Il ritorno della «Fior di Maggio»
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/08/1918
Il ritorno della «Fior di Maggio»
«Minerva», 16 agosto 1918, pp. 521-523
Gli ideali di un economista, La Voce, Firenze, 1921, pp. 179-186
Nous voici Lafayette! corre già la leggenda abbiano detto gli americani salutando i camerati francesi allo sbarco sulla bella terra di Francia. The return of the Mayflower, hanno intitolato gli inglesi l’arrivo delle navi da guerra americane sulle sponde dell’antica madrepatria, da cui era salpata la nave sulla quale i puritani, fuggendo alle persecuzioni religiose degli Stuardi, cercavano asilo sulla libera terra americana. Ambi i motti hanno un nobile significato storico: vuol dire il primo che gli americani vengono, dopo 142 anni, a restituire ai francesi l’aiuto porto un tempo, duce Lafayette, per la conquista della indipendenza e della libertà. Dice il secondo che, dimenticata l’antica discordia, dopo un secolo di pace ininterrotta, discendenti dei coloni americani hanno sentito profonda l’unità di cultura, di ideali, di lingua che li univa all’Inghilterra e sono accorsi a difendere in Europa quegli ideali, quella cultura e quella lingua contro il pericolo minacciante. Fra i due, il primo è più chiaro e semplice e commovente: ed il tema della riconoscenza dei popoli avrà in avvenire un’esemplificazione stupenda nel simbolico ritorno di Lafayette in Francia. I francesi del secolo XVIII, i quali cavallerescamente accorrono in difesa dei coloni insorti; e gli americani del secolo XX, i quali, trascurando guadagni e comodi, restituiscono oggi l’aiuto ricevuto. Due repubbliche sorelle, due popoli i quali a distanza di secoli si soccorrono fraternamente nella lotta contro lo spirito di tiranni e di conquista.
Meno commovente ma forse più profonda è la significazione del motto che si intitola al ritorno della nave puritana «Fior di maggio». Ricordiamo. Alla vigilia della guerra dell’indipendenza americana, l’impero inglese era già divenuto il più potente dominio coloniale del mondo. Distrutta la potenza marittima spagnuola, espulsi o quasi i francesi dalle Indie e dal Canadà, ridotti il Portogallo e l’Olanda ad una posizione di second’ordine, ben si poteva dire che il sole non tramontava mai sui domini della Gran Bretagna. La storia corrente vuole che essa sia stata, per libidine di tirannia, sul punto di perdere i vantaggi acquistati. Le ingiuste esazioni degli inglesi nell’America del Nord avrebbero fatto divampare la rivolta tra i coloni i quali, aiutati dai francesi, conquistarono l’indipendenza, togliendo così alla madrepatria la più promettente e popolosa delle sue colonie. Alla pace di Parigi, il dominio mondiale dell’Inghilterra pareva davvero scosso: l’India non ancora abbastanza apprezzata e quasi considerata solo adatta a fondaci di mercanti, inesistente l’Australia, olandese l’Africa del Sud, un deserto di ghiaccio il Canadà. Fu l’ostinazione ventennale contro Napoleone che ridiede all’impero inglese l’antico splendore. Ma nella sua storia la rivolta delle tredici colonie è un punto d’arresto; il quale divenne il principio del risorgimento solo grazie al senno politico della vecchia Inghilterra. Ammaestrata invero dal rischio corso nel volere imporre la sua volontà alle colonie recalcitranti, essa concesse alle colonie rimastele ed a quelle nuove, una dopo l’altra, governo autonomo, anzi indipendente: sicché oggi l’impero britannico è una sciolta federazione di Stati gli uni indipendenti dagli altri, liberi di partecipare o non alle guerre della madrepatria, immuni da tributi, uniti solo dal tenuissimo vincolo dell’omaggio di sudditanza reso a Giorgio V, simbolo della unità imperiale. Lo spettro della rivolta delle tredici colonie turbò i sonni degli statisti inglesi per tutto il secolo XIX, sicché gli uni già si adattavano al pensiero che le colonie quali frutti maturi si dovessero ad un certo momento fatalmente distaccare dall’albero della madrepatria: e gli altri le volevano conservare solo come sorelle minori e indipendenti di un vago complesso di Stati sovrani e tra di loro appena nominalmente federati.
Se questa concezione storica fosse la sola vera o quella compiutamente vera, che cosa significherebbe il ritorno nei mari britannici della mitica nave puritana? Nulla più che il rinsaldarsi dei vincoli ideali di sangue e di fratellanza sempre esistiti fra Inghilterra e Stati Uniti, sebbene talvolta dimenticati nel calore dei litigi fraterni. Molto, sì, ma nulla di ben profondo e innovatore.
Ma quella concezione storica, se non è erronea, è però incompiuta. La rivolta delle tredici colonie, che parve rompere per sempre i vincoli fra le due parti del mondo anglo sassone, fu un fatto storico probabilmente e certamente fecondo. Grazie ad esso gli Stati Uniti svilupparono uno speciale tipo di civiltà, diverso da quello primitivo anglo-sassone, diedero luogo ad uno sperimento di governo federale, che ebbe un grande successo; mentre l’Inghilterra, ammaestrata, a poco a poco riuscì a creare un tipo di impero, che non ha riscontro nella storia e che è la prima attuazione effettiva di quell’ideale della consociazione delle nazioni che è stato il sogno e il tormento di tanti pensatori. Tutto ciò è stato il frutto della rivolta.
Oggi però quel frutto è stato colto; e fa d’uopo procedere innanzi, se non si vuole che l’albero isterilisca. Lo storico della politica coloniale britannica fin da dieci anni fa scriveva: «È immaginabile e per nulla improbabile che la evoluzione politica dei prossimi secoli possa assumere un andamento siffatto che la rivoluzione americana perda del grande significato che oggi le è attribuito ed appaia meramente essere la separazione temporanea di due popoli affini, la cui intima simiglianza fu oscurata da superficiali differenze risultanti dalla diversità delle condizioni economiche e sociali» (brano nuovamente riprodotto dal medesimo autore G.L. Beer in The English Speaking Peoples. New York, Macmillan, 1917). Le indagini storiche compiute da Beer e da altri hanno invero dimostrato che non di oppressione inglese si deve parlare, non di volontà di esigere imposte a favore della madre-patria e contro la volontà delle colonie, ma di una incapacità reciproca di comprendersi tra due rami dello stesso popolo giunti ad un momento diverso del proprio sviluppo. Potenza mondiale la madrepatria fin dal secolo XVIII, era ben persuasa che ad essa incombesse l’obbligo e l’onere di difendere l’Impero; ma non sapeva persuadersi che, nell’America settentrionale, ad essa toccasse esclusivamente l’onere di difendere i beni e le persone dei coloni contro le aggressioni degli indiani pellirosse e contro i francesi del Canadà e della Luisiana. E ad ogni persona imparziale tra i coloni medesimi – e valga per tutti il nome di Beniamino Franklin – la pretesa dei coloni di essere difesi a spese altrui appariva priva di qualsiasi fondamento. Ma le colonie erano tredici, divise ed indipendenti le une dalle altre, reciprocamente gelose e sospettose, sicché fu impresa impossibile metterle d’accordo per costituire, a spese comuni, un esercito ed una amministrazione comune. Neppure coll’offerta di assumere a suo carico la parte maggiore delle spese coloniali di difesa e di carattere generale poté l’Inghilterra indurre le colonie alla concordia ed all’unione. Era il dissidio insanabile fra la concezione politica mondiale ed unitaria della madrepatria, e quella municipale e ristretta delle colonie. La concordia venne meno e la federazione nord-americana fu creata per virtù della guerra civile; ché tale fu la guerra fra l’Inghilterra e le colonie rivoltose. Sotto la pressione della guerra, infiammate dall’ardore dell’ideale dell’indipendenza, le tredici colonie si unirono e crearono la federazione. Fu il frutto della rivolta; e per esso, come per l’esempio dato alla formazione delle federazioni canadese, australiana, africana, e poi della comunità britannica di nazioni quella rivolta è storicamente giustificata.
Oggi, il grande equivoco storico, da cui nacque la rivoluzione americana, non ha più ragione d’essere. I due rami del popolo anglosassone hanno raggiunto un medesimo grado di sviluppo politico. Due potenze mondiali, come la Comunità delle nazioni britanniche e gli Stati Uniti, non possono rimanere dissociate. Il ritorno della “Fior di maggio” ha questo significato: che americani del nord ed inglesi – gli inglesi della federazione di nazioni componenti il cosidetto “impero” e non gli inglesi della piccola madrepatria d’un tempo – riconoscono di dovere agire concordi per il conseguimento di comuni ideali politici.
Spiritualmente, essi formano un solo popolo, parlante la medesima lingua ed orgoglioso per la medesima letteratura.
Economicamente, essi hanno interesse alla costituzione di un unico grande mercato, dove i rispettivi prodotti si scambino liberamente.
Politicamente, essi sono persuasi della necessità di opporre una fronte comune per la difesa dei propri ideali spirituali e dei propri interessi economici contro il comune nemico, il quale oggi è la Germania e domani potrà essere qualche altro aggregato politico forse extraeuropeo. Inglesi ed americani sulle rive della Marna difendono il suolo francese e, difendendo questo, sanno di combattere in difesa della propria esistenza politica indipendente. Fu il pericolo della diminuzione oggi e della distruzione domani, il quale ridestò i vincoli del sangue, e quel pericolo li cementerà vieppiù col tempo. Le tredici colonie si erano separate dall’Inghilterra perché il Canadà francese, diventato dopo il 1754 dominio inglese, più non le minacciava a tergo. Oggi il sorgere dello spettro della egemonia mondiale germanica ha persuaso i cugini anglo-sassoni a stringersi nuovamente insieme. Uniti, essi sono probabilmente invincibili per secoli.
Nessuna nazione al mondo, anche se diventasse la potenza egemonica europea, anche se il sogno medio-europeo si realizzasse, potrà strappare al popolo anglo-sassone unito il dominio del mare: poiché nessun popolo potrà avere altrettanti marinai ed altrettanti navi mercantili, che sono il vero nerbo della forza militare marittima.
Uniti, essi possono difendere il principio della porta aperta in Cina e quello di Monroe in America, i quali dipendono, per la loro esistenza, dalla conservazione del dominio dei mari da parte di una potenza decisa a non sopraffare altrui.
Se le due grandi federazioni di popoli liberi procedono concordi ed unite, l’India potrà a grado a grado evolvere verso la comunità britannica, a parità con le altre nazioni e senza alcuna rinuncia alle proprie caratteristiche nazionali.
La permanenza di una lega delle due federazioni anglo-sassoni è, finalmente, la condizione essenziale per la libertà dell’Italia, della Francia, del Belgio, dell’Olanda, dei Paesi scandinavi, della Grecia e della Spagna. La lega anglo sassone non ha alcun interesse ad asservire le nazioni europee, ed ha invece interesse grandissimo ad impedire che un potere egemonico possa organizzare l’Europa e parte dell’Asia per minacciare la sua esistenza medesima. Data la scomparsa per un tempo indefinito dalla grande scena politica del mondo slavo, l’unica speranza di impedire l’egemonia germanica in Europa e nel mondo sta nella riunione delle due frazioni del popolo anglo-sassone. Noi non sappiamo qual forma quella riunione assumerà; probabilmente non di vera riunione politica, ma di lega indirizzata a certi scopi di polizia internazionale e di difesa della vera libertà dei mari.
Se questo, che è un programma imposto dalla necessità di difesa e di vita, è destinato ad avverarsi, un’altra necessità si impone: la federazione, o la lega, o la riunione franco italiana. Nel mondo dei colossi di domani, non vi è posto per le nazioni mediocri. Francia e Italia, se non vogliono diventare dei Belgio e delle Grecie di dimensioni territoriali un po’ più vaste, viventi per le gelosie dei potenti vicini, devono riunirsi. Divise, esse sono destinate a diventare nazioni insignificanti, oggetti di curiosità storica; riunite, esse costituiscono il nucleo di un rinnovato Impero Romano d’Occidente, verso cui dovrà gravitare la Spagna e con la Spagna forse le nazioni italo-spagnuole dell’America meridionale, in cui già sorgono voci per il rinsaldamento dei vincoli con l’antica madrepatria. La guerra odierna pone problemi solenni. Guai a quei paesi i quali non ne hanno sentore e lasciano passare l’ora, la quale può decidere del loro destino per secoli!