Il pugno di mosche dei risparmiatori
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 04/05/1947
Il pugno di mosche dei risparmiatori
«Corriere della Sera», 4 maggio 1947
Conviene risparmiare, si chiedeva quel tale in Svizzera? Conviene risparmiare quando si rifletta che dopo avere portato l’ammontare dei depositi dai 1,8 miliardi di franchi nel 1914 ai 6,6 del 1945, in realtà i risparmiatori svizzeri si trovano ad avere in mano un pugno di mosche perché, ad uguale potenza d’acquisto, il loro capitale vale solo 3,2 miliardi ed il reddito annuo è rimasto pressoché inalterato in franchi costanti: 76 invece di 74 milioni di franchi?
Quale risposta si dovrebbe dare in Italia alla domanda medesima? Purtroppo il lungo intervallo di tempo e le mutazioni nei metodi del risparmiare e dello scritturare le operazioni di risparmio, rendono la risposta esitante. L’ostacolo maggiore proviene dalla circostanza che nel 1914 le rilevazioni statistiche avevano ad oggetto sovrattutto i depositi a risparmio propriamente detto, laddove oggi, accanto ai depositi al risparmio tengono gran posto nelle statistiche i cosiddetti conti di corrispondenza. All’ingrosso, si potrebbe dire che i depositi a risparmio si riferiscono alle somme che i privati collocano in banca allo scopo di investimento eventuale futuro, di provvista per malattie infortuni, esigenze di famiglia, spese straordinarie, di previdenze per la vecchiaia, per i funerali, ecc.. I depositi a risparmio cominciano con l’essere temporanei e tendono a diventare permanenti: talché quando crescono oltre un certo limite finiscono per dar luogo all’acquisto di titoli di debito pubblico o dell’appartamento o di una terra. Invece i conti correnti di corrispondenza sono spesso fondi di cassa di industriali di commercianti, di affittuari, di uomini d’affari, di società, non richiesti momentaneamente dalle esigenze dell’impresa; ma possono essere ritirati domani, convertendosi forsanco in un conto corrente negativo in date stagioni dell’anno, salvo a ridiventare attivi in seguito. I conti di corrispondenza non sono risparmio, sebbene possono diventarlo, ove l’impresa ne esiga l’investimento e sebbene la linea di distinzione fra i depositi a risparmio ed i fondi di cassa sia incerta e fluttuante. Si aggiunga che la tendenza moderna è favorevole alla forma del conto corrente più che a quella del libretto di risparmio; essendo il conto corrente più facilmente disponibile per mezzo assegni o di lettere di disposizione, che non il deposito sul libretto di risparmio, il quale richiede una certa materialità di intervento personale in ogni operazione. Perciò anche il depositante ordinario, anche il contadino, il piccolo commerciante e l’artigiano finiscono non di rado di preferire a costo di un minor rendimento il tipo, più agile e pronto, del conto corrente, al tradizionale libretto a risparmio.
Le circostanze ora elencate fanno sì che, laddove nel 1914 i conti correnti di corrispondenza erano solo il 12,50 per cento di tutta la massa fiduciaria italiana, nel 1946 giungono invece al 50 per cento, e pongono qualche limite alle conclusioni che si possono ricavare dalle cifre.
Affinché le conclusioni siano il più che si possa attendibili, è bene dunque considerare in primo luogo i soli depositi fiduciari a risparmio, inclusi i depositi presso le casse postali di risparmio. Erano in lire correnti 7.492 milioni al 31 dicembre 1914, 27.804 al 30 giugno 1922, 64.968 al 30 giugno 1938 ed erano giunti a 498.143 milioni alla fine del 1946.
Quale grandioso incremento! siamo indotti a primo tratto ad esclamare. Ma l’entusiasmo dura un attimo; che, ridotte a lire aventi la stessa potenza d’acquisto della lira 1914 noi abbiamo che quelle cifre si convertono in 7.492 milioni al 31 dicembre 1914, 6.712 al 30 giugno 1922, 14.945 al 30 giugno 1938, per ridursi a 3.820 milioni al 31 dicembre 1946. Dal 1914 al 1938 i risparmiatori italiani, risparmiando lire correnti, erano riusciti, nonostante una grande guerra e gli sprechi fascisti, a raddoppiare i loro depositi a risparmio. Ma la guerra ultima e la svalutazione monetaria susseguente, hanno ridotto quel risparmio a poco più del quarto di quel che era nel 1938 ed alla metà circa di quello del 1914.
Un po’ migliore è il quadro che si ottiene, sommando insieme i depositi fiduciari a risparmio ed i conti di corrispondenza. Erano in lire correnti, 8.396 milioni al 31 dicembre 1914: salirono a 42.238 milioni il 30 giugno 1922, a 93.305 milioni il 30 giugno 1938 ed a 991.567 milioni al 31 dicembre 1946. Un avanzamento grandioso: da poco più di ottomila milioni ad un milione di milioni! Ma, al solito, se noi trasformiamo le lire correnti in lire aventi una potenza d’acquisto costante, uguale a quella del 1914, noi abbiamo invece, alle date indicate ben diverse cifre: 8.396 – 10.183 – 21.197 e 7.680 milioni. Non siamo ridotti nel 1946, come per i puri depositi fiduciari alla quarta parte del 1938 ed alla metà del 1914; ma siamo pur sempre ad un ammontare minore di quello del 1914. Trentadue anni di lavoro e di rinuncie hanno lasciato i risparmiatori italiani con riserve a deposito per le contingenze impreviste della vita e con fondi liquidi per la necessità delle imprese inferiori a quelle che essi possedevano all’inizio. Se gli svizzeri gittano alte grida di allarme perché i loro fondi di risparmio sono aumentati appena da 1,8 a 3,2 miliardi di franchi 1914, quanto più pensosi dobbiamo essere noi, che nella migliore delle ipotesi, lo abbiamo visto diminuire da 8,4 a 7,7 miliardi di lire 1914! Laddove nel 1914 noi possedevamo fondi liquidi uguali a 4,6 volte quelli svizzeri, oggi noi, che pure abbiamo una popolazione dieci volte maggiore, possediamo fondi che giungono appena a 2,3 volte quelli svizzeri. Come tutti i confronti statistici, anche questo non va assunto alla lettera. Esso deve però essere meditato.
Se il valore capitale dei fondi di risparmio e di cassa è scemato nell’ultimo terzo di secolo, che cosa si deve dire del loro reddito? Anche qui i calcoli debbono essere assunti con larga approssimazione. Nel 1914 il saggio di interesse medio pagato sui depositi bancari variava dall’1,50-2 per cento pagato dagli istituti di emissione al 2,64 per cento pagato da un grande banco ordinario. Nel 1922 eravamo saliti al 3,47 per cento; nel 1938 si era scesi al 2,32 per cento; nel 1946 siamo all’1,32 per cento. Il deposito totale di 8.396 milioni di lire 1914 fruttava nel 1914 all’incirca 185 milioni di lire; i 10.183 del 1922 fruttavano 365 milioni; i 21.197 milioni del 1938 rendevano 490 milioni; ma i 7.680 milioni del 1946 fruttarono, sempre in lire 1914, solo 100 milioni, poco più della metà di quanto dava il risparmio del 1914. Se si pensa che i possessori del diminuito capitale ed i percettori dell’ancor più scemato reddito sono prevalentemente i milioni di medi e piccoli risparmiatori, si deve riconoscere che mala tempora corsero per quelli tra gli italiani i quali conservano le antiche abitudini di vita sobria e parsimoniosa. Si illusero di aver aumentato risparmi e fondi liquidi da 8.396 a 991.567 milioni e si ridussero a possedere, in lire contanti, solo 7.680 invece degli 8.396 milioni originari. Avevano un reddito di 185 milioni ed ora, nonostante tanto sforzo, lo vedono ridotto a 100. Quale meraviglia che essi, come è loro costume, mormorino! Contro chi e contro che cosa essi hanno ragione di mormorare?