Il ritiro dei soldati da Molinella
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/08/1900
Il ritiro dei soldati da Molinella
«La Stampa», 28 agosto 1900
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Vol. I, Einaudi, Torino, 1959, pp. 216-218
La notizia che l’onorevole presidente del consiglio Saracco ha dato ordine che si ritirassero i soldati dal teatro dello sciopero di Molinella deve essere accolta con vera soddisfazione da tutte le persone imparziali che avevano seguito lo svolgersi del conflitto tra capitale e lavoro.
Come è noto, i mietitori di riso di Molinella si erano messi in isciopero, pretendendo il rispetto dei patti sanciti coi proprietari nel 1897 ed un aumento dei salari sul livello attuale. I proprietari ricorsero al prefetto per aiuto, affinché il raccolto del riso non andasse perduto nei campi, ed il prefetto requisì, come è solito a farsi in Italia da parecchi anni, il servizio dei soldati, i quali furono mandati a mietere il riso.
Una parte dell’opinione pubblica criticò vivacemente l’operato del prefetto; ed essendosi avviato lo sciopero ad un componimento, anche per l’autorevole interposizione dell’on. Saracco, questi ha dato ordine di ritirare dalle risaie i soldati mietitori.
Noi crediamo che l’on. Saracco abbia bene agito ed abbia saputo fare rispettare la legge. Questa, da noi, sancisce la libertà di lavoro e di sciopero. Essa stabilisce, cioè, che le condizioni del lavoro debbano essere pattuite liberamente tra operai e proprietari senza l’intervento di nessuna forza estranea. Lo stato, secondo le nostre leggi, si deve limitare ad impedire che sia violata la libertà del lavoro, che gli scioperanti con minacce e vie di fatto impediscano ad altri operai di lavorare. Questo e non altro è l’ufficio dell’autorità politica.
Mandando i soldati a mietere il riso ed il grano, lo stato viene a dare un privilegio ai proprietari, a cui permette di compiere una importante operazione culturale senza ricorrere agli operai i quali si siano rifiutati di lavorare alle condizioni ad essi gradite.
Che il grano od il riso sia mietuto o non, è un affare privato che deve essere regolato liberamente fra capitale e mano d’opera. Sarebbe strano che, dopo aver proclamato la libertà del lavoro, lo stato dovesse intervenire coi suoi soldati a compiere quei lavori che i proprietari giudicano non potersi far compiere ad un costo per loro conveniente da operai liberamente assunti. A questa stregua un industriale, il quale dovesse consegnare per un determinato giorno una certa quantità di macchine o di metri di panno sotto pena di una forte multa, avrebbe diritto di richiedere l’aiuto dei soldati quando gli operai si dichiarassero in istato di sciopero o pretendessero un aumento di paga.
Secondo le nostre leggi, secondo i sani principii economici, anche le parti contendenti devono essere lasciate a se stesse, non esclusi certo i buoni uffici conciliativi delle autorità. Gli operai, come ogni contendente, devono avere il vantaggio di dichiarare lo sciopero nel momento più opportuno per essi; e i proprietari non hanno alcun diritto di fare intervenire una forza esterna per rifiutare agli operai un aumento di salario nel solo momento in cui questi, scioperando, hanno la speranza di poterlo ottenere.
Questi principii, oramai indiscutibili nella teoria e nella pratica di tutti i paesi civili, erano correntemente violati in Italia, dove i prefetti si credevano in obbligo di requisire senz’altro l’opera della forza pubblica appena si manifestava uno sciopero agrario, tramutando così l’esercito in un organo per tenere bassi i salari dei lavoratori rurali.
L’on. Saracco ha compreso quanto pericoloso ed illegale fosse l’andazzo; ed ha reso non solo omaggio ai principii che reggono la patria legislazione, principii che non dovrebbero mai essere stati ignorati o dimenticati, ma ha compiuto un’accorta opera politica.
L’esercito italiano deve essere tenuto alto al disopra dei partiti e delle contese sociali. Una istituzione destinata a difendere la patria non deve essere fatta servire di strumento a favore di nessuna speciale classe di persone. Altrimenti sarebbero giustificate le accuse di coloro i quali dicono che l’esercito è un’arma in mano della borghesia per schiacciare i lavoratori. Ciò non è; ma non è male che l’autorità politica sia stata ricordata l’opportunità di non far sembrare che questo sia.
Il soldato nostro deve essere rispettato ed amato da tutti come difensore del suolo patrio, non mai sospettato di agire per difesa di interessi di classe.