Il partito dei giovani
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 10/06/1900
Il partito dei giovani
«La Stampa», 10 giugno 1900
I progressi dei partiti popolari rivelati dalle elezioni generali rendono di nuovo opportuno discutere la possibilità di formare un partito di giovani nel campo di coloro che non sono né socialisti né repubblicani ed i quali credono possibile di porre riparo ai mali odierni dell’Italia senza intaccare le basi attuali della sua costituzione economica e politica. La formazione di un partito di giovani presenterebbe indubbi vantaggi. Le classi di governo che si sono alternate al potere negli ultimi trent’anni non hanno adempiuto al loro ufficio e si sono dimostrate impotenti a governare bene.
Ora questi uomini di governo avevano tutti superato un certo limite d’età ed erano imbevuti quasi sempre di quello scetticismo e di quella indifferenza che inducono a vedere soltanto il lato materiale delle cose, e, facendo gli uomini persuasi che tutto sta nel sapersi conservare al potere, li rende incapaci a comprendere che un paese non si governa, ma si rovina cogli espedienti, coi favori politici ed elettorali e colla tutela degli interessi dei gruppi potenti e rumorosi a danno delle masse silenziose.
Costituite invece, si afferma, un partito di giovani intelligenti, attivi, i quali scendano in mezzo al popolo a combattere con entusiasmo e passione nello stesso modo in cui combattono i socialisti; fate largo a codesti giovani nelle battaglie elettorali, inviandone un certo numero al Parlamento e chiamandone alcuni al Governo, e voi vedrete una salutare trasformazione operarsi nel reggimento della cosa pubblica.
Le masse elettorali giovani – e sono la maggioranza – si accosteranno a costoro che parlano il loro stesso linguaggio e che vivono della loro vita; nel Parlamento e nel Governo non domineranno più l’indifferentismo, le misere gare personali e gli espedienti dannosi per mantenersi al Governo; ma si parlerà e si opererà da persone che, avendo ancora degli ideali, sono mossi dal desiderio di attuarli.
Così si imiterà il partito socialista, in cui tutti, dai gregari ai capi, sono giovani e perciò attivi, entusiasti e sinceri, ed una nuova ondata di sangue vivificherà le stanche membra del partito costituzionale. E le istituzioni saranno salve. Esaminiamo con calma il problema che si tratta di risolvere.
Perché un partito sorga e si affermi con efficacia sono necessarie due condizioni:
1) che i duci, i propagandisti del nuovo movimento siano uniti dai vincoli strettissimi di una comune dottrina politica, ritenuta sinceramente come vera ed utile;
2) che la comune dottrina per la sua semplicità e le sue attrattive sappia imporsi alle immaginazioni ed ai cuori della masse, trascinandole a quegli stessi entusiasmi di cui danno ora prova le masse socialiste e sia inoltre tale da tenere unite coi suoi benefici effetti codeste masse anche quando l’onda dell’entusiasmo è passata.
Data la necessità di una comune dottrina politica, parmi evidente che la formazione di un partito di giovani veramente forte e vigoroso sarà impossibile finché il programma del partito costituzionale continuerà a riassumersi nella formula del «bene inseparabile del re e della patria», e finché si vorrà soltanto con una infusion di sangue giovanile riaccendere la vita nel partito costituzionale.
Sarà doloroso per i patriotti che hanno fatto l’Italia, ma è necessario confessare che noi giovani non sentiamo muovere neppure un muscolo del nostro cuore e non proviamo nessuna impressione intellettuale quando sentiamo dire che bisogna agitarsi per il bene inseparabile, ecc. Sarà doloroso, ma è certo che noi, invece, istintivamente siamo costretti in quel momento a riandare colla mente a coloro i quali, dopo che la patria era fatta, hanno cominciato a sfruttarla e sono riusciti quasi a mandarla in rovina, sempre dicendo di volere il sullodato bene. Se questo programma generico non è tale da condurci a costituire un partito di propagandisti, la nostra unione coi partiti esistenti costituzionali non avrebbe altro effetto se non quello di alienarci le simpatie delle masse. Le quali immaginerebbero subito che i giovani si siano uniti in partito per seguitare nell’impresa, già compiuta prima dai padri loro, di giungere al potere il più presto possibile, costringendo col rumore i vecchi a concedere loro una parte della torta governativa. In tal caso le masse penserebbero essere meglio abbandonare la torta ancora un pò alle attuali classi dirigenti già sazie anziché dar modo a nuovi affamati di assidersi al banchetto del potere.
È dunque impossibile formare un partito dei giovani? In un argomento, dove molto dipende dalle simpatie e dalle opinioni personali, dalle inclinazioni della mente e dall’educazione scientifica avuta, è sempre pericoloso pretendere di additare agli altri la via da seguire.
Intendo perciò di esprimere una opinione personale quando dico che, a mio parere, l’unica dottrina politico-economica la quale soddisfi completamente al primo dei due requisiti dianzi accennati e sufficientemente al secondo è la vecchia dottrina liberista che nella prima metà del nostro secolo avea inspirato tante nobili campagne ed avea spinto gli uomini a compiere tante cose grandi.
Dopo il 1860 e sovratutto dopo il 1870 la vecchia dottrina liberista non fu più di moda; gli uomini di Stato misero in ridicolo i loro antecessori ideologi e poco pratici; ed una nuova scienza politico-economica sorse, la quale pretese che si dovesse badare più alla pratica che non alla teoria e sparse il dubbio su tutti quelli che nell’epoca eroica del risorgimento economico e politico d’Europa erano parsi dogmi inconcussi. È vano nasconderlo: in nessuno Stato moderno europeo, eccetto forse in Inghilterra sino alla scomparsa di Gladstone, si ebbe l’attuazione pratica degli ideali della vera dottrina liberale.
Imperò dappertutto uno pseudo-liberalismo che meglio si potrebbe chiamare socialismo di Stato a favore di gruppi speciali di persone e di interessi coalizzati. Nel campo politico alla dottrina liberale della libertà di stampa, di associazione, e di insegnamento si sostituì il predominio delle classi avvocatesche, le restrizioni alle libertà, le distinzioni gesuitiche fra libertà e licenza, la formazione delle coalizioni parlamentari alla scalata del Governo, ecc. Nel campo economico alla dottrina della libertà di scambio e di lavoro si sostituì la pratica del protezionismo, degli affari privilegiati dal Governo, del regolamentarismo, la difesa dei capitalisti contro i lavoratori o viceversa, secondo le convenienze del momento. Nel campo tributario alla dottrina secondo cui lo Stato deve limitarsi a compiere quello che è affar suo per non gravar troppo i contribuenti si sostituì la pratica, comoda per scopi elettorali, di concedere sussidi ad industrie private artificiose, di fare lavori pubblici inutili di aprire scuole semi-deserte, di mantenere Corpi d’esercito troppo numerosi e poco saldi: e si ottenne per effetto di ingrossare a dismisura il bilancio ed il debito pubblico e di dover ricorrere per conseguenza ad una congerie di imposte schiaccianti e male distribuite.
Fra i giovani d’Italia vi sono alcuni i quali cominciano a non volerne più sapere di questo pseudo-liberalismo dei padri loro; e che, essendosi abbeverati alquanto alle pure fonti del vecchio e dimenticato liberismo, insegnatoci colle opere da Cavour e cogli scritti dal grande genio, a torto trascurato, del Ferrara, sarebbero disposti a gettarsi nella mischia con tutti gli ardori e gli entusiasmi della gioventù …
La dottrina liberista, se è tale da vincolare la mente e le opere dei giovani propagandisti o capi del movimento, non può sperare però di rivaleggiare colla dottrina socialista per quanto si riferisce al secondo dei requisiti posti più sopra.
La dottrina socialista, semplice ed attraente, col suo quadro di felicità futura universale, si impone agli animi delle folle più che non la dottrina liberista, la quale non può additare nessun Paradiso alle masse, neanche nel futuro lontano, e può fornire soltanto delle dimostrazioni scientifiche che il massimo di felicità materiale si può conseguire in uno stato sociale in cui sia concessa la più ampia esplicazione alla libera iniziativa individuale, sia unita che associata.
Da questo punto di vista, il giovane partito liberista, potrebbe giovarsi però nel momento presente di una circostanza: che cioè i socialisti non parlano più di organizzazione collettivista come di un ideale raggiungibile e si sono invece consacrati alle riforme sociali, senza però avere ancora un criterio per distinguere le riforme utili da quelle perniciose. Qui potrebbe esplicarsi l’azione del nuovo giovane partito liberista sulle masse: nell’additare il criterio per distinguere le riforme utili liberali da quelle intinte di protezionismo, sia pure a favore delle classi operaie. Dopo, quando le riforme utili avranno prodotto i loro effetti, sarà il momento per il nuovo partito di dimostrare alle masse che il loro benessere è derivato dall’adozione dei principii delle vecchie dottrine liberali della prima metà del secolo e dall’allontanamento del pseudo-liberalismo oggidì dominante.
Allora forse le masse di persuaderanno che non vale la pena di fare un salto nel buio della organizzazione collettivista della società.
Uno dei giovani.