maldon and, Braintree districts of Essex. Chap. III. The Scotch settlers in Essex, pag. 43.
[13] Report by Wilson Fox on the county of Lincolnshire cit. p. 67. Vedasi anche il rapporto dell’Hunter Pringle sulla deplorevole condizione dei piccoli proprietari dell’isola di Axholme, i quali pure godono di vantaggi speciali per la comodità di smercio dei loro prodotti.
[14] Royal Commission on Labour. The agricultural Labourer Vol. V, Part. I, General Report by Mr. William C. Little, pag. 161. Il prof. C. F. Ferraris in un articolo su La questione agraria in Inghilterra (N. Ant. I876, vol. 27, pag. 93) pone in luce le condizioni miserrime della popolazione agraria nell’Inghilterra ; dopo vent’anni il fosco quadro tracciato dal Ferraris non corrisponde più fortunatamente alla realtà; la odierna crisi agraria incombe col massimo suo peso, non sui lavoratori, ma sugli affittavoli e sui proprietari; delle migliorate condizioni economiche degli operai delle campagne si possono leggere le prove nell’ultima grande inchiesta sul lavoro, i cui risultati sono riassunti nel Discorso introduttivo alla 4a serie della Biblioteca dell’Economista, pel prof. S. Cognetti de Martiis, La evoluzione della Vita economica e della Coltura economica. Vol. I, pag. XXXVI-VII. Lo spopolamento delle campagne è proseguito con veemenza continua d’allora in poi inacerbito dalla persistenza e dall’ingrandirsi della grande proprietà fondiaria, senza che gli Small holdings e gli Allottements Acts vi abbiano posto sufficiente riparo e continuerà se l’azione loro non venga rinforzata, allo scopo di togliere il dissidio stridente fra i pochi grandi padroni del suolo e le moltitudini di operai che al suolo non sono attaccati da nessun legame.