Intorno alla nuova emissione ferroviaria
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 23/04/1912
Intorno alla nuova emissione ferroviaria
«Corriere della sera», 23 aprile 1912
Alcune informazioni pubbliche intorno al collocamento di 250 milioni di Buoni del Tesoro quinquennali 4 per cento hanno fatto sorgere in parecchi lettori del Corriere un dubbio che è opportuno chiarire. Era stato detto che il Governo si era fatto autorizzare ad emettere i suddetti buoni in sostituzione dei titoli di debito redimibile 3,50 e 3 per cento netto che furono emessi negli anni passati per le spese ferroviarie e che non parevano più adatti al momento presente. L’essere stata usata – e fu usata pure nella circolare ufficiale diramata dagli Istituti consorziati ai loro clienti – la frase in sostituzione ha fatta credere a qualche detentore di titoli redimibili 3,50 e 3 per cento che si volessero coi nuovi Buoni 4% ritirare, sostituire le antiche obbligazioni 3,50 e 3 per cento. Uno di essi scrive: «la sostituzione del titolo redimibile coi buoni del tesoro sarà volontaria od obbligatoria, si farà alla pari del prezzo di emissione oppure al prezzo di borsa? E per le obbligazioni non sostituite come varrà il piano di estrazione attuale del periodo di un “cinquantennio”?». Tutto è fondato su un equivoco. I nuovi buoni 4% non sono emessi per sostituire, per ritirare le vecchie obbligazioni 3,50 e 3% netto; sono emessi invece di nuove altre obbligazioni 3,50 o 3% netto che si dovrebbero emettere, nella misura annua di 150 milioni, per far fronte allo svolgimento normale del programma ferroviario. Tutti gli anni lo Stato deve procurarsi col credito 150 milioni di lire per nuove linee e per spese in conto capitale delle ferrovie. Negli anni scorsi se le procurò emettendo obbligazioni redimibili 3,50 e 3 per cento; quest’anno non crede opportuno di seguire la stessa via e provvede al fabbisogno di due anni (300 milioni, di cui 50 però sono riservati alle casse pubbliche le quali abbiano capitali da investire) emettendo invece buoni del tesoro quinquennali 4 per cento. Questi nuovi buoni sono già assunti dal Consorzio bancario, il quale provvede a collocarli – in tutto o in parte probabilmente in parte soltanto perché le stesse Banche pare vogliano tenere dei buoni per investimento di capitali di cui hanno il maneggio – presso la propria clientela. Gli istituti consorziati hanno diramato alla loro clientela una circolare, che del resto ritengo sia a disposizione di chiunque si rechi agli sportelli delle Banche a farne richiesta, per spiegare le modalità della sottoscrizione.
Ecco tutto. I detentori delle obbligazioni ferroviarie 3,50 e 3% netto, non hanno alcun motivo di credere che essi abbiano qualcosa da vedere coi nuovi Buoni del tesoro. Le loro obbligazioni rimangono in vita; lo Stato seguiterà a pagare su di esse il pattuito interesse e le rimborserà alla pari secondo il piano d’ammortamento prestabilito. Nulla di variato in tutto ciò; ne` variazione potrebbe immaginarsi, non avendo lo Stato interesse a compierla ed abbisognando in ogni caso il consenso dei portatori. Si può aggiungere – come del resto faceva già in parte notare una corrispondenza romana del Corriere – che lo Stato italiano scegliendo ora il tipo 4% Buoni quinquennali, non ha fatto altro che seguire un metodo che tende ad universalizzarsi nel periodo presente. La forma dei debiti è una conseguenza del momento storico che si attraversa. Quando l’interesse tende a diminuire (come accadeva dal 1880 al 1900 circa) gli Stati emettono rendita consolidata perpetua e redimibile a lunga scadenza, per esempio 3,50 o 3 per cento. I capitalisti sperano così di garantirsi per un lungo periodo di tempo l’interesse corrente nel momento del prestito; e si impegnano volontieri ad imprestare loro capitali al 3,50 o 3% per sempre (rendita consolidata perpetua) o per lungo tempo (obbligazioni redimibili in 50, 60, 90 anni), perché temono che, aspettando, l’interesse possa ribassare ancora di più. Lo Stato volontieri fa debiti sotto questa forma perché spera che, se l’interesse ribasserà sul mercato, e se le sue finanze saranno buone, con bilanci prosperi, esso sia in grado di proporre ai suoi creditori l’anticipato rimborso del capitale alla pari, quando essi non si contentino di un interesse minore, ad es. 3,25 0 2,75 per cento.
Ambedue le parti corrono un’alea, e sono stimolate a correrla: il capitalista dal timore di un ulteriore ribasso nel tasso dell’interesse, lo Stato dalla speranza che appunto l’interesse abbia a ribassare.
L’opposto accade quando l’interesse tende ad aumentare, come è precisamente il caso all’estero da circa il principio del secolo, in Italia da pochissimo tempo. Perché in Italia e forse in qualche altro paese, come la Francia, questa tendenza al rialzo nel tasso dell’interesse sia incominciata dopo che già s’era affermata in Inghilterra, Germania, Austria, Svizzera, Stati Uniti ecc. sarebbe non facile e complessa sebbene interessante, questione da esaminare. Certo è che, come riconobbe, si può dire ufficialmente, lo Stringher nella sua ultima e bella relazione agli azionisti della Banca d’Italia, oramai questa tendenza è dappertutto generalizzata. Dato questo punto di partenza, che è un fatto incontrovertibile, quali le conseguenze logiche. Che i capitalisti non vogliono impegnarsi per lungo tempo perché sperano che il tasso dell’interesse abbia ad aumentare ancor più e vogliono avere fra uno, due, cinque anni di nuovo capitali a libera loro disposizione per poterli impiegare al 4,50, ad esempio, invece che al 4 per cento. Dal canto proprio, lo Stato spera che la tendenza, per lui, come per ogni altro debitore, malaugurata, al rialzo nell’interesse abbia ad arrestarsi ed a lasciar di nuovo posto alla contraria tendenza. Esso teme di impegnarsi per troppo tempo a pagare il 4 per cento, se emettesse un titolo consolidato o redimibile a lunga scadenza. Perciò emette buoni quinquennali al 4% perché spera che fra cinque anni il tasso dell’interesse sia ribassato e ha fiducia di potere allora, per rimborsare i buoni 4% emettere un prestito redimibile al più mite saggio del 3,50 o 3 per cento.
L’avvenire a quale delle due opposte speranze darà ragione? Inutile dirlo, per la semplice ed evidente ragione che nessuno può prevedere l’avvenire a distanza di cinque anni. Ciò che importa di osservare è questo: che la forma dei buoni a breve scadenza è la più naturale od adatta nei periodi di interesse crescente, perché soddisfa al desiderio dei capitalisti di lucrare un buon interesse oggi e di sperarne uno maggiore fra cinque anni; ed al desiderio dello Stato di non pagare oggi nulla più dell’interesse corrente e di sperare una riduzione fra cinque anni. Perciò da tempo negli Stati Uniti sono in gran voga le Notes, i nostri Buoni, a tre, a cinque anni; ed hanno grande successo. Manifestatesi in Italia condizioni analoghe a quelle che altrove da tempo erano invalse, ecco mutare la forma dei debiti pubblici.
L’arte dell’uomo di Stato, come l’abilità dell’imprenditore sia appunto nell’adattare la propria azione alle circostanze contingenti del momento. Domani, mutate le condizioni generali economiche, altro sarà il metodo seguito.
Chissà che, per fare appello ai piccoli capitalisti e risparmiatori, che costituiranno in avvenire i principalissimi fornitori di denaro agli Stati – i grossi capitalisti dappertutto vanno in cerca di più avventurosi ed onerosi impieghi, non graditi ed a ragione spiacevolissimi alla gente modesta – non si ritorni dappertutto alla vecchia tradizione francese delle obbligazioni ammortizzabili, con estrazioni a sorte semestrali, bimensili od anche mensili, e con premi di 100.000, 50.000, 10.000, 1.000 lire ai primi estratti? è una tradizione che ha procurato ancor ieri un colossale successo al Credit foncier francese. Il piccolo risparmiatore, l’operaio, l’impiegato assestato non ama giocare al lotto o comprare titoli azionari nevrastenici, che paiono presi dal ballo di San Vito. Ma nemmeno predilige il titolo troppo calmo, che non fa sorgere mai alcuna illusione di maggior reddito, di una anche piccola fortuna. Egli si adatta a ricevere un 3% annuo, invece del 4% che il mercato gli consentirebbe; ma vuole cullarsi nell’illusione di guadagnare un premio di 100.000 o magari solo 1.000 lire.
Ogni mese egli vive nell’aspettazione che quella volta la sua obbligazione abbia ad essere la prima estratta. Non fa male a nessuno quella dolce illusione, e spinge il piccolo impiegato, professionista, operaio a mettere da parte un capitaletto che forse non sarebbe mai stato risparmiato solo per lucrare un 4% all’anno. Se le cose stanno così, se lo Stato riesce in tal modo a trovare denaro a buon mercato (i premi non costano mai tanto come il risparmio sull’interesse) perché non servirsi in avvenire, quando le circostanze vi siano favorevoli, anche di questa innocente ed utile maniera di sposare al risparmio la speranza della fortuna?