Il problema ferroviario del porto di Genova e la direttissima di Genova-Milano
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 24/11/1905
Il problema ferroviario del porto di Genova e la direttissima di Genova-Milano
«Corriere della Sera», 24[1] e 25[2] novembre; 3[3] e 29[4] dicembre 1905
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 285-307
Le recenti notizie secondo le quali a Roma si sta pensando al riordinamento degli scali ferroviari di Milano, i non lontani discorsi degli on. Fortis e Ferraris a Genova, promettitori di una soluzione adeguata del problema ferroviario del porto di Genova; l’annuncio dato dal sindaco di Genova della costituzione di un comitato milanese-genovese, con a capo il senatore Erasmo Piaggio, il comm. Otto Joel, il comm. Tommaso Bertarelli, allo scopo di ottenere dal governo l’autorizzazione per fare gli studi opportuni onde presto costrurre ad iniziativa privata la nuova linea ferroviaria direttissima Milano-Genova; ci hanno fatto pensare alla utilità di porre sotto gli occhi del pubblico alcuni dati sul grandioso problema delle comunicazioni ferroviarie che si diramano dal porto di Genova e che fanno capo sovratutto a Milano. I lavori inaugurati dal consorzio del porto alla presenza del re saranno certo lo strumento di un mirabile progresso negli scambi commerciali del maggiore porto italiano. Ma i lavori saranno stati compiuti invano se non sarà possibile di utilizzarli prontamente e compiutamente con impianti ferroviari adatti a ricevere e diffondere nell’Italia settentrionale la crescente quantità di merci che si riverseranno sulle calate del porto. Presentare all’opinione pubblica sotto i suoi diversi aspetti il problema ferroviario del porto di Genova e dell’alta Italia: ecco il nostro compito.
Dire che il movimento del porto di Genova cresce ogni anno in proporzioni superiori alle previste, è dire cosa nota. Il traffico che dal 1872 al 1878 oscillava tra 700.000 e 933.000 tonnellate, ed ancora nel 1881 era di appena 1.290.489 tonnellate, prende un rapido slancio dopo che si cominciano a far sentire i primi benefici delle opere di sistemazione ed ingrandimento del porto, eseguite in base alla convenzione stipulata nel 1876 fra lo stato e il duca di Galliera. Nel 1882 balziamo a 2.072.065 tonnellate; nel 1889 siamo a 4.099.615; nel 1899 a 5.076.398 e nel 1903 a 5.652.158 tonnellate. Nell’ultimo ventennio l’aumento medio annuo è di 170.000 tonnellate, di cui 160.000 nello sbarco e 15.000 all’imbarco. Sono cifre grosse, e che sembrano ancor più promettenti se si pensa che mentre dal 1895 il 1912 la merce sbarcata a Marsiglia cresceva del 23%, a Genova l’aumento fu del 32%. Ma quanto lontani siamo ancora dal 57% di Amburgo, dal 58% di Anversa e dal 66% di Rotterdam! E con quanta invidia Genova coi suoi 4 milioni ed 809.000 tonnellate di merce allo sbarco deve guardare agli 8 milioni di Anversa ed ai 10 milioni di Rotterdam e di Amburgo! La nostra inferiorità rispetto ai grandi porti dell’Europa centrale diventa ancor maggiore se si pensa che il 50% della merce sbarcata a Genova è costituita da carboni fossili destinati alle industrie dell’alta Italia, ossia da una merce non ricca; si accentua riflettendo che nei grandi porti ricordati il movimento è distinto fra importazione ed esportazione in parti eguali o non molto diverse; mentre a Genova l’imbarco è appena il 16% dello sbarco; onde si ha l’inconveniente di una fiumana di merci la quale partendo dal porto attraversa l’Appennino per spandersi nell’entroterra continentale; e, per contrapposto, di un’esile corrente che dalla valle del Po fluisce a Genova, costringendo moltissimi carri a tornarsene vuoti sulle calate del porto. Lo squilibrio nelle nostre correnti commerciali cresce il costo dei trasporti, incaglia spesso la rapidità delle comunicazioni ed è non ultima causa degli ingorghi che si verificano a Genova. Nei porti di Anversa, di Marsiglia, di Rotterdam, gli stessi carri ferroviari che trasportano la merce diretta al porto vengono utilizzati per la spedizione della merce in arrivo dal mare. La doppia corrente si svolge così naturalmente, nelle condizioni più favorevoli per l’esercizio. A Genova invece i carri destinati alle spedizioni debbono essere concentrati vuoti per la massima parte (circa l’80%), facendoveli affluire artificialmente da molte stazioni dell’interno della rete, con disposizioni e manovre spesso complicate e difficili, sempre onerose per l’esercente.
Altro punto in cui Genova è di troppo inferiore ai porti del Nord: il traffico di transito internazionale. Malgrado il canale di Suez e il traforo del Gottardo, malgrado la posizione geografica, Genova è rimasta un porto nazionale, che solo in minime proporzioni serve ai bisogni dei paesi dell’Europa centrale. Appena il 5% del movimento complessivo del porto è dovuto al transito internazionale: 266.000 tonnellate nel 1902, di cui 236.000 per via di terra. La maggior parte delle merci di transito (211.000 tonnellate) è diretta alla Svizzera; le quantità inviate verso altri paesi sono insignificanti. Anche nella Svizzera la posizione dell’Italia è ben lungi dall’essere predominante; delle 800.000 tonnellate, che formano il commercio della Svizzera con i porti intermediterranei ed interoceanici, appena una quarta parte traversa l’Italia, passando per Genova e Venezia. La linea del Gottardo ha giovato a Genova assai meno di quanto si era previsto; e – come ben nota l’ing. Edilio Ehrenfreund in uno studio pubblicato nel rapporto della commissione Adamoli – l’errore di previsione fu commesso sovratutto perché non si valutarono esattamente: il grande progresso della navigazione marittima; lo sviluppo dei porti settentrionali d’Europa; l’utilizzazione mirabile del Reno e degli altri grandi fiumi della immensa pianura del nord, che ha permesso ai porti del Belgio, dell’Olanda, della Germania, di lottare vittoriosamente con quelli dell’Atlantico e del Mediterraneo nel servire agli scambi dell’Europa con l’America ed il Levante. Oggi i trasporti da Anversa e da Rotterdam, per Berna e Zurigo, sono a miglior mercato che da Genova, non ostante che il percorso sia doppio. Una tonnellata di grano da Rotterdam a Berna, via Mannheim, costa di trasporto lire 21,80 per una lunghezza di 938 km; la stessa tonnellata da Genova a Berna costa lire 25,10 non ostante che la lunghezza sia di soli 517 km. La ragione si è che in territorio tedesco il trasporto si fa da Rotterdam a Mannheim per 567 km sul Reno ad un costo di 6 millesimi per tonnellata – chilometro; mentre da Genova a Berna il trasporto è tutto per terra con costi unitari di 35 e di 59 millesimi. Siccome i noli marittimi dei porti del Mar Nero, delle Indie, dell’Estremo Oriente sono gli stessi tanto che le merci siano spedite ai porti del Mediterraneo, come se siano spedite ai porti del nord, è chiara la convenienza di fare un giro più lungo compensato dalle tariffe più basse sui fiumi. Genova quindi non deve tanto lottare con Marsiglia, quanto ambedue i porti del Mediterraneo debbono lottare con i porti del nord se vogliono accaparrarsi una parte del trasporto di merci per l’Europa centrale. La concorrenza è resa difficile oltreché dal mite costo dei trasporti dalle condizioni stesse dei porti del nord; i quali hanno un retroterra industriale attivissimo, che assicura i noli di ritorno alle navi che vi fanno approdo, cosa la quale manca a Genova per la deficienza delle esportazioni; ed hanno saputo diventare grandi centri internazionali di traffico, accentrando in sé tutto quel movimento che in Francia ed in Italia, per gelosie regionali, è sparso in numerosi porti, tutti insufficientemente dotati d’impianti e dove i negozianti non sono certi di trovare partenze sicure, frequenti con tutti i porti esteri con i quali si mantengono rapporti commerciali. I porti del nord sono divenuti, ciascuno per determinate categorie di merce, vere piazze internazionali di mercato; il commercio vi affluisce da ogni parte d’Europa, perché in essi sono le borse dei prezzi, i centri degli affari. È appunto l’abbondanza delle merci affluenti ai porti di Amburgo, Rotterdam, Anversa, che ha reso possibile la creazione di quelle numerose linee regolari di navigazione, con partenze frequenti e con percorso rapido, che trasportano merci e viaggiatori a tariffe basse e pur remunerative.
Ciò nonostante il porto di Genova cresce sempre più d’importanza assoluta, benché stia in via relativa al disotto dei concorrenti del nord; né è a dubitarsi che il suo traffico crescerà ancora. Le nostre industrie citiamo ancora da uno studio dell’ing. Ehrenfreund – non hanno raggiunto il loro massimo sviluppo. Mentre l’Inghilterra consuma annualmente 43 quintali di carbone per abitante, gli Stati uniti 35, il Belgio 30, la Germania 25, la Francia 10, e l’Austria 8, l’Italia ne consuma meno di 2. Nelle regioni che formano la zona di competenza nazionale del porto di Genova, l’intensità industriale si può ritenere circa doppia di quella media del regno. Ma anche se aumenta in questa proporzione, il consumo di carbone del retroterra di Genova è molto al disotto di quello dell’Austria e della Francia, per non dire dei paesi intensamente industriali. Quindi è da credere che il fiorire dell’industria interna vorrà dire sviluppo crescente del porto di Genova. Quanto al traffico internazionale, senza dubbio l’apertura della linea del Sempione migliorerà sensibilmente le condizioni del porto di Genova rispetto al transito diretto per la Svizzera, specie occidentale, riducendo la distanza fra Genova e Losanna a km 419 in confronto dei 531 fra Losanna e Marsiglia. La nostra zona di penetrazione nella Svizzera si allargherà ancora di più quando si sia provveduto al traforo delle Alpi Bernesi (galleria del Lötschberg), il quale ridurrà la distanza effettiva da Genova a Berna di 120 km, e da Genova a Basilea di 15 km.
Noi dobbiamo dunque aspettarci nei 10 o 20 anni prossimi un incremento nel traffico del porto; incremento che sarà più o meno forte a seconda degli sforzi fatti per ridurre i costi dei trasporti e per creare altre condizioni favorevoli allo sviluppo del traffico. La commissione Adamoli ha fatto un calcolo approssimativo dello sviluppo che prenderà in un ventennio il movimento del porto di Genova; ed è giunta alla conclusione che se oggi il traffico è di tonnellate 5.650.000 tra sbarco ed imbarco, nel 1923 – supponendo un incremento corrispondente a quello verificatosi dal 1882 al 1903, di 3 milioni e mezzo di tonnellate, aggiuntevi 300.000 tonnellate di più di transito per la Svizzera per l’apertura del Sempione e 550.000 tonnellate di maggior transito fra il Levante e l’Europa centrale – giungeremo ad un movimento di 10 milioni di tonnellate. La commissione aggiunge che i 10 milioni vanno considerati come un massimo che difficilmente sarà raggiunto a meno di circostanze eccezionali.
Compito nostro nel momento presente dovrebbe dunque essere:
– di dare sfogo al traffico esistente; – di preparare i mezzi con i quali si potrà provvedere al movimento che si prevede crescente in un avvenire non lontano; – di creare le condizioni affinché l’incremento di traffico avvenga nel periodo più breve possibile e sia anticipato di fatto in confronto alle previsioni che oggi ragionevolmente si possono fare. Due vie infatti si possono seguire: la prima delle quali sta nell’aspettare che il traffico si sviluppi per creare in seguito quegli impianti e quelle facilitazioni che valgono a smaltirlo. È la via degli indecisi e dei deboli; purtroppo è la via che lo stato italiano ha in troppi casi seguito e che ci ha fatto rimanere indietro a tanti altri paesi. Noi preferiamo additare la seconda via, con la quale si provoca il traffico, creando prima tutte quelle condizioni favorevoli che invitano i commercianti a venire ad un porto e ad alimentare ferrovie e linee di navigazione. Siamo troppo ardimentosi nel dire che l’Italia deve mettersi su questa via, in un momento nel quale produttori e commercianti, con sì mirabile slancio di operosità, null’altro aspettano fuorché di poter lavorare? Noi crediamo di no.
Per ora ad alcuni dei mezzi con i quali si deve provocare l’aumento del traffico non possiamo accennare. È chiaro, ad esempio, che i nuovi lavori del porto di Genova riusciranno di utilità grandissima al commercio, togliendo buona parte degli inconvenienti che ora si lamentano per la ristrettezza delle calate e per la insufficienza degli impianti del porto. È chiaro che un nuovo assetto della marina mercantile, migliori convenzioni marittime gioveranno ad accrescere l’importanza del nostro naviglio nei traffici internazionali; ed è chiaro pure che l’abilità con la quale i nostri uomini d’affari trasformeranno Genova in un grande mercato internazionale, servirà a garantire i noli di ritorno e ad ottenere al nostro massimo porto navi che oggi non hanno convenienza di approdarvi. Ma un problema specialmente ci urge: quello ferroviario. A che serve attirare merci a Genova se le ferrovie non possono darvi sfogo oggi e meno ancora lo potranno in avvenire? Qui è il punto sul quale è d’uopo insistere.
II
Il problema ferroviario è il massimo problema del porto di Genova. Più del 70% della merce sbarcata nel porto viene spedita per ferrovia; nel 1903 ben 3.606.849 tonnellate su 4.891.417 sbarcate. Sono 320.000 carri circa all’anno che devono essere spediti: più di 1.000 carri al giorno. Quando il movimento del porto giunga a 10 milioni di tonnellate, delle quali 8.640.000 allo sbarco, la parte destinata alla ferrovia salirà al 75%, ossia a circa 6 milioni e mezzo di tonnellate, ed a circa 2.000 carri al giorno. Siccome il traffico è generalmente massimo d’inverno e minimo d’estate, se si vorranno evitare giacenze, sarà necessario che gli impianti ferroviari del porto di Genova e delle sue linee di accesso siano messi in condizione da poter servire un movimento giornaliero di almeno 2.100 carri in partenza.
Come si distribuisce il movimento ferroviario in partenza dal porto? Il diagramma unito[5] dà la più evidente risposta. Verso levante – linea di Pisa – va il 5%, a Sampierdarena il 7%; a ponente verso Savona-Ventimiglia l’8 per cento. Sono piccoli rigagnoli. La grossa fiumana, il 78%, s’incanala verso l’Appennino; e giunto a Novi si ripartisce in due principali direzioni: il 32% va verso Alessandria e di lì si diffonde per tutto il Piemonte – Torino, Vercelli, Biella, Novara – oltrepassando le Alpi a Luino nella misura del 5% ; il 37% va verso Milano, il più importante centro consumatore e distributore della valle del Po. Filoni più piccoli si diramano da Sampierdarena verso Ovada-Acqui e da Voghera verso Piacenza.
Il diagramma presenta vivamente all’occhio una verità importantissima: non si potrà mai ritenere che il problema ferroviario del porto di Genova sia risoluto, se non saranno risoluti i problemi di tutti gli scali che a Genova sono legati. Tutti i punti segnati su questa carta dipendono gli uni agli altri; ed un ingorgo, un arresto che si verifichi sulle linee della cornice, od a Novi, o a Torino o sovratutto a Milano, producono un arresto ed un ingorgo sul porto.
Di qui la necessità di distinguere – ragionando del problema del porto di Genova – il programma di preparazione all’avvenire prossimo dal programma di assetto del presente. Molti credono che tutto il problema ferroviario del porto di Genova stia nella direttissima; ciò che non è esatto. La direttissima è una ottima iniziativa; occorre non sia scompagnata dai lavori che devono servire a mettere in buon assetto le linee attuali. Sono due punti di vista che non bisogna assolutamente scindere. A che gioverebbe la direttissima se gli scali ferroviari di Milano rimanessero nel loro stato attuale di insufficienza? Nient’altro che a crescere la confusione. Mentre invece, ampliati gli scali e aumentata la loro potenzialità e la loro agibilità, la direttissima gioverà a sfruttare potenzialità ed agibilità sino al loro limite massimo.
Ragioniamo innanzi tutto dei problemi più urgenti che importa risolvere per mettere in buon assetto le linee esistenti.
Cominciando dall’origine, i primi difetti si avvertono negli impianti ferroviari del porto. Con sforzi grandissimi gli impianti possono ridursi a servire un movimento di 1.200 carri; ma le difficoltà allo stato attuale sarebbero quasi insormontabili quando il numero dei carri crescesse. Bisogna pensare che il concentramento dei carri vuoti destinati al porto ed il riordino di quelli caricati, si compiono alla stazione di Novi S. Bovo, distante da Genova nientemeno che 54 chilometri! Nessun grande porto ha il parco ad una distanza così grande e, peggio, in una località situata in condizioni climatiche al tutto diverse. Quando a Genova l’inverno fa sole, a Novi ci può essere una tempesta di neve ed i lavori di smistamento essere resi difficili. Le cose muteranno quando sarà ultimato il nuovo parco del Campasso, situato in prossimità di Sampierdarena; ma è d’uopo che si anticipi possibilmente sulla data della consegna da parte della società costruttrice, che è la fine del 1906. Ogni mese di guadagnato vorrà dire un vantaggio grandissimo per l’esercizio.
Anche i miglioramenti consigliati nella relazione Adamoli per le stazioni di Sampierdarena e di Genova, per la linea di Ovada e per le linee di levante e ponente saranno utilissimi, per quanto il grosso del traffico sia quello che passa attraverso i valichi dei Giovi. A tutti è noto lo stato infelice delle linee della cornice. Tanto la linea di levante come quella di ponente sono ancora oggi presso a poco nelle condizioni dell’impianto primitivo; ambedue hanno un solo binario e stazioni ristrette, mancanti di binario di incrocio o con binario di non sufficiente lunghezza; su ambedue ha luogo un movimento intenso di viaggiatori, sia locale, sia di transito per l’interno e per l’estero. Anche senza costrurre una nuova linea, che sarebbe, per la ristrettezza dello spazio e la difficoltà dei luoghi, assai costosa, i tecnici hanno additato lavori con i quali si può aumentare assai la potenzialità delle linee e che costerebbero una quarantina di milioni.
I lavori principali – astraendo pel momento dai valichi dei Giovi – sono quelli che si debbono compiere sulle linee a settentrione dell’Appennino, dove si riversa il 70% del traffico del porto. Qui urge provvedere perché i treni merci possano circolare con regolare successione da tronco a tronco; perché gli scali delle stazioni non abbiano a subire ingombri; perché nelle stazioni si possano eseguire liberamente le manovre, scaricare con sollecitudine i carri e rinviare prontamente i vuoti; perché infine il ritorno di questi avvenga senza deviazioni e senza ritardi. Di due specie sono i provvedimenti necessari: gli uni riguardano le stazioni e gli altri le linee. Fra le stazioni il problema di gran lunga più importante è quello delle stazioni di Milano, dove affluisce il 25% del traffico del porto, oltre il movimento che proviene dalla riviera ligure; e dove questi arrivi costituiscono la metà circa del movimento che giunge a Milano per le molte ferrovie che vi fanno capo. La persuasione della necessità di risolvere il problema delle stazioni milanesi è oramai radicata in tutti. Attualmente esse sono affatto inadatte a servire il traffico: ed i mali crescono ad ogni anno che passa e diverranno acuti in occasione dell’esposizione. Gli studi oramai sono fatti in modo esauriente: non manca che la decisione. Auguriamo che questa sia pronta e che si dia mano ai lavori con solerzia. Poste in buon assetto le stazioni di Milano, molto sarà fatto per risolvere il problema del porto di Genova. In settembre ed ottobre passati la direzione delle ferrovie a Genova era riuscita a caricare 1.200 carri al giorno; ma ogni tanto tutto era sospeso perché a Milano si era verificato un ingorgo. Minore importanza di quelle di Milano hanno le stazioni di Alessandria, centro principale di diramazione della rete piemontese, di Novara, punto di transito per il Gottardo e per il Sempione, e di Torino; ma il loro riordinamento si impone del pari affinché il servizio possa essere esercitato con efficacia, tutte le parti di un sistema ferroviario essendo strettamente tra di loro dipendenti.
Fra le linee i lavori maggiori si debbono compiere sulla Novi-Milano e sull’Alessandria-Novara. Sulla prima, oltre a parecchi lavori di completamento, si richiede il sistema del blocco; sulla seconda oramai, colla apertura del Sempione, è urgente il raddoppiamento del binario da Torre Beretti a Novara, dove manufatti e sede sono già predisposti; in maniera che tutta la linea abbia il doppio binario.
Complessivamente, se si eccettuano i lavori da farsi intorno ai valichi dei Giovi, sui quali discorreremo poi, la relazione Adamoli aveva proposto di spendere circa 90 milioni di lire per mettere in buon assetto le stazioni di Genova e Sampierdarena, la linea di Ovada, le linee della cornice e le linee settentrionali colle loro stazioni; fra cui principalissima Milano.
La somma può parere grossa; ma senza di essa i guai che ogni giorno si lamentano e che nell’autunno fanno gittare così alte strida ai commercianti, si ripeteranno aggravati ad ogni aumento del traffico. Se non si vuole spendere, vano sarà stato l’aver posto il fondamento di nuovi grandiosi lavori in porto; vano sarà il discorrere di direttissima. Come potrà crescere il traffico, se mancano gli impianti per servirlo?
A compiere l’elenco dei mezzi di rendere efficaci le linee esistenti, importa accennare ai progetti di funicolari aeree per il trasporto dei carboni dal porto di Genova a Busalla. A Genova si nutre grande fiducia intorno all’attuabilità di progetti che verrebbero ad alleggerire la ferrovia della parte più ingombrante del suo traffico. Tecnicamente sembra che non vi sia dubbio sulla possibilità di costruire impianti assai ingegnosi per il trasporto dei carboni. Maggiori dubbi vi sono sulla convenienza economica; ma quando si trovino i capitali disposti a impiegarsi nell’impresa, nessuno certo vorrà lamentare che ci siano uomini abbastanza arditi da correre il rischio. L’impianto delle funicolari potrebbe alleggerire le linee dei Giovi di un movimento ascendente di 360 carri al giorno; e sarebbe di utilità grandissima durante il periodo in cui non sarà ancora pronta la direttissima, la quale risolverebbe radicalmente il problema del valico dei Giovi. Anche dopo, le funicolari potrebbero sempre avere una funzione sussidiaria, non essendo logico limitare le previsioni dell’aumento del traffico, quando le spese e le facilità dei trasporti fossero assai minori di quello che siano attualmente.
III
Le difficoltà in cui si dibatte ad intervalli il traffico ferroviario che fa capo al porto di Genova hanno fatto sorgere in molti il quesito: perché non risolvere radicalmente la questione costruendo una nuova linea direttissima fra Genova e Milano, una linea moderna adatta al grande traffico, con miti pendenze e curve ristrette, la quale possa dar sfogo al crescente movimento di merci e di viaggiatori?
I progetti, al solito, sono stati molti; ma un po’ per volta la discussione si è ridotta. I primi ad essere scartati, non già perché tecnicamente impossibili o privi in modo assoluto di utilità, ma perché non urgenti, furono quelli che intendevano creare una nuova linea diretta fra Genova e Piacenza o Borgotaro. La Genova – Piacenza si staccherebbe dalla stazione di Piazza Brignole rimontando il corso del Bisagno con pendenze sino al 16 per mille; traverserebbe l’Appennino con una galleria di km 13,5 elevandosi alla quota culminante o punto più alto di 574 m e seguendo la Valle della Trebbia raggiungerebbe Piacenza dopo uno sviluppo totale di 128 km. Importante dal punto di vista militare, utile per facilitare le comunicazioni coll’Emilia e col Brennero, questo progetto presenta il difetto dell’altezza non piccola che bisognerebbe superare e che aumenterebbe le spese d’esercizio, del costo rilevante (250 milioni), e della poca rispondenza allo scopo. Infatti, mentre l’intento è di sfollare il porto di Genova del suo traffico verso il nord, la linea Genova-Piacenza assorbirebbe un traffico che ora è appena del 7% del movimento complessivo. Per analoghi motivi, anche della Genova-Borgotaro si deve affermare trattarsi di progetto che potrà maturare in futuro; ma che per il momento è inutile presentare alla discussione pubblica, ove occorre parlare dei problemi dell’ora presente.
In sostanza, la discussione per ora si restringe ai valichi dei Giovi ed alle direttissime fra Genova e Novi-Tortona-Voghera. Qui sono i bisogni maggiori e qui il problema da risolvere. Per chiarire la materia pubblichiamo una piccola carta geografica ed una tavola[6] dove sono tracciati i profili longitudinali delle linee della succursale e di due direttissime in progetto.
Sulla carta geografica sono indicate le linee esistenti e quelle progettate. Le linee esistenti fra Genova e Ronco – dove esse si riuniscono in una sola – sono due a doppio binario. La più antica ha tratte di forte pendenza (dal 20 al 35 per mille) fra Pontedecimo e Busalla, in cui è compresa la galleria dei Giovi con pendenze del 30 per mille, lunga m 3.258. L’altra, la succursale dei Giovi, ha una pendenza del 16 per mille per la prima tratta e del 12 per mille sull’ultima tratta che comprende la grande galleria di Ronco, lunga m 8.297. A Ronco le due linee si riuniscono per formarne una sola pure a doppio binario, che discende con pendenze non superiori all’8 per mille per circa 26 km fino a raggiungere la stazione di Novi, dove si trova il grande parco di concentramento.
Quando furono costrutte, queste due linee parvero miracoli dell’ingegneria ferroviaria. Adesso cominciano a sembrare difettose, elevandosi l’antica linea a 361 m con curve che discendono sino a 300 m e con pendenze del 35 per mille, e rimanendo la nuova a 324 m nel suo punto massimo, con la pendenza massima del 16 per mille e con curve del raggio minimo di 300 m. Perciò, si disse, occorre fare una nuova linea la quale si tenga per tutto il suo percorso più bassa, che abbia curve ampie e sia possibilmente rettilinea, e abbia pendenze tenui. I progetti sinora pubblicati sono due: il primo per Voltaggio-Gavi-Novi, di cui la Società mediterranea ha redatto un piano di massima, ed il secondo per Rigoroso-Tortona. Anche solo a guardare le due nostre sommarie cartine si vede differenza tra i due progetti.
Il primo, quello per Voltaggio-Gavi-Novi, ha pendenze non superiori al 9 per mille allo scoperto ed al 7,6 per mille in galleria. Il tracciato, dopo una serie di curve, e parecchie gallerie elicoidali nell’Appennino, giunge alla quota culminante di 313 m; poco meno della esistente succursale dei Giovi; i raggi minimi sarebbero di 500 m e la galleria di traversata sarebbe lunga quasi 10 km. Affrettiamoci a dire, senza perder tempo, che il progetto, che trovò patroni esclusivamente per ragioni di indole elettorale, deve essere senz’altro scartato. Non val la pena di chiamare direttissima e di spendere un centinaio di milioni e più per costruire una linea che non ridurrebbe il percorso, che avrebbe un numero grande di curve e di opere d’arte di costosa manutenzione, che salirebbe ad un’altezza di poco inferiore alle linee esistenti, che si palesa insomma da tutti i punti di vista disadatta al grande traffico internazionale. A Genova faranno benissimo a non parlarne più, se non vogliono ostacolare altre iniziative più utili.
Il secondo progetto per Rigoroso-Tortona è patrocinato dal municipio; ed è la vera linea direttissima. La linea Genova-Rigoroso-Tortona si eleva sull’Appennino ligure con pendenze non superiori all’8,50 per mille; lo attraversa con una galleria di circa 20 km, sboccando presso Rigoroso alla quota culminante di m 235 sul livello del mare, indi si dirige su Tortona seguendo la vallata della Scrivia. Tanto la carta geografica quanto i profili longitudinali mettono in rilievo la grande superiorità del progetto municipale di fronte alle linee esistenti ed alla rivale per Voltaggio-Gavi-Novi. Il percorso complessivo da Genova a Tortona è di circa 58 km, cosicché a confronto della esistente linea succursale dei Giovi, presenta una diminuzione di percorso di circa 14 km e la riduzione di un terzo dell’altezza massima da superare. Le curve non avrebbero mai un raggio inferiore a 750 m ed il percorso si svilupperebbe per lunghi tratti quasi rettilineo. Secondo i suoi fautori, il tempo occorrente ad un treno viaggiatori per giungere da Genova a Tortona si ridurrebbe di 42 minuti; la potenzialità di trasporto fra Genova e Tortona aumenterebbe di 2.900 carri al giorno, il che, unito con la potenzialità delle linee esistenti, lascerebbe un margine per qualsiasi più vertiginoso aumento del traffico; e la spesa del trasporto per il commercio potrebbe ridursi di una dozzina di milioni di lire all’anno. Di fronte ai vantaggi, la spesa di costruzione della linea, variamente valutata, ma probabilmente aggirantesi sui 150 milioni, appare giustificata. La difficoltà grossa della costruzione della direttissima è nella galleria di 20 km presso Rigoroso; ma non pare sia difficoltà insuperabile coi metodi dell’ingegneria moderna.
Senonché qui insorgono coloro i quali dicono: è necessario aver bene presente lo scopo al quale si intende. O si vuole servire il traffico attuale e quel maggiore traffico che si andrà naturalmente sviluppando e che la commissione Adamoli ha previsto in 220000 tonnellate all’anno e in 10 milioni di tonnellate in tutto alla fine di un ventennio. Ovvero si vuole creare un traffico nuovo, offrendo a questo l’opportunità di svilupparsi.
Nel primo caso, la relazione Adamoli ha calcolato che – quando saranno compiute tutte le opere di miglioramento del porto e saranno sistemate le linee e sarà in esercizio il parco del Campasso – sulle linee dei Giovi potranno salire senza difficoltà 2000 carri al giorno, ossia il quantitativo a cui si giungerà con un traffico di 10 milioni di tonnellate. La difficoltà vera dell’esercizio non sarà più fra Genova e Ronco, ma oltre Ronco, dove le due linee si uniscono insieme. La costruzione di un nuovo tronco Ronco-Voghera è dunque la sola cosa veramente urgente. Con le opere connesse, il tronco Ronco-Voghera costerebbe una quarantina di milioni, da aggiungersi ai 90 di opere varie di cui dicemmo in un articolo precedente. La nuova linea presenterebbe il vantaggio di abbreviare di circa 14 km il percorso da Genova a Milano e non ostacolerebbe per nulla la costruzione della direttissima; anzi potrebbe dirsi la seconda parte della direttissima, perché con un raccordo facilissimo presso Rigoroso ed Arquata la direttissima verrebbe a sboccare sulla Ronco-Voghera.
Fin qui coloro i quali ritengono prematuro parlare di direttissima. Sembra tuttavia che il problema non debba essere posto così. Si sa che in Italia è impresa erculea muovere lo stato a fare le cose più necessarie e più urgenti. Se si dice che per ora basta il tronco Ronco-Voghera, il governo sarà felice di adottare il ripiego provvisorio; e non pensare oltre alla Genova-Ronco-Rigoroso, col pretesto che il bisogno è ancora lontano. Poi, quando il bisogno sarà divenuto vicino, non si sarà fatto nulla e saremo da capo. Cominciamo pure ad eseguire la seconda parte della direttissima fra Ronco e Voghera, di più facile e rapida costruzione, ed utile anche allo sfogo delle linee esistenti. In pochi anni questo tronco dovrebbe essere finito, ed il problema ferroviario avrebbe certo per il momento un grande giovamento.
La possibilità di porre rimedio ai mali che oggi si lamentano con le opere di miglioramento degli impianti esistenti (90 milioni) e con la seconda parte della direttissima (rettifica Ronco-Voghera, 90 milioni), non deve però togliere la visione dell’avvenire ed il coraggio di fare opera per se stessa atta a creare un nuovo traffico. Forse è troppo chiedere allo stato – premuto da tanti bisogni e da tante competizioni regionali – di spendere 150 milioni nella costruzione della prima parte della direttissima fra Genova e Ronco allo scopo di creare un traffico nuovo, quando gli uomini competenti, i quali compongono la commissione Adamoli – nominata appunto per riferire sul problema ferroviario del porto di Genova – dicono che il traffico attuale e quello probabile del futuro per un ventennio, può benissimo essere servito dalle linee esistenti, rafforzate, perfezionate, come dicemmo, e completate con la Ronco-Voghera. Allo stato forse è troppo chiedere iniziative coraggiose che solo un imprenditore dalle larghe e lontane vedute può affrontare.
Se domani però una società di capitalisti privati si assumesse di costruire essa a sue spese, dando allo stato una partecipazione negli eventuali benefici, la direttissima fra Genova e Ronco, o meglio fra Genova e Milano, perché non lasciare correre il rischio? E se la società si proponesse di creare addirittura una rivoluzione nei metodi ordinari di trasporto, riducendo il tempo del viaggio fra Genova e Milano ad un’ora e mezzo, con partenze frequentissime ad ogni mezz’ora e ad ogni ora, perché, ripetiamo, non incoraggiare l’audace iniziativa? Chi può predire l’aumento dei viaggiatori il giorno che l’andare da Milano a Genova fosse poco meno comodo che l’andare da Milano a Pavia, in cui in una stessa giornata si potesse senza troppa fatica e troppa spesa andare e venire due volte dalla capitale lombarda al suo grande porto del mediterraneo? Tutto sta a trovare capitalisti che abbiano un coraggio, che dieci o cinque anni or sono sarebbe in Italia parso chimerico. Non è molto le tramvie a cavallo sembravano aver accaparrato tutto il traffico esistente; vennero le tramvie elettriche e molte persone che non erano salite mai sulle tramvie a cavalli, trovarono comodissimo andare sui trams elettrici. La logica di quelli i quali dicono: bisogna seguire il traffico, anche anticiparlo di qualche cosa, senza però precorrere i tempi, forse è la più illogica e la meno pratica di tutte; ed in definitiva risultano più logici quelli i quali paiono costrurre per l’avvenire lontano. L’Italia è in un periodo di intensa trasformazione industriale; e una nuova linea ferroviaria che riducesse d’assai il tempo e il costo dei trasporti fra il massimo centro commerciale ed industriale ed il massimo porto dell’Italia, se non potrà essere ottenuta subito e tutta dallo stato, lento a muoversi e solito a farsi rimorchiare, forse darebbe profitti non spregevoli a quegli ardimentosi capitalisti i quali osassero tentarla colle sole loro forze. Se a questo si riuscisse e se gli uomini di Genova e di Milano dicessero allo stato: «Facciamo da noi», a noi pare che lo stato non dovrebbe porre impacci, lasciando libertà d’azione a chi vuole e può.
IV
L’on. generale Luchino Dal Verme in una lettera al direttore del «Corriere», pubblicata il 29 dicembre aveva osservato che la linea Genova-Piacenza, progettata dall’ing. Vincenzo Soldati ed eseguita nel 1874 è solo il primo tronco di una vera direttissima da Genova al Brennero la quale attraverso Cremona e Peschiera con tracciato in gran parte in pianura e con incrocio a Domegliara si innesta ivi colla esistente linea del Brennero. Il costo calcolato dall’ing. Ferdinando Rossi risulta di 145 milioni di lire se ad un solo binario, di 191 se a due binari. Il traffico che oggi da Voghera va verso Piacenza è in verità solo del 7% del totale proveniente da Genova, laddove quello verso Milano giunge al 30% dello stesso totale, ma sarebbe ben maggiore se potesse istradarsi subito su una linea adatta senza passare per il nodo milanese troppo congestionato. Il costo dell’adattamento della stazione di Milano all’aumento del traffico risulterebbe minore se una parte di questo potesse essere deviato verso la Piacenza-Brennero. Volendo evitare una delle obiezioni che si muovono alla Piacenza-Brennero, nulla vieta che il tracciato possa essere tenuto ad una altezza massima non superiore a quella della progettata direttissima per Voghera, ove si adotti una variante per la galleria di attraversamento degli Appennini, variante non diversa dalle proposte proprie del progetto della direttissima.
In ogni caso, poiché si impone una soluzione rapida, perché non contentarsi per ora della scorciatoia Ronco-Voghera e di una agevole rettifica, che in soli tre anni e mezzo invece dei dieci richiesti dalla direttissima e con la spesa di soli 36 milioni di lire, si potrebbero ottenere miglioramenti sufficienti?
Fin qui il generale Luchino Dal Verme. Egli ci consenta alcune osservazioni alla lettera. La quale ha certamente il merito di avere posto un problema importantissimo: quello della linea diretta da Genova a Piacenza verso il Brennero, di cui non si debbono disconoscere i benefici militari ed economici non certamente piccoli, attraversando quella ferrovia una zona la quale ora, in parte, di ferrovie è priva o ne ha talune che servono soltanto per il traffico locale. Senonché a noi pare che il problema non debba essere esaminato dal punto di vista della utilità assoluta, ma da quello della utilità relativa con le altre linee che sono in concorrenza con quella che è difesa dal generale Dal Verme. Si tratta di spendere qualche centinaio di milioni (il Dal Verme dice che per la Genova-Piacenza ne occorrono solo 191 e mezzo; e noi non litigheremo sui preventivi, quantunque ci paia che abbia più probabilità di essere vicino al vero il preventivo della Mediterranea di 245 milioni); ed occorre che la spesa sia fatta nel modo più produttivo e in guisa che i frutti non comincino a raccogliersi eccessivamente tardi. Dato ciò, è manifesto che occorre innanzi tutto migliorare gli impianti, accrescere la potenzialità delle linee già esistenti e, occorrendo, costruirne delle nuove laddove esiste un traffico, crescente, esuberante, il quale non può essere soddisfatto cogli impianti attuali. Noi abbiamo osservato – e pubblicammo anche una cartina a dimostrazione del nostro assunto – che il 78% del traffico in partenza da Genova si dirige su Novi; e qui – dopo aver perduto qualcosa nelle stazioni intermedie – si biforca: il 32% si dirige verso Alessandria-Novara ed Alessandria-Torino, mentre il 7% si dirige verso Voghera. A Voghera il 7% va su Piacenza e il 30% giunge a Milano. Dunque è chiaro che il problema veramente urgentissimo è quello di mettere le linee e le stazioni attuali in condizioni perfette di impianto, sì da poterle sfruttare sino al massimo della loro potenzialità. Quindi occorre risolvere il problema delle stazioni e sovratutto della stazione di Milano, il cui ingorgo è una delle cause massime degli arresti periodici del traffico nel porto di Genova. I milioni spesi a questo intento saranno spesi dallo stato in modo che non potrebbe essere migliore e più produttivo a prontissima scadenza. Il generale Dal Verme quasi ha l’aria di credere che i 40 milioni consigliati dalla relazione Adamoli per le stazioni di Milano siano troppi; ed afferma che la costruzione della Genova-Piacenza-Brennero avrebbe per iscopo di far risparmiare una parte (quale?) della gravissima spesa dei 40 milioni. Noi gli chiediamo in qual modo potrebbe compiersi il miracolo, dato che soltanto il 7% del traffico in partenza da Genova va verso Piacenza; e ci va partendo da Voghera, ossia molto prima di giungere a Milano. Di qui appena il 3% del traffico va verso Treviglio-Rovato-Brescia, e meno dell’1% verso Codogno, ossia verso una zona che in piccola parte potrebbe essere di competenza della Genova-Piacenza. Evidentemente non è possibile risparmiare nulla sui 40 milioni necessari per le stazioni di Milano, a causa della infinitesima deviazione prodotta dalla Genova-Piacenza nel traffico interno. Rimane il traffico internazionale, che il nostro contradditore afferma incanalarsi per Milano perché non esistono altre linee dirette da Genova verso il Brennero. Il male si è che questo traffico che da Genova e Milano va verso l’Europa centrale attraverso il Brennero non esiste.
Il transito uscito per via di terra dal porto di Genova nel 1902 era di appena 236.000 tonnellate, di cui 211.000 dirette alla Svizzera. Ossia appena il 5% del movimento del porto è un movimento internazionale; tutto il resto serve per l’interno. E i nove decimi del transito internazionale vanno nella Svizzera, ossia non si servono affatto del Brennero. Si aggiunga che il transito internazionale da Genova verso la Svizzera non passa per Milano; e tanto meno vi passerà quando sarà aperto il Sempione, e la linea più diretta per la Svizzera sarà la Genova-Alessandria-Novara-Domodossola. La soluzione del problema ferroviario di Milano urge, astrazion fatta dal traffico internazionale e da quei piccoli rivoli che una Genova-Piacenza potrebbe distogliere dalla corrente impetuosa di merci e di persone che si svolge fra Genova e Milano.
Accanto alle stazioni, le linee esistenti. Noi abbiamo affermato, e lo ripetiamo volontieri, che è compito dello stato metterle subito in buon assetto. Indicammo, fra l’altro, il raddoppiamento del binario da Torre-Beretti a Novara e la rettifica Ronco-Voghera. Non dicemmo che la rettifica Ronco-Voghera sia la «sola cosa veramente urgente»; che anzi criticammo questo concetto degli avversari della direttissima Genova Milano, dimostrando come fosse addormentatore. Ma è certo che la rettifica è urgente e deve essere intrapresa dallo stato per mettere le linee attuali in condizioni di funzionare bene.
Dimodoché noi in massima potremmo essere d’accordo col generale Dal Verme quando afferma che lo stato deve, per ora, limitarsi alla costruzione del tronco Ronco-Voghera. Ma qui l’accordo cessa. Il nostro contradditore non vorrebbe si parlasse di direttissima Genova-Milano e non vorrebbe nemmeno che si lasciasse l’iniziativa della intrapresa a privati capitalisti; e tutto ciò per non pregiudicare l’altra direttissima Genova-Piacenza. È certo che ambedue le direttissime non si presentano con caratteri di assoluta urgenza, se badiamo al traffico attuale ed al suo incremento normale; e quindi noi, che pure siamo fautori della Genova-Milano, non abbiamo la pretesa di chiedere allo stato che la costruisca subito coi denari dei contribuenti. Non sappiamo tuttavia vedere la ragione per la quale si dovrebbe negare a privati capitalisti il permesso di tentare l’impresa a loro spese ed a loro rischio. Già il fatto solo che capitalisti sembra che si trovino per la Genova-Milano mentre non ci sono per la Genova-Piacenza, dimostra che la prima linea è ritenuta dagli uomini d’affari assai più produttiva della seconda. Si accampa l’inopportunità di una concorrenza allo stato; e noi non vorremmo certo favorire una iniziativa privata la quale mirasse a rubare alle ferrovie di stato una parte del traffico presente. Non possiamo però nascondere che un po’ di concorrenza agirebbe come uno stimolante benefico per le ferrovie di stato. Quanti progressi nella velocità, nel numero dei treni, nelle tariffe non sono stati ottenuti mercé la costruzione di due o più linee parallele fra gli stessi centri in Inghilterra e negli Stati uniti! Perché dovremmo negare a una società privata la facoltà di vedere se sia possibile creare un traffico nuovo, ora latente, fra Genova e Milano, costruendo una ferrovia nuova, che lo stato non costrurrebbe mai? Dovrebbe essere certo bene assodato che la linea nuova sarà costrutta a spese e a rischio dei concessionari, che lo stato avrà il diritto e non il dovere di riscattarla se lo crederà opportuno, secondo le leggi vigenti; che siano stabilite eque norme per la ripartizione del traffico in guisa che le ferrovie di stato non abbiano a scapitarci od almeno abbiano a perdere solo il traffico che è esercitato in condizioni tanto onerose da riuscire passivo; che lo stato parteciperà agli utili netti della nuova linea oltre un certo minimo. Se queste e altre clausole nell’interesse dello stato si inseriranno nell’atto di concessione, qual danno ne può derivare ai contribuenti? Se la galleria dei 20 chilometri non si potrà costruire, tanto peggio per gli azionisti; ma se la galleria si farà e se il traffico prenderà uno sviluppo nuovo ed insospettato, non sarà questa la più bella dimostrazione che la direttissima Genova-Milano era utile e necessaria, più di tante altre linee che non sarebbero mai costruite se i contribuenti non fornissero i fondi? Concludendo: né noi, né il generale Dal Verme, né i tecnici eminenti della commissione Adamoli possiamo immaginare che cosa sarà il traffico tra Genova e Milano in condizioni tutte diverse di velocità e di costi. Sembra che si siano trovati dei capitalisti almeno a quanto si è saputo da un comunicato del sindaco di Genova – disposti a fare l’esperimento a loro spese. Ancora una volta: perché voler negare a costoro di correre l’alea? Non noi certamente negheremmo il permesso ad altri capitalisti i quali volessero costruire una Genova-Piacenza-Brennero.
[1] Con il titolo Il problema ferroviario del porto di Genova. [ndr]
[2] Con il titolo Il problema ferroviario del porto di Genova e dell’Alta Italia. I lavori urgenti. [ndr]
[3] Con il titolo La direttissima Genova-Milano. [ndr]
[4] Con il titolo La direttisima Milano-Genova e la Genova-Piacenza. [ndr]
[5] Omesso.
[6] Omesse.